Risarcimento del danno
03 Aprile 2018
Inquadramento
Contenuto in fase di aggiornamento autorale di prossima pubblicazione
Il risarcimento del danno per equivalente è una tecnica di tutela che si sostanzia nell'attribuzione di una somma di denaro all'interessato corrispondente al valore del bene della vita perduto o leso. Nella materia dei contratti pubblici la tutela risarcitoria ha natura sussidiaria e residuale rispetto alla reintegrazione in forma specifica e deve essere ispirata ai canoni di matrice europea della effettività ed efficacia della tutela giurisdizionale in favore del concorrente illegittimamente pretermesso. La disciplina contenuta agli artt. 121 ss. Cod .proc.amm. relativa alla sorte del contratto in caso di annullamento dell'aggiudicazione illegittima e alle tecniche di tutela (in forma specifica o per equivalente) apprestate in favore dell'impresa illegittimamente pretermessa, distingue (in coerenza con il plesso normativo europeo del quale costituisce il recepimento -direttiva 2007/66/CE, che ha modificato a sua volta le direttive “rimedi” 89/665/CEE e 92/13/CEE -, seppur mediato dal previgente d.lgs. n.53/2010) le ipotesi in cui il giudice amministrativo deve dichiarare l'inefficacia del contratto e disporne l'attribuzione in favore del ricorrente, e le ipotesi in cui il giudice può disporre il subentro, precisando all'art. 124 cod. proc. amm., – rubricato «tutela in forma specifica e per equivalente» – che il giudice se non dichiara l'inefficacia del contratto dispone il risarcimento del danno per equivalente, “subito e provato”. È utile osservare che la direttiva 89/665, nella sua formulazione originaria, già annoverava il risarcimento del danno per equivalente tra i rimedi a tutela delle violazioni del diritto europeo in materia di appalti; una simile previsione appare coerente con l'obiettivo perseguito dal legislatore europeo nel settore in esame, ossia quello di garantire uno standard minimo di tutela nella materia dei contratti pubblici , attraverso la previsione di regole comuni, funzionali a superare le diversità di disciplina normativa all'interno dei singoli ordinamenti (si pensi, ad esempio, alla tradizionale distinzione tra posizioni soggettive di interesse legittimo e di diritto soggettivo propria del nostro ordinamento nazionale, ma sconosciuta al diritto sovranazionale: una simile dicotomia ha costituito per lungo tempo un ostacolo al riconoscimento del risarcimento del danno da lesione di interessi legittimi, ma non ha impedito, proprio per effetto dell'influenza del diritto europeo in materia di contratti pubblici, il riconoscimento della risarcibilità di tali posizioni soggettive nel settore in esame) . Più specificamente, ai sensi dell'art. 2, direttiva 89/665 gli Stati membri garantiscono ricorsi effettivi avverso le procedure di aggiudicazione di appalti pubblici mediante la tutela cautelare, di annullamento e di risarcimento dei danni in favore dei soggetti lesi dalla violazione delle norme euro unitarie in materia di appalti. Inoltre, il paragrafo 7 della norma appena citata consente agli Stati membri di prevedere che dopo la stipulazione del contratto la tutela del concorrente illegittimamente pretermesso sia limitata al solo risarcimento per equivalente. Salvi gli aspetti su richiamati, la direttiva non detta una puntuale disciplina del risarcimento dei danni derivanti da aggiudicazione illegittima; alla stessa stregua il legislatore nazionale, delegato al recepimento della normativa europea, ha disciplinato i soli profili inerenti la scelta tra privazione degli effetti del contratto e mantenimento in vita dello stesso, ed ha configurato - all'art. 124 cod. proc. amm. – il risarcimento del danno per equivalente come strumento di tutela subordinato alla ipotesi di mancata declaratoria di inefficacia del contratto, con ciò manifestando, tra le due ipotesi astrattamente possibili, una preferenza per la tutela in forma specifica (sub specie di subentro nell'aggiudicazione e nel contratto) piuttosto che per la tutela per equivalente (una simile opzione si si ricava anche dal comma 2 dell'art. 124, laddove esclude il risarcimento per equivalente nel caso di mancata proposizione della domanda di conseguire l'aggiudicazione ed il contratto o di subentrare nell'esecuzione dello stesso).
