Riflessioni sul c.d. tempo-tuta

22 Settembre 2016

Il c.d. tempo-tuta, cioè il tempo impiegato per indossare e dismettere la divisa da lavoro, è una mera attività preparatoria oppure rientra a tutti gli effetti nell'orario lavorativo da retribuire? È evidente quanto la questione sia rilevante per le ricadute economiche nei confronti dei lavoratori e dei datori di lavoro: per tale ragione il contenzioso in materia è piuttosto elevato, dando vita a una variegata gamma di pronunce di merito e di legittimità, non sempre concordanti tra loro. Il presente focus illustra i principali indici giurisprudenziali e propone una guida all'approfondimento.
Premessa

Il c.d. tempo-tuta, cioè il tempo impiegato per indossare e dismettere la divisa da lavoro, è una mera attività preparatoria – e, pertanto, rientrante tra gli atti di diligenza di cui all'

art. 2104 c.c.

- oppure rientra a tutti gli effetti nell'orario lavorativo da retribuire?

Per fare un po' di ordine è necessario partire dal dato normativo: cosa si intende per orario di lavoro?

L'

art. 3 R.D.L. 15 marzo 1923, n. 692

, definisce lavoro effettivo “ogni lavoro che richieda un'applicazione assidua e continuativa”, ma tale espressione non sembra sufficiente a fugare tutti i dubbi al riguardo.

L'

art. 1, comma 2 lett. a),

D. Lgs. 8 aprile 2003, n. 66

, circoscrive il campo dell'orario di lavoro a “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell'esercizio della sua attività o delle sue funzioni”.

Alla luce della normativa vigente, dunque, il discrimen tra ciò che è orario di lavoro e ciò che non lo è consiste

nell'eterodirezione, cioè nell'assoggettamento del lavoratore all'esercizio del potere organizzativo, direttivo e di controllo da parte del datore di lavoro, conformemente a quanto già individuato dal consolidato orientamento giurisprudenziale e dottrinale in materia. Fin dalla pronuncia Cass. civ. 14 aprile 1998, n. 3763 infatti, la Corte di Cassazione afferma che il tempo-tuta rientra nell'orario effettivo di lavoro “ove tale operazione sia eterodiretta dal datore di lavoro, che ne disciplina il tempo e il luogo di esecuzione” (in tal senso, vedi anche

Cass. 7 giugno 2012, n. 9215

;

Cass. 13 aprile 2015, n. 7396

;

Cass. 26 gennaio 2016, n. 1352

).

Eterodirezione e orario di lavoro

Se per qualificare il tempo-tuta come orario di lavoro è indispensabile la soggezione del lavoratore ai poteri del datore, quali sono gli indici per individuare l'eterodirezione nella fase della vestizione/dismissione dell'abito da lavoro?

Numerose e variegate sono le pronunce al riguardo.

La

Corte di Cassazione, nella

sentenza

21 ottobre 2003, n. 15734

, ne delinea le principali caratteristiche: “occorre far riferimento alla disciplina contrattuale specifica: in particolare, ove sia data facoltà al lavoratore di scegliere il tempo e il luogo dove indossare la divisa stessa (anche presso la propria abitazione, prima di recarsi al lavoro) la relativa attività fa parte degli atti di diligenza preparatoria allo svolgimento dell'attività lavorativa, e come tale non deve essere retribuita, mentre se tale operazione è diretta dal datore di lavoro, che ne disciplina il tempo e il luogo di esecuzione, rientra nel lavoro effettivo e di conseguenza il tempo necessario deve essere retribuito”.

La giurisprudenza più recente afferma che “affinché un lavoratore possa essere considerato a disposizione del proprio datore di lavoro, egli deve essere posto in una situazione nella quale è obbligato giuridicamente ad eseguire le istruzioni del proprio datore di lavoro e ad esercitare la propria attività per il medesimo” (

Cass. 26 gennaio 2016, n. 1352

).

In base all'orientamento maggioritario, un indice rilevante dell'eterodirezione consiste nell'obbligo di indossare la tuta all'interno del luogo di lavoro (Trib. Napoli 9 dicembre 1999; Corte App. Napoli 10 aprile 2010; Trib. Milano 23 febbraio 2011).

