Organizzazioni di tendenza
18 Ottobre 2016
Inquadramento
Secondo la definizione introdotta dall'art. 4 della Legge 11 maggio 1990 n. 108 le organizzazioni di tendenza si identificano in quei “datori di lavoro non imprenditori che svolgono senza fini di lucro attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione ovvero di religione o di culto”.
L'interesse giuslavoristico alla regolamentazione dei rapporti di lavoro alle dipendenze delle associazioni o degli enti che presentino una caratterizzazione ideologica, culturale o politica non è, tuttavia, generalizzato, bensì rivolto esclusivamente a quelle organizzazioni di tendenza nominata che non perseguono scopo di lucro e non sono qualificabili come impresa.
Per tali organizzazioni, la legge prevede la deroga all'applicabilità dell'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori in caso di recesso dal rapporto di lavoro, con conseguente esclusione della tutela reale ove sia accertata l'illegittimità del licenziamento irrogato al dipendente.
Tale significativo esonero ha una matrice tutta costituzionale: la libertà di associazione, già tutelata di per sé come diritto costituzionalmente protetto in un ordinamento pluralista e democratico (art. 18 Cost.), risulta meritevole di una disciplina differenziata alla luce dei fini particolarmente “qualificati” (i.e. la “tendenza”) che persegue. Il legislatore ha voluto, per l'effetto, garantire al datore di lavoro di tendenza la possibilità di mantenere, in ogni momento, l'adesione di tutti i dipendenti alla finalità tipica dell'organizzazione, consentendo il perseguimento degli obiettivi che l'ordinamento reputa meritevoli e che possono giustificare - di conseguenza - una disciplina differenziata rispetto alla generalità dei datori di lavoro. Caratteristiche
Ai fini della configurazione della fattispecie prevista dall' art. 4 della L. n. 108/1990 e, in particolare, della deroga all'applicabilità dell'art. 18 S.L., devono ricorrere tre requisiti:
1) La tendenza nominata
L'ente individuato dalla L. n. 108/1990 deve possedere una tendenza nominata, che lo stesso art. 4 identifica nelle organizzazioni la cui attività è ritenuta meritevole di tutela dal nostro ordinamento, quali:
(i) partiti che concorrono, con metodo democratico, a determinare la politica nazionale ( art. 49 Cost. ),
(ii) sindacati che liberamente possono essere costituiti per la tutela dei lavoratori ( art. 39 Cost. ),
(iii) organizzazioni e istituzioni di cultura, il cui sviluppo è promosso dalla Repubblica ( art. 9 Cost. ),
(iv) organizzazioni e istituzioni di istruzione libera e garantita ( art. 33 Cost. ),
(v) associazioni confessionali o enti religiosi o di culto che esprimono la libertà di fede religiosa in forma associata ( art. 19 Cost. ).
Secondo l'indirizzo prevalente della dottrina, l'elencazione fornita dall'art. 4 deve ritenersi tassativa, tenuto conto della precisione con cui il legislatore distingue persino fra attività religiose e attività di culto (cfr. Persiani, v. infra Riferimenti); altri autori, per contro, argomentando da una lettura aperta delle “formazioni sociali” ove si svolge la personalità dell'individuo, ex art. 2 Cost. , ritengono che, ai fini di un'interpretazione costituzionalmente orientata della norma, la descrizione delle attività con accezione “di tendenza” debba intendersi quale elencazione meramente esemplificativa (cfr. Magno, v. infra Riferimenti).
Allo stesso modo, le pronunce della giurisprudenza in relazione al requisito della “tendenza nominata” oscillano tra un'interpretazione elastica della disposizione normativa (riconoscendo maggior rilievo agli ulteriori requisiti richiesti dalla norma concernenti l'aspetto economico dell'attività) e un'interpretazione - più recente - maggiormente restrittiva, secondo cui l'elencazione dell'art. 4 deve intendersi tassativa in virtù del principio di stretta interpretazione delle norme derogatorie di principi generali, nel caso di specie la piena riparazione della lesione inferta al diritto soggettivo al lavoro ( Cass., sez. lav., 2 dicembre 2010 n. 24437 ) (cfr. Girelli, v. infra Riferimenti) . Un terzo orientamento, infine, individua il compromesso fra le due tesi sopra richiamate includendo nel novero dell'art. 4 cit. le organizzazioni di tendenza la cui estromissione potrebbe far insorgere un dubbio non manifestamente infondato di legittimità costituzionale della norma stessa, rimettendo alla valutazione dell'interprete l'individuazione, in concreto, degli enti a tendenza nominata ( Cass., sez. lav., 15 aprile 2005 n. 7837 ).
