L'evoluzione dell'inderogabilità del diritto del lavoro alla luce del mutamento della disciplina delle mansioni
09 Giugno 2016
Il connotato peculiare del diritto del lavoro è costituito dal ruolo che il lavoratore riveste all'interno del contratto e del rapporto di lavoro. Se è vero infatti che il prestatore di lavoro si pone per un verso quale parte contrattuale, è altresì vero che le sue energie psico-fisiche, costituiscono l'oggetto della prestazione lavorativa a fronte della retribuzione. Ben si comprendono allora le esigenze di protezione di un soggetto che impegna nel rapporto di lavoro la sua stessa persona, tanto che parte della dottrina (D'Antona) guarda al lavoratore in termini non già di contraente debole, bensì di non-contraente, poiché egli implica se stesso nel rapporto di lavoro e ne trae il sostentamento vitale. In questo senso altra autorevole dottrina (Ichino) ha messo in rilievo che l'inderogabilità delle norme giuslavoristiche trova giustificazione nello stesso dettato costituzionale. Invero la Costituzione, riconoscendo ruolo primario al lavoro quale fondamento della Repubblica italiana, lo configura nella duplice dimensione di diritto-dovere: diritto, perché attraverso il suo esercizio il soggetto realizza se stesso sviluppando pienamente la sua personalità, dovere poiché attraverso le sue prestazioni lavorative, il soggetto concorre al progresso materiale e spirituale della società. Il lavoro si pone quale sintesi del principio personalistico e di quello solidarista (Mortati), tanto da far affermare alla giurisprudenza costituzionale che “il cittadino, nel luogo di lavoro, non percepisce solo la retribuzione contro prestazione, ma afferma e sviluppa la sua personalità nel complesso dei rapporti e dei valori che il mondo del lavoro sa esprimere” (Corte Cost., sentenza. n. 60/1991). Già alla luce di queste prime riflessioni, emerge la peculiarità del diritto del lavoro rispetto al diritto civile dominato dal libero gioco dell'autonomia privata. Infatti questa branca del diritto, al fine di tutelare gli interessi del lavoratore, mira a garantire che la libertà negoziale non possa arrivare a comprimere i diritti fondamentali del lavoratore, intesi quale nucleo irrinunciabile. Ne consegue che, mentre la scelta da parte del datore di lavoro dell'an e del soggetto del contraente appare totalmente libera, lo stesso non può dirsi per le caratteristiche ed i requisiti che deve possedere il contratto al fine di tutelare la dignità del prestatore di lavoro. La tecnica normativa usata dal legislatore per assicurare al lavoratore quel minimo di tutela al di sotto della quale l'autonomia privata non può spingersi, è rappresentata dall'inderogabilità. Quest'ultima, assurgendo a meccanismo di protezione sociale attraverso il quale assume preminenza la fonte eteronoma nella regolamentazione dei rapporti tra privati, delinea i limiti al libero esplicarsi dell'autonomia negoziale, al fine di ricomporre la situazione di squilibrio contrattuale in ossequio al principio di uguaglianza-ragionevolezza di cui all' art. 3 della Costituzione Sebbene nel diritto del lavoro tradizionalmente si faccia risalire la consacrazione legislativa del principio dell'inderogabilità unidirezionale, o cd. in peius, all' art. 17, R.d.l. n. 1825 del 1924 L. n. 80/1898 che sanciva la nullità di qualsiasi patto teso ad eludere il pagamento delle indennità o a diminuirne la misura nella disciplina dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro.Tuttavia, proprio grazie all'interpretazione estensiva dell'art. 17 della L. n. 1825/1924 proposta dalla dottrina e dalla giurisprudenza dell'epoca si giunse a ricomprendere nei patti contrari, invalidi secondo la legge, anche i negozi contenenti una rinuncia di diritti da parte del lavoratore, anticipando così i contenuti del futuro art. 2113 c.c. Ulteriore principio in cui si sostanzia l'inderogabilità del diritto del lavoro è riscontrabile nella L. n. 604/1966 art. 2118 cod. civ . Statuto dei Lavoratori