Per completezza, si segnala che la nuova direttiva europea in materia di appalti (direttiva 2014/24/UE) non disciplina il tema in esame che rimane regolato dalle direttive “rimedi”; tuttavia, si deve dare conto della previsione del tutto innovativa (art. 73) dell'obbligo per gli Stati membri di stabilire che le amministrazioni possano risolvere il contratto di appalto nel caso di modifiche sostanziali nelle ipotesi in cui l'aggiudicatario avrebbe dovuto essere escluso dalla procedura di gara per mancanza di requisiti morali obbligatori, ovvero quando l'appalto non avrebbe dovuto essere aggiudicato per effetto di una grave violazione degli obblighi derivanti dai trattati e dalla direttiva a seguito di sentenza della CGUE in un procedimento di infrazione ai danni dello stato membro. Come osservato in dottrina, la previsione in parola appare coerente con la direttiva ricorsi, nella parte in cui, da un lato, rende obbligatoria la dichiarazione di inefficacia del contratto stipulato in presenza di gravi violazioni delle direttive, e dall'altro, lascia liberi gli stati membri di stabilire quali siano le conseguenze sulla validità/efficacia del contratto in caso di violazioni meno gravi, sebbene comportanti l'annullamento dell'aggiudicazione (la disciplina di matrice europea è stata recepita all'art. 108 del d.lgs. n.50/2016 e ss. mm. e ii., per un commento si rinvia alla bussola “Risoluzione del contratto” di Marco Salina). L'art. 124 cod. proc .amm. contiene la disciplina relativa alle modalità di tutela del concorrente illegittimamente pretermesso, stabilendo al comma 1 che il rimedio risarcitorio per equivalente è subordinato alla perdurante (parziale o totale) efficacia del contratto ed al comma 2 che la condotta della parte che senza giustificato motivo non ha domandato di subentrare nel contratto, è valutata dal giudice ai sensi dell'art. 1227 c.c. Il legislatore si è quindi limitato a disciplinare due aspetti della tutela risarcitoria in materia di appalti pubblici, ossia i presupposti al ricorrere del quale può essere accordato il ristoro per equivalente, ed il concorso colposo del creditore (che impinge non già sull'ammissibilità dell'azione risarcitoria ma sulla fondatezza della eventuale pretesa avanzata) senza declinare gli elementi sostanziali dell'illecito fonte di danno, per la cui individuazione occorre quindi riferirsi alle regole generali di matrice civilistica sulla responsabilità. Secondo il prevalente orientamento della giurisprudenza amministrativa, anche il risarcimento del danno nel settore degli appalti pubblici è riconducibile al paradigma della responsabilità aquiliana di cui all'art. 2043 c.c., seppur con la peculiarità della natura oggettiva dell'illecito (su cui v. ultra), con la conseguenza che devono sussistere, ai fini del riconoscimento di una tale pretesa, tutti gli elementi ivi previsti, ossia la condotta illegittima, il danno ingiusto, il nesso causale tra la condotta e la lesione subita (TAR, Lombardia, Milano, Sez. I, 26 luglio 2017, n. 1677; Cons. St., Sez. IV, 23 maggio 2016, n. 2111; TAR, Campania, Napoli, Sez. I, 7 luglio 2016, n.3474) . L'antigiuridicità della condotta si sostanzia nell'adozione da parte dell'amministrazione aggiudicatrice di un provvedimento illegittimo, che può assumere tanto le vesti della aggiudicazione della commessa ad un concorrente meno meritevole, quanto della esclusione dell'operatore economico ricorrente dalla procedura ad evidenza pubblica. L'illegittimità del provvedimento è condizione necessaria ma non sufficiente ai fini del risarcimento del danno, dovendo ricorrere anche la c.d. ingiustizia del danno, ossia la la lesione o la perdita del bene della vita cui è correlato l'interesse legittimo pretensivo; applicando tale regola alla materia dei contratti pubblici, si rileva che l' ingiustizia del pregiudizio passa attraverso la dimostrazione della spettanza dell'aggiudicazione ovvero della perdita della chance competitiva in favore del soggetto che si assume leso, . E' inoltre necessario il nesso di causalità tra la condotta che si assumere lesiva e il danno subito; ai fini del riscontro del nesso di casualità si deve muovere dall'applicazione dei principi generali dell'illecito in forza dei quali un evento è da considerarsi causato da un altro se, ferme restando le altre condizioni, il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo (c.d. teoria della conditio sine qua non), con la specificazione che nell'accertamento del rapporto causale in materia civile e amministrativa vige la regola del “più probabile che non” (mentre nel processo penale vige quella dell'”oltre il ragionevole dubbio”). Nel settore degli appalti pubblici, l'operatore economico ha pertanto l'onere di provare che laddove la stazione appaltante avesse fatto corretta applicazione delle norme che regolano le procedure ad evidenza pubblica, con certezza (o quantomeno con ragionevole probabilità ma in tal caso il danno risarcibile è solo quello da perdita di chance) lo stesso si sarebbe aggiudicato l'appalto. La colpa della P.A. nel settore dei contratti pubblici
La responsabilità della P.A. da attività provvedimentale illegittima nelle procedure ad evidenza pubblica, coerentemente con l'orientamento espresso dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea in materia di mancata aggiudicazione di un contratto d'appalto, ha natura oggettiva, nel senso che prescinde dalla prova dell'elemento soggettivo della colpa (o del dolo) dell'amministrazione (Corte Giust. UE, 30 settembre 2010, C-314/09, Graz Stadt; Corte Giust. UE, 14 ottobre 2004, C- 275/03, Commissione c. Repubblica Portoghese; Corte Giust. UE, 10 gennaio 2008, C-70/06, Commissione c. Repubblica Portoghese).
