A.t.p.o. in materia previdenziale nelle più recenti linee interpretative della Cassazione
04 Settembre 2015
Premessa
La pluralità di questioni interpretative, cui l'introduzione dell'istituto dell'a.t.p.o. ha dato luogo, ha portato a recenti pronunce per certi versi largamente divergenti da parte della Corte di Cassazione. Tale orientamento è stato sottoposto a serrata critica da parte non solo della dottrina, ma anche e soprattutto della giurisprudenza di merito, che se ne è largamente – e motivatamente – discostata. È poi recentemente intervenuto sul punto un vero e proprio “revirement” della Suprema Corte, che ha notevolmente corretto il tiro disegnando l'a.t.p.o. come momento processuale autonomo, volto ad impedire l'avvio di un giudizio di merito – e quindi deflazionando il contenzioso previdenziale – facilitando in ogni modo l'omologa conseguente all'accertamento peritale circa la sussistenza del requisito sanitario per la prestazione richiesta.
L'art. 38 co. 1 L. 15 luglio 2011, n. 111 di conversione del D.L. 6/7/2011, n. 98 recante disposizioni in materia di contenzioso previdenziale ed assistenziale, ha come noto introdotto un nuovo istituto processuale nelle controversie aventi ad oggetto dette prestazioni – nei termini di seguito meglio specificati -, costituito dall'accertamento tecnico preventivo obbligatorio (di qui in avanti: a.t.p.o.). Lo scopo di tale introduzione è, come è altrettanto noto, quello di "realizzare una maggiore economicità dell'azione amministrativa e favorire la piena operatività e trasparenza dei pagamenti nonché deflazionare il contenzioso in materia previdenziale, di contenere la durata dei processi in materia previdenziale, nei termini di durata ragionevole dei processi". Si tratta in realtà, come è agevole osservare, di un duplice scopo: il primo di natura per così dire amministrativa, volto a rendere più rapida ed incisiva la fase extragiudiziale dell'accertamento circa la sussistenza del requisito medico sanitario richiesto per la concessione delle prestazioni previdenziali ed assistenziali di cui sopra; il secondo, da considerarsi per certi versi come auspicato corollario del primo, di tipo processuale, sub species tanto di riduzione dell'impatto quantitativo del contenzioso previdenziale sui disastrati numeri dei Tribunali del lavoro italiani quanto di accelerazione nella definizione dei giudizi, nell'ottica della ragionevole durata del processo ex art. 111 Cost. Occorre subito dire, in proposito, che a dispetto delle buone intenzioni tali obiettivi appaiono ben lungi dall'essere stati raggiunti: e questo, anche e per certi versi soprattutto a causa delle problematiche interpretative cui l'introduzione dell'a.t.p.o. ha dato luogo. L'a.t.p.o. è regolato dal nuovo art. 445 bis c.p.c., il quale al primo comma statuisce che “nelle controversie in materia di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità, nonché di pensione di inabilità e di assegno di invalidità, disciplinati dalla legge 12 giugno 1984, n. 222, chi intende proporre in giudizio domanda per il riconoscimento dei propri diritti presenta con ricorso al giudice competente ai sensi dell'articolo 442 codice di procedura civile, presso il Tribunale nel cui circondario risiede l'attore, istanza di accertamento tecnico per la verifica preventiva delle condizioni sanitarie legittimanti la pretesa fatta valere. Il giudice procede a norma dell'articolo 696 - bis codice di procedura civile, in quanto compatibile nonché secondo le previsioni inerenti all'accertamento peritale di cui all'articolo 10, comma 6-bis, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, e all'articolo 195”. Il secondo comma afferma espressamente che l'espletamento dell'accertamento tecnicopreventivo, la cui richiesta interrompe la prescrizione ai sensi del successivo terzo comma, “costituisce condizione di procedibilità della domanda