La bussola analizza l'evoluzione normativa e giurisprudenziale del Green Public Procurement (GPP) a livello europeo e nazionale, con particolare attenzione al recepimento italiano tramite il Codice dei Contratti Pubblici e i Criteri Ambientali Minimi (CAM). Si esamina il ruolo del PAN GPP, dei decreti CAM e delle principali direttive europee (2004 e 2014), delineando i requisiti ambientali da applicare nelle specifiche tecniche, nei criteri di aggiudicazione e nelle clausole contrattuali. Viene inoltre analizzato il d.lgs. 36/2023 per quanto riguarda l'articolazione delle norme che rafforzano il principio del risultato e la sostenibilità, l'utilizzo dei CAM e l'introduzione del “Life Cycle Costing”.
Inquadramento
Il diritto europeo e quello nazionale stabiliscono che un'efficace tutela dell'ambiente può essere realizzata non solo attraverso il tradizionale approccio “sanzionatorio” tipico del command and control ma utilizzando la leva del mercato, vale a dire spingendo le imprese e gli stakeholders a “lavorare” per l'ambiente. Dunque, tenuto conto che la pubblica amministrazione è il contraente in assoluto più rilevante (si stima che la spesa per appalti pubblici nell'Unione europea si aggiri attorno al 14% del PIL dell'Ue – cfr. Corte dei Conti Europea, Relazione speciale Appalti pubblici nell'UE, 2023), uno degli strumenti utilizzabili per indurre il mercato a lavorare per l'ambiente è quello di “costringere” la pubblica amministrazione ad acquistare in modo “verde”. Si tratta fondamentalmente di orientare l'amministrazione a identificare l'offerta più vantaggiosa non solo dal punto di vista economico ma anche ambientale.
I criteri ecologici possono (e, come nel caso italiano, “devono”) essere introdotti nei documenti di gara d'appalto in relazione a vari aspetti: l'oggetto dell'appalto, ossia con riferimento alle specifiche tecniche del prodotto o del lavoro o del servizio o alle clausole di esecuzione di un appalto (“cosa comprare”); i criteri di selezione dei candidati (“da chi comprare”); i criteri d'aggiudicazione dell'appalto (“come scegliere”).
Il Green Public Procurement (GPP) nel diritto europeo
Le origini e le direttive del 2004
Il “Green public procurement” (GPP) è nato nel diritto europeo recente: l'originaria disciplina comunitaria degli appalti pubblici era incentrata sul solo perseguimento di obiettivi di natura economica ed era finalizzata esclusivamente a garantire la parità di condizioni tra le imprese partecipanti alla gara e ad assicurare che le procedure di aggiudicazione fossero trasparenti, non discriminatorie e accessibili a tutti gli operatori economici europei. In questo senso, le Direttive più risalenti in materia di public procurement (direttive 71/305/CEE, 77/62/CEE, 92/50/CEE, 93/36/CEE, 93/37/CEE) non contenevano alcun riferimento ai parametri e ai profili ecologici nella presentazione e nella selezione delle offerte.
A seguito dell'adozione di comunicazioni e programmi dedicati (tra cui: il libro verde del 1996 “Gli appalti pubblici nell'Unione europea. Spunti di riflessione per il futuro”; il libro bianco del 1998 “Gli appalti pubblici nell'Unione europea”; le successive comunicazioni, a partire dal 2000; i Programmi di azione ambientale, a partire dal Quinto), si è pervenuti alle Direttive 2004/18/CE e 2004/17/CE che hanno riconosciuto, per la prima volta esplicitamente, la facoltà degli enti aggiudicatori di prendere in considerazione fattori di ordine non economico, tra i quali quelli volti alla tutela dell'ambiente, al fine di selezionare i contraenti delle pubbliche amministrazioni.
Al riguardo, nella direttiva 2004/17/CE venivano particolarmente in rilievo i considerando nn. 1, 12, 42, 44, 53, 54, 55 e gli artt. 34, 38, 39, 52 e 55; nella direttiva 2004/18/CE rilevavano soprattutto i considerando nn. 1, 5, 29, 33, 43, 44, 46 assieme agli artt. 23, 26, 27, 47, 48, 50 e 53.
La novità contenuta nelle direttive del 2004 recepisce il nuovo indirizzo giurisprudenziale della Corte di Giustizia che, con una serie di pronunce storiche (su tutte: C-31/87, Beentjes c. Stato dei Paesi Bassi; C-513/99, Concordia Bus Finland; C-448/01, EVN e Wienstrom), riconobbe la facoltà per le amministrazioni aggiudicatrici di soddisfare le esigenze del pubblico interessato, anche in materia ambientale, attraverso specifici criteri di aggiudicazione, purché questi fossero collegati all'oggetto dell'appalto.
Le direttive appalti del 2014
Successivamente alle direttive del 2004, la Commissione europea ha ribadito l'importanza degli appalti verdi e ne ha rafforzato il sostegno politico in vari documenti d'indirizzo, quali ad esempio la Comunicazione COM(2008) 397 “Strategia europea per il Consumo e la Produzione Sostenibili”, la Comunicazione COM(2008) 400 “Appalti pubblici per un ambiente migliore”, la Comunicazione COM(2010) 2020 “Strategia Europa 2020” e la Comunicazione COM(2011) 571 «Tabella di marcia verso un'Europa efficiente nell'impiego delle risorse». Fondamentale, per chiarezza e applicazione operativa, appare anche il manuale “Acquistare verde! Un manuale sugli appalti pubblici ecocompatibili” (edizioni: 2004, 2011 e 2016).
Ma è soprattutto con le direttive del 2014, tuttora vigenti, che la centralità dell'elemento ambientale viene affermata con chiarezza; trattasi della direttiva 2014/23/UE sull'aggiudicazione dei contratti di concessione (d'ora in poi brevemente “direttiva concessioni”), della direttiva 2014/24/UE sugli appalti pubblici che abroga la 2004/18 (d'ora in poi brevemente “direttiva appalti”) e della direttiva 2014/25/UE sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali (d'ora in poi brevemente “direttiva settori speciali”) che abroga la direttiva 2004/17/CE.
Sono diverse le norme delle tre direttive da cui si ricava che gli appalti pubblici svolgono un ruolo fondamentale per la crescita sostenibile dell'Europa (così, per esempio: considerando 2, 47 e 123 della direttiva appalti; considerando 4 della direttiva settori speciali; considerando 3 della direttiva concessioni) in ossequio al principio di integrazione della tutela ambientale in ogni tipo di attività (art. 11 TFUE; considerando 91 della direttiva appalti).
In numerose disposizioni si afferma poi il principio per il quale la tutela dell'ambiente consente, a determinate condizioni, di derogare altre disposizioni in materia di contratti pubblici. Lo si ricava dalla facoltà concessa dal legislatore europeo agli Stati membri di imporre e applicare misure necessarie alla tutela della salute, della vita umana e animale o alla preservazione dei vegetali e altre misure ambientali nell'ottica dello sviluppo sostenibile, purché dette misure siano comunque conformi al diritto europeo (così nel considerando 41 della direttiva appalti; nel considerando 59 della direttiva concessioni; nel considerando 56 della direttiva settori speciali).
La novità principale delle direttive del 2014 è la sostituzione del criterio di aggiudicazione al “prezzo più basso” con quello della “offerta economicamente più vantaggiosa”. Più precisamente, quest'ultimo criterio viene designato come il criterio “ordinario” di aggiudicazione degli appalti pubblici (art. 67, par. 1, direttiva appalti), mentre l'applicazione del criterio del “prezzo più basso” assume carattere residuale. L'offerta economicamente più vantaggiosa è individuata in base al “costo più basso” (art. 67, par. 2, direttiva appalti), vale a dire valutando e ponderando non solo i costi economici (il prezzo di acquisto), ma anche quelli relativi alle esternalità ambientali e connessi al ciclo di vita dell'oggetto dell'appalto (“Life Cycle Costing” o LCA).