2) La mancanza di un'impresa
Il requisito della tendenza nominata caratterizza indiscutibilmente le organizzazioni di tendenza, ma è la “non imprenditorialità” l'elemento decisivo affinché un particolare ente o associazione, qualificato come organizzazione di tendenza, sia ammesso a fruire della disciplina in deroga all'art. 18 S.L.
L'analisi volta alla verifica dell'assenza di imprenditorialità nell'ente muove attraverso l'interpretazione a contrario dell' art. 2082 del codice civile , per cui devono ritenersi assoggettati alla disciplina dell'art. 4 cit. esclusivamente i datori di lavoro che non svolgono alcuna attività economica organizzata destinata alla produzione di beni o servizi.
Un risalente orientamento giurisprudenziale escludeva l'esistenza di un'impresa nell'ambito di organizzazioni dirette all'erogazione di prestazioni o servizi a carattere intellettuale - come l'insegnamento - ancor più se ideologicamente caratterizzate, in quanto non ricomprese nell'elenco degli imprenditori soggetti all'obbligo di iscrizione nel registro delle imprese ex art. 2195 del codice civile ( Cass., 21 novembre 1991 n. 12530 ).
Le Sezioni Unite d ella Corte di C assazione ( sent. n. 3353 dell'11 aprile 1994 ) hanno successivamente sposato un'interpretazione di più ampio respiro, statuendo che un istituto d'istruzione gestito da una congregazione religiosa può essere considerato imprenditore quando, oltre agli altri requisiti di cui all' art. 2082 c.c. , agisca con metodo “economico”, ovvero con il perseguire il tendenziale pareggio tra costi e ricavi, non inerendo alla qualifica di imprenditore l'esercizio di attività allo scopo di produrre ricavi eccedenti i costi. La giurisprudenza di legittimità ha, dunque, abbracciato una nozione di “impresa” in termini “aziendalistici” - con riferimento al modo di esercitare una certa attività - piuttosto che nei più rigorosi (e limitati) termini desumibili dalla definizione di imprenditore contenuta nell' art. 2082 c.c.
Con riferimento alla mancanza di un'impresa, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno ulteriormente specificato, con sentenza del 1° ottobre 1996 n. 8588, che, per poter riconoscere il carattere di imprenditorialità all'attività dal datore di lavoro, è necessario:
(a) che l'attività sia svolta con economicità, vale a dire che sia diretta al procacciamento di entrate remunerative dei fattori produttivi e non semplicemente rivolta al perseguimento di fini sociali dell'ente;
(b) che sussista una compiuta autonomia gestionale, implicante poteri deliberativi, ampia libertà di azione ed organizzazione, separata da quella dell'ente; autonomia finanziaria, consistente nella tendenziale capacità di trarre i mezzi necessari alla copertura dei costi (ed un eventuale utile) dai ricavi delle attività produttive e non da sovvenzioni sistematiche; autonomia contabile, caratterizzata dalla redazione di bilanci separati per il controllo dell'economicità della gestione.
3) L'assenza dello scopo di lucro
Strettamente connesso al requisito della mancanza di organizzazione imprenditoriale nel datore di lavoro di tendenza - tanto che viene ritenuto elemento funzionale alla sua identificazione - è l'assenza di una finalità di lucro in capo all'ente.
La dottrina ritiene che tale requisito non sia riferito al soggetto datore di lavoro (per il quale è richiesto il requisito della non imprenditorialità, su cui v. supra), quanto al tipo di attività in concreto esercitata (cfr. Pera, v. infra Riferimenti)al punto che, come confermato anche dalla giurisprudenza, risulta irrilevante un'eventuale qualificazione operata ex ante, ad esempio dallo statuto dell'ente, del carattere non lucrativo dello scopo perseguito dall'organizzazione ( Cass., 29 ottobre 1998 n. 10826 ).
