L’imponibilità IRAP delle plusvalenze da cessione dei calciatori
28 Dicembre 2015
Massima
In materia tributaria è confermata l'imponibilità ai fini dell'IRAP, ex art. 5, D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, delle plusvalenze derivanti dalla cessione del contratto di prestazione sportiva dei calciatori e dei diritti di compartecipazione da parte delle società sportive; a fronte di contrasti giurisprudenziali, però, è esclusa l'applicazione di sanzioni amministrative sino all'emanazione del parere del Consiglio di Stato dell'11 dicembre 2012, n. 5285. Il caso
La vicenda riguarda un avviso di accertamento IRAP relativo al 2001 con cui l'Agenzia delle Entrate contestava alla società contribuente l'omessa dichiarazione di plusvalenze derivanti dalla cessione di calciatori e di diritti di compartecipazione.
Sia la CTP che la CTR confermavano il recupero sulle plusvalenze, annullando quello relativo alle sanzioni, in considerazione dell'esistenza di obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull'ambito di applicazione delle disposizioni tributarie.
Col successivo ricorso per Cassazione l'Agenzia delle Entrate denunciava la violazione e la falsa applicazione dell'art. 8 del D.Lgs. n. 546/1992; art. 6, co. 2, D.Lgs. n. 472/1997; art. 10, L. n. 212/2000, per difetto dei presupposti dell'incertezza normativa, quale causa esimente dell'applicazione delle sanzioni tributarie. La Cassazione, con la sentenza del 2 dicembre 2015, n. 24588, ha rigettato il ricorso dell'Agenzia delle Entrate, pur correggendo la motivazione dell'impugnata sentenza di appello: secondo i giudici di legittimità, infatti, sulla questione dell'imponibilità a fini IRAP delle plusvalenze e minusvalenze derivanti dalla cessione di calciatori e di diritti di compartecipazione da parte delle società sportive professionistiche “ricorre proprio quella situazione – la presenza di contrasti giurisprudenziali – a cui la giurisprudenza di questa Corte collega l'esimente della condizione di incertezza normativa”.
Tale situazione si è protratta almeno fino all'emanazione del parere del Consiglio di Stato n. 5285 dell'11 dicembre 2012 (successivo all'anno oggetto di accertamento), che ha avallato le tesi dell'Amministrazione finanziaria.
Le questioni
Le questioni fondamentali che emergono dalla pronuncia in commento sono due:
Le soluzioni giuridiche
La pronuncia in commento si inserisce nell'ambito di una disputa sulla qualificazione civilistico-fiscale dell'operazione di cessione del diritto all'utilizzo esclusivo delle prestazioni di un calciatore.
Sul punto la sentenza richiama il parere del Consiglio di Stato n. 5285/2012 dell'11 dicembre 2012 (secondo cui le eventuali plusvalenze realizzate in occasione della cessione dei contratti di prestazione sportiva dei calciatori sono da prendere in considerazione in sede di determinazione della base imponibile dell'IRAP) che ha avallato le conclusioni raggiunte dall'Agenzia delle Entrate con la Risoluzione n. 213/E del 2001: con essa si è precisato che la plusvalenza derivante dalla cessione del contratto di prestazione sportiva dei calciatori concorre alla determinazione della base imponibile IRAP, dal momento che, con la cessione del contratto, viene trasferito il diritto all'utilizzo esclusivo della prestazione dell'atleta. Pertanto, tale diritto rappresenta un bene immateriale strumentale, appartenente alla gestione ordinaria dell'impresa, e come tale rilevante ai fini IRAP.
È proprio tale parere che avrebbe dissipato tutti i dubbi in merito al trattamento tributario (soprattutto ai fini dell'IRAP) dell'operazione di cessione delle prestazioni sportive dei calciatori: con esso è infatti è venuto meno quel contrasto giurisprudenziale che rappresenta un elemento sintomatico dell'esimente dell'obiettiva incertezza normativa.