Assieme alle direttive generali in materie di appalti, appare particolarmente importante, sotto il profilo sistematico, la direttiva 2009/33/CE del 23 aprile 2009 [da ultimo modificata dalla direttiva (UE) 2019/1161 e dalla Decisione (UE) 2024/1254] in materia di veicoli adibiti a trasporto su strada. Difatti, questa compie un passo importante verso l'obbligatorietà del GPP e degli appalti verdi: in essa si afferma testualmente (art. 1) che «la presente direttiva impone agli Stati membri di assicurare che le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori tengano conto dell'impatto energetico e dell'impatto ambientale nell'arco di tutta la vita, tra cui il consumo energetico e le emissioni di COdep2 e di talune sostanze inquinanti, negli appalti pubblici per taluni veicoli adibiti al trasporto su strada, al fine di promuovere e stimolare il mercato dei veicoli puliti e a basso consumo energetico e di potenziare il contributo del settore dei trasporti alle politiche dell'Unione in materia di ambiente, clima ed energia». In sostanza, le amministrazioni che prima “potevano” acquistare verde, oggi “devono” acquistare veicoli verdi, puliti e a basso consumo energetico; se non lo fanno, incorrono nell'annullamento dell'aggiudicazione (obbligatorietà degli appalti verdi e non mera facoltatività).
Analogamente, il legislatore dell'Unione aveva fissato requisiti obbligatori in materia di appalti volti ad conseguire obiettivi specifici anche nel regolamento sulle apparecchiature d'ufficio [Regolamento (CE) n. 106/2008 del 15 gennaio 2008, modificato dal Regolamento (UE) n. 174/2013].
Nonostante queste importanti aperture, il principio generale resta però ancora quello della facoltatività (e non dell'obbligatorietà) del GPP: in questo senso, varie norme delle direttive appalti affermano che «tenuto conto delle sensibili differenze tra i singoli settori e mercati non sarebbe tuttavia opportuno fissare requisiti obbligatori generali per gli appalti in materia ambientale (…)» (cfr. considerando 95 della direttiva appalti e considerando 100 della direttiva settori speciali).
Allo stesso tempo, il legislatore europeo incoraggia espressamente gli Stati membri a ricorrere in modo obbligatorio agli appalti verdi nelle normative settoriali specifiche statuendo che «appare opportuno proseguire su questa strada lasciando che sia la normativa settoriale specifica a fissare obiettivi e prospettive vincolanti in funzione delle particolari politiche e condizioni prevalenti nel settore pertinente e promuovere lo sviluppo e l'utilizzazione di un approccio a livello europeo per il calcolo dei costi del ciclo di vita in modo da promuovere ulteriormente il ricorso agli appalti pubblici a sostegno di una crescita sostenibile» (cfr. considerando 95 della direttiva appalti e considerando 100 della direttiva settori speciali).
Casistica
Contenuto
Sentenza
Nella valutazione dell'offerta possono essere utilizzati criteri non prettamente economici purché non producano effetti discriminatori nei confronti degli offerenti.
Corte Giust., 20 settembre 1988, causa C-31/87 Beentjes
Considerazioni di tipo non economico possono concorrere a formare criteri di aggiudicazione di un contratto pubblico poiché anche fattori non economici possono incidere sul valore di un'offerta per l'amministrazione aggiudicatrice.
Corte Giust., 17 settembre 2002, C-513/99 Concordia Bus Finland
Compatibilità di criteri non prettamente economici con la disciplina comunitaria in materia di appalti pubblici, a condizione che non siano forieri di discriminazione e siano oggetto di un'adeguata pubblicità.
Corte giust., 28 marzo 1995, C-324/93, Evans Medical Ltd e Macfarlan Smith Ltd
I criteri ambientali possano legittimamente rilevare ai fini della determinazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa.
Corte giust., 4 dicembre 2003, C-448/01, EVN AG. et Wienstrom GmbH c. Republik Österreich
Limiti entro i quali è consentito alle pubbliche amministrazioni di ricorrere a criteri ambientali è stato oggetto anche di un'ulteriore pronuncia.
Corte Giust., 10 aprile 2003, C-20/01 e C-28/01, Commissione c/Germania
Gli appalti verdi nel diritto nazionale: evoluzione e fonti
Il quadro normativo in materia di appalti verdi è storicamente alluvionale. Le norme pertinenti si ricavano da: PAN GPP e decreti CAM; codice dell'ambiente (d.lgs. n. 152/2006); disposizioni speciali nazionali e regionali; codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 36/2023).
Il Piano di azione nazionale (PAN GPP) e i decreti sui Criteri Ambientali Minimi (decreti CAM)
Il legislatore nazionale ha iniziato il percorso di recepimento delle indicazioni europee sugli appalti verdi a partire dalla legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007) che al comma 1126 prevedeva l'obbligo di definire a livello amministrativo le specifiche tecniche per settore merceologico o di mercato in modo da fornire alle amministrazioni parametri tecnici di riferimento da inserire nei bandi di gara.
È stato quindi adottato il “Piano d'azione per la sostenibilità ambientale dei consumi nel settore della pubblica amministrazione” [ovvero Piano d'azione nazionale sul GPP o, brevemente, PAN GPP] predisposto dall'allora Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di concerto con i Ministri dell'economia e delle finanze e dello sviluppo economico, d'intesa con le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, e sottoposto alla approvazione dalla CONSIP S.p.a. Il Piano è sottoposto a revisione almeno triennale (art. 4, decreto interministeriale n. 135 dell'11 ottobre 2008) e si compone di una parte generale, una speciale e azioni a sostegno del Piano.
Nella parte generale del Piano (sottoposta a revisione periodica, l'ultima con il decreto 3 agosto 2023 del Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica) sono contenute misure volte all'integrazione delle esigenze di sostenibilità ambientale nelle procedure di acquisto di beni e servizi delle amministrazioni competenti sulla base di vari criteri (riduzione dell'uso delle risorse naturali; sostituzione delle fonti energetiche non rinnovabili con fonti rinnovabili; riduzione della produzione di rifiuti; riduzione delle emissioni inquinanti; riduzione dei rischi ambientali).
Nella parte speciale del Piano sono individuati invece i c.d. criteri ambientali minimi o CAM, ossia le indicazioni tecniche specifiche, divise per categoria merceologica o d'impiego, riguardanti i prodotti e i servizi indicati nel Piano stesso, definite in appositi decreti del Ministro dell'Ambiente (i decreti CAM).
Vi sono poi le singole azioni che vengono enumerate a ogni revisione del Piano da parte del Ministero con l'intento di meglio perseguire le priorità e degli obiettivi del Piano, anche alla luce dell'effettivo stato di attuazione dei CAM.
Si tratta dunque di un sistema normativo complesso che, traendo origine da un intervento del legislatore (la legge finanziaria del 2007), ha generato un atto amministrativo ad oggetto generale (il PAN GPP del 2008 e le sue successive revisioni) e una serie di atti amministrativi di carattere generale ma aventi oggetti particolari (i decreti CAM).
Originariamente, erano undici le categorie merceologiche riguardo alle quali si sarebbero dovuti adottare specifiche tecniche attraverso i decreti CAM, fermo restando che per ogni categoria possono essere adottati più decreti CAM.