L. n. 300/1970 , che all'art. 18 artt. 4 Costituzione , rappresentano i cardini su cui si fonda la tutela legislativa contro il licenziamento illegittimo, contro le discriminazioni e contro una prassi retributiva non proporzionata alla quantità e qualità del lavoro svolto e neppure sufficiente ad assicurare un'esistenza libera e dignitosa.Negli ultimi anni sembra prospettarsi invece un'attenuazione al principio dell'inderogabilità, il cui sintomo è ravvisabile nel nuovo rapporto tra contratto nazionale e contrattazione decentrata. Fin dall'accordo interconfederale del 23 luglio 1993, la contrattazione nazionale ha svolto la funzione di garantire la certezza dei trattamenti economici e normativi comuni per tutti i lavoratori del settore ovunque impegnati nel territorio nazionale, riservando alla contrattazione decentrata la disciplina delle materie delegate, in tutto o in parte, dal contratto collettivo nazionale di categoria. L' art. 8 D.L. n. 138/2011 L. n. 148/2011 Corte Cost . n. 221/2012
Del resto, i dubbi di costituzionalità sorti in precedenza con riferimento all'art. 39 Cost . , che riserva l'efficacia erga omnes esclusivamente ai contratti collettivi conclusi dai sindacati registrati della medesima categoria, rappresentati unitariamente in proporzione ai loro iscritti, ed aventi uno statuto interno a base democratica, erano già stati superati dalla Corte Costituzionale con le sentenze nn. Cass. civ. 141/1980 eCass . civ. 697/1988 . A questo proposito la Consulta da un lato aveva evidenziato che, data l'inattuazione del precetto costituzionale, non è ipotizzabile un conflitto fra l'attività sindacale e l'attività legislativa, non essendo presente alcuna riserva legislativa e contrattuale a favore dei sindacati, dall'altro aveva ricordato che il legislatore non può comprimere la libertà di azione dei sindacati. Ne consegue che la mancata attuazione dell'art. 39 Cost . comporta la rilevanza dei contratti collettivi nell'ordinamento quali contratti di diritto comune, sottoscritti da organizzazioni sindacali non riconosciute, con natura privatistica ed efficacia inter partes, cioè relativamente agli iscritti alle associazioni stipulanti e a coloro che, esplicitamente o implicitamente, hanno prestato adesione al contratto, ma non fa venir meno il loro carattere paralegislativo, tanto che la Consulta da tempo ha riconosciuto alla contrattazione collettiva “la funzione di fonte regolatrice dei modi di attuazione della garanzia del salario sufficiente”, determinando una stretta connessione dell'art. 39 Cost . con l'art. 36 Cost . (Corte Costituzionale n. 124/1991 ).Alla luce di quanto esposto, ciò che preme rilevare è che l'introduzione dell'art. 8 L. n. 148/2011 , configura un'evidente deroga da parte della contrattazione aziendale, un tempo definita “integrativa”, all'inderogabilità della contrattazione nazionale, all'insegna di un ampliamento dell'autonomia negoziale che reca con sé i rischi di una tutela frammentata e relativa a scapito della certezza ed uniformità dei diritti del lavoratore.Invero, l'inderogabilità, quale caratteristica intrinseca della norma giuslavorista, ha la funzione di garantire la protezione giuridica ed economica del lavoratore, ed in questo senso si può affermare che costituisce la diretta applicazione dell' art. 3 Cost . Corte Cost ., sentenza n. 45/1965 Il mutamento della disciplina delle mansioni quale risvolto dell'evoluzione del principio di inderogabilità