Sulla questione di merito, si ricorda che il contratto di prestazione sportiva tra le società e gli sportivi professionisti è attualmente disciplinato dalla Legge 23 marzo 1981, n. 91. In precedenza, l'atleta professionista era legato alla società, oltre che dal contratto di prestazione sportiva, anche dal cosiddetto “vincolo sportivo” che configurava un rapporto autonomo e distinto rispetto al contratto di prestazione sportiva, in base al quale la società acquisiva un diritto, esclusivo ed alienabile a terzi, all'utilizzo dell'atleta per l'intera durata della sua carriera sportiva.
A seguito della Legge di riforma n. 91/1981, invece, tutti gli elementi del rapporto di lavoro tra società e atleta professionista, compresa la durata del rapporto stesso, sono esclusivamente fissati nel contratto di prestazione sportiva. In particolare, in base all'art. 5 della citata legge, “il contratto [...] può contenere l'apposizione di un termine risolutivo, non superiore a cinque anni dalla data di inizio del rapporto. È ammessa la cessione del contratto, prima della scadenza, da una società sportiva ad un'altra, purché vi consenta l'altra parte e siano osservate le modalità fissate dalle federazioni sportive nazionali”.
La contabilizzazione delle plusvalenze e delle minusvalenze sulla cessione dei giocatori è stata disciplinata dalla Risoluzione n. 213/E del 19 dicembre 2001. Con tale documento di prassi l'Agenzia delle Entrate ha concluso, diversamente dalla tesi della F.I.G.C., che il diritto alle prestazioni sportive è un bene immateriale strumentale. Conseguentemente il compenso derivante dalla sua cessione genera plusvalenze o minusvalenze classificabili tra i componenti ordinari del reddito. Le società calcistiche hanno come oggetto sociale l'esercizio di attività sportive e delle attività connesse o strumentali, quali la preparazione e la gestione di squadre di calcio. Il trasferimento di un calciatore è un atto che rientra nella gestione di una squadra di calcio, e rappresenta un evento collegato all'attività ordinaria della società calcistica.
Nello schema di Conto economico previsto dall'art. 2425 del codice civile, il carattere ordinario o meno di un provento deve essere valutato con riferimento alla sua estraneità all'attività ordinaria dell'impresa, circostanza che non è sicuramente riscontrabile nel caso in esame. In base ai principi contabili, la gestione ordinaria si distingue in gestione caratteristica e gestione accessoria. Le plusvalenze e le minusvalenze derivanti dall'alienazione di immobilizzazioni, quando la cessione del bene costituisce un evento ordinario della gestione dell'impresa, fanno parte dei proventi e oneri della gestione ordinaria accessoria. Nello schema di conto economico di cui all'art. 2425 del c.c., le plusvalenze e le minusvalenze devono essere imputate rispettivamente alle voci A) Valore della produzione - 5) altri ricavi e proventi e B) Costi della produzione – 14) oneri diversi di gestione e non alla voce E) Proventi ed oneri straordinari.
Si potrebbe anche supporre che, contrariamente a quanto sopra affermato dall'Agenzia delle Entrate, essi siano considerati proventi straordinari, classificabili nella voce di Conto economico E20) Proventi ed oneri straordinari e che in quanto tali non siano da assoggettare ad IRAP. Per l'Agenzia delle Entrate, tale conclusione non sarebbe condivisibile. Nell'ipotesi in cui si volesse considerare tali proventi componenti straordinari di reddito, essi sarebbero comunque imponibili ai fini dell'IRAP sulla base del principio di correlazione, sancito dall' art. 11 co. 3 del D.Lgs. n. 446/1997 (ora articolo 5, co. 4 dello stesso decreto).E ciò, in quanto tali componenti sono chiaramente correlati al costo ammortizzabile, deducibile ai fini IRAP, a suo tempo sostenuto dalla società di calcio per acquisire il diritto alle prestazioni sportive dell'atleta (o “bene immateriale ammortizzabile”).
Le Commissioni Tributarie Provinciali e Regionali sono state di opinione favorevole o sfavorevole alle società di calcio: la Corte di Cassazione ancora non si era pronunciata sulla questione. La soluzione della questione giuridica prospettata dipende dall'opzione interpretativa sulla natura giuridica del contratto di “cessione dell'atleta”.
