Eventi che sospendono il periodo di prova: la soluzione si trova nella contrattazione collettiva

La Redazione
03 Dicembre 2014

Il decorso di un periodo di prova determinato nella misura di un complessivo arco temporale, mentre non è sospeso da ipotesi di mancata prestazione lavorativa inerenti al normale svolgimento del rapporto, quali i riposi settimanali e le festività, deve ritenersi escluso in relazione ai giorni in cui la prestazione non si è verificata per eventi non prevedibili al momento della stipulazione del parto stesso, quali la malattia, l'infortunio, la gravidanza e il puerperio, i permessi, lo sciopero, la sospensione dell'attività del datore di lavoro e il godimento delle ferie annuali. Tale principio, tuttavia, trova applicazione solo in quanto non sia diversamente previsto dalla contrattazione collettiva, la quale può attribuire rilevanza sospensiva del periodo di prova a dati eventi che accadano durante il periodo medesimo.

Cass.civ., sez. lavoro, 2 dicembre 2014, n. 25482, sent.

Il decorso di un periodo di prova determinato nella misura di un complessivo arco temporale, mentre non è sospeso da ipotesi di mancata prestazione lavorativa inerenti al normale svolgimento del rapporto, quali i riposi settimanali e le festività, deve ritenersi escluso in relazione ai giorni in cui la prestazione non si è verificata per eventi non prevedibili al momento della stipulazione del parto stesso, quali la malattia, l'infortunio, la gravidanza e il puerperio, i permessi, lo sciopero, la sospensione dell'attività del datore di lavoro e il godimento delle ferie annuali. Tale principio, tuttavia, trova applicazione solo in quanto non sia diversamente previsto dalla contrattazione collettiva, la quale può attribuire rilevanza sospensiva del periodo di prova a dati eventi che accadano durante il periodo medesimo. Così si è espressa la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, nella sentenza n. 25482, depositata il 2 dicembre 2014.

Il caso. Con sentenza la Corte d'appello di Roma rigettava l'impugnazione proposta dalla lavoratrice contro la sentenza del Tribunale che aveva rigettato le domande da lei proposte, dirette ad accertare l'illegittima risoluzione del contratto di apprendistato, con condanna della società datrice di lavoro al pagamento delle retribuzioni.
Contro tale decisione la lavoratrice propone ricorso in Cassazione censurando violazioni e falsa applicazione di norme di diritto e della contrattazione collettiva.
Secondo il Collegio, il mezzo di impugnazione concernente l'errata interpretazione della norma del contratto collettivo, è infondato.
In linea di principio… Innanzitutto, premette la Corte, «la giurisprudenza di legittimità è prevalentemente orientata nel senso di ritenere che il decorso di un periodo di prova determinato nella misura di un complessivo arco temporale, mentre non è sospeso da ipotesi di mancata prestazione lavorativa inerenti al normale svolgimento del rapporto, quali i riposi settimanali e le festività, deve ritenersi escluso in relazione ai giorni in cui la prestazione non si è verificata per eventi non prevedibili al momento della stipulazione del parto stesso, quali la malattia, l'infortunio, la gravidanza e il puerperio, i permessi, lo sciopero, la sospensione dell'attività del datore di lavoro e il godimento delle ferie annuali. Quest'ultimo, data la sua funzione di consentire al lavoratore il recupero delle energie lavorative dopo un cospicuo periodo di attività, non si verifica di norma nel corso del periodo di prova »
…ma se la contrattazione collettiva prevede diversamente. Tale principio, tuttavia, trova applicazione solo in quanto non sia diversamente previsto dalla contrattazione collettiva, la quale può attribuire rilevanza sospensiva del periodo di prova a dati eventi che accadano durante il periodo medesimo.
Il Giudice di merito ha, dunque, fatto corretta applicazione di tale principio, procedendo ad una interpretazione della disciplina contrattuale, congiuntamente ad un accertamento di fatto, correttamente ed esaurientemente motivato, come tale non suscettibile di censura in sede di legittimità.
Inequivoco significato letterale. La Corte d'appello ha, infatti, ritenuto che le norme contrattuali succedutesi nel tempo, che fissano in 25 giorni di «effettiva presenza al lavoro» la durata del periodo di prova abbiano un inequivoco significato letterale, nel senso che il periodo deve essere calcolato utilizzando, quale unità di misura temporale, i giorni (e non le ore come sostenuto dalla ricorrente) e verificando che vi sia stata effettiva prestazione lavorativa, non potendosi «assolutamente tener conto dei periodi di assenza ovvero di mancata prestazione, a prescindere dalla loro causale.» Ha, quindi, aggiunto che i periodi di riposo settimanale e compensativi, in quanto in essi il lavoratore non ha prestato effettivamente attività di lavoro, non possano essere calcolati ai fini del periodo di prova.
Il dato letterale. Tale interpretazione, sostiene il Collegio, risponde ai canoni di ermeneutica contrattuale, avendo il Giudice del merito attribuito rilevanza prevalente al dato letterale e, in particolare, all'aggettivo “effettiva” riferito alla presenza al lavoro, contenuto nell'art. 54 del C.C.N.L. e ripreso anche nel contratto individuale di lavoro, che fa riferimento a «25 giorni di effettiva prestazione lavorativa». Si tratta, continua la Corte, di espressioni assolutamente equivalenti dal punto di vista letterale, sicché non si ravvisa alcun contrasto tra la formula contenuta nel contratto collettivo e quella riportata nel contratto individuale, che invece la ricorrente privilegia al fine di ritenere, erroneamente, che quest'ultima abbia inteso contemplare nella durata del periodo di prova anche i giorni di riposo.
La comune intenzione delle parti. Solo per motivi di completezza si ricorda quanto precisato dalla giurisprudenza della S. C. al riguardo, e cioè che «ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti, il primo e principale strumento è rappresentato dal senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate nel contratto, con la conseguente preclusione del ricorso ad altri criteri interpretativi, quando la comune volontà delle parti emerga in modo certo ed immediato dalle espressioni adoperate e sia talmente chiara da precludere la ricerca di una volontà diversa.»
Alla luce di queste considerazioni, la Corte ha rigettato il ricorso con la condanna della lavoratrice al pagamento delle spese processuali

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