Nel momento in cui si scrive risultano adottati ventuno decreti CAM (alcuni dei quali aggiornati nel corso degli anni) e segnatamente: 1. Arredi per interni (d.m. 23 giugno 2022, n. 254); 2. Arredo Urbano (d.m. 7 febbraio 2023); 3. Ausili per l'incontinenza (d.m. 24 dicembre 2015, allegato 2); 4. Calzature da lavoro e accessori in pelle (d.m. 17 maggio 2018, Allegato); 5. Carta (d.m. 4 aprile 2013); 6. Cartucce per stampanti (d.m. 17 ottobre 2019); 7. Edilizia (d.m. 23 giugno 2022, n. 256); 8. Eventi culturali (d.m. 19 ottobre 2022, n. 459); 9. Illuminazione pubblica – fornitura e progettazione (d.m. 27 settembre 2017); 10. Illuminazione pubblica – servizio (d.m. 28 marzo 2018); 11. Infrastrutture stradali (d.m. 5 agosto 2024); 12. Lavaggio industriale e noleggio di tessili e materasseria (d.m. 9 dicembre 2020); 13. Pulizie e sanificazione (d.m. 29 gennaio 2021); 14. Rifiuti urbani e spazzamento stradale (d.m. 23 giugno 2022, n. 522); 15. Ristorazione collettiva (d.m. 10 marzo 2020, n. 65); 16. Ristoro e distributori automatici (d.m. 6 novembre 2023); 17. Servizi energetici per gli edifici-contratti EPC (d.m. 12 agosto 2024); 18. Stampanti (d.m. 17 ottobre 2019); 19. Tessili (d.m. 7 febbraio 2023); 20. Veicoli (d.m. 17 giugno 2021); 21. Verde pubblico (d.m. 10 marzo 2020, n. 63).
Risultano attualmente da avviare le attività di aggiornamento dei CAM per la fornitura di calzature e di accessori in pelle e dei CAM edilizia. Stando alle indicazioni ministeriali (cfr. d.m. 31 marzo 2023, n. 15), le prossime attività dovrebbero concentrarsi sulla prosecuzione o l'ultimazione dei CAM nei settori dei servizi di ristoro, fornitura e noleggio di PC, server e cellulari e trasporto pubblico locale su gomma (anche scolastico).
In ogni caso, si noti che non si tratta di un numerus clausus di tipologie di beni e servizi ma di un elenco aperto, come prevede il PAN GPP.
I CAM riportano indicazioni generali volte ad indirizzare l'ente verso una razionalizzazione dei consumi e degli acquisti e forniscono considerazioni ambientali propriamente dette collegate alle diverse fasi delle procedure di gara (oggetto dell'appalto, specifiche tecniche, etc.) volte a qualificare ambientalmente sia le forniture che gli affidamenti lungo l'intero ciclo di vita del servizio o del prodotto.
Per la codificazione dei CAM vengono anzitutto istituiti dei gruppi di lavoro, composti da esperti e referenti delle associazioni di categoria dei produttori che, a seguito del confronto anche con gli operatori economici tramite le associazioni di categoria, elaborano dei documenti tecnici da sottoporre al Comitato di Gestione, l'organo preposto alla stesura finale dei CAM. Successivamente, il documento viene inviato ai Ministeri interessati per acquisire eventuali osservazioni e, infine, viene adottato con Decreto del Ministero dell'Ambiente e pubblicato in G.U.
Il codice dell'ambiente
Il codice dell'ambiente (d.lgs. n. 152/2006) si occupa di appalti verdi in una serie di disposizioni, tutte relative alla Parte Quarta in materia di rifiuti.
Si osservi anzitutto che l'Allegato L alla Parte Quarta, tra gli «esempi di misure di prevenzione dei rifiuti», include la «integrazione dei criteri ambientali e di prevenzione dei rifiuti nei bandi di gara e nei contratti (…)» e che l'Allegato L-ter annovera esplicitamente gli «appalti pubblici sostenibili per incoraggiare una migliore gestione dei rifiuti e l'uso di prodotti riciclati» tra gli «esempi di strumenti economici e altre misure per incentivare l'applicazione della gerarchia dei rifiuti di cui all'articolo 179».
L'art. 196, comma 1, lett. p) annovera, tra le competenze delle regioni, l'adozione delle disposizioni occorrenti affinché gli enti pubblici e le società a prevalente capitale pubblico, anche di gestione di servizi, coprano il fabbisogno annuale di manufatti e beni con una quota di prodotti ottenuti da materiale riciclato non inferiore al 30% del fabbisogno medesimo e che a tal fine i predetti soggetti inseriscono nei bandi di gara e di selezione per l'aggiudicazione apposite clausole di preferenza a parità di altri requisiti e condizioni.
L'art. 206-sexies, commi 1 e 2, prevede, sia con riferimento alle gare d'appalto per l'incremento dell'efficienza energetica delle scuole e per la loro ristrutturazione o costruzione, sia con riferimento alle procedure per la realizzazione di pavimentazioni stradali e barriere acustiche, l'attribuzione di punteggi premianti in favore degli operatori che impieghino prodotti idonei allo scopo che contengano materiali post consumo, o derivanti dal recupero degli scarti e dei materiali ottenuti dal disassemblaggio di prodotti complessi, in percentuali pari a quelle fissate dal decreto ministeriale di cui al comma 3.
Le altre norme speciali nazionali e regionali sul GPP
Per quanto riguarda le norme specialisul GPP, si annoverano anzitutto: l'art. 19, comma 4, d.lgs. n. 22/1997 (decreto “Ronchi”) relativo alla necessità di acquistare carta riciclata per il 40% del fabbisogno che è stato sostituito dalla l. n. 448/2001, modificato dalla l. n. 179/2002 e poi confluito nell'art. 196, comma 1, lett. p), d.lgs. n. 152/2006; il d.m. 27 marzo 1998 sulla mobilità sostenibile nelle aree urbane (a cui si è aggiunto il decreto ministeriale n. 208 del 20 luglio 2016 che approva il programma sperimentale nazionale di mobilità sostenibile casa-scuola e casa-lavoro); l'art. 59, comma 4, l. n. 488/1999 sull'utilizzo della produzione agricola biologica e di qualità nelle mense scolastiche e ospedaliere; l'art. 52, comma 14, l. n. 448/2001 sull'acquisto di almeno un 20% del fabbisogno di pneumatici ricostruiti; l'art. 1, comma 16, l. n. 443/2001 sull'acquisto di almeno un 40% del fabbisogno di manufatti in plastica riciclata; il d.m. n. 203/2003 sui manufatti con materiale riciclato; il d.m. 24 maggio 2004 e il d.m. 3 aprile 2014 recante contributi per la sostituzione del parco autoveicoli della p.a.
Successivamente, anche l'esigenza di attuare politiche di efficienza energetica ha influito sulla legislazione in materia di GPP. Si possono in quest'ottica menzionare: d.lgs. 29 dicembre 2006, n. 311 “Disposizioni correttive ed integrative al decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192, recante attuazione della direttiva 2002/91/CE, relativa al rendimento energetico nell'edilizia” e il Regolamento delegato (UE) n. 244/2012 sulla prestazione energetica degli edifici; artt. 13 e 14 del d.lgs. 30 maggio 2008, n. 115 in combinato disposto con la direttiva 2012/27/UE relativa all'efficienza energetica; d.lgs. 8 novembre 2021, n. 187 in combinato disposto con la direttiva 2009/33/CE sulla promozione di veicoli a ridotto impatto ambientale e a basso consumo energetico nel trasporto su strada.