Due sono le principali tesi emerse al riguardo:
Nella fattispecie n. 2 viene ravvisata una commistione di almeno tre atti, o contratti, distinti: a) accordo tra le società sportive e l'atleta per il trasferimento; b) accordo tra le società per la risoluzione del contratto in essere; c) stipulazione di un nuovo contratto tra l'atleta e la nuova società.
In questo caso, la cessione degli atleti avrebbe ad oggetto non il contratto di lavoro, ma il diritto a ottenere dalla società cedente la risoluzione anticipata del precedente contratto: diritto integrante la condizione necessaria per permettere la stipula di un nuovo contratto con l'atleta. Con questa tesi, la società cedente il calciatore non attuerebbe la cessione di un contratto in senso stretto, ma la risoluzione del suo contratto, con la successiva stipula di un nuovo contratto tra il calciatore e la nuova società. Secondo tale prospettazione, il corrispettivo versato dalla società che acquisisce le prestazioni sportive non ha come causa la cessione del contratto esistente, ma solo la sua anticipata risoluzione. Di conseguenza, il provento realizzato dalla società cedente per l'anticipata cessazione del contratto di lavoro del giocatore non costituirebbe plusvalenza relativa a beni immateriali strumentali, e non sarebbe perciò soggetta ad IRAP.
A sostegno dell'esposta ricostruzione – non condivisa dal Consiglio di Stato – viene precisato quanto segue:
A sostegno di tale orientamento si richiama la sentenza della CTR del Lazio n. 92/28/2012 che ha escluso che le plusvalenze derivanti dalle cessioni di calciatori rientrino nella base imponibile IRAP.
I giudici d'appello, confermando la statuizione di primo grado e rigettando l'appello proposto dall'Agenzia delle Entrate, hanno osservato che attualmente, a seguito della L. n. 586/1996, “i giocatori devono considerarsi a tutti gli effetti lavoratori dipendenti. Ne discende che non esiste più un diritto autonomo ed economicamente valutabile distinto dal rapporto di lavoro e che le prestazioni sportive del giocatore sono utilizzate esclusivamente sulla base del contratto di ingaggio”. Nel caso di specie, quindi, non si poteva prescindere dal valutare il particolare sinallagma che lega una società sportiva ai suoi giocatori che non può essere ricondotto “sic et simpliciter all'istituto” della cessione del contratto, così come disciplinato dal codice civile (art. 1406 c.c.), “mancando i requisiti, gli elementi essenziali della cessione (durata e contenuto). Infatti, se è vero che solo grazie al previo accordo tra due società la cessionaria può dare vita ad un nuovo rapporto di lavoro subordinato, l'acquisto del diritto in questione rappresenta un passaggio necessario, ma non sufficiente per arrivare ad ottenere le prestazioni del giocatore. Il diritto che scaturisce in capo all'acquirente è dunque il diritto a contrarre con il giocatore; la conseguenza appare evidente, allorquando si considera l'autonoma identificabilità del diritto a contrarre, quale bene in senso improprio che entra a far parte dei patrimonio della società calcistica e del quale risulta obbligatoria un'apposita evidenziazione nello stato patrimoniale. Nondimeno, la plusvalenza ottenuta dalla cessione del diritto di credito non può essere considerata proveniente da beni strumentali, in quanto il mezzo per consentire l'attività della società (prestazione del giocatore) nasce da un diverso negozio giuridico, successivo a quello della cessione”.