di cui al primo comma”, e che “l'improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto a pena di decadenza o rilevata d'ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Il giudice ove rilevi che l'accertamento tecnico preventivo non è stato espletato ovvero che è iniziato ma non si è concluso, assegna alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione dell'istanza di accertamento tecnico ovvero di completamento dello stesso”. La (quanto mai stringata) disciplina processuale dell'a.t.p.o. è costituita in pratica solo ed esclusivamente dal successivo quarto comma, a mente del quale “il giudice, terminate le operazioni di consulenza, con decreto comunicato alle parti, fissa un termine perentorio non superiore a trenta giorni, entro il quale le medesime devono dichiarare, con atto scritto depositato in cancelleria, se intendono contestare le conclusioni del consulente tecnico dell'ufficio”. A quel punto, è possibile: a) che non vi sia alcuna contestazione in tal senso, per cui il giudice, se non procede al rinnovo della c.t.u. ai sensi dell'articolo 196 c.p.c. “con decreto pronunciato fuori udienza entro trenta giorni dalla scadenza del termine previsto dal comma precedente omologa l'accertamento del requisito sanitario secondo le risultanze probatorie indicate nella relazione del consulente tecnico dell'ufficio provvedendo sulle spese. Il decreto, non impugnabile né modificabile, è notificato agli enti competenti, che provvedono, subordinatamente alla verifica di tutti gli ulteriori requisiti previsti dalla normativa vigente, al pagamento delle relative prestazioni, entro 120 giorni”; b) che vi sia al contrario apposita contestazione, da effettuarsi come detto a mezzo di deposito presso la cancelleria del giudicante di apposita dichiarazione. In tale secondo caso, “la parte che abbia dichiarato di contestare le conclusioni del consulente tecnico dell'ufficio deve depositare, presso il giudice di cui al comma primo, entro il termine perentorio di trenta giorni dalla formulazione della dichiarazione di dissenso, il ricorso introduttivo del giudizio, specificando, a pena di inammissibilità, i motivi della contestazione”. Segue quindi, in tale ipotesi, un ordinario giudizio di merito che è concluso con sentenza inappellabile (come recita espressamente l'ultimo comma, inserito con l'art. 27 co. 1, lett. f), L. 12 novembre 2011, n. 183). L'introduzione di quello che è stato definito “un vero e proprio sottotipo rispetto al rito delle controversie della previdenza e dell' assistenza sociale” ha dato luogo ad una serie di rilevanti questioni interpretative, di cui si intende dare conto sinteticamente ma esaustivamente nella presente analisi: il tutto, con particolare attenzione al tema della strutturazione stessa dell'a.t.p.o., oggetto di recenti e ravvicinate pronunce – discordanti se non per certi versi opposte – da parte della stessa Corte di Cassazione. La ricostruzione sistematica dell'a.t.p.o. ha infatti registrato, come vedremo, una notevole oscillazione tra due inquadramenti inconciliabili tra loro, e forieri di conseguenze quanto mai rilevanti sul piano pratico. Il primo ha qualificato il procedimento per a.t.p.o. in termini di giudizio non autonomo ma meramente sussidiario rispetto al successivo giudizio di merito, da ritenersi - il primo - strettamente limitato al solo profilo dell'accertamento circa la sussistenza del requisito medico sanitario necessario per la concessione delle prestazioni previdenziali ed assistenziali di cui all'art. 445 bis c.p.c. Il secondo ha, al contrario, privilegiato una lettura sistematica e non rigidamente formale dell'istituto, volto così a costituire non una semplice “fotografia” delle condizioni mediche del richiedente la prestazione, bensì – come detto - un vero e proprio “sottotipo” (o, se si vuole, subprocedimento) autonomo rispetto all'ordinario rito contenzioso in materia previdenziale ed assistenziale. Prime pronunce della Corte di Cassazione: il sistema cd. trifasico