È prevista anche la possibilità di una legislazione regionale sul GPP. La prima legge regionale sul GPP è stata quella della regione Puglia n. 23 del 1° agosto 2006; attualmente, quasi tutte le regioni dispongono di norme in materia (il quadro complessivo è consultabile all'indirizzo: https://gpp.mase.gov.it/Home/EntiLocaliGPP). In ogni caso, si ricordano: la legge 13 agosto 2007, n. 31 della Regione Liguria sulla “organizzazione della Regione per la trasparenza e la qualità degli appalti e delle concessioni” (cfr. anche delibere G.R. n. 672/2011 e n. 787/2012); la legge 9 dicembre 2008, n. 18 della Regione Umbria; legge 29 dicembre 2009, n. 28 dell'Emilia Romagna recante la “introduzione di criteri di sostenibilità ambientale negli acquisti della pubblica amministrazione” (che è stata poi attuata con il Piano di azione per la sostenibilità ambientale dei consumi pubblici in Regione Emilia Romagna approvato con ddA n. 91 del 2 ottobre 2012); la legge n. 37/2012 della Regione Toscana.
Vi sono poi alcune leggi che si occupano di altri temi ma che disciplinano anche aspetti legati al GPP: la legge 11 dicembre 2006 n. 24 della Regione Lombardia; la legge 19 dicembre 2007, n. 45 della Regione Abruzzo; la legge 20 giugno 2006, n. 12 della Regione Campania; le leggi 21 gennaio 2000, n. 3, 7 novembre 2003, n. 27 e 9 marzo 2007, n. 4 della Regione Veneto.
Altre Regioni hanno adottato al riguardo atti amministrativi (cfr. ad esempio la D.G.R. Veneto n. 177 del 27 febbraio 2024 di approvazione del PAR GPP 2024-2026; la D.G.R. Lazio n. 310/2017 di approvazione del PAR GPP 2017-2019; la D.G.R. Sardegna n. 37/16 del 30 luglio 2009 con cui si è adottato il Piano per gli acquisti pubblici ecologici “PAPERS” e la n. 2/60 del 18 gennaio 2024 con cui è stato adottato il terzo aggiornamento “PAPERS3” per il triennio 2023-2026) e ve ne sono altre ancora che stanno procedendo a legiferare al riguardo.
Anche i Comuni hanno la possibilità di adottare propri piani di GPP (in tal senso, ad esempio, la D.G.C. Alghero n. 74 del 28 agosto 2014). Inoltre, con la firma del “Protocollo d'intesa per l'attuazione del Green Public Procurement nelle Città metropolitane”, è nata la “Rete delle Città metropolitane per il GPP” volta alla promozione e allo scambio di buone pratiche, di cui fanno parte le Città metropolitane di Torino, Bologna, Bari, Roma Capitale, Cagliari, Reggio Calabria, Catania, Genova, Milano, Messina e Napoli.
Tra i soggetti protagonisti del GPP non si possono non menzionare, infine, le centrali acquisti della p.a.: la centrale acquisti nazionale pubblica CONSIP S.p.a. ha attivato dal 2008 e gestisce oggi il più vasto programma di GPP in Italia ma anche le centrali acquisti territoriali ARIA della Regione Lombardia, Suar della Regione Liguria e Intercent-ER della Regione Emilia Romagna si sono attivate al riguardo.
Appalti verdi e codice dei contratti pubblici: evoluzione
L'ordinamento nazionale ha conosciuto tre versioni del Codice dei contratti pubblici: il d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 – non più in vigore, che ha recepito le direttive europee del 2004 – il d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (emendato dal correttivo d.lgs. 18 aprile 2017, n. 56) – non più in vigore, che ha recepito le direttive del 2014 – e il vigente d.lgs. n. 36/2023 (da ultimo emendato dal d.lgs. 31 dicembre 2024, n. 209).
Il primo codice del 2006 considerava l'elemento ambientale in otto norme fondamentali: artt. 2 (sul principio di economicità temperato da considerazioni ambientali), 38, 40, 42, 44 (norme di gestione ambientale), 68 (sulle specifiche tecniche, disposizione antesignana dell'art. 57, comma 2, del codice vigente sui criteri di sostenibilità energetica e ambientale), 69 e 83 (sui criteri di aggiudicazione).
A queste disposizioni si aggiunsero quelle introdotte dalla legge 28 dicembre 2015, n. 221 (c.d. collegato ambientale 2015) recante disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell'uso eccessivo di risorse naturali. Con riferimento al GPP, le norme rilevanti introdotte erano due: l'art. 16 e l'art. 18.
L'art. 16 modificava l'art. 75 del Codice del 2006 riducendo significativamente le garanzie finanziarie obbligatorie per la partecipazione alle procedure a evidenza pubblica in favore degli operatori economici che risultavano in possesso di certificazioni ambientali (come l'EMAS, la certificazione UNI EN ISO 14001, la certificazione Ecolabel o la certificazione relativa all'impronta climatica carbon footprint) e riconoscendo benefici in termini di decurtazione dell'importo della cauzione provvisoria a seconda delle certificazioni possedute dall'operatore (anche cumulativamente, con l'effetto pratico di arrivare ad annullare l'importo cauzionale provvisorio).
Ma la norma più rivoluzionaria può essere considerata senz'altro l'art. 18 che, con l'introduzione dell'art. 68-bis nel Codice del 2006, segna un vero e proprio cambiamento di paradigma: l'inserimento di clausole ecologiche tra le specifiche tecniche, che costituiva, tranne poche eccezioni settoriali, una mera facoltà per le amministrazioni, grazie a tale norma diviene per molti settori un vero e proprio obbligo. Nei settori interessati dalla norma (acquisto di lampade per l'illuminazione pubblica; attrezzature elettriche ed elettroniche d'ufficio come personal computer, stampanti, apparecchi multifunzione e fotocopiatrici; servizi energetici per gli edifici), le pubbliche amministrazioni devono inserire nel bando di gara i c.d. criteri ambientali minimi, ossia devono inserire obbligatoriamente le specifiche tecniche ambientali nell'oggetto del contratto. Inoltre, il comma 2 del medesimo articolo disponeva che, per almeno il 50% del valore della gara d'appalto, sia sopra che sottosoglia, si dovessero applicare obbligatoriamente i criteri ambientali minimi per una serie di categorie di forniture e affidamenti (servizio di gestione dei rifiuti urbani; forniture di cartucce e toner; servizio di gestione del verde pubblico; carta per copia; ristorazione collettiva e derrate alimentari; servizio di pulizia e prodotti per l'igiene; prodotti tessili; arredi per ufficio).
Il secondo codice del 2016 (emendato dal correttivo d.lgs. 18 aprile 2017, n. 56) non solo non ha interrotto il trend di progressiva maggiore considerazione dell'elemento ambientale nella disciplina degli appalti, ma lo ha rafforzato, in primis recuperando le norme introdotte dal citato collegato ambientale 2015 (rifuse nell'art. 93, comma 7, per quanto riguarda le garanzie finanziarie, e nell'art. 34, sui criteri ambientali minimi).
Sono diverse le norme rilevanti in materia di GPP che si rinvengono nel Codice del 2016: artt. 4 (il principio dell'affidamento nei settori esclusi si applica nel rispetto del principio di tutela dell'ambiente), 30 (il principio di economicità può essere subordinato alla tutela dell'ambiente), 34 (recante la disciplina dei criteri di sostenibilità energetica e ambientale da inserire nel bando di gara), 38 (sull'applicazione dei criteri di sostenibilità ambientale come requisiti premianti per la qualificazione delle stazioni appaltanti nell'apposito elenco istituito presso l'ANAC), 68-69 (disciplina delle specifiche tecniche e delle etichettature da inserire nel bando di gara), 71 (sulla redazione dei bandi di gara), 87 (norme di gestione ambientale e certificazione di qualità), 93 (sulle garanzie finanziarie per la partecipazione alla procedura ad evidenza pubblica), 95-96 (rispettivamente, sui criteri di aggiudicazione degli appalti e sull'analisi dei costi del ciclo di vita), 144 (in materia di appalti aventi a oggetto servizi di ristorazione), 170, 183 e 211 (sui poteri di vigilanza dell'ANAC).
