Teresa Zappia
20 Giugno 2024

Il welfare aziendale è una forma di investimento sociale in grado di avere ricadute positive sia sui lavoratori occupati in azienda sia sul contesto socio-economico più ampio in cui è inserita l'impresa e certamente è da considerare una vera novità nel quadro delle attuali relazioni industriali. In sostanza viene attuato attraverso un accordo aziendale tra datore di lavoro e compagine sindacale (oppure attraverso una regolamentazione autonoma), con il quale si stabilisce di fornire ai dipendenti dell'azienda beni, servizi ed opportunità in molteplici forme, senza che questi rappresentino una diretta corresponsione di denaro. Tale classica remunerazione è infatti gravata da oneri fiscali tali da renderla troppo onerosa per il datore di lavoro e poco percepibile dal dipendente. Per questo motivo attraverso gli accordi di welfare aziendale viene proposto alla comunità dei dipendenti beni e servizi graditi quali a titolo di esempio: congedi, orari flessibili, part-time, banca delle ore, telelavoro, asili, scuole, tirocini, borse di studio, assistenza sanitaria, master, corsi linguistici, campus estivi, mensa, fondo pensioni, trasporto pubblico, e molti altri erogati in maniera diretta. Molteplici sono le esperienze di welfare aziendale realizzate finora, sviluppate sia nell'ambito della contrattazione collettiva di secondo livello sia attraverso analoghe pratiche positivamente condotte e realizzate da singole imprese, in particolare piccole e medie, che occupano una posizione determinante nel tessuto economico italiano. Al welfare aziendale si contraddistingue il welfare pubblico che nasce negli anni del boom economico per mettere in atto meccanismi di redistribuzione della ricchezza, che consentano una equità sociale nell'accesso ai servizi per tutti i cittadini (principio universalistico) negli ambiti della previdenza, della sicurezza, della sanità/assistenza e dell'istruzione.

Inquadramento

A livello sovranazionale, Direttiva UE n. 1158/2019 (“Direttiva sull'equilibrio tra lavoro e vita privata”) ha introdotto disposizioni specifiche in materia di welfare aziendale, influenzando la contrattazione collettiva e la normativa a livello nazionale, fissato norme minime sul diritto ai congedi e sull'equilibrio tra il lavoro e la vita privata, incidendo sulla normativa e sulle strategie di policy che sottintendono il welfare aziendale a livello europeo.

Il welfare aziendale costituire, infatti, una forma di investimento sociale in grado di avere ricadute positive sia sui lavoratori occupati in azienda sia sul contesto socio-economico più ampio in cui è inserita l'impresa.

Si distingue tra:

·         welfare aziendale volontario, unilateralmente concesso dal datore di lavoro senza alcuna costrizione di natura legale, contrattuale o regolamentare;

·         welfare aziendale obbligatorio, dove l'obbligo in capo al datore di lavoro deriva da una pattuizione sindacale (contratto aziendale) o da un regolamento unilaterale

Premessa

Per welfare aziendale si intende l'insieme dei servizi e delle iniziative che i datori di lavoro realizzano a favore dei lavoratori, sia con regolamentazione autonoma che con accordo con le organizzazioni sindacali. Con il termine di "flexible benefit" vengono, invece, identificati i piani che mettono a disposizione del dipendente un paniere di utilità, tra le quali può scegliere quelle rispondenti alle proprie esigenze.

Le azioni di welfare aumentano competitività e produttività dell'organizzazione e favoriscono un miglior bilancio lavoro-vita privata dei dipendenti, grazie a servizi “spendibili” per sé e il nucleo familiare.

Gli ambiti del welfare aziendale riguardano principalmente:

  • l'erogazione di servizi per la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro;
  • flessibilità contrattuale e d'orario;
  • servizi all'infanzia (nidi aziendali);
  • servizi come il “maggiordomo aziendale” per il disbrigo di pratiche burocratiche;
  • convenzioni con vari esercizi commerciali (buoni e sconti per l'acquisto dei testi scolastici per i figli) e palestre o sconti per eventi culturali;
  • fondi sanitari privati.

I settori del welfare aziendale

I settori più ambiti per il welfare aziendale non sono, come si potrebbe pensare, i nidi d'infanzia e la previdenza complementare, ma i buoni pasto. Il ticket è il benefit più diffuso in Italia: la media è del 90% contro quella europea del 66%. I nidi non occupano le prime posizioni, in quanto solo una minima parte dei dipendenti ha figli nella fascia d'età 0-3 anni e per l'azienda l'offerta risulta avere costi onerosi e una gestione complessa.