Nella giurisprudenza eurounitaria il rimedio risarcitorio, poiché risponde al principio di effettività della tutela, assume una connotazione tipicamente sostitutiva, nel senso che in tutte le ipotesi in cui non sia possibile riparare la violazione degli obblighi di matrice sovranazionale attraverso la reintegrazione in forma specifica (e quindi mediante il subingresso nel rapporto contrattuale con la p.a.), deve essere assicurato all'impresa pregiudicata l'ottenimento di un risarcimento dei danno a prescindere dall'accertamento della imputabilità soggettiva della lamentata violazione. La conclusione cui perviene il giudice europeo si fonda sull'esegesi delle disposizioni della direttiva 89/665, che ha imposto agli Stati membri di adottare le misure necessarie a garantire l'esistenza di procedure di ricorso rapide ed efficaci ed una tutela giurisdizionale effettiva contro le decisioni delle amministrazioni aggiudicatrici che abbiano violato il diritto sovranazionale in materia di contratti pubblici. Secondo la Corte di Giustizia il rimedio risarcitorio previsto dall'art. 2 n. 1 lett. c) della suddetta direttiva può costituire «un'alternativa procedurale compatibile con il principio di effettività sotteso all'obiettivo di efficacia dei ricorsi perseguito dalla citata direttiva, soltanto a condizione che la possibilità di riconoscere un risarcimento in caso di violazione delle norme sugli appalti pubblici non sia subordinata – così come non lo sono gli altri mezzi di ricorso previsti dal citato art. 2, n.1 – alla constatazione di un comportamento colpevole tenuto dall'amministrazione aggiudicatrice» (Corte Giust. UE, 30 settembre 2010, C-314/09, Graz Stadt).
Il giudice europeo concepisce il risarcimento del danno da mancata aggiudicazione come necessaria alternativa alla reintegrazione in forma specifica, con evidenti ricadute sul piano applicativo, in quanto ai fini risarcitori l'operatore economico deve fornire solo la prova dell'elemento oggettivo della responsabilità della stazione appaltante (illegittimità del provvedimento amministrativo, spettanza del bene della vita, nesso di causalità) e non anche del carattere colpevole della violazione perpetrata (ex multis TAR, Lazio, Roma, Sez. II, 03 maggio 2017 n. 5182; Cons. .St., Sez. V, 25 febbraio 2016, n. 772). La natura oggettiva della responsabilità della p.a. in materia di appalti costituisce, in definitiva, una deroga al principio generale di cui all'art. 2043 c.c. entro cui viene generalmente ricondotta la responsabilità della pubblica amministrazione da lesione di interessi legittimi (invero nonostante il tema sia ancora oggi oggetto di discussioni in dottrina e in giurisprudenza, l'orientamento maggioritario è quello che richiede, ai fini del risarcimento del danno, la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della responsabilità extracontrattuale). La natura compensativa della tutela risarcitoria e le implicazioni sul principio della domanda
L'art. 124 cod. proc. amm., a differenza del previgente art. 245-quinquies, comma 1, secondo periodo, d.lgs. n.163 del 2006, non subordina espressamente la tutela risarcitoria per equivalente alla domanda di parte. Secondo un primo orientamento, nonostante il diverso tenore letterale delle sopra citate norme, deve ritenersi sempre necessaria la domanda di parte ai fini del riconoscimento del diritto al risarcimento del danno in virtù del principio generale di cui all'art. 112 c.p.c. (una conferma di tale tesi viene ravvisata nella specificazione normativa del fatto che il danno debba essere “provato”). Al giudice sarebbe, quindi, preclusa la possibilità di disporre il risarcimento del danno per equivalente nel caso in cui la domanda