Merita una menzione specifica l'art. 34 del Codice del 2016, rubricato “criteri di sostenibilità energetica e ambientale”, che, nel riprendere quanto già stabilito nell'art. 68-bis del Codice del 2006 (come modificato dall'art. 18 del collegato ambientale 2015), prevedeva l'obbligo per le amministrazioni pubbliche dell'«inserimento, nella documentazione progettuale e di gara, almeno delle specifiche tecniche e delle clausole contrattuali contenute nei criteri ambientali minimi» (comma 1).
Tale obbligo recepiva sostanzialmente quanto previsto dalle direttive appalti, tuttora in vigore, che prescrivono che «le specifiche tecniche fissate dai committenti pubblici devono permettere l'apertura degli appalti pubblici alla concorrenza nonché il conseguimento di obiettivi di sostenibilità» (cfr. considerando 74, art. 42 e allegato 7 della direttiva appalti UE 2014/24/UE; considerando 83, art. 60, comma 3, lett. a) e allegato 8 della direttiva settori speciali 2014/25/UE; considerando 67 e art. 36 della direttiva concessioni 2014/23/UE).
Fermo restando che la norma si rivolgeva alle stazioni appaltanti per la determinazione delle specifiche tecniche e delle clausole contrattuali “verdi” volte a definire “cosa comprare”, dette caratteristiche sono nella prassi il frutto di ricerche e studi già svolti a livello nazionale ed internazionale che riconoscono a determinati prodotti, servizi e lavori un certo grado di performance ambientale. Molti dei beni, servizi e lavori oggetto del PAN GPP, infatti, sono stati oggetto di preventive analisi sul ciclo di vita (LCA) e relativamente a essi sono stati isolati alcuni profili “critici” sotto il profilo ambientale da sottoporre a controllo secondo specifiche modalità di prova sugli impatti. È anche grazie a questi approfondimenti tecnici che si giunge all'adozione di decreti CAM, ovvero di norme tecniche emanate da autorità europee, da autorità nazionali o da organizzazioni riconosciute a livello internazionale. In ogni caso, le “regole” possono rappresentare un utile riferimento per le amministrazioni in sede di predisposizione delle procedure di gara e verifica della coerenza delle offerte rispetto ai requisiti richiesti.
Dunque, i criteri di sostenibilità energetica e ambientale dell'art. 34 del Codice del 2016, come modificato dal d.lgs. n. 56/2017, dovevano (e devono tuttora, come si vedrà infra) trovare applicazione attraverso l'inserimento nei bandi di gara (art. 71 del Codice del 2016) delle relative specifiche tecniche, delle clausole contrattuali “verdi” e degli eventuali criteri premianti stabiliti nei decreti CAM, a prescindere dal valore dell'affidamento (sia sopra che sotto soglia comunitaria) e senza distinzione tra categorie merceologiche.
Le altre norme del Codice del 2016 in materia di appalti verdi precedentemente menzionate (per esempio: principi generali; specifiche tecniche da inserire nei bandi; utilizzo delle etichettature come mezzi di prova; clausole di esclusione dalle procedure; criteri di valutazione della capacità tecnica dell'offerente; diminuzione delle garanzie necessarie per la partecipazione alla procedura in caso di certificazioni ambientali; applicazione del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa) sono state sostanzialmente riprese e disciplinate nel nuovo Codice del 2023 attualmente vigente.
L'elemento ambientale nel Codice dei contratti pubblici vigente (d.lgs. n. 36/2023)
Come si è visto, il Codice del 2006 e quello del 2016 nascono dall'esigenza di recepire le citate direttive europee del 2004 e del 2014; in tale contesto, il legislatore ha adottato disposizioni ad hoc volte a rafforzare il grado di tutela dell'ambiente attraverso la leva pubblica.
A differenza dei precedenti, il Codice vigente (d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36) non nasce dall'esigenza di recepire il diritto europeo, bensì per esigenze di riordino e migliore sistematizzazione delle norme. In quest'ottica, è interessante verificare quali siano le disposizioni dedicate agli appalti verdi e se quest'ultima revisione abbia portato a un ulteriore innalzamento del grado di tutela dell'ambiente.
Il principio del risultato (art. 1)
Il d.lgs. n. 36/2023 si apre con l'enumerazione dei principi generali del Codice. Tre di questi, il principio del risultato, della fiducia e dell'accesso al mercato, sono particolarmente importanti in quanto, secondo quanto previsto dall'art. 4, regolano l'interpretazione e l'applicazione di tutte le norme del Codice.
Il principio del risultato, che «costituisce attuazione del principio del buon andamento e dei correlati principi di efficienza, efficacia ed economicità» (art. 1, comma 3), attiene alla tempestività e al miglior rapporto possibile tra qualità e prezzo nell'affidamento del contratto da parte delle stazioni appaltanti e degli enti concedenti (art. 1, comma 1). Si tratta quindi di un principio orientato verso la qualità complessiva della prestazione: «non ha riguardo unicamente alla rapidità e alla economicità, ma anche alla qualità della prestazione (…) che implica verifiche sostanziali e non formali, di effettività del raggiungimento degli obiettivi (di merito, e di metodo) oltre che di astratta conformità al paradigma normativo» (Cons. Stato, sez. III, sent. 29 dicembre 2023, n. 11322; v. anche Cons. Stato, sez. III, sent. 27 maggio 2024, n. 4701).
Ne deriva che il principio del risultato costituisce un parametro attraverso il quale le amministrazioni, nell'affidamento del contratto, perseguono obiettivi di interesse pubblico quali quelli connessi con la tutela dell'ambiente e lo sviluppo sostenibile.
I criteri di sostenibilità energetica e ambientale (art. 57)
La principale norma in materia di appalti verdi nel codice vigente è indubbiamente l'art. 57, rubricato “Clausole sociali del bando di gara e degli avvisi e criteri di sostenibilità energetica e ambientale”.
Se il comma 1 attiene alla considerazione obbligatoria degli aspetti sociali nella contrattazione pubblica – pari opportunità generazionali, parità di genere e inclusione lavorativa per le persone con disabilità o svantaggiate – è il comma 2 che si occupa più specificamente degli aspetti di tutela ambientale, di fatto sostituendo il previgente art. 34 del Codice del 2016.
Il legislatore prescrive che «le stazioni appaltanti e gli enti concedenti contribuiscono al conseguimento degli obiettivi ambientali previsti dal piano d'azione per la sostenibilità ambientale dei consumi, nel settore della pubblica amministrazione, attraverso l'inserimento nella documentazione progettuale di gara, almeno delle specifiche tecniche delle clausole contrattuali contenute nei criteri ambientali minimi (…)». Ne consegue che le stazioni appaltanti, in attuazione degli obiettivi del PAN GPP, devono contribuire alla tutela dell'ambiente e lo devono fare attraverso l'inserimento nella documentazione di gara dei criteri ambientali minimi.
Il comma 2 prosegue precisando che i criteri ambientali minimi sono «(…) definiti per specifiche categorie di appalti e concessioni, differenziati, ove tecnicamente opportuno, anche in base al valore dell'appalto o della concessione, con decreto del Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica e conformemente, in riferimento all'acquisto di prodotti e servizi nei settori della ristorazione collettiva e fornitura di derrate alimentari, anche a quanto specificamente previsto dall'articolo 130. Tali criteri, in particolare quelli premianti, sono tenuti in considerazione anche ai fini della stesura dei documenti di gara per l'applicazione del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, ai sensi dell'articolo 108, commi 4 e 5. Le stazioni appaltanti valorizzano economicamente le procedure di affidamento di appalti e concessioni conformi ai criteri ambientali minimi. (…)».