La dottrina citata ha, altresì, evidenziato che a nulla rileva la destinazione dei profitti: la tutela reale va applicata anche a quelle organizzazioni che riservano i profitti al finanziamento delle attività poste in essere per il conseguimento di fini “di tendenza”. Si pensi all'impresa posta in essere da un sindacato, invitando gli aderenti a preferirla negli acquisiti, per procacciarsi i mezzi finanziari necessari per l'attività sindacale, esclusa dal novero delle organizzazioni di tendenza di cui all'art. 4 cit. (cfr. Garattoni, v. infra Riferimenti).
Ove l'organizzazione rientri tra quelle di “tendenza” enucleate dall'art. 4 cit., è esclusa l'applicabilità della tutela reale - ove sia integrata, evidentemente, la soglia dimensionale di cui all'
art. 18 S.L. - in caso di illegittimità del licenziamento. In questi casi, pertanto, residuando la tutela meramente obbligatoriaex art. 8 L. n. 604/1966 , il datore di lavoro (e solo questi) avrà la facoltà di scelta tra la riassunzione del dipendente (illegittimamente) estromesso oppure il risarcimento del danno.
Deve essere ancora una volta sottolineato che il particolare rilievo, anche costituzionale, di questa forma di associazionismo qualificato, giustifica una disciplina differenziata e un bilanciamento con il diritto al lavoro in termini tali da preservare la “tendenza” condivisa dagli associati. Da una parte, il licenziamento illegittimo, in quanto non assistito da giusta causa o giustificato motivo, deve avere una sanzione proporzionata al bene leso; dall'altra parte, la compagine degli associati non deve essere permeabile all'inserimento forzoso di un apporto lavorativo non accettato. La garanzia della “tendenza” passa attraverso una necessaria opzione dell'associazione datrice di lavoro tra la riattivazione effettiva del rapporto ingiustamente troncato e una compensazione indennitaria; opzione (del datore di lavoro) che è presente nell' art. 8 L. n. 604/1966 ma non anche nell'art. 18 S.L. L'associazione di tendenza deve poter “scegliere” perché la mancanza di opzione ridonda in indiretta limitazione della sua libertà; e questo regime preferenziale, che certamente deroga al principio di eguaglianza, è giustificato proprio dal rilievo costituzionale della “tendenza”.
Licenziamenti individuali
Come anticipato, il licenziamento intervenuto nell'ambito di un rapporto di lavoro concluso con un'organizzazione di tendenza, in caso di dichiarata illegittimità, non prevede l'applicazione dell'
art. 18 S.L. - ove sussista il requisito dimensionale stabilito dal medesimo articolo -.
Non occorre dire che l'applicabilità della disciplina limitativa del licenziamento ex art. 4 L. n. 108/1990 presuppone l'esistenza di un contratto di lavoro subordinato: ne sono ovviamente escluse le prestazioni di lavoro gratuito, particolarmente frequenti nelle organizzazioni di tendenza (cfr. Ichino, v. infra Riferimenti).
1) Il licenziamento ideologico
Il licenziamento si definisce ideologico laddove irrogato per ragioni connesse alla tutela della tendenza, relative alla mancanza – originaria o sopravvenuta – di piena adesione alla finalità e all'etica dell'ente da parte del prestatore di lavoro. La legittimità di tale licenziamento, per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo, è rinvenibile ove l'adesione all'ideologia dell'organizzazione costituisca requisito della prestazione.
Tuttavia, si ritiene che il licenziamento ideologico, in quanto collegato all'esercizio da parte del prestatore di lavoro di diritti costituzionalmente garantiti (quali la libertà di opinione, di religione e, nel campo scolastico, di insegnamento e di ricerca), sia lecito nei ristretti limiti in cui esso sia funzionale all'esercizio di altri diritti garantiti costituzionalmente, quali la libertà dei partiti politici e dei sindacati, la libertà religiosa e la libertà della scuola e nelle sole ipotesi in cui l'adesione ideologica costituisca requisito della prestazione lavorativa.
