Il nesso causale nelle malattie multifattoriali

29 Dicembre 2016

Le presunzioni legali della tabella delle malattie professionali si applicano anche alle malattie multifattoriali in essa previste.
Massima

Le presunzioni legali della tabella delle malattie professionali si applicano anche alle malattie multifattoriali in essa previste.

Il caso

Un lavoratore edile, esposto per 31 anni ad ambiente lavorativo inquinato dalla presenza di sostanze tossiche (amianto, idrocarburi aromatici policiclici, cemento, bitume), muore per neoplasia polmonare.

La domanda di rendita ai superstiti proposta dal coniuge, accolta dal Tribunale di Teramo, è respinta dalla Corte d'Appello di L'Aquila sulla base di nuova ctu medica, secondo cui la patologia tumorale causata da inveterata abitudine tabagica era sufficiente a provocare la morte, a fronte di una modesta pericolosità dell'ambiente lavorativo.

La questione

La sentenza ha inteso fare il punto su una questione controversa nella giurisprudenza della Sezione Lavoro, e cioè se le presunzioni di origine professionale contenute nel sistema tabellare si applichino anche alle malattie multifattoriali.

Le soluzioni giuridiche

La sentenza in commento ha cassato la sentenza impugnata, enunciando per il giudice del rinvio il seguente principio di diritto:

L'accertamento della inclusione nelle apposite tabelle sia della lavorazione che della malattia (purché insorta entro il periodo massimo di indennizzabilità) comporta l'applicabilità della presunzione di eziologia professionale della patologia sofferta dall'assicurato, con la conseguente insorgenza a carico dell'INAIL dell'onere di dare la prova di una diversa eziologia della malattia stessa ed, in particolare, della dipendenza dell'infermità - nel caso concreto - da una causa extralavorativa oppure del fatto che la lavorazione, cui il lavoratore è stato addetto, non ha avuto idoneità sufficiente a cagionare la malattia; per escludere la tutela assicurativa, dunque, deve risultare rigorosamente ed inequivocabilmente accertato che vi è stato l'intervento di un diverso fattore patogeno, il quale, da solo o in misura prevalente, ha cagionato o concorso a cagionare la tecnopatia.

Tuttavia questa regola, allorquando si tratti di una malattia ad eziologia multifattoriale (come quella tumorale), dev'essere temperata, nel senso che la prova del nesso causale non può consistere in semplici presunzioni desunte da ipotesi tecniche teoricamente possibili, ma deve consistere nella concreta e specifica dimostrazione (quanto meno in via di probabilità) della idoneità della esposizione al rischio a causare l'evento morboso, dovendosi, peraltro, ritenere che, nel caso in cui si tratti di forme tumorali che hanno o possono avere - secondo la scienza medica - un'origine professionale, la presunzione legale quanto a tale origine torni ad operare, con la conseguenza che l'istituto assicuratore è onerato di dare la prova contraria, la quale può consistere solo nella dimostrazione che la patologia tumorale, per la sua rapida evolutività, non è ricollegabile all'esposizione a rischio, in quanto quest'ultima sia cessata da lungo tempo”.

Il tema è molto rilevante, perché nella epidemiologia delle malattie professionali si è passati - storicamente - da un periodo più antico in cui prevalevano le malattie patognomoniche (che si manifestano, cioè, con sintomi caratteristici, esclusivi di esse e non di altre, sì da consentirne una diagnosi certa) a quello attuale, in cui prevalgono le malattie cronico-degenerative e neoplastiche a genesi multifattoriale, provocate cioé da fattori molteplici, professionali e non professionali, che possono concorrere, in diversa misura, a generare la malattia (OSSICINI, Il nesso causale nelle malattie multifattoriali, relazione al convegno in Cassazione del 12 ottobre 2016, Infortuni sul lavoro e malattie professionali: le questioni aperte nei recenti orientamenti di legittimità).

Tale sviluppo fenomenologico risulta con grande chiarezza dalla circolare INAIL 16 febbraio 2006, secondo cui “le patologie denunciate all'Istituto come malattie professionali dotate di una patognomonicità che consenta una attribuzione di eziologia professionale con criteri di assoluta certezza scientifica costituiscono ormai una limitata casistica.

Attualmente prevalgono malattie croniche degenerative e malattie neoplastiche e più in generale a genesi multifattoriale, riconducibili a fattori di rischi ubiquitari, ai quali si può essere esposti anche al di fuori degli ambienti di lavoro, oppure a fattori genetici”.