del ricorrente concerna la sola tutela in forma specifica. A sostegno di tale tesi vengono richiamati taluni dati normativi: l'art. 32 cod. proc. amm., nella parte in cui consente al giudice la conversione dell'azione sulla base degli elementi sostanziali dedotti in giudizio; l'art. 34 cod. proc. amm. laddove prevede che il giudice in caso di accoglimento del ricorso, nei limiti della domanda, condanna al pagamento di una somma di denaro anche a titolo di risarcimento del danno. Un diverso orientamento esclude, invece, la necessità di una domanda di parte facendo leva sulla natura della tutela accordata dall'art. 124 cod. proc. amm.; in particolare, si osserva che per effetto degli interventi della giurisprudenza eurounitaria, la tutela per equivalente non ha natura risarcitoria in senso stretto, bensì natura compensativa. In quest'ottica il diritto al risarcimento del danno, in quanto necessaria conseguenza della conservazione (totale o parziale) degli effetti del contratto, potrebbe essere disposto d'ufficio dal giudice.
La materia del risarcimento del danno è ispirata, a norma dell'art. 1223 c.c., al principio dell'integralità del risarcimento in ragione del quale il ristoro deve riguardare il “danno emergente” e il “lucro cessante”. La giurisprudenza amministrativa ha tuttavia circoscritto il danno risarcibile laddove si lamenti la mancata aggiudicazione al solo lucro cessante, escludendo, di regola, la risarcibilità delle spese sostenute dall'operatore economico per la partecipazione alla gara (Cons. St., Sez. VI, 17 febbraio 2017, n. 731). La ratio della limitazione in parola risiede nel canone secondo cui mediante il risarcimento non può farsi conseguire al ricorrente un beneficio maggiore rispetto a quanto avrebbe ottenuto dall'aggiudicazione della commessa sul rilievo che, nel caso di vittoria della gara, i costi di partecipazione non sarebbero comunque rimborsati all'impresa costituendo essi un c.d. rischio d'impresa. Il risarcimento del danno da mancata aggiudicazione si identifica con l'interesse c.d. positivo che ricomprende: i. sia il mancato profitto, ossia il risultato netto patrimoniale che il soggetto danneggiato avrebbe coseguito per effetto dell'aggiudicazione negatagli perché illegittimamente disposta in favore di altro concorrente; ii, sia il danno c.d. curriculare (ovvero il pregiudizio subito dall'impresa a causa del mancato arricchimento del curriculum e dell'immagine professionale per non poter in esso indicare l'avvenuta esecuzione dell'appalto).
In ordine al regime probatorio e ai criteri di quantificazione del danno è utile richiamare i principi espressi dal Cons. St., ad. pl., n.2/2017 cit. secondo cui ai fini del risarcimento del mancato utile è necessario che sia provato specificamente l'utile economico che sarebbe derivato al ricorrente dall'esecuzione del contratto; ed infatti, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, il criterio forfetario dell'utile pari al 10% dell'offerta formulata dall'impresa ha carattere meramente presuntivo e non può dispensare dall'onere probatorio gravante sull'impresa. Inoltre, grava sempre sul ricorrente l'onere di dimostrare la c.d. certezza dell'aggiudicazione, ovvero la sicura spettanza della commessa pubblica nel caso in cui la stazione appaltante avesse agito correttamente. Nelle diverse ipotesi in cui non vi sia certezza circa il conseguimento dell'aggiudicazione in capo al ricorrente, ma sussista una ragionevole probabilità di successo, il danno risarcibile non è quello da mancata aggiudicazione della gara bensì è quello da c.d. perdita di chance (su cui si v. il paragrafo Perdita di chance). Un'altra voce di danno risarcibile è quella del c.d. danno