L’associato non può lamentarsi del “licenziamento” se il rapporto non ha i caratteri della subordinazione

La Redazione
12 Febbraio 2015

La distinzione tra il contratto di associazione in partecipazione e il contratto di lavoro subordinato è individuata dalla presenza di specifici elementi che caratterizzano le due forme contrattuali, ovvero l'obbligo di rendiconto e il rischio d'impresa per l'associato nel primo caso, il vincolo di subordinazione, esplicato nel potere gerarchico e disciplinare, nel secondo.

Cass.civ., sez. lavoro, 9 febbraio 2015, n. 2371, sent.

La distinzione tra il contratto di associazione in partecipazione e il contratto di lavoro subordinato è individuata dalla presenza di specifici elementi che caratterizzano le due forme contrattuali, ovvero l'obbligo di rendiconto e il rischio d'impresa per l'associato nel primo caso, il vincolo di subordinazione, esplicato nel potere gerarchico e disciplinare, nel secondo. Lo afferma la Corte di Cassazione con la sentenza n.2371/15, depositata il 9 febbraio.

Il caso. La Corte d'appello di Perugia riformava la sentenza del Tribunale di Orvieto rigettando la domanda volta ad accertare la natura di lavoro subordinato del rapporto tra l'attore ed una S.n.c., formalmente in essere come associazione in partecipazione, proposta al fine di qualificare il recesso della società come licenziamento illegittimo, con le conseguenze previste dalla legge.
La sentenza di secondo grado viene impugnata in Cassazione, lamentando il mancato riconoscimento della presunzione legale di subordinazione ove manchi l'effettiva partecipazione del lavoratore oppure una sua partecipazione agli utili.

I caratteri dell'associazione in partecipazione … La Suprema Corte non riscontra alcun vizio nell'argomentazione logico – giuridica che ha portato i giudici di merito ad escludere la natura subordinata del rapporto posto in essere dalle parti.
In particolare, la Corte ha individuato le caratteristiche tipiche dell'associazione in partecipazione, con apporto di prestazione lavorativa da parte dell'associato, nell'ampia autonomia nello svolgimento delle mansioni quotidiane del lavoratore, nella mancanza di un controllo sulla sua presenza da parte della società, nell'assenza di vincoli di orario, nella possibilità di avvalersi di terzi collaboratori, nell'assenza di un potere direttivo e disciplinare nonché nell'accesso alle scritture contabili ed infine nella presenza di un rischio d'impresa per l'associato.

… e del lavoro subordinato. La diversa fattispecie del rapporto di lavoro subordinato è caratterizzata invece dalla soggezione del lavoratore al vincolo di subordinazione del datore di lavoro, che si esteriorizza nel potere gerarchico e disciplinare. A ciò si aggiunga la considerazione circa le effettive modalità di esplicazione del potere organizzativo e direttivo della parte datoriale che non consiste in mere direttive di ordine generale, ma si concretizza in ordini specifici, reiterati e intrinsecamente inerenti alla posizione lavorativa, con effettivo inserimento del lavoratore nell'organizzazione aziendale.

L'irrilevanza delle disposizioni antielusive del d.lgs. 276/03. Un'altra considerazione dei giudici di legittimità riguarda l'irrilevanza, in tema di individuazione della natura del contratto, della qualificazione del rapporto ai fini dell'applicabilità dell'art. 86, comma 2, d.lgs. n. 276/03, norma peraltro abrogata dalla l. n. 92/12.
Tale disposizione prevede che, al fine di evitare fenomeni elusivi delle norme legali o contrattuali, in caso di rapporti di associazione in partecipazione resi senza effettiva partecipazione e adeguate erogazioni a favore del lavoratore, quest'ultimo ha diritto ai trattamenti economici più favorevolmente previsti dal corrispondente contratto collettivo.
La giurisprudenza ha già avuto modo di negare l'introduzione, ad opera della norma citata, di una forma di conversione legale del contratto di associazione in partecipazione in contratto a lavoro subordinato, avendo essa mere finalità antielusive e integrative della disciplina dell'associazione in partecipazione. Ne consegue che la verifica dei presupposti richiesti non comporta la prova della natura di lavoro subordinato del rapporto, il cui accertamento resta di competenza esclusiva del giudice di merito, presupponendo un più complesso tema di indagine circa le concrete modalità applicative del rapporto.
Considerando infine che la qualificazione formale del rapporto effettuata dalle parti, pur non essendo decisiva, impone al giudice un accertamento più rigoroso delle circostanze che caratterizzano in concreto il rapporto medesimo, la S.C. esclude qualunque profilo di sindacabilità della motivazione della sentenza di merito impugnata, la quale ha correttamente applicato i principi giurisprudenziali indicati.
Per questi motivi, il ricorso viene rigettato, con condanna del soccombente al pagamento delle spese processuali.

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