2) Il licenziamento dei dipendenti con mansioni “neutre”
La giurisprudenza - con un contrasto che meriterebbe la definizione da parte delle Sezioni Unite - è divisa in merito alla rilevanza che, all'interno delle organizzazioni di tendenza, può ricoprire il carattere “neutro” delle mansioni disimpegnate dai lavoratori. Secondo un risalente orientamento, non è possibile distinguere tra dipendenti che svolgono mansioni “neutre” e lavoratori che invece espletano mansioni connesse all'ideologia dell'organizzazione di tendenza, interpretazione che, aderendo al dato letterale della norma, evidenzia la mancanza di una tale distinzione all'interno dell'art. 4 ( Cass., sez. lav., 16 settembre 1998 n. 9237 ).
Un orientamento più recente, per contro, individua l'elemento di discrimine nella connessione della prestazione lavorativa con il perseguimento degli scopi qualificanti l'organizzazione di tendenza, con conseguente esclusione, in caso di illegittimità del licenziamento, della tutela reale solo per i lavoratori ideologicamente esposti. Tale interpretazione si fonda sulla ratio dell'art. 4 cit. essendo, all'evidenza, non assimilabili il trattamento di chi collabora, ad esempio, in qualità di giornalista di un partito politico o di una confessione religiosa e quello dell'addetto alla pulizia dei locali ( Cass., sez. lav., 6 novembre 2001 n. 13721 ).
3) Il licenziamento discriminatorio
L'inapplicabilità della tutela reale non si estende ai casi in cui il licenziamento intimato al dipendente di un'organizzazioni di tendenza sia nullo in quanto discriminatorio: ove il motivo di ritorsione o rappresaglia sia stato l'unico determinante il recesso datoriale deve essere ordinata la reintegra del dipendente nel posto di lavoro.
4) Assunzioni post D.Lgs. n. 23/2015
Il D.Lgs. n. 23/2015 , recante la nuova disciplina in materia di licenziamenti, è intervenuto anche in tema di organizzazioni di tendenza. L'art. 9 del citato decreto ha previsto che “ai datori di lavoro non imprenditori, che svolgono senza fine di lucro attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione ovvero di religione o di culto, si applica la disciplina di cui al presente decreto”, con la conseguenza che per gli assunti successivamente alla data del 7 marzo 2015 (data di entrata in vigore della legge delega), si applica interamente la disciplina delle c.d. tutele crescenti.
La disposizione parifica le tutele nei confronti del licenziamento illegittimo di cui godono i lavoratori delle organizzazioni di tendenza con quelle dei prestatori di lavoro occupati presso datori di lavoro di analoghe dimensioni. La novità apportata dall'enunciato in esame è rinvenibile nella circostanza che il licenziamento ingiustificato intimato da un'organizzazione di tendenza con i requisiti dimensionali di cui all'art. 18 S.L. comporta l'applicazione della tutela reintegratoria, ovviamente limitatamente all'ipotesi di cui all' art. 3, co . 2, del medesimo D.L gs. n. 23/2015 . Questa conclusione si fonda sul testo letterale dell'art. 9, co. 2, del decreto, il quale espressamente estende la nuova disciplina normativa anche alle organizzazioni di tendenza, con conseguente applicazione del regime di tutela reale previsto dell'art. 3, co. 2, alle ipotesi di licenziamento ingiustificato per insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore e accertato in giudizio.
In base alla formulazione della norma, l'art. 9 cit. parrebbe applicabile a tutti i lavoratori dipendenti da organizzazioni di tendenza a prescindere dalla loro data di assunzione. Tuttavia, è pacifico che esso si applichi agli assunti successivamente al 7 marzo 2015: se così non fosse, la norma si porrebbe in contrasto sia con l'art. 1, co. 1, D.Lgs. n. 23/2015, nella parte in cui individua con chiarezza i destinatari dell'operatività delle disposizioni dell'intero provvedimento, sia con la legge delega (L. n. 183/2014), la quale prevede che le disposizioni di cui ai decreti legislativi di attuazione debbano essere riferibili ai soggetti assunti dopo la loro entrata in vigore. (7)
Il licenziamento collettivo nelle organizzazioni di tendenza
Le organizzazioni di tendenza che superino le soglie dimensionali previste dall'
art. 18 S.L. sono sottratte all'applicazione della disciplina del citato articolo anche in caso di licenziamento collettivo, giusta l'espressa previsione di cui all'art. 24, comma 1-ter , della L. n. 223/1991 . Il comma 1-quater dell'art. 24 cit. assoggetta tali licenziamenti all'applicazione della L. n. 604/1966 , prevedendo dunque che in caso di licenziamento collettivo illegittimo si applichi il regime di tutela obbligatoria.