Generalmente, i benefit più ricercati dai lavoratori, sono:

  1. Ticket /buoni pasto (ove non è presente la mensa aziendale);
  2. Flessibilità oraria /Banca ore /Telelavoro;
  3. Corsi di lingue;
  4. Assistenza medica;
  5. Assistenza agli anziani;
  6. Tutela pensionistica complementare;
  7. Nidi d'infanzia.
  8. Trasporto pubblico locale, regionale e interregionale

Sempre più considerata è l'area delle prestazioni sanitarie, alla quale spesso si accompagnano servizi di assistenza alle persone rivolte a soddisfare le esigenze dei dipendenti e della loro famiglia.  

In evidenza: Indagini sui bisogni degli individui

Per quanto riguarda gli strumenti aziendali, ai fini dell'impostazione di un programma di welfare aziendale, le modalità più idonee per investigare i bisogni dei propri dipendenti sono l'indagine socio-demografica e i sistemi di ascolto come interviste e focus group.

Lo studio sui bisogni degli individui e della relativa importanza deve considerare il contesto professionale, familiare, culturale ed economico che circonda e condiziona la vita di ogni singolo lavoratore.

Aspetti fiscali e contributivi

La tassazione del reddito di lavoro dipendente si fonda, ai sensi dell'art. 51, comma 1, del D.P.R. n. 917/1986T.U.I.R., sul principio di onnicomprensività, in ragione del quale costituiscono materia imponibile tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo di imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro.

Tuttavia, alcune iniziative di welfare aziendale non concorrono alla formazione del reddito di lavoro dipendente, in quanto viene ad esse riconosciuto un particolare regime di favore fiscale. Inoltre, sempre che tali iniziative di welfare riguardino la “generalità dei lavoratori” o “intere categorie” di dipendenti (Agenzie dell'Entrate, circ. n. 5/2018: “con le predette locuzioni il legislatore ha voluto riferirsi alla generica disponibilità di opere, servizi o somme ecc. verso un gruppo omogeneo di dipendenti, anche se alcuni di questi non fruiscono di fatto delle predette “utilità””)

In particolare, ai sensi del comma 2 dell'art. 51 del T.U.I.R., non concorrono a formare il reddito:

  • lett. a): i contributi di assistenza sanitaria versati ad enti o casse per un importo non superiore a 3.615,20 euro per anno;
  • lett. c): le somministrazioni di vitto in mense organizzate direttamente dal datore di lavoro o gestite da terzi. Le prestazioni sostitutive di mensa (ticket restaurant) non concorrono sino all'importo complessivo giornaliero di 5,29 euro;
  • lett. d): le prestazioni di servizi di trasporto collettivo sostenute dall'azienda a favore della generalità o di categorie di dipendenti, anche se affidate a terzi ivi compresi gli esercenti servizi pubblici;
  • lett. f): l'utilizzazione delle opere e dei servizi di pubblica utilità di cui al comma 1 dell'art. 100 del T.U.I.R. da parte dei dipendenti e dei loro familiari;
  • lett. f-bis): le somme, i servizi e le prestazioni erogati dal datore di lavoro alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti per la frequenza degli asili nido e di colonie climatiche da parte dei familiari nonché per borse di studio a favore dei medesimi familiari;
  • lett. f-ter): servizi e prestazioni assistenziali erogate dal datore di lavoro alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti per la fruizione dei servizi di assistenza ai familiari anziani o non autosufficienti;
  • lett. f-quater): i contributi e i premi versati dal datore di lavoro a favore della generalità dei dipendenti o di categorie di dipendenti per prestazioni, anche in forma assicurativa, aventi per oggetto il rischio di non autosufficienza nel compimento degli atti della vita quotidiana, le cui caratteristiche sono definite dall'art. 2, co. 2, lett. d), nn. 1) e 2), del Decreto del Ministro del Lavoro del 27 ottobre 2009 o aventi per oggetto il rischio di gravi patologie;
  • co.4 lett. b): il valore convenzionale degli interessi in caso di concessione di prestiti ai dipendenti (pari al 50% della differenza tra tasso ufficiale di sconto e tasso applicato).

Per i datori di lavoro è prevista la possibilità di dedurre dal reddito dell'impresa tutte le spese sostenute in denaro o in natura per il lavoro dipendente, potendo essere incluse anche quelle relative all'erogazione di prestazione di welfare (art. 95, co.1, TUIR). Tuttavia, in base all'art. 100 TUIR la deducibilità dal reddito di impresa è limitata al 5 per mille delle spese per il personale dipendente con riferimento agli oneri sostenuti per opere e servizi con finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto, destinati alla generalità o a categorie di dipendenti e che siano state sostenute volontariamente, ossia per atto liberale dal datore di lavoro (CdgUE, causa C-607/20, 17 novembre 2022;Cass., Sez. V., n. 22332/2018).