curriculare costituito dalla perdita della possibilità di incrementare il proprio curriculum professionale, essendo indubbio, secondo gli approdi della giurisprudenza, che l'aggiudicazione della commessa pubblica, anche a prescindere dai ricavi diretti conseguenti all'esecuzione del contratto, accresce la capacità della impresa di competere sul mercato: tale effetto si sostanzia in un vantaggio economicamente valutabile la cui perdita, conseguente alla illegittima procedura di gara, è suscettibili di ristoro a titolo di lucro cessante. Anche per tale voce di danno il ricorrente è gravato dall'onere di fornire la prova del nocumento che asserisce di aver subito, quantificandolo in una misura percentuale specifica applicata sulla somma liquidata a titolo di lucro cessante (Cons. St., Sez. V, 22 novembre 2017, n. 5444). La responsabilità da mancata aggiudicazione di cui sono state appena declinate le voci di danno risarcibile, il relativo regime probatorio e i presupposti di integrazione, deve essere tenuta distinta dalla responsabilità precontrattuale cui può incorrere la p.a. nell'attività contrattuale. A differenza della prima, la culpa in contrahendo dell'amministrazione nelle procedure ad evidenza pubblica di affidamento di contratti costituisce una fattispecie nella quale l'elemento soggettivo ha una sua rilevanza, in correlazione con l'ulteriore elemento strutturale del contrapposto affidamento incolpevole del privato in ordine alla conclusione delle trattative negoziali (Cons. St., Sez. V, 27 marzo 2017, n.1364). Una ulteriore differenza tra le due forme di responsabilità si riscontra con riferimento ai danni risarcibili: ed infatti, nel caso di responsabilità precontrattuale i danni sono limitati all'interesse negativo ravvisabile nelle spese inutilmente sopportate per partecipare alla gara e nella perdita di occasioni di guadagno alternative.
I fatti impeditivi o riduttivi del risarcimento del danno: aliunde perceptum e concorso colposo
Nella quantificazione del risarcimento del danno assume rilievo il c.d. aliunde perceptum ovvero l'utile conseguito dall'operatore economico grazie allo svolgimento di attività lucrative diverse nel periodo in cui avrebbe dovuto eseguire l'appalto. Esso costituisce un fatto impeditivo del diritto risarcimento del danno da mancato aggiudicazione e determina, in virtù della presunzione, fondata sull'id quod plerumque accidit, secondo cui l'imprenditore normalmente diligente non resta inerte in caso di mancata aggiudicazione di un appalto ma persegue occasioni contrattuali alternative, la riduzione in via equitativa del danno risarcibile. Secondo il prevalente indirizzo giurisprudenziale spetta al ricorrente che voglia ottenere il mancato utile in misura integrale (e non alla P.A.), l'onere di fornire la prova negativa dimostrando di non aver potuto utilizzare diversamente mezzi e maestranze. Una simile ripartizione dell'onere probatorio in tema di aliunde perceptum ha sollevato perplessità in dottrina (e in parte della giurisprudenza) avvalorate dall'orientamento della Cassazione secondo cui avendo l'aliunde perceptum consistenza di fatto impeditivo del diritto, il relativo onere probatorio graverebbe sul danneggiato (Cass., Sez. Lav., 30 maggio 2016, n.11122)
Il tema dell'aliunde perceptum è correlato a quello relativo a c.d. “duty to mitigate”, di cui all'art. 1227 c.c., secondo cui il danneggiato ha il dovere di non concorrere ad aggravare il danno (sicchè il comportamento inerte dell'impresa potrebbe assumere rilievo in ordine all'aliunde perceptum); la disposizione in commento circoscrivere i danni risarcibili ai soli pregiudizi non evitabili nonostante il diligente comportamento del danneggiato.