Il primo degli orientamenti è stato fatto proprio dalla Corte di Cassazione con tre pronunce del marzo 2014 (Cass., 17 marzo 2014, n. 6085; Cass., 17 marzo 2014, n. 6084; Cass., 14 marzo 2014, n. 6010). Dette pronunce – pur se con diverse articolazioni argomentative, dovute per lo più alla specificità del singolo caso concreto oggetto di giudizio - hanno sostanzialmente ritenuto che l'a.t.p.o. dovesse considerarsi come momento processuale del tutto avulso dal processo di merito, in quanto rigidamente volto al solo accertamento (alla “fotografia”, come detto in precedenza) circa le condizioni medico-cliniche dell'interessato. Una volta conclusasi tale fase, sarebbe stato del tutto inevitabile secondo tale prima ricostruzione della Corte instaurare il successivo giudizio di merito: inevitabile, quest'ultimo, in quanto necessariamente volto a verificare la sussistenza di tutti i rimanenti requisiti costitutivi per la concessione della prestazione previdenziale/assistenziale richiesta. Più specificamente, la prima ricostruzione interpretativa e funzionale fatta propria dalla Corte di Cassazione parte dal presupposto secondo cui l'art. 445 bis c.p.c. ha disegnato un sistema processuale articolato in tre «fasi», distinte ed autonome tra loro pur se strettamente sequenziali. La prima fase sarebbe costituita proprio dall'a.t.p.o. vero e proprio, da intendersi – come accennato - come mero accertamento delle condizioni medico-sanitarie dell'interessato, e rispetto alla quale sarebbe preclusa al G.L. ogni valutazione ulteriore, foss'anche in punto di mera verifica della sussistenza di un reale interesse ad agire. A giudizio della Corte, infatti, il giudice adito ai sensi dell'art. 445 bis c.p.c. dovrebbe accertare il requisito sanitario mediante la consulenza medico-legale “anche se risultino ostacoli pregiudiziali o preliminari che precludono il diritto alla prestazione richiesta”. Una volta ultimatasi questa prima fase, a contenuto rigidamente vincolato, nel caso in cui non dovesse darsi luogo all'omologa della valutazione medica del c.t.u. dovrebbe darsi luogo al giudizio sulla contestazione: che, però, va evidenziato, non è giudizio di merito sulla sussistenza del diritto alla prestazione ma, ancora una volta, solo ed esclusivamente giudizio sul mero accertamento del requisito sanitario, da concludersi con sentenza. Sarebbe quindi questa e solo questa, secondo la Corte di Cassazione, la decisione non appellabile cui si riferisce l'art. 445 bis c.p.c., da considerarsi quindi esclusivamente ricorribile per censure di legittimità. Essendo però evidente che una sentenza così limitata all'accertamento della sussistenza di un mero presupposto di fatto non sarebbe in alcun modo eseguibile coattivamente, la Corte di Cassazione del marzo 2014 ha quindi sostenuto che il “sistema processuale” così delineato verrebbe necessariamente a chiudersi, in caso di diniego di prestazione sul piano amministrativo da parte dell'I.N.P.S., con un terzo giudizio. Quest'ultimo, finalmente, sarebbe a sua volta deputato a dar luogo ad una vera e propria condanna dell'ente previdenziale al pagamento della prestazione economica: il tutto, mediante una sentenza questa volta soggetta agli ordinari mezzi d'impugnazione, e quindi appellabile. La ricostruzione così fatta propria dalla Corte ha dato immediatamente luogo ad una serie di critiche motivate. Si è pertanto osservato, in proposito, che “secondo questo schema, potrebbero essere necessarie ben sei sentenze — fra primo grado, appello e legittimità — per ottenere una statuizione definitiva; in primo grado sarebbero inoltre necessari almeno tre procedimenti — compreso l'accertamento tecnico preventivo (Atp) — e due sentenze solo per ottenere un titolo esecutivo effettivamente