A maggior ragione, la predisposizione all'interno dell'ambiente di lavoro di appositi spogliatoi risulta una conferma dell'assoggettamento del lavoratore ai poteri datoriali anche nella fase preliminare della vestizione, come evidenziato da alcune pronunce di merito (Trib. Milano 6 giugno 2006; Trib. Gorizia 19 luglio 2012; Trib. Taranto 20 dicembre 2012). Di avviso contrario, però, è il Tribunale di Milano nella pronuncia dell'8 ottobre 2010: l'obbligo di indossare la tuta presso il luogo di lavoro sarebbe soltanto un'imposizione derivante dalla normativa legale in materia di salute e sicurezza, diretta ad assicurare la salubrità delle sostanze trattate, e, pertanto, non costituirebbe l'esercizio del potere datoriale. Lo stesso Tribunale Milano il 15 aprile 2011, afferma come non sia il datore di lavoro ad imporre ai propri dipendenti di indossare la divisa, in quanto tale obbligo risponde ad un'esigenza - di ordine pubblico - di protezione della salute dei lavoratori. E la Corte di Cassazione, con la sentenza del 21 ottobre 2003, assimila addirittura il tempo-tuta ad “una serie di obblighi comportamentali di matrice culturale e sociale”.

Una parte della giurisprudenza indica come elemento di eterodirezione la scelta imprenditoriale di individuare sia l'ubicazione degli spogliatoi e dei reparti sia gli eventuali mezzi per raggiungerli (Trib. Milano 6 giugno 2006;

Trib. Latina 1 marzo 2011

; Trib. Genova 27 settembre 2011). Sul punto è interessante la soluzione prospettata dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali nella risposta all'interpello n. 13/2010 Ministero del Lavoro, promosso dall'Associazione Nazionale Costruttori Edili: “ove l'accesso al punto di raccolta” per prelevare e riporre la divisa e i dispositivi di protezione individuale “costituisca una mera comodità per il lavoratore, l'orario di lavoro decorre dal momento in cui il lavoratore è a disposizione del datore di lavoro e nell'esercizio della sua attività presso il cantiere. Viceversa, se è richiesto al lavoratore di recarsi al punto di raccolta per utilizzare un particolare mezzo di trasporto o per reperire la strumentazione necessaria o, comunque, di porsi a disposizione del datore di lavoro presso detto punto raccolta entro un determinato momento, è a partire da quest'ultimo che deve computarsi l'orario di lavoro”.

Un altro indice di eterodirezione può essere ravvisato nella rilevazione - tramite badge elettronico, cartellini marca-tempo o tornelli – dell'ingresso del lavoratore all'interno dello stabilimento: fin da tale momento il dipendente risulterebbe a disposizione del datore di lavoro (

Cass. 26 marzo 2008, n. 7881

;

Cass. 21 aprile 2008, n. 10313

; Trib. Milano 10 giugno 1995;

Trib. Milano 23 novembre 2012

).

La giurisprudenza comunitaria riconosce come periodo di servizio quello in cui lavoratore sia obbligato ad essere fisicamente presente sul luogo di lavoro (Corte di Giustizia 3 ottobre 2000 C-

303/98

; Corte di Giustizia 9 settembre 2003 C-

151/02

; Corte di Giustizia 4 marzo 2011 C-

258/10

). In tale ottica, la nozione di orario di lavoro non comprende solo la prestazione in senso stretto, ma “un concetto più flessibile ed esteso, che sicuramente integra operazioni strettamente funzionali alla prestazione” e a nulla rileva che “l'impresa non abbia adottato prescrizioni sui tempi entro i quali compiere tali operazioni, perché avrebbe potuto dare direttive sul punto”, come più volte sostenuto in via giurisprudenziale (

Cass. 7 f

eb

braio 2012 nn. 1697

-

Cass. 7 f

eb

braio 2012 n.

1703

e

Cass.

8 f

ebbraio 2012 n. 1817

-

Cass.

8 f

ebbraio 2012

, n.

1841

).

Ovviamente gli elementi utili a formare il convincimento del giudice sulla sussistenza dell'eterodirezione devono essere diligentemente e tempestivamente allegati dai lavoratori ricorrenti (sul punto, vd.

Cass. 25 settembre 2012, n. 16237

).

Osservazioni conclusive: criticità e prospettive

L'accertamento degli indici di eterodirezione e il calcolo del tempo impiegato per le attività di spostamento e di vestizione/dismissione della divisa è particolarmente complicato per quei lavoratori (ad esempio, tecnici per l'installazione e la manutenzione di impianti) che svolgono la propria prestazione lavorativa in assenza di un luogo fisso, ma presso i siti – di volta in volta individuati e comunicati dal datore di lavoro – da cui proviene la work request.

Sul punto è recentemente intervenuta la Corte di Giustizia UE, affermando che “il tempo di spostamento impiegato da tali lavoratori per raggiungere dal proprio domicilio i luoghi in cui si trovano il primo e l'ultimo cliente indicati dal loro datore di lavoro costituisce orario di lavoro ai sensi della

Direttiva

2003/88/CE

, in quanto sussistono nel caso gli elementi costitutivi della nozione di “orario di lavoro” enucleati dall'articolo 2, punto 1, della Direttiva 2003/88” (

Corte Giust. 10 s

ettembre 2015,

C- 266/14

). Secondo la Corte comunitaria, tali lavoratori sono nell'esercizio delle proprie funzioni durante l'intera durata degli spostamenti, che costituiscono “lo strumento necessario per l'esecuzione delle loro prestazioni tecniche nel luogo in cui si trovano i clienti”. Inoltre, durante i tragitti i lavoratori sono sottoposti alle istruzioni del datore di lavoro, che potrebbe anche cambiare l'ordine dei clienti, annullare o aggiungere un appuntamento.