Sotto il profilo contributivo, il D.lgs. n. 314/1997 ha sancito, in via generale, l'armonizzazione tra imponibili fiscali e contributivi. Pertanto, ciò che non costituisce reddito imponibile fiscalmente, non è reddito neanche dal punto di vista contributivo.  Ne consegue che quanto riconosciuto al lavoratore come welfare aziendale è esclusi dal versamento dei contributi. Con la circolare n. 49/2023 l'INPS è intervenuto per fornire alcuni chiarimenti in merito al regime contributivo delle somme erogate o messe a disposizione come welfare aziendale. L'Istituto ha rammentato che nonostante l'armonizzazione operata dal decreto legislativo prefato, il regime di esclusione dall'imponibile ai fini contributivi è più ampio di quello fiscale, poiché accanto alle voci di esenzione individuate dal legislatore all'art. 52, co. 2, TUIR, ve ne sono altre aventi rilevanza ai soli fini previdenziali (art. 12 L. n. 153/1969, come sostituito dall'art. 6 del D.lgs. n. 314/1997).

La circolare chiarisce il caso relativo alla conversione del premio di risultato in versamenti alla previdenza complementare. Secondo l'Istituto in tale caso è dovuto il contributo di solidarietà del 10% a carico del datore di lavoro. Lo stesso vale nell'ipotesi di conversione del premio in versamento di contributi di assistenza sanitaria a enti o casse con finalità esclusivamente assistenziale. L'INPS ha chiarito, altresì, che il contributo di solidarietà è dovuto anche se il premio è convertito in versamenti di cui all'art. 51, co. 2 lett. f-quater), TUIR.

Si veda anche: INPS, messaggio n. 3884/2023.

Fringe benefits

Quando si parla di welfare aziendale è necessario tenere a mente che esso deve essere distinto dai cc.dd. “fringe benefits”. Differenti sono, infatti, i destinatari, le misure che possono essere riconosciute, nonché la rilevanza sotto il profilo economico ai fini previdenziali e contributivi (Agenzia dell'Entrate circ. n. 52/2008; Agenzia dell'Entrate circ. n. 35/2022; Agenzia dell'Entrate circ. n. 23/2023).

Costituendo una forma di retribuzione non monetaria, consistente nella concessione o messa a disposizione di beni e/o servizi al lavoratore, i fringe benefits hanno natura retributiva, possono essere concessi anche a singoli dipendenti (senza vincoli di assegnazione a tutta la forza lavoro o a categorie omogenee) e hanno un loro specifico limite di esenzione fissato dall'art. 52, co. 3 ultimo periodo, TUIR. Il limite normativo è paria € 258,23 complessivi nel periodo fiscale. Tuttavia, la Legge n. 213/2023 (art. 1, co. 16) ha alzato per l'anno 2024 questo limite a € 1.000 per tutti i lavoratori in generale, e a € 2.000 per i dipendenti con figli a carico.

Si precisa che rientrano nel suddetto limite di esenzione anche:

• le somme erogate o rimborsate ai lavoratori dai datori di lavoro per il pagamento delle utenze domestiche (servizio idrico; energia elettrica; gas naturale);

• le somme erogate o rimborsate per il pagamento delle spese per l'affitto della prima casa;

• le somme erogate o rimborsate per gli interessi sul mutuo relativo alla prima casa.

Sul punto: Agenzia dell'Entrate, circ. n. 5 del 7 marzo 2024.

Riferimenti

Normativa:

Per i recenti orientamenti sul tema, v.  L. 30 dicembre 2023, n. 213, con news del 4 gennaio 2024, Legge di bilancio 2024: le novità in materia di previdenza, congedi parentali, sostegno al reddito, welfare aziendale; commento di A. Sgroi, Prime osservazioni su previdenza, assistenza e regime contributivo per i lavoratori nella Legge di bilancio e nel Decreto milleproroghe per l'anno 2024

  • L. 30 dicembre 2023, n. 213

  • Direttiva UE n. 1158/2019
  • Art. 1, co. 160-162, L. 11 dicembre 2016, n. 232
  • Art. 1, co. 182-189, L. 28 dicembre 2015, n. 208
  • Art. 4, 5, 6 e 22, Legge 8 marzo 2000, n. 53
  • D.lgs. n. 314/1997
  • Art. 9, D.Lgs. 30 dicembre 1992 n. 502
  • D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917

Prassi:

  • Agenzia delle Entrate, Circolare n. 5/E/2024
  • INPS circ. n. 49/2023
  • INPS, messaggio n. 3884/2023
  • Agenzia della Entrate circ. n. 23/202
  • Agenzia dell'Entrate circ. n. 35/2022
  • Agenzia delle Entrate circ. n. 5/E/2018

Giurisprudenza:

  • CdgUE, causa C-607/20, 17 novembre 2022
  • Cass., Sez. V., n. 22332/2018

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