capace di realizzare coattivamente l'interesse protetto, attraverso la condanna al pagamento del beneficio” (P.Morabito, La Cassazione e l'accertamento tecnico preventivo in materia previdenziale: un arresto criticabile, p.1523). Le stesse critiche mosse sul piano funzionale alla ricostruzione sistematica della Corte hanno poi evidenziato la non condivisibilità dei risultati prodotti da quest'ultima nell'ottica del sistema dei valori costituzionali, dato che “siffatto sistema obbligherebbe il cittadino ad esperire ben tre procedimenti giudiziari, per conseguire il titolo esecutivo per una prestazione destinata a soddisfare bisogni primari ed alimentari di soggetti invalidi, spesso titolari di redditi minimi o disoccupati” (P.Morabito, cit., p.1524). Non è mancato poi, sempre in senso critico rispetto a questo primo orientamento della Corte di Cassazione sul punto, un richiamo ad una precedente sentenza delle Sezioni Unite della medesima Corte (Cass., Sez. Un., 3 agosto 2000, n. 569), volta ad evidenziare – seppure con riferimento, ovviamente, ad una diversa vicenda interpretativa, correlata alle interpretazioni dell'art. 11 L. 537/1993 e degli artt. 3, 6 del Regolamento ex D.P.R. 698/1994 che postulavano la necessità di due procedimenti giudiziari distinti, l'uno per accertare il requisito sanitario e l'altro per pervenire alla condanna alla prestazione - come la separazione tra siffatti momenti processuali darebbe inevitabilmente corso ad un sistema potenzialmente in contrasto con gli artt., 24, 38 Cost. Sotto il primo profilo, infatti, verrebbe in tal modo ad essere reso – inutilmente – più difficile l'esercizio del diritto alla difesa in giudizio da parte del richiedente la prestazione; sotto il diverso punto di vista correlato all'art.38 Cost., poi, si finirebbe con il frapporre ostacoli del tutto immotivati, e quindi ingiustificabili, al diritto all'assistenza ivi postulato.
Le critiche mosse alla ricostruzione della Cassazione descritta – in uno, va detto, con la sostanziale mancata adesione della maggior parte della giurisprudenza di merito, con le Sezioni Lavoro di quasi tutto il territorio nazionale che hanno continuato a seguire strade interpretative opposte – hanno tuttavia portato ad una recente rimeditazione da parte della stessa Corte. Tale rimeditazione si era resa particolarmente necessaria alla luce delle conseguenze negative che la struttura trifasica del giudizio previdenziale, come delineata nelle sentenze del marzo 2014, avrebbe determinato proprio in punto di deflazione del contenzioso previdenziale/assistenziale e di riduzione dei relativi tempi di definizione. Di tutto ciò si è resa evidentemente conto la Corte di Cassazione, che con la recente sentenza del 9 giugno 2015, n. 11919, ha chiaramente statuito che “già il ricorso, con il quale si propone l'istanza di accertamento tecnico preventivo, deve contenere tutti gli elementi propri di un ricorso giurisdizionale, ai sensi dell'art. 125 c.p.c., o, quanto meno, l'esposizione sommaria delle domande o eccezioni alle quali la prova è preordinata con l'indicazione, quindi, del diritto di cui il ricorrente si afferma titolare e alla cui realizzazione è finalizzata la detta istanza”. Tale affermazione di fondo si innesta su un inquadramento dell'a.t.p.o. che si appalesa come chiaramente incompatibile con la pregressa giurisprudenza della stessa Corte, in precedenza analizzata. È infatti evidente che nella ricostruzione della sentenza da ultimo in esame l'accertamento tecnico preventivo obbligatorio non è affatto destinato solo ed esclusivamente ad accertare le condizioni medico-sanitarie del richiedente la prestazione previdenziale. Esso, al contrario - come espressamente statuito nei termini di cui sopra - deve presentarsi come completo ed autosufficiente rispetto alla pretesa di merito globalmente intesa. La concreta vicenda processuale