Al di là della “valorizzazione economica” delle procedure conformi ai CAM, che sembrerebbe sollecitare maggiori risorse da destinare a tali procedure, le disposizioni in questione ne confermano l'obbligatorietà: le stazioni appaltanti sono tenute a inserire le specifiche tecniche risultanti dai CAM ministeriali nella documentazione di gara (v. anche art. 83, comma 2) regolando così anche l'applicazione del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa (v. infra). Il comma 2 riproduce quindi sostanzialmente il dettato del previgente Codice del 2016, anche rispetto all'ambito di applicazione della norma citata, dato che l'obbligo di applicazione dei CAM anche agli affidamenti sotto soglia sembra potersi ricavare dall'art. 48, comma 4 del Codice vigente.
Sulla perdurante obbligatorietà dei CAM anche nel nuovo Codice si è pronunciata la giurisprudenza amministrativa. Il Consiglio di Stato ha anzitutto riconosciuto la natura “strategica” dei contratti pubblici che, oltre a soddisfare le esigenze di carattere operativo delle amministrazioni, costituiscono uno «strumento a plurimo impiego» in grado di dare attuazione a politiche, per esempio ambientali e sociali (Sez. V, sent. 25 gennaio 2024, n. 807). In particolare, le norme del Codice sui CAM rappresentano uno strumento di tutela di interessi collettivi e delle future generazioni (art. 9 Cost.) e sono rivolti al perseguimento dello sviluppo sostenibile (Cons. Stato, Sez. III, sent. 11 ottobre 2024, n. 8171; Cons. Stato, Sez. V, sent. 10 gennaio 2024, n. 334).
Dunque, secondo il Giudice amministrativo il mancato inserimento dei CAM nei documenti di gara, che costituiscono lex specialis, determina la caducazione dell'intera gara, che dovrà essere necessariamente ripetuta (ex multis, Cons. Stato, sentt. nn. 334/2024 e 4701/2024 cit.). Ciò anche alla luce del nuovo principio del risultato che, come detto, non «ha riguardo unicamente alla rapidità e alla economicità, ma anche alla qualità della prestazione» (Cons. Stato, sent. n. 11322/2023, cit.).
Tuttavia, nell'ultimo periodo del comma 2 sembra esserci un abbassamento del livello di tutela là dove viene stabilito che «Nel caso di contratti relativi alle categorie di appalto riferite agli interventi di ristrutturazione, inclusi quelli comportanti demolizione e ricostruzione, i criteri ambientali minimi sono tenuti in considerazione, per quanto possibile, in funzione della tipologia di intervento e della localizzazione delle opere da realizzare, sulla base di adeguati criteri definiti dal Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica».
L'espressione «per quanto possibile» provoca inevitabilmente uno scivolamento dal mondo dell'obbligatorietà a quello della possibilità, anche se solo e soltanto per una categoria merceologica di appalti, ossia gli interventi di ristrutturazione, inclusi quelli comportanti demolizione e ricostruzione. Nondimeno, pone un problema interpretativo relativo alle ipotesi in cui i CAM possano effettivamente non essere applicati.
Specifiche tecniche ed etichettature ambientali (Allegato II.5)
Le stazioni appaltanti inseriscono nei documenti di gara e mettono a disposizione degli operatori economici interessati (cfr. artt. 87 e 160) le specifiche tecniche (art. 79), definite e disciplinate nell'Allegato II.5 del Codice.
Con riguardo agli appalti di lavori, l'Allegato definisce le specifiche tecniche come «l'insieme delle prestazioni tecniche contenute, in particolare in documenti di gara, che definiscono le caratteristiche minime richieste di un materiale, un prodotto o una fornitura in modo che rispondano all'uso a cui sono destinati dalla stazione appaltante. Tra queste caratteristiche rientrano i livelli della prestazione ambientale e le ripercussioni sul clima». Trattasi quindi delle caratteristiche minime dei beni, servizi e forniture che l'amministrazione intende acquistare sul mercato e, quindi, delle caratteristiche che gli operatori economici dovranno offrire per poter partecipare alla procedura e risultare aggiudicatari (Cons. Stato, Sez. V, sent. 25 luglio 2019, n. 5260).
Fermo restando l'applicazione obbligatoria dei CAM nei casi prima menzionati – nei quali l'oggetto del contratto rientra nel PAN GPP ed è regolato da appositi decreti ministeriali – le amministrazioni possono comunque esigere specifiche tecniche con valenza ambientale quando si rivolgono al mercato.
In particolare, l'Allegato II.5 prescrive le diverse modalità di formulazione delle specifiche tecniche all'interno della documentazione di gara, tra cui la formulazione «in termini di prestazioni o requisiti funzionali, comprese le caratteristiche ambientali, a condizione che i parametri siano sufficientemente precisi da consentire agli offerenti di determinare l'oggetto dell'appalto e alle stazioni appaltanti di aggiudicare l'appalto» (Parte II, A – specifiche tecniche, comma 5, lett. a). Sono altresì comprese modalità di formulazione ulteriori che fanno riferimento a norme tecniche e standard (Parte II, A – specifiche tecniche, comma 5, lett. b), c) e d).
In ogni caso, la scelta delle specifiche tecniche presuppone una valutazione di merito riservata all'amministrazione e, come tale, non sindacabile dal giudice amministrativo, purché queste siano proporzionate, non discriminatorie e non vi siano evidenti irrazionalità o errori. In quest'ottica, costituiscono parametri di legittimità il principio dell'accesso al mercato (e della concorrenza) e dell'equivalenza: «le stazioni appaltanti non possono escludere un'offerta per il motivo che i lavori, le forniture o i servizi offerti non sono conformi alle prestazioni o ai requisiti funzionali, se vi ottemperano in modo equivalente né perché non conformi alle specifiche tecniche, se si tratta di prestazioni conformi a una norma europea, a una omologazione tecnica europea, a una specifica tecnica comune, a una norma internazionale o a un sistema tecnico di riferimento adottato da un organismo europeo di normalizzazione che contemplano le prestazioni o i requisiti funzionali prescritti» (Parte II, A – specifiche tecniche, comma 7).
La giurisprudenza prevalente riconosce il principio di equivalenza come un principio di applicazione diffusa nelle procedure a evidenza pubblica, espressione del favor partecipationis, dell'imparzialità, del buon andamento, della proporzionalità e del principio concorrenziale (ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, sent. 7 giugno 2021, n. 4353; Cons. Stato, Sez. III, sent. 11 febbraio 2022, n. 1006; Cons. Stato, Sez. III, sent. 7 gennaio 2022, n. 65).
Dunque, la stazione appaltante è tenuta a inserire la clausola «o equivalente» collegata alla specifica tecnica e deve prendere in considerazione (senza dichiararle inammissibili o escluderle) le offerte basate su altre soluzioni equivalenti. Spetta invece all'offerente dimostrare «con qualsiasi mezzo appropriato» che le soluzioni proposte ottemperino in modo equivalente a quanto prescritto nella documentazione di gara (Parte II, A – specifiche tecniche, comma 8).
Si tenga presente che, in coerenza con i principi del diritto europeo, sia pure in assenza di espressa disciplina, viene ritenuta ammissibile la possibilità da parte degli offerenti di presentare soluzioni migliorative nelle proprie offerte rispetto alle specifiche indicate dall'amministrazione. Ciò può accadere quando la stazione appaltante non è stata in grado, in sede di bando, per esempio per carenza di conoscenze, di richiedere specifiche tecniche di carattere ecologico. Le soluzioni migliorative, a differenza delle varianti (cfr. sul punto la delibera Anac del 27 aprile 2022, n. 211), sono proponibili nell'ambito di eventuali margini lasciati da un progetto approvato dall'amministrazione e da realizzare e potrebbero apportare migliorie sotto il profilo ambientale rispetto alle specifiche tecniche “minime” già individuate.