Secondo la tesi erariale, invece, fatta propria dalla sentenza in commento nonché dal Consiglio di Stato, con la cessione del contratto, l'oggetto della cessione è il diritto all'utilizzo esclusivo della prestazione dell'atleta verso corrispettivo: diritto costituente un bene immateriale strumentale all'esercizio dell'impresa, sia sul piano tributario, in quanto ammortizzabile, sia su quello civilistico, in quanto necessario per il conseguimento dell'oggetto sociale (sul punto si veda anche la recente sentenza della CTR Lombardia, Milano, sez. XLV, 19 agosto 2015, n. 3625). Il contratto con cui è ceduto il diritto all'utilizzo esclusivo della prestazione dell'atleta verso corrispettivo può essere ricondotto allo schema tipico della cessione del contratto (art. 1406 c.c.). Con la cessione del contratto, la società sportiva cessionaria acquista, con il consenso dell'atleta ceduto, il diritto oggetto del contratto e succede in tutti gli obblighi e i diritti connessi. Si configura dunque la fattispecie della cessione del contratto e la conseguente imponibilità IRAP dell'eventuale plusvalenza. Dal punto di vista del cessionario, invece, come precisato dall'Agenzia delle Entrate nella circolare n. 37/E del 2013, al punto 1.12, il costo di acquisizione del diritto pluriennale costituisce un'immobilizzazione in quanto non esaurisce la propria utilità in un solo esercizio, ma manifesta i suoi benefici economici lungo un arco temporale di più esercizi. Tale costo, essendo collegato all'acquisizione di uno specifico diritto, non può essere considerato un “onere” pluriennale. A conferma di ciò, si evidenzia che il comma 4 dell'art. 86 del TUIR, consentendo la rateizzazione delle plusvalenze realizzate dalle società sportive professionistiche nell'ipotesi in cui “i beni” siano stati posseduti per un periodo non inferiore a un anno, qualifica, implicitamente, il diritto in questione come bene strumentale (ad ulteriore conferma della tassabilità anche ai fini IRAP).
In merito alla problematica dell'obiettiva incertezza normativa, quale causa di esclusione dell'applicazione delle sanzioni tributarie ai sensi dell' art. 8 del D.Lgs. n. 546/1992 nonchéart. 6, co. 2, D.Lgs. n. 472/1997 , si segnala la recente ordinanza n. 8067 dello scorso 8 aprile con cui la Cassazione ha ripreso i principi fissati da una consolidata giurisprudenza di legittimità, sia in ordine alla definizione del concetto di “obiettiva incertezza normativa”, sia in ordine alla non rilevabilità d'ufficio della esimente de qua.In particolare:
La Corte, chiamata nel caso di specie a pronunciarsi sulla debenza, da parte dei Comuni, della tassa di concessione governativa sugli abbonamenti ai servizi di telefonia mobile, ha ritenuto come non basti richiamarsi ad una sentenza (nel caso di specie della CTP Vicenza) o allegare una nota dell'Agenzia delle Entrate (la n. 44461 del 17 luglio 2001, tra l'altro del tutto in conferente in quanto facente riferimento ad un provvedimento amministrativo rilasciato all'abbonato oggi non più previsto) perché il giudice provveda alla disapplicazione delle sanzioni in base all'art. 8, D. Lgs. n. 546/1992. L'importanza della richiamata sentenza risiede nel fatto che essa rappresenti quasi una “summa” di tutti i principi espressi sul punto dalla giurisprudenza di legittimità (ex multis Cass. civ., sez. trib., n. 24670/2007; di identico tenore le sentenze n. 7765/2008 e n. 19638/2009), individuando, a titolo esemplificativo e non esaustivo, quelle fattispecie sintomatiche della situazione di “obiettiva incertezza normativa” che, se debitamente provate, determinerebbero la disapplicazione delle sanzioni irrogate.
Sulla specifica questione si richiamano altre due significative sentenze dei giudici di legittimità: la prima del 14 marzo 2012, n. 4031 e 3 aprile 2012, n. 5324, che hanno ribadito due interessanti principi. La prima è relativa al riparto dell'onere della prova ed all'impossibilità, per il giudice, di annullare ex officio le sanzioni irrogate dall'ente impositore; spetta, infatti, al contribuente provare che le disposizioni siano effettivamente equivoche e che l'ambiguità normativa derivi da elementi positivi di confusione. Con la seconda si è escluso che la repentina successione di norme nel tempo possa giustificare l'inapplicabilità delle sanzioni amministrative perché non determina un obiettivo stato di incertezza normativa. Osservazioni
La pronuncia in commento rappresenta una delle prime (se non la prima) rese sul tema dalla Corte di Cassazione: è evidente quindi la sua importanza, in quanto le conclusioni raggiunte si prestano inevitabilmente ad influenzare la produzione giurisprudenziale futura. Fino ad ora, infatti, a parte il parere reso dal Consiglio di Stato, vi erano state solamente sentenze rese dalla giurisprudenza di merito oltre che dibattiti dottrinari e interventi di prassi contrastanti (Agenzia delle Entrate e F.I.G.C.). |