conclusasi con la sentenza in questione esplica meglio di ogni ulteriore argomentazione l'iter logico - giuridico seguito dal Supremo Collegio. A fronte di un ricorso per a.t.p.o. volto a sentir dichiarare la sussistenza dei requisiti per la declaratoria della condizione di portatore di handicap grave ai sensi dell'art. 3 co. 3 L. 104/1992, il Tribunale adito aveva omologato l'accertamento di tale requisito sanitario in senso positivo, con decorrenza dalla domanda amministrativa. In punto di regolamentazione delle spese di lite, il G.L. si era pronunciato tuttavia in termini di non ripetibilità delle spese di lite ex art. 152 disp. att. c.p.c. Il procuratore distrattario della ricorrente propone quindi ricorso straordinario per Cassazione ex art. 111 Cost. in proprio e quale difensore della ricorrente, lamentando l'erroneità della statuizione sulle spese di lite atteso il sostanziale accoglimento della domanda oggetto di a.t.p.o. Il ricorso in questione viene tuttavia dichiarato inammissibile per due specifici motivi: il primo, relativo alla carenza di legittimazione attiva del procuratore quale distrattario, atteso che la controversia era sorta non con riferimento alla distrazione stessa – il che si verifica, come noto, quando il provvedimento impugnato non si pronuncia sulla relativa istanza o la respinge ovvero quando il gravame investe la pronuncia stessa di distrazione (Cass. 20 ottobre 2005, n. 20321) – bensì sulla diversa dichiarazione di irripetibilità delle spese della procedura ex art. 152 disp. att. c.p.c.; il secondo, più intimamente connesso alla vexata quaestio della struttura e della funzione dell'a.t.p.o. a suo tempo esperito. È ovviamente questo il profilo che più interessa ai fini della disamina in corso. La Corte ha preliminarmente osservato al riguardo che l'originaria ricorrente aveva proposto ricorso per il mero accertamento di uno stato di fatto (la sussistenza delle condizioni medico-sanitarie legittimanti il riconoscimento della qualità di soggetto portatore di handicap grave ex art. 3 co.3 L. 104/1992) che non è ex se requisito costitutivo esclusivo per alcuna prestazione previdenziale od assistenziale. Tale accertamento medico determina infatti il riconoscimento di specifici, plurimi benefici — come, ad esempio, oltre all'esenzione dal pagamento del ticket sulla spesa sanitaria, l'iscrizione nelle liste speciali per il collocamento obbligatorio, ai sensi della L. 2 aprile 1968, n. 482, il congedo straordinario per cure della L. 30 marzo 1971, n. 118, ex art. 26, l'esenzione dalle tasse scolastiche di cui alla medesima L. n. 118 del 1971, ex art. 30 e così via – solo in presenza di ulteriori presupposti costitutivi, di volta in volta oggetto di apposito accertamento da parte (anche) di soggetti diversi dall'I.N.P.S., come ad esempio come il Comune, l'Agenzia delle Entrate od il datore di lavoro, ove esistente. Ciò postula quindi l'obbligo del richiedente l'a.t.p.o. di indicare fin dal primo atto introduttivo – e quindi, appunto, già nel ricorso ex art. 445 bis c.p.c. – il tipo di prestazione concretamente richiesta, allegando e provando la sussistenza degli ulteriori requisiti all'uopo ex lege necessari. Nel caso di specie, afferma la Corte, ciò non era però avvenuto. Da ciò discende il rilievo per cui l'a.t.p.o. era stato a ben vedere richiesto - ed omologato - in modo improprio, in quanto con il relativo ricorso l'interessata “non ha domandato l'accertamento del requisito sanitario necessario per il riconoscimento o il pagamento di una o più specifiche provvidenze economiche tra quelle cui è applicabile il nuovo istituto - cioè prestazioni di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità, nonché pensione di inabilità e di assegno di invalidità, disciplinati dalla legge 12 giugno 1984, n. 222” - ma si è limitata a chiedere, nei confronti dell'I.N.P.S. e dell'A.S.L. di riferimento, il