Una volta accertata la sussistenza dell'eterodirezione, il tempo impiegato per indossare e dismettere la divisa viene considerato a tutti gli effetti orario di lavoro e come tale deve essere retribuito (

Cass. S.U. 16 m

aggio 2013,

n. 11828

).

Non è semplice, però, la quantificazione del tempo-tuta e il contrasto giurisprudenziale sull'argomento ne è la conferma. Secondo il Tribunale di Gorizia, nella pronuncia 19 luglio 2012, “il riconoscimento della retribuibilità del tempo impiegato non può essere rimesso ad una mera scelta discrezionale del lavoratore, ma deve essere parametrato al tempo strettamente indispensabile per eseguire le operazioni in questione secondo la normale diligenza”. Inoltre, la retribuzione deve essere corrisposta soltanto per le giornate di effettiva prestazione lavorativa (sul punto, vd. anche Trib. Torino 29 novembre 1999;

Trib. Latina 1 marzo 2011

; Trib. Milano 29 settembre 2011; Trib. Milano 13 dicembre 2011).

Di diverso avviso è la Corte di Cassazione, che, nella sentenza

Cass. civ.

10 giugno 2014, n. 13010

, afferma come “la determinazione della durata del tempo in questione (e conseguentemente della correlativa controprestazione retributiva) è stata operata in via equitativa e con prudente apprezzamento, stante la difficoltà di accertare con precisione il quantum della domanda”. Analogamente, il Tribunale di Taranto, nella pronuncia 20 dicembre 2012, riconosce per il tempo-tuta soltanto una somma forfettaria, svincolata sia dalla quantificazione del tempo impiegato sia dalle giornate di effettiva prestazione lavorativa.

Un ulteriore profilo di indagine può essere offerto dal sempre più frequente utilizzo di strumenti di lavoro che implicano controlli tecnologici a distanza: basti pensare, oltre ai sistemi elettronici di rilevazione delle presenze, alla geolocalizzazione del lavoratore attraverso telefonia mobile o dispositivi elettronici presenti nell'autovettura aziendale, ecc…

Nel calcolo dell'effettivo tempo impiegato per queste operazioni possono essere utilizzati i controlli a distanza sul(tempo del)la prestazione conseguenti all'impiego di tali congegni?

La risposta non può che essere affermativa, visto che il terzo comma del nuovo

art. 4

(

Stat. lav

.) - così come modificato dall'

art. 23, comma 1, d.lgs. 14 settembre 2015, n. 151

– prevede espressamente che “le informazioni raccolte sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro”.

Per gli strumenti di lavoro (come, ad esempio, telefonini, pc e autovetture aziendali) e per i sistemi di registrazione degli accessi e delle presenze non è richiesto alcun accordo sindacale o autorizzazione da parte della Direzione Territoriale del Lavoro (vd.

art. 4, comma 2,

Stat. lav

.), ma la condizione necessaria e sufficiente è “che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d'uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli”, nel rispetto di quanto previsto dal

D. Lgs. 30 giugno 2003, n. 196

sulla riservatezza dei dati personali.

Guida all'Approfondimento
  • A. Bellavista, Il nuovo

    art. 4 dello Statuto dei lavoratori

    , in G. Zilio Grandi - M. Biasi (a cura di), Commentario breve alla riforma “Jobs Act”, Padova, 2016, p. 717;

  • G. Fontana, La nozione di orario di lavoro e la questione della retribuibilità del tempo tuta, in Arg. Dir. Lav., 2012, 3, p. 743;

  • P. Ichino – L. Valente, L'orario di lavoro e i riposi, Giuffrè, Milano, 2012;

  • P. Lambertucci, Potere di controllo del datore di lavoro e tutela della riservatezza del lavoratore: i controlli “a distanza” tra attualità della disciplina statutaria, promozione della contrattazione di prossimità e legge delega del 2014, in WP Csdle “Massimo D'Antona”. IT, 2015, n. 255;

  • L. Marinelli, Retribuibilità del tempo tuta, del tempo tragitto e delle spese per il lavaggio delle tute di lavoro, in Riv. it. dir. lav., 2013, III, p. 624;

  • M. Russo, Gli indici rilevatori dell'eterodirezione nel tempo-tuta e nel tempo-tragitto, in Riv. giur. lav., 2013, III, p. 469.

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