E questo parere scientifico, già di per sé autorevole per la sua fonte (è significativo che la circolare sia a firma congiunta della Sovrintendenza medica generale, dell'Avvocatura Generale e della Direzione centrale prestazioni, a sottolineare la importanza e la condivisione del tema), è confermato dalla Commissione medica incaricata di compilare le liste di cui all'art. 139 T.U., secondo cui l'assoluta certezza di origine non può più essere attribuita ad alcuna malattia professionale, sicché si deve ormai parlare di matrice causale.

Come è noto, tutti i sistemi nazionali di tutela delle malattie professionali dei Paesi europei a modello bismarkiano sono sorti e conservano il sistema presuntivo. Nel nostro Paese esso è inscritto nell'art. 1, R.D. 13 maggio 1929, n. 928, istitutivo dell' assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali (attualmente art. 3, T.U. n. 1124/1965) il quale, nel limitare la tutela alle sole malattie e alle sole lavorazioni indicate in apposita tabella, con ciò stesso ne presume la pericolosità ed esonera il lavoratore dalla prova relativa.

Tale presunzione è assoluta per quanto riguarda la lesività dell'agente patogeno e della lavorazione tabellata; sicché non è ammessa la prova sull'efficacia lesiva dell'agente tabellato, se non nei limiti stabiliti dalla stessa tabella, come ad es. per l'ipoacusia.

La presunzione è relativa per quanto riguarda il nesso causale, il che comporta una inversione degli oneri probatori di diritto comune; è l'INAIL onerato di provare, ove esista, un diverso agente lesivo, ad esempio che il cancro al polmone è stato provocato dal fumo di sigaretta e non dall'amianto.

Con due precisazioni (DE MATTEIS, Infortuni sul lavoro e malattie professionali, Milano 2016, p. 507):

  • la causa extraprofessionale deve risultare esclusiva, altrimenti si ricade nel principio della equivalenza causale (che informa il sistema di tutela infortunistica) dove trova diretta applicazione la regola contenuta nell'art. 41 c.p. (giur. consolidata, da ultimo Cass. sez. lav., 19 giugno 2014, n. 13954; in precedenza Cass. sez. lav., 17 giugno 2011, n. 13361; Cass. sez. lav., 4 giugno 2008, n. 14770; Cass. sez. lav., 18 luglio 2005, n. 15107);
  • la prova contraria ad una presunzione legale relativa non può essere fornita con prova presuntiva (ad esempio dal fatto che uno sia forte fumatore non si può presumere che questa sia la causa esclusiva).

Tale sistema presuntivo tabellare è stato poi integrato dalla Corte Costituzionale (sent. n. 179/1988), con la possibilità per il lavoratore di provare l'origine professionale di malattia non tabellata, con onere probatorio a suo carico, secondo i normali criteri privatistici sulla distribuzione dell'onere della prova.

Sicché, negare che la presunzione tabellare valga anche per le malattie multifattoriali, che costituiscono oggi la grande maggioranza, significa elidere alla radice il regime presuntivo e ritornare al regime probatorio di diritto comune anteriore all'introduzione, nel 1935, del sistema presuntivo.

Ciò posto, vediamo quali sono i due orientamenti.

Secondo un primo orientamento, risalente nel tempo (le prime enunciazioni si trovano in Cass. sez. lav., 24 aprile 1987, n. 4020 e Cass. sez. lav., 12 ottobre 1987, n. 7544, in tema di broncopneumopatie in agricoltura) ma ricorrente anche di recente, “la presunzione legale circa la eziologia professionale delle malattie contratte nell'esercizio delle lavorazioni morbigene investe soltanto il nesso tra la malattia tabellata e le relative specificate cause morbigene (anch'esse tabellate) e non può esplicare la sua efficacia nell'ipotesi di malattia ad eziologia multifattoriale, come nei casi di tumore (ex plurimis Cass. sez. lav., 20 maggio 1991, n. 5638; Cass. sez. lav., 6 novembre 1993, n. 10970; Cass. sez. lav., 2 settembre 1995, n. 9277; Cass. sez. lav., 5 ottobre 1998, n. 9886; Cass. sez. lav., 4 giugno 2002, n. 8108; da ultimo, Cass. sez. lav., 18 settembre 2013, n. 21360; Cass. sez. lav., 2014, n. 12364, non massimata).