mero accertamento delle condizioni sanitarie cui eventualmente – ma solo eventualmente - collegare, nei termini sopra delineati, le specifiche provvidenze di legge. La Corte ha concluso quindi affermando che non essendo l'a.t.p.o. ex art. 445 bis c.p.c. inquadrabile come un mero "previo adempimento di oneri, nel senso di previo esperimento di rimedi amministrativi, ma come procedimento giurisdizionale sommario, sul modello di quelli d'istruzione preventiva, a carattere contenzioso”, l'originario ricorso doveva dichiararsi inammissibile. Di qui, la correlata declaratoria di inammissibilità dello stesso ricorso ex art. 111 Cost. oggetto di giudizio, non potendo l'interessata a giudizio della Corte dolersi di una statuizione sull'irripetibilità delle spese ex art. 152 disp.att. c.p.c. in relazione ad un ricorso ex art. 445 bis c.p.c. proposto al di fuori ed in assenza dei presupposti di legge. Rimane quindi affermata, nella pronuncia in esame, la natura dell'a.t.p.o. come vero e proprio “procedimento sommario, avente ad oggetto la verifica delle condizioni sanitarie legittimanti la pretesa che s'intende far valere in giudizio, cui fa seguito un (eventuale) giudizio di merito a cognizione piena", con abbandono della struttura cd. trifasica delineata dalle precedenti pronunce del marzo 2014. Conseguenze pratiche del nuovo inquadramento sistematico
Il mutamento di impostazione sistematica da parte della Corte di Cassazione, nei termini delineati, presenta una serie di notevoli conseguenze dal punto di vista pratico ed operativo. La più importante di queste è costituita dal chiaro rilievo per cui nel procedimento per a.t.p.o. ex art. 445 bis c.p.c. il G.L. è chiamato a verificare fin dalla prima udienza la sussistenza di un concreto interesse ad agire. Detta verifica non dovrà avere ad oggetto solo l'astratta presenza di un interesse ad un provvedimento di merito ex art. 100 c.p.c., ma anche – e soprattutto – la configurabilità di tutti gli elementi costitutivi necessari all'accoglimento di quella domanda giudiziale di merito che, in linea di principio, il valido ed efficace esperimento dell'accertamento tecnico preventivo obbligatorio dovrebbe poter evitare. Sarà quindi in primo luogo necessario che il ricorrente indichi chiaramente nel ricorso per a.t.p.o. quale sia la prestazione previdenziale od assistenziale che si intende conseguire: il tutto, va evidenziato, anche allo scopo di consentire di individuare con esattezza l'oggetto del ricorso anche nella eventuale fase di merito. Allo stesso modo, colui il quale proponga ricorso ex art. 445 bis c.p.c. dovrà ritenersi implicitamente obbligato, a pena di declaratoria di inammissibilità dell'a.t.p.o., a fornire prova circa l'avvenuta proposizione della domanda amministrativa, così come del rispetto del termine decadenziale eventualmente previsto dalla normativa di settore. Il ricorso per a.t.p.o. dovrà inoltre contenere apposita allegazione circa l'esistenza dei requisiti extrasanitari che, volta per volta, la legge richiede per la singola specifcia prestazione previdenziale od assistenziale (come ad esempio il requisito contributivo ove richiesto, quello anagrafico, quello reddituale, quello relativo alla disoccupazione e così via). Spetterà a quel punto all'istituto previdenziale resistente contestare in modo specifico la sussistenza di detti requisiti, tenendo presente che detta contestazione – e la correlata necessità di fornire adeguata prova al riguardo da parte del ricorrente – opererà pur sempre al solo ed esclusivo scopo di consentire al G.L. di accertare la carenza di interesse ad agire in concreto dell'istante, nei termini appena sopra indicati. È appena il caso di evidenziare come, a giudizio di alcuni interpreti, anche un'eventuale pronuncia di inammissibilità dell'a.t.p.o. in tali ultimi termini soddisferebbe comunque il requisito del necessario