Al fine di certificare il possesso dei requisiti richiesti, le stazioni appaltanti possono imporre nelle specifiche tecniche – nonché nei criteri di aggiudicazione o nelle condizioni relative all'esecuzione dell'appalto – etichettature (art. 80) specifiche, definite e disciplinate sempre nell'Allegato II.5 (Parte II, B – Etichettature). L'etichettatura opera come mezzo di prova attraverso cui gli operatori economici possono dimostrare agevolmente la conformità dell'offerta rispetto alle caratteristiche richieste dall'amministrazione.
Questa facoltà trova la propria fonte diretta nel considerando 75 e nell'art. 43 della direttiva 2014/24 per la quale «le amministrazioni aggiudicatrici che desiderando acquistare lavori, forniture o servizi con specifiche caratteristiche ambientali (…) dovrebbero poter far riferimento a particolari etichettature, quali l'ecoetichettatura europea Ecolabel (…) a condizione che i requisiti per l'etichettatura quali la descrizione del prodotto e la sua presentazione, compresi gli obblighi relativi all'imballaggio, siano collegati con l'oggetto del contratto» (ma nello stesso senso v. anche l'art. 61 della direttiva settori speciali 2014/25).
L'etichettatura può essere imposta solo se risultano soddisfatte cinque condizioni previste dal medesimo allegato II.5: a) i requisiti per l'etichettatura sono idonei a definire le caratteristiche dei lavori, delle forniture e dei servizi oggetto dell'appalto e riguardano soltanto i criteri a esso connessi; b) i requisiti per l'etichettatura sono basati su criteri oggettivi, verificabili e non discriminatori; c) le etichettature sono stabilite nell'ambito di un apposito procedimento aperto e trasparente al quale possano partecipare tutte le parti interessate, compresi gli enti pubblici, i consumatori, le parti sociali, i produttori, i distributori e le organizzazioni non governative; d) le etichettature sono accessibili a tutte le parti interessate; e) i requisiti per l'etichettatura sono stabiliti da terzi sui quali l'operatore economico che richiede l'etichettatura non può esercitare un'influenza determinante (Parte II, B – etichettature; comma 1).
Ai sensi del comma 2 viene ribadito il principio di equivalenza: «se le stazioni appaltanti non richiedono che i lavori, le forniture o i servizi soddisfino tutti i requisiti per l'etichettatura, indicano a quali requisiti per l'etichettatura fanno riferimento. Le stazioni appaltanti che esigono un'etichettatura specifica accettano tutte quelle che confermano che i lavori, le forniture o i servizi soddisfano i requisiti equivalenti».
Il comma 3 si concentra invece sull'ipotesi in cui l'operatore economico dimostri di non poter ottenere, per motivi a questo non imputabili, l'etichettatura richiesta, specifica o equivalente, entro i termini previsti dal bando: in attuazione del principio di equivalenza «la stazione appaltante accetta altri mezzi di prova, ivi compresa una documentazione tecnica del fabbricante, idonei a dimostrare che i lavori, le forniture o i servizi che l'operatore economico interessato deve prestare soddisfano i requisiti dell'etichettatura specifica o i requisiti specifici indicati dalla stazione appaltante».
Infine, ai sensi del comma 4, «quando un'etichettatura soddisfa le condizioni di cui al comma 1, lett. b), c), d) ed e), ma stabilisce requisiti non collegati all'oggetto dell'appalto, le amministrazioni aggiudicatrici non possono esigere l'etichettatura in quanto tale, ma possono definire le specifiche tecniche con riferimento alle specifiche dettagliate di tale etichettatura, o, all'occorrenza, a parti di queste, connesse all'oggetto dell'appalto e idonee a definirne le caratteristiche».
La valutazione della capacità tecnica dell'operatore economico (Allegato II.8)
Si è visto che le stazioni appaltanti possono plasmare l'offerta richiedendo requisiti ambientali agli operatori partecipanti alla procedura. A tal riguardo, le considerazioni di carattere ambientale rilevano anche in termini di valutazione della capacità tecnica dell'offerente come esperienza specifica in campo ambientale, come previsto dalle medesime direttive europee (considerando 88 e artt. 12 e 62 della direttiva 2014/24/UE; considerando 93 e art. 81 della direttiva 2014/25/UE).
Le stazioni appaltanti possono richiedere rapporti, certificazioni delle qualità, mezzi di prova e costi del ciclo di vita di beni e servizi che siano in grado di attestare che gli operatori economici interessati dispongono di adeguata capacità tecnica in materia ambientale per partecipare alla procedura. Per esempio, possono richiedere il possesso della certificazione EMAS sui processi produttivi – disciplinata dal regolamento (CE) n. 1221/2009, da ultimo modificato dal regolamento (UE) 2023/1199 – o Ecolabel – disciplinata dal regolamento (CE) n. 66/2010, da ultimo modificato dal regolamento (UE) 2017/1941 – relativa al marchio di qualità ecologica di prodotti.
Così, l'art. 87, comma 3 del Codice dispone che all'interno del disciplinare di gara e del capitolato speciale siano contenute non solo le specifiche tecniche e le etichettature, ma anche «i rapporti di prova, le certificazioni e altri mezzi di prova, nonché il costo del ciclo di vita secondo quanto stabilito all'allegato II.8».
Ai sensi del punto I dell'Allegato, «Le stazioni appaltanti possono richiedere agli operatori economici una relazione di prova o un certificato rilasciato da un organismo di valutazione di conformità quale mezzo di prova di conformità dell'offerta ai requisiti o ai criteri stabiliti nelle specifiche tecniche, ai criteri di aggiudicazione o alle condizioni relative all'esecuzione dell'appalto». Anche in questo caso, la richiesta puntuale dell'amministrazione, per esempio di una certificazione rilasciata da uno specifico organismo di valutazione soggiace al principio di equivalenza, quindi le stazioni appaltanti dovranno valutare anche eventuali certificati o mezzi di prova equivalenti.
I reati ambientali come cause di esclusione dalla partecipazione alle procedure di gara (artt. 94-95)
Il codice vigente conferma il principio per il quale l'osservanza delle disposizioni in materia ambientale costituisce uno degli elementi fondamentali da valutare negli operatori economici che offrono la realizzazione di lavori, la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi alla p.a.
Tale principio trova origine direttamente nelle direttive europee: il considerando 106 della direttiva 2014/25/UE dispone che «gli enti aggiudicatori dovrebbero continuare ad avere la possibilità di escludere operatori economici che si sono dimostrati inaffidabili, per esempio, a causa di violazione di obblighi ambientali» (cfr. anche: considerando 101 e art. 57 della direttiva 2014/24/UE; considerando 70 e art. 38, comma 8 della direttiva 2014/23/UE).
L'art. 94 del Codice vigente prevede che siano esclusi automaticamente dalla partecipazione alle procedure di affidamento degli appalti di lavori, forniture e servizi i soggetti nei cui confronti è stata pronunciata sentenza di condanna definitiva o decreto penale di condanna divenuto irrevocabile per una serie di reati specifici, tra i quali è previsto il reato di “attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti” (art. 452-quaterdecies c.p.) ma non anche i c.d. reati ambientali disciplinati agli artt. 452-bis e ss. del codice penale (come modificato dalla legge 22 maggio 2015, n. 68). Alla luce della scelta operata dal legislatore, che ha previsto un elenco specifico di reati, sembrerebbe essere esclusa l'ipotesi che i reati ambientali possano comunque essere ricondotti tra quelli che comportano l'esclusione dalle gare (come in passato era stato sostenuto con riferimento all'art. 38 del Codice del 2006 che però non prevedeva un elenco).