Per quanto riguarda i lavoratori assunti dopo l'entrata in vigore del D . L gs. n. 23/2015 , analogamente a quanto previsto per le fattispecie di licenziamento individuale, il regime di tutela applicabile è quello previsto dalla disciplina delle c.d. tutele crescenti ( art. 10 , D.Lgs. n. 23/2015 ). Pertanto, nei casi di violazione della procedura e/o dei criteri di scelta dei lavoratori in esubero, il lavoratore illegittimamente licenziato avrà diritto a un'indennità risarcitoria pari a 2 mensilità della retribuzione imponibile ai fini del calcolo del TFR per anno di servizio (compresa tra un minimo di 4 e un massimo di 24 mensilità), residuando la tutela reintegratoria solo ove il licenziamento non sia stato intimato in forma scritta. Riferimenti
Normativa: Artt. 3, 9, 18, 19, 33, 39, 49, Costituzione Art. 18, L. n. 300/1970 Art. 4, L. n. 108/1990 Art. 24, L. n. 223/1991 Art. 1, L. n. 183/2014 Artt. 1, 9, 10, D.Lgs. n. 23/2015 Art. 1, L. n. 208/2015
Giurisprudenza: Cass. 4 luglio 2019, n. 17999 Cass., sez. lav., 30 ottobre 2015 , n. 22256
Cass. 18 giugno 2018, n. 16031 Trib. Roma 3 ottobre 2017, n. 7924
Trib. Roma, 6 maggio 2015
Trib. Firenze, sez. lav., 3 febbraio 2015 Cass., sez. lav., 4 marzo 2014, n. 4983 Cass., sez. lav., 12 marzo 2012 , n. 3868 Cass., sez. lav., 27 maggio 2011, n. 11777 Cass., sez. lav., 10 novembre 2010, n. 22873 Cass., sez. lav., 2 dicembre 2010 , n. 24437 Cass., sez. lav., 15 aprile 2005 , n. 7837 Cass. 14 agosto 2008, n. 21685 Cass., sez. lav., 26 gennaio 2004 , n. 1367 Cass., sez. lav., 29 ottobre 1998, n. 10826 Pret. Roma, 8 novembre 1996 Cass. civ., s.u., 1 ottobre 1996, n. 8588 Cass. civ., s.u., 11 aprile 1994, n. 3353 Cass., sez. lav., 21 novembre 1991 , n. 12530
Dottrina: (1) M. Persiani, La critica della persona nel diritto del lavoro, in Riv. Giur. Lav., 2003, I, 3 (2) P. Magno, Le organizzazioni e le imprese di tendenza nella nuova disciplina sui licenziamenti, in Dir. Lav., 1991, I, 107 (3) N. Girelli, Organizzazioni di tendenza e tutela reale: questioni e possibilità applicative, in ADL 4-5/2014 (4) G. Pera, Le organizzazioni di tendenza nella legge sui licenziamenti, in Riv. it. dir. lav., 1991, I, 461 (5) M. Garattoni, La Corte di Cassazione torna sulla questione del licenziamento nelle organizzazioni di tendenza, in Riv. it. dir. lav., fasc. 3, 2002, 631 (6) P. Ichino, Appunti sulla tutela antidiscriminatoria nelle organizzazioni di tendenza, in Trattato di diritto civile e commerciale, Il contratto di lavoro, vol. II, 2003, pf. 527 (7) A. Bellavista, Piccoli datori di lavoro e organizzazioni di tendenza, in Bollettino ADAPT 2015, 188; (8) Circolare INPS, 26 maggio 2016, n. 90; (9)A. Cimarosti, Donne e giovani ignorati, tra finta "staffetta generazionale" e part time agevolato al maschile, in Lavoro nella Giur., 2016, 10, 863; (10) Decreto Min. Lav., 7 aprile 2017 Bussole di inquadramento |