La norma è stata posta alla base del consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui, di regola (e salvo casi particolari), non costituisce comportamento ragionevole immobilizzare tutti i mezzi dell'impresa nelle more del giudizio e nell'attesa dell'aggiudicazione essendo invece ragionevole che l'impresa si attivi per svolgere altre attività. Da tale assunto deriverebbe la legittimità della detrazione dal risarcimento del danno (di norma nella misura del 50%) sia dell'aliunde perceptum, sia dell'aliunde percipiendum mediante ordinaria diligenza. Le situazioni di inerzia che ai sensi dell'art. 30, comma 3, e 124 cod. proc., amm. , in combinato disposto con l'art. 1227 c.c. possono determinare la riduzione o l'esclusione del quantum risarcibile, possono concernere anche la mancata attivazione di strumenti processuali di tutela idonei ad evitare il danno. Sul tema sono necessarie alcune ulteriori riflessioni: è noto difatti che l'art. 30 cod. proc. amm. ha segnato il superamento della c.d. “pregiudiziale amministrativa”, con la conseguenza che l'omessa impugnazione del provvedimento illegittimo, fonte del danno, non ha la consistenza di una preclusione di rito che impinge sull'ammissibilità della domanda. Viceversa, la mancata o tardiva impugnazione assume rilievo, per effetto del comma 3 dell'art. 30 e del comma 2 dell'art.124 del cod. proc. amm., come fatto da considerare in sede di merito ai fini del giudizio sulla sussistenza e consistenza del danno risarcibile (Cons. St., Sez. IV, 13 aprile 2016, n.1459; nonché Id, 22 novembre 2016, n.4901, secondo cui anche alla scelta di non avvalersi della tutela cautelare integra violazione dei canoni di correttezza e buona fede e dell'obbligo di cooperazione, spezzando il nesso causale tra il provvedimento e il pregiudizio). La perdita di chance
Il danno da c.d. perdita di chance viene in rilievo nei casi in cui non sia possibile fornire la prova della spettanza del bene della vita perseguito con la partecipazione alla procedura ad evidenza pubblica. È noto che la violazione della normativa in materia di appalti, nella forma della illegittima esclusione del ricorrente ovvero dell'aggiudicazione illegittimamente disposta in favore di un altro operatore, è condizione necessaria ma non sufficiente ai fini della integrazione degli elementi costitutivi dell'illecito oggettivo, essendo indispensabile a tale scopo dare prova della lesione dell'interesse sostanziale dedotto. Allorquando non sia possibile concludere in termini di prognosi postuma e di giudizio controfattuale che il soggetto avrebbe certamente ottenuto l'aggiudicazione senza la violazione perpetrata, è dunque escluso il risarcimento del danno da mancata aggiudicazione, ma residua spazio per il risarcimento della chance purché l'impresa fornisca la prova della ragionevole probabilità di conseguimento del bene della vita. L'ammissibilità del risarcimento della chance è stata implicitamente sancita dal legislatore per effetto delle modifiche apportate all'art. 245-bis, d.lgs. n.163 del 2006 a seguito della trasposizione delle relativa disciplina nel Codice del processo amministrativo. La norma previgente contenuta nel d.lgs. n.163 del 2006 prevedeva che il risarcimento potesse essere riconosciuto a favore del solo concorrente avente titolo all'aggiudicazione e sembrava pertanto escludere la possibilità di accordare tutela alla perdita di chance in contrasto; l'attuale art. 124 cod.proc.amm., non contiene più la suddetta limitazione con ciò aprendo la strada alla risarcibilità anche della sola perdita della possibilità di ottenere l'aggiudicazione. Il concetto di chance è stato utilizzato secondo due diverse accezioni: o in funzione del ragionamento eziologico, nel senso che al fine di ritenere provato il nesso causale tra la violazione e la perdita subita è sufficiente un indice probabilistico almeno pari al 50% delle possibilità di ottenimento dell'aggiudicazione; ovvero in chiave ontologica, come bene giuridico autonomo, con la conseguenza che la perdita della possibilità di ottenere il risultato sperato viene risarcita non già in termini di lucro cessante, bensì come danno emergente (in quanto posta attuale del patrimonio). L'orientamento più recente assunto dal Consiglio di Stato tende a ricostruire in chiave unitaria il concetto di chance al fine di superare la distanza tra le predette tesi. In particolare, affinché un'occasione possa assumere rilevanza giuridica è necessario che sussista una rilevante probabilità di successo e non una mera possibilità statisticamente non rilevante di ottenere un dato risultato. Assume rilievo a tale scopo la distinzione tra probabilità di riuscita (chance risarcibile) e mera possibilità di conseguire il bene della vita (chance irrisarcibile) da individuarsi in base alla teoria probabilistica.
Resta fermo che il risarcimento della chance è escluso tutte le volte in cui a seguito dell'annullamento ad opera del giudice degli atti di gara, l'amministrazione debba procedere alla rinnovazione della procedura, poiché in casi siffatti la pronuncia caducatoria restituisce in forma specifica al ricorrente la possibilità di conseguire l'aggiudicazione. Per quanto concerne la quantificazione del danno da perdita di chance, essa viene determinata dal giudice in via equitativa, calcolando il danno risarcibile, dapprima, in termini percentuali rispetto all'utile in astratto conseguibile in ipotesi di aggiudicazione della gara e poi, ulteriormente riducendone l'ammontare in base al numero dei partecipanti alla gara. Casistica
|