L'art. 95 sulle cause di esclusione non automatica prevede invece l'obbligo per le stazioni appaltanti di escludere gli operatori economici nel caso in cui risultassero «gravi infrazioni, debitamente accertate con qualunque mezzo adeguato (…) agli obblighi in materia ambientale (…) stabiliti dalla normativa europea e nazionale». Non viene precisato cosa si intenda per “gravi infrazioni”, ma è presumibile che sia rimessa alla stazione appaltante l'individuazione di soglie di gravità, anche con riferimento al valore dell'appalto.
L'esclusione opera in qualsiasi momento della procedura al verificarsi delle condizioni di cui agli artt. 94 e 95, fermo restando quanto previsto dai commi 2-6 dell'art. 96.
La diminuzione delle garanzie in caso di certificazioni ambientali (art. 106)
Il Codice del 2023 conferma quanto già previsto nelle precedenti versioni circa l'obbligo per gli operatori economici di corredare la propria offerta da una garanzia fideiussoria pari al 2% del valore complessivo della procedura indicato nel bando o nell'invito (art. 106, comma 1). La garanzia deve essere proporzionata e adeguata alla natura delle prestazioni oggetto del contratto e al grado di rischio ad esso connesso e, infatti, è previsto che possa essere modulata tra l'1% e il 4%. Trattandosi di una qualità “personale”, deve essere posseduta dalla specifica società che partecipa alla gara, non è sufficiente che sia certificata una società controllante (Cons. Stato, Sez. III, sent. 11 marzo 2019, n. 1635).
Ai sensi dell'art. 106, comma 8, l'importo di tale garanzia e del suo eventuale rinnovo «è ridotto del 30 per cento per gli operatori economici ai quali sia rilasciata, da organismi accreditati, ai sensi delle norme europee della serie UNI CEI EN 45000 e della serie UNI CEI EN ISO/IEC 17000, la certificazione del sistema di qualità conforme alle norme europee della serie UNI CEI ISO 9000». La garanzia è ulteriormente ridotta fino a un importo massimo del 20% «quando l'operatore economico possegga uno o più delle certificazioni o marchi individuati, tra quelli previsti dall'allegato II.13».
L'Allegato II.13 elenca una serie di certificazioni e marchi di qualità, tra cui quelli ambientali. A titolo esemplificativo si menzionano: certificazione UNI EN ISO 14001 sui sistemi di gestione ambientale, certificazione EMAS e marchio Ecolabel di cui supra, certificazione UNI EN ISO 14064-1 sull'emissione di gas a effetto serra e UNI EN ISO/TS 14067 sulla carbon footprint dei prodotti. L'operatore economico in possesso di tali certificazioni segnala, al momento della presentazione dell'offerta, il possesso di tali requisiti che vengono documentati documenta nei modi prescritti dalle norme vigenti; non si tratta di un obbligo dichiarativo bensì di un presupposto per lo svolgimento delle prestazioni contrattuali (Cons. Stato, Sez. V, sent. 6 settembre 2017, n. 4221).
L'ambiente nei criteri di aggiudicazione degli appalti (artt. 107-108)
L'art. 107 elenca i principi generali di riferimento per la selezione delle offerte. Tra questi, vi è quello che consente alla stazione appaltante di non aggiudicare l'appalto all'operatore che presenti l'offerta economicamente più vantaggiosa laddove abbia accertato che tale offerta non soddisfi alcuni obblighi, tra cui quelli in materia ambientale.
Quanto ai criteri di aggiudicazione degli appalti veri e propri, il Codice del 2023 conferma che il criterio generale da seguire sia quello dell'offerta economicamente più vantaggiosa, in taluni casi prevista come obbligatoria, individuata «sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo o sulla base dell'elemento prezzo o del costo, seguendo un criterio di comparazione costo/efficacia quale il costo del ciclo di vita» (art. 108, comma 1). In ogni caso, i criteri di aggiudicazione dell'offerta devono essere indicati all'interno dei documenti di gara e la valutazione del rapporto qualità/prezzo deve scaturire dall'applicazione di criteri «oggettivi, di impatto economico, sociale e ambientale, connessi all'oggetto dell'appalto» (art. 108, comma 4); analoghi “criteri ambientali” devono essere tenuti in considerazione per l'aggiudicazione delle concessioni (art. 185).
L'elemento ambientale gioca quindi un peso determinante nell'applicazione del criterio in questione, specie con riferimento all'integrazione del fattore del costo del ciclo di vita, fattore che è richiamato anche dalle direttive europee (considerando 92, 93 e 97 nonché artt. 67-68 della direttiva 2014/24/UE; considerando 101-102 e artt. 82-83 della direttiva 2014/25/UE; considerando 64 e 73 e art. 41, par. 2 della direttiva 2014/23/UE). La ratio del concetto di “ciclo di vita” (LCA) sembra potersi rintracciare nel principio di prevenzione o di azione preventiva in combinato con quello chi inquina paga. Attraverso il LCA si monetizzano i costi delle esternalità ambientali che sovente si legano alla realizzazione di un prodotto, servizio o lavoro e delle quali le stazioni appaltanti oggi devono tener conto nel valutare l'offerta economicamente più vantaggiosa.
Così, le stazioni appaltanti che intendono valutare le offerte sulla base del costo del ciclo di vita di un prodotto devono riportare nei documenti di gara il metodo impiegato per determinare tale costo affinché sia accessibile, oggettivo e non discriminatorio. Ai fini della valutazione, l'Allegato II.8 consente alle amministrazioni di richiedere agli operatori dati relativi a: «1) costi relativi all'acquisizione; 2) costi connessi all'utilizzo, quali consumo di energia e altre risorse; 3) costi di manutenzione; 4) costi relativi al fine vita, come i costi di raccolta, di smaltimento e di riciclaggio; 5) costi imputati a esternalità ambientali legate ai prodotti, servizi o lavori nel corso del ciclo di vita, purché il loro valore monetario possa essere determinato e verificato. Tali costi possono includere i costi delle emissioni di gas a effetto serra e di altre sostanze inquinanti, nonché altri costi legati all'attenuazione dei cambiamenti climatici» (punto III).
Sono previsti poi criteri di aggiudicazione più specifici volti a potenziare l'azione ambientale attraverso la leva degli appalti. A titolo esemplificativo, il comma 7 dell'art. 108 consente l'utilizzo, negli appalti di forniture o negli appalti misti con elementi di un appalto di fornitura, di criteri premiali che favoriscano la fornitura di prodotti da costruzione rientranti in un sistema di scambio delle emissioni (ETS) per la riduzione delle emissioni dei gas climalteranti.
Dunque, i criteri ecologici di aggiudicazione possono essere inseriti come elementi da valutare all'interno del criterio generale dell'offerta economicamente più vantaggiosa, purché siano collegati all'oggetto dell'appalto, non conferiscano alla detta amministrazione aggiudicatrice una libertà incondizionata di scelta, siano espressamente menzionati nel capitolato d'oneri o nel bando di gara e rispettino tutti i principi fondamentali del diritto comunitario, in particolare, il principio di non discriminazione.
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Sommario
Il Green Public Procurement (GPP) nel diritto europeo
Il Piano di azione nazionale (PAN GPP) e i decreti sui Criteri Ambientali Minimi (decreti CAM)
Il codice dell'ambiente
L'elemento ambientale nel Codice dei contratti pubblici vigente (d.lgs. n. 36/2023)
Il principio del risultato (art. 1)
I criteri di sostenibilità energetica e ambientale (art. 57)
Specifiche tecniche ed etichettature ambientali (Allegato II.5)
La valutazione della capacità tecnica dell'operatore economico (Allegato II.8)
I reati ambientali come cause di esclusione dalla partecipazione alle procedure di gara (artt. 94-95)
La diminuzione delle garanzie in caso di certificazioni ambientali (art. 106)
L'ambiente nei criteri di aggiudicazione degli appalti (artt. 107-108)