Cass.civ., sez. lavoro, 1 dicembre 2014, n. 25380, sent.
La giusta causa di licenziamento è una nozione legale ed il giudice non è vincolato dalle previsioni del contratto collettivo. Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza n. 25380, depositata il 1° dicembre 2014.
Il caso. Il tribunale di Milano dichiarava illegittimo il licenziamento disciplinare per giusta causa intimato ad un lavoratore. La società si appellava e la Corte d'appello le dava ragione. Il lavoratore ricorreva quindi in Cassazione, contestando l'interpretazione fornita dai giudici di merito del c.c.n.l., in particolar modo gli articoli che prevedono le varie ipotesi che giustificano il licenziamento disciplinare.
Il giudice non è vincolato. La Corte di Cassazione ricorda, però, al ricorrente che la giusta causa di licenziamento è una nozione legale ed il giudice non è vincolato dalle previsioni del contratto collettivo. Di conseguenza, il giudice può ritenere la sussistenza della giusta causa per un grave inadempimento o per un grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile, qualora l'inadempimento o il grave comportamento abbiano fatto venir meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore. Allo stesso modo, il giudice può escludere che il comportamento del lavoratore costituisca di fatto una giusta causa, anche se qualificato come tale dal contratto collettivo, in considerazione delle circostanze concrete che lo hanno caratterizzato.
Questo apprezzamento di fatto non è sindacabile in Cassazione se congruamente motivato, come fatto dai giudici di merito, i quali avevano valutato assai gravi i comportamenti del lavoratore (lunga assenza ingiustificata, sequestro da parte delle forze dell'ordine del computer perché utilizzato per commettere reati).
Per questi motivi, i giudici di legittimità rigettano il ricorso.