Dopo aver delineato il quadro da cui emerge la portata dell'inderogabilità nel diritto del lavoro, appare opportuno concentrare l'attenzione su un settore specifico, tradizionalmente inteso come inderogabile, che recentemente ha subito un vistoso mutamento. Ci riferiamo alla disciplina delle mansioni di cui all' art. 2103 c.c. D.lgs. n. 81/2015 La novella legislativa, ridefinendo il concetto di equivalenza professionale, ha creato un vulnus nel precetto inderogabile, poiché, il concetto di equivalenza non viene parametrato con riferimento alle mansioni effettivamente svolte, bensì alle classificazioni riconducibili allo stesso livello e categoria di inquadramento contenuto nei contratti collettivi. Ne consegue l'ampliamento dello ius variandi del datore di lavoro, esercitabile non avendo riguardo al concreto contenuto professionale delle mansioni svolte, ma a quelle rientranti nella medesima classificazione dei contratti collettivi. Si assiste così ad un avvicinamento al sistema scelto per regolamentare le mansioni nel settore del pubblico impiego, laddove l' art. 52 del D.lgs. n. 165/2001 già disponeva che il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o alle mansioni equivalenti nell'ambito dell'area di inquadramento. A partire dall'art. 31, comma 1, del T.U. D.P.R. n. 3/1957 sugli impiegati civili dello Stato, il riferimento al concetto di inquadramento, quale meccanismo di identificazione dello status del dipendente, rappresenta il fulcro cui è ancorata la posizione del dipendente pubblico caratterizzata dal rapporto di servizio.Così, mentre l'inquadramento evoca un sistema di classificazione astratta delle qualifiche, meramente descrittive, su cui si fonda l'organizzazione del lavoro pubblico, il concetto di prestazione professionale rimanda invece al concreto svolgersi delle mansioni e, conseguentemente, al bagaglio di conoscenze ed esperienze acquisito nel tempo da ogni singolo lavoratore. A riguardo preme precisare che la giurisprudenza più recente, nonostante l'intervenuta modifica dell' art. 2103 c.c . Corte di Cassazione, sentenza n. 4090/2016 Giova sottolineare che il concetto di equivalenza, stante la sua portata relazionale, si riverbera altresì sull'individuazione delle mansioni inferiori. Invero, il nuovo art. 2103 c.c. , richiamando un concetto di equivalenza formale tra le precedenti e le nuove mansioni, - considerate equivalenti purchè rientranti nel medesimo livello di inquadramento, - comporta la possibilità di assegnare il lavoratore a mansioni sostanzialmente inferiori, di fatto demansionandolo. Il secondo comma del nuovoart. 2103 c.c. dispone che, in caso di modifica degli assetti organizzativi che incidono sulla posizione del lavoratore, il datore di lavoro può assegnare quest'ultimo a mansioni appartenenti ad un livello di inquadramento inferiore purchè rientranti nella medesima categoria legale. Dunque, esclusa l'incidenza sul trattamento retributivo, in virtù del principio della irriducibilità della retribuzione, e fermo restando l'inquadramento formale, il lavoratore potrà essere legittimamente adibito a mansioni corrispondenti al livello di inquadramento immediatamente inferiore a quello di appartenenza.Oltre alle considerazioni di cui sopra, è opportuno sottolineare che la disposizione che sembra scardinare del tutto l'inderogabilità dell'originario art. 2103 c.c. art. 2113, quarto comma, c.c . Alla luce di quanto esposto, sembra che la previsione della nullità di ogni patto contrario, posta a conclusione dell' art. 2103 c.c. , un tempo formula privilegiata per sancire l'inderogabilità della norma, oggi, lungi dal costituire una tutela per il lavoratore, sia degradata a clausola di stile, stante la pluralità delle deroghe apportate dal legislatore della novella.In conclusione
Il concetto di inderogabilità è ormai destinato a sopravvivere, quanto meno nel settore oggetto di analisi, se non nel diritto positivo, nel diritto vivente, quale interpretazione giuridica della norma offerta dalla Suprema Corte secondo la quale deve ribadirsi il principio di diritto secondo cui “la prescrizione posta dall' art. 2103 c.c Statuto dei lavoratori Corte di Cassazione, sentenza n. 3422/2016 Nello stesso senso la Suprema Corte, in un caso di demansionamento, quale unica alternativa al recesso datoriale, afferma che l' art. 2103 c.c. art. 7, comma 5, del d.lgs. n. 151/2001 art. 1, comma 7, della l. n. 68/1999 art. 3, comma 2, del D.lgs. n. 81/2015 Corte di Cassazione, sentenza n. 23698/2015
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