esperimento dello stesso ai sensi dell'art. 445 bis c.p.c. Ove il ricorrente non ritenga di aderire alla declaratoria di inammissibilità per carenza di interesse di cui sopra, infatti, deve ritenersi pur sempre esperibile il processo di merito sulla fondatezza della pretesa complessiva azionata dall'interessato. Nel corso di tale giudizio – ovviamente non avente natura impugnatoria rispetto alla statuizione del G.L. in punto di ritenuta inammissibilità – il ricorrente potrà a quel punto chiedere che, accertata l'infondatezza di tale ultima valutazione, possa essere concesso termine per l'espletamento dell'accertamento tecnico preventivo. Tale processo di merito viene così ad essere inquadrato come il vero e proprio rimedio ordinario previsto dall'ordinamento avverso ogni diniego dell'accertamento preventivo. In tal senso sembra essersi recentemente espressa la stessa Corte di Cassazione. In una pronuncia resa proprio con riferimento ad una declaratoria di inammissibilità dell'a.t.p.o. per pregressa decadenza semestrale dalla proposizione della relativa domanda giudiziale ex art. 42 co. 3 D.L. 269/2003, conv. in L. 326/2003, nonché ex art. 23 co. 2 D.L. 355/2003, conv. in L. n. 47 del 2004, la Cassazione ha affermato che “l'omesso espletamento dell'accertamento tecnico preventivo (quale che sia la causa che lo ha determinato), pur costituendo condizione di improcedibilità della domanda (ove tempestivamente eccepita o rilevata d'ufficio), non preclude la decisione nel merito, stante l'espressa previsione della concessione di un termine per la presentazione della relativa istanza. Ne discende che al provvedimento impugnato che, nella sostanza, ha reputato precluso l'espletamento dell'accertamento tecnico preventivo (stante la ritenuta decadenza per la proposizione della domanda giudiziale), non può essere riconosciuta incidenza con efficacia di giudicato su situazioni soggettive di natura sostanziale, posto che la parte interessata potrà promuovere il ricorso nel merito, richiedendo che il Giudice adito, ritenuta l'inapplicabilità al caso di specie della normativa che ha introdotto il termine semestrale di decadenza, assegni termine per la presentazione dell'istanza di accertamento tecnico”. Pur coerentemente dichiarando inammissibile il ricorso straordinario per Cassazone ex art. 111 Cost. oggetto del giudizio in quanto, per l'appunto, non riguardante un provvedimento giurisdizionale emesso in forma di ordinanza o di decreto definitivo e con carattere decisorio, e quindi in grado di incidere con efficacia di giudicato su situazioni soggettive di natura sostanziale (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. Un., 1245/2004; Cass., n. 12115/2006; Cass., n. 15949/2011), la Corte ha implicitamente confermato la ricostruzione dei rapporti tra fase di a.t.p.o. e giudizio di merito nei termini sopra delineati.
In conclusione
A seguito del mutato orientamento interpretativo della Corte di Cassazione, invalso con la sentenza del 9 giugno 2015, n. 11919, l'accertamento tecnico preventivo obbligatorio ex art. 445 bis c.p.c. ha recuperato la propria struttura di autonomo procedimento sommario, volto a facilitare attraverso l'istituto dell'omologa la definizione in via amministrativa ed extragiudiziale delle domande aventi ad oggetto prestazioni previdenziali ed assistenziali: il tutto, in piena linea con gli obiettivi deflattivi perseguiti dal legislatore del 2011 attraverso la sua introduzione.
P. Capurso, G.Madonia, L'accertamento tecnico preventivo nel processo previdenziale (art. 445 bis c.p.c.) - in www.lavoroprevidenza.com – febbraio 2012 P. Morabito, La Cassazione e l'accertamento tecnico preventivo in materia previdenziale: un arresto criticabile, in Foro it., 2014, I, 1510 D. Mesiti, Manuale di diritto previdenziale, Giuffrè, Milano, 2014, p.400 ss.
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