Motivazione di tale indirizzo: il nesso di causalità non può essere oggetto di semplici presunzioni tratte da ipotesi tecniche teoricamente possibili, ma necessita di concreta e specifica dimostrazione - quanto meno in via di probabilità - in relazione alla concreta esposizione al rischio ambientale e alla sua idoneità causale alla determinazione dell'evento morboso.

Secondo tale orientamento, il regime probatorio delle malattie multifattoriali è quello proprio delle malattie non tabellate (Cass. sez. lav., 12 ottobre 2012, n. 17438, cit. infra).

La dottrina ha denunciato i diversi equivoci insiti nelle enunciazioni che precedono.

In primo luogo: è esatta l'affermazione che il lavoratore deve sempre provare l'esposizione al rischio, ma se questo è tabellato, scattano due conseguenze:

  1. non si tratta più di ipotesi teoricamente possibile, ma di valutazione legale fatta ex ante dal legislatore, sulla base dei suggerimenti della scienza, sulla pericolosità di una data lavorazione e sulla opportunità di introdurre la relativa presunzione legale;
  2. se concorre altra causa non professionale, si applica il principio di equivalenza causale (Cass. sez. lav., 26 marzo 2015, n. 6105; Cass. sez. lav., 11 novembre 2014, n. 23990: “Nella materia degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali trova diretta applicazione la regola contenuta nell'art. 41 c.p., per cui il rapporto causale tra evento e danno è regolato dal principio dell'equivalenza delle condizioni, secondo il quale va riconosciuta efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, a determinare l'evento, sicché solo qualora possa ritenersi con certezza che l'intervento di un fattore estraneo all'attività lavorativa sia stato di per sé sufficiente a produrre la infermità deve escludersi l'esistenza del nesso eziologico richiesto dalla legge).

In secondo luogo, esse non trovano riscontro testuale nella tabella, la quale al contrario prevede diverse ipotesi di malattie multifattoriali.

La tabella attualmente vigente (D.M. 9 aprile 2008), prevede (ad esempio) alle voci:

  • 33: tumore del polmone e tumore della vescica causato dalla esposizione a idrocarburi policiclici aromatici;
  • 39: tumore della vescica, causato da lavorazioni che espongono alla azione delle amine aromatiche cancerogene comprese: benzidina, 4- aminodifenile, beta-naftilamina, e alla produzione ed impiego di auramina, di magenta, di safranina;
  • 47: tumori del polmone, per lavorazioni che espongono a bisclorometiletere e clorometiletere, nonché tumori del sistema emolinfopoietico, per lavorazioni che espongono ad ossido di etilene;
  • 57: mesotelioma per lavorazioni che espongono all'azione delle fibre di asbesto.

Orbene, se un addetto ad una di queste lavorazioni ha un tumore all'organo designato, non vi può essere dubbio che scatti la presunzione tabellare. Se egli è anche fumatore, può concorrere una componente patogenetica costituita dal fumo della sigaretta; si tratta quindi di una malattia multifattoriale. La causa concorrente non professionale rileva come concausa ed è soggetta al principio di equivalenza causale: non rileva ai fini della tutela indennitaria ma può rilevare al fine di ridurre il danno civilistico (Cass. sez. lav., 26 marzo 2015, n. 6105 cit., che ha cassato la sentenza di merito che, con giudizio probabilistico, aveva ritenuto il tabagismo prevalente in punto di efficacia causale della malattia neoplastica polmonare, senza dare rilievo alla esposizione lavorativa ai fumi di fonderia di fusione dell'acciaio).

In terzo luogo tale orientamento, a volte effetto di massimazione tralaticia, risulta enunciato per diritti ed in fattispecie che esulano dal sistema presuntivo.

Limitando l'analisi solo alle sentenze più recenti di tale orientamento:

  • Cass. sez. lav., 18 settembre 2013, n. 21360 (non massimata): riguarda una domanda di risarcimento di danno biologico rivolta nei confronti del datore di lavoro, per una patologia derivante dalla esposizione a sostanze coloranti asseritamente contenenti amine. Non veniva pertanto in questione il sistema presuntivo di tutela indennitaria, bensì le normali regole probatorie civilistiche. La Corte d' Appello aveva accolto la domanda presumendo dalla circostanza che un certo colorante contenente amine era molto diffuso nel Paese, che lo stesso fosse in uso anche nella fabbrica in questione. La sentenza è stata cassata per insufficienza della prova sull'uso di tali vernici nelle lavorazioni cui era esposto il richiedente, e cioè per mancata prova dell'esposizione a rischio.
  • Cass. 12 ottobre 2012, n. 17438 (in Riv.it.dir.lav. 2013, II, 746, con nota di ROTA, Sulla natura professionale del tumore contratto per overuse del cellulare in ambito lavorativo): ha per oggetto una fattispecie di malattia non tabellata (tumore al nervo cranico trigemino) provocata dall'uso del cellulare, sicché l'inciso “come pure nelle malattie multifattoriali” costituisce un obiter dictum irrilevante nella economia decisionale.
  • Cass. sez. lav., 13 luglio 2011, n. 15400: ha confermato la sentenza di merito che aveva respinto la domanda di rendita per tumore alla vescica contratta da un verniciatore asseritamente per uso di coloranti contenenti amine, per mancata prova dell'esposizione al rischio.
  • Cass. sez. lav., 5 agosto 2010, n. 18270: riguarda un tumore alla laringe, che veniva allegato essere prodotto da esposizione ad asbesto, e che la Corte ha rilevato costituire malattia non tabellata; la domanda è stata respinta perché non provato un elevato grado di probabilità. Decisione ineccepibile, perché la tabella nell'elenco delle malattie causate da asbesto non comprende il tumore alla laringe.

Infatti, in caso di agente patogeno tabellato suscettibile di causare una specifica malattia su un individuato organo bersaglio (e non altre della stessa famiglia), la presunzione legale di origine professionale riguarda solo le patologie delle quali la scienza medica abbia accertato in generale il nesso causale con l'agente patogeno tabellato.

In sostanza, nell'orientamento sconfessato dalla sentenza in commento si annida un equivoco tra due nozioni eterogenee:

  • da una parte, il concetto giuridico di malattia non tabellata (che sta ad indicare le malattie non comprese nelle tabelle all. 4 e 5, per le quali non vale il regime presuntivo del sistema di tutela infortunistica);
  • dall'altra, la nozione medica di malattia a genesi multifattoriale (sopra cennata), che può essere qualsiasi malattia tabellata quando concorrano con i fattori tabellati altri extra professionali.

L'equivoco nasce, forse, dalla struttura della tabella, che è stata storicamente ispirata a due criteri diretti a soddisfare due distinte esigenze:

  1. quella originaria, di individuare con la massima precisione il rischio assicurato (e cioè la lavorazione protetta, nonché la malattia professionale) al fine di rendere più pronta l'operatività della presunzione legale di origine professionale;
  2. quella opposta, di una previsione più lata possibile che consenta la tutela dinamica delle malattie professionali originate da nuovi processi produttivi e nuove sostanze nocive.

In pratica, nella tabella ci sono due regimi:

  1. quello delle malattie nosologicamente definite, per le quali la presunzione legale di origine professionale scatta in modo immediato;
  2. quello delle altre malattie, per le quali la colonna 1 della tabella non indica la malattia o la sua manifestazione, bensì l'agente patogeno, per cui rimane necessario accertare caso per caso due elementi:
    a) se nel processo produttivo è presente l'agente patogeno;
    b) se la malattia denunciata rientri in una categoria per la quale la scienza medica riconosce un rapporto causale con l'agente patogeno indicato nella prima colonna.

La maggior parte delle voci della tabella contiene entrambe le previsioni, quella nosologicamente definita e la formula di chiusura aperta.

Prendiamo, ad esempio, la voce di tabella 39 (malattie causate da amine aromatiche e derivati): dopo avere indicato, alle lettere a) b) e c), delle malattie nosologicamente definite (come dermatite da contatto, asma bronchiale, tumore alla vescica), alla lettera d), con formula di chiusura, comprende le “altre malattie causate dalla esposizione professionale ad amine aromatiche e derivati”; analogamente, tra le lavorazioni tabellate comprende tutte quelle che espongono all'azione di ammine aromatiche e derivati.

Ed in effetti, è in relazione a tali previsioni a formula aperta (specie per agenti patogeni di carattere chimico) che la giurisprudenza sulle malattie multifattoriali si è formata.

Non è, dunque, un problema di malattia multifattoriale, bensì di esposizione ad un rischio tabellato non precisamente definito, problema che sussiste per tutte le previsioni della tabella a carattere volutamente generico o aperto, e la cui soluzione è identica per le malattie monofattoriali e multifattoriali (nello stesso senso: SENESE S., Esposizione a rischio e nesso di causalità nelle malattie a genesi multifattoriale, relazione al Seminario annuale degli Avvocati dell'Inail ottobre 2006, in Riv.Inf.mal.prof. 2007, I, 1).

Le considerazioni che precedono sono alla base del secondo orientamento, egregiamente esposto da Cass. sez. lav., 26 luglio 2004, n. 14023, la cui massima è stata indicata dalla sentenza in commento come principio di diritto per il giudice del rinvio. Si trattava di un autotrasportatore di prodotti petroliferi - gasolio e benzina - esposto per lungo tempo all'azione di idrocarburi - benzene e betanaftilamina (agenti tabellati), il quale aveva contratto neoplasia vescicale. La domanda era stata respinta in primo e secondo grado sulla base di una ctu che aveva espresso un giudizio dubitativo sul nesso causale. La Corte ha cassato la sentenza di Appello per violazione di legge, perché quando si tratti di forme tumorali che hanno o possono avere (secondo la scienza medica) un'origine professionale, opera la presunzione legale quanto a tale origine; è onere, in tal caso, dell'INAIL fornire la prova, di assoluta certezza, dell'origine extraprofessionale della malattia.

Osservazioni

La sentenza in commento dice di più di quanto traspaia dalla massima, che ubbidisce ad intuibili esigenze di continuità e di composizione (anche lessicale) delle diverse anime esistenti nella giurisprudenza e nel collegio.

Mentre la massima, ripresa da Cass. sez. lav., 26 luglio 2004, n. 14023, parla di fattore patogeno non professionale, il quale da solo o in misura prevalente, ha cagionato o concorso a cagionare la tecnopatia, la sentenza sottolinea con rigore, in motivazione, che per escludere la operatività della presunzione tabellare occorre che il fattore non professionale sia causa esclusiva della malattia.

Ciò per due vie:

  • con l'affermazione secca di tale principio (“fattore causale dotato di efficacia esclusiva”;
  • con la negazione che la modesta efficacia del fattore professionale sia sufficiente ad escludere la operatività del principio di equivalenza causale, il che risulta in continuità con la giurisprudenza precedente (Cass. sez. lav., 12 ottobre 1987, n. 7551, Cass. sez. lav., 8 ottobre 2007, n. 21021 secondo cui non si può dedurre la insussistenza del nesso di causalità dalla modesta entità della malattia accertata).

C'è di più.

Il principio di cui sopra attiene al nesso causale ed al principio di equivalenza, non alla distribuzione dell'onere della prova; pertanto, esso si applica alle malattie tabellate, nonché, una volta che il lavoratore abbia assolto il proprio onere probatorio, anche a quelle non tabellate, di cui la scienza medica abbia accertato con un grado di probabilità qualificata l' origine professionale. Va salutato pertanto con favore il ripristino della corretta interpretazione dell'art. 3, T.U. n. 1124/1965.

La sentenza - benché emessa da sezione semplice - ha la struttura, l'allure motivazionale e la terminologia di una sentenza delle Sezioni Unite, in quanto ricapitola i diversi orientamenti sul tema e intende “dare continuità” a quello che ritiene corretto.

Il merito di tale puntualizzazione (a parte la improprietà nel richiamo dei precedenti di Cass. sez. lav., 20 maggio 1991, n. 5638 ed altre del medesimo gruppo), di cui si avvertiva la necessità, va certamente al Collegio decidente e all'Estensore, ma anche alla nuova organizzazione della Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, realizzata dall'attuale Presidente titolare. Con la suddivisione in tre sottosezioni, una per il rapporto di lavoro privato, una per il rapporto di lavoro pubblico ed una per il settore della previdenza e assistenza sociale, si realizza in via amministrativa una struttura analoga a quella dei Senaten (collegi a composizione e competenza fissa) della Bundesarbeitgericht (Corte federale per il lavoro) e della Bundessozialgericht (Corte federale per il sociale, art. 95 della Grundgesetz-legge fondamentale o Carta Costituzionale tedesca) che nell'insieme corrispondono alla sezione lavoro della nostra Cassazione (nei principali Paesi europei sono separate le giurisdizioni del lavoro e quella della previdenza).

Nella nuova organizzazione, i consiglieri ruotano nei vari collegi nell'ambito della medesima sottosezione; in tal modo, pur conservando una contenuta pluralità di voci, aumenta la loro specializzazione e professionalità, in quanto operano nell'ambito di specifici rami del diritto, si riduce il rischio di contrasti di giurisprudenza, ed aumenta il tasso di continuità e prevedibilità degli indirizzi giurisprudenziali, il che costituisce la principale funzione, quella nomofilattica, della Corte.

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