Patto di non concorrenza

Francesco Baldi
05 Dicembre 2016

Scheda in fase di aggiornamento

Tra gli obblighi che connotano rapporto di lavoro subordinato, importanza fondamentale riveste il dovere di fedeltà, che si traduce nel divieto per il lavoratore di trattare affari, per conto proprio o di terzi, in contrasto con gli interessi del proprio datore di lavoro (cd. “divieto di concorrenza”) e di divulgare notizie riguardanti metodi di produzione o l'organizzazione aziendale in modo pregiudizievole per l'impresa (cd. “obbligo di riservatezza”). Ebbene, mentre tali obblighi operano ipso iure durante lo svolgimento del rapporto, nel periodo successivo alla cessazione il divieto può avere solo natura negoziale. Il patto di non concorrenza, quindi, è un contratto a titolo oneroso in forza del quale il datore di lavoro si impegna a corrispondere al lavoratore una somma di denaro o altra utilità in cambio dell'obbligo, da parte sua, di non svolgere (seppur entro certi limiti) attività in concorrenza con lo stesso datore di lavoro. Costituisce, pertanto, uno strumento di tutela del patrimonio aziendale, essendo finalizzato ad evitare che il datore di lavoro subisca un potenziale danno di natura concorrenziale da un proprio dipendente che, dopo aver cessato il rapporto, viene assunto da un'impresa concorrente ovvero decide di iniziare un'attività autonoma. Pertanto, il patto di concorrenza appare utile soprattutto per le imprese che hanno investito in innovazione, al fine di regolamentare rapporti con ex dipendenti che hanno avuto accesso a informazioni di carattere strategico. Se la parti non hanno stipulato un patto di non concorrenza, il lavoratore, una volta cessato il rapporto, sarà svincolato dagli obblighi scaturenti dal contratto di lavoro, con la conseguenza che potrà intraprendere ogni tipo di attività, sia in forma subordinata che autonoma, anche in concorrenza con quella del proprio datore di lavoro, con l'unico limite rappresentato dal divieto di divulgare notizie attinenti ai metodi di produzione o lavoro che devono rimanere comunque segrete (art. 622 e 623 c.p.).

Premessa

Tra gli obblighi che connotano il rapporto di lavoro subordinato, importanza fondamentale riveste il dovere di fedeltà, che si traduce nel divieto per il lavoratore di trattare affari, per conto proprio o di terzi, in contrasto con gli interessi del proprio datore di lavoro (cd. “divieto di concorrenza”) e di divulgare notizie riguardanti metodi di produzione o l'organizzazione aziendale in modo pregiudizievole per l'impresa (cd. “obbligo di riservatezza”).

Ebbene, mentre tali obblighi operano ipso iure durante lo svolgimento del rapporto, nel periodo successivo alla cessazione il divieto può avere solo natura negoziale. Il patto di non concorrenza, quindi, è un contratto a titolo oneroso in forza del quale il datore di lavoro si impegna a corrispondere al lavoratore una somma di denaro o altra utilità in cambio dell'obbligo, da parte sua, di non svolgere (seppur entro certi limiti) attività in concorrenza con lo stesso datore di lavoro.

Costituisce, pertanto, uno strumento di tutela del patrimonio aziendale, essendo finalizzato ad evitare che il datore di lavoro subisca un potenziale danno di natura concorrenziale da un proprio dipendente che, dopo aver cessato il rapporto, viene assunto da un'impresa concorrente ovvero decide di iniziare un'attività autonoma. Pertanto, il patto di concorrenza appare utile soprattutto per le imprese che hanno investito in innovazione, al fine di regolamentare rapporti con ex dipendenti che hanno avuto accesso a informazioni di carattere strategico.

Se la parti non hanno stipulato un patto di non concorrenza, il lavoratore, una volta cessato il rapporto, sarà svincolato dagli obblighi scaturenti dal contratto di lavoro, con la conseguenza che potrà intraprendere ogni tipo di attività, sia in forma subordinata che autonoma, anche in concorrenza con quella del proprio datore di lavoro, con l'unico limite rappresentato dal divieto di divulgare notizie attinenti ai metodi di produzione o lavoro che devono rimanere comunque segrete (art. 622 e 623 c.p.).

Requisiti di validità

Il patto di non concorrenza determina una compressione al libero esercizio della professionalità del lavoratore dopo la cessazione di un rapporto e tutela il datore di lavoro contro la dispersione del proprio patrimonio immateriale - che si compone sia elementi interni all'azienda (quali l'organizzazione amministrativa e tecnica, i processi di lavoro, il know-how aziendale) sia di elementi esterni (quali la clientela, fornitori, l'avviamento) - per l'effetto del passaggio di propri dipendenti ad imprese concorrenti.

Il patto di non concorrenza può essere stipulato sia con dipendenti contrattualmente inquadrati nei livelli apicali (es: dirigenti, quadri, impiegati direttivi) sia con quei dipendenti che, pur non impiegati in compiti intellettuali, svolgono la propria attività in settori in cui il datore di lavoro può subire un danno.

In evidenza: Cass. sez. lav., 19 aprile 2002, n. 5691

La Cassazione ha ritenuto che viola il patto di non concorrenza il commesso addetto alla vendita di articoli di abbigliamento sportivo che presti dopo la risoluzione del rapporto di lavoro attività in favore di ditte con sede nella stessa provincia e con identica attività della società.

Orbene, dato che il patto di non concorrenza è uno strumento che limita potenziali opportunità lavorative nonché il potere di iniziativa imprenditoriale, la sua legittimità è condizionata al rispetto di determinati vincoli formali e sostanziali, previsti dalla legge a pena di nullità e finalizzati ad evitare che, in conseguenza dell'eccessiva estensione, al lavoratore sia precluso lo svolgimento di qualunque attività confacente con le sue attitudini.

In evidenza: Cass. sez. lav., 19 novembre 2014, n. 24662

La Suprema Corte ha stabilito che “Le clausole di non concorrenza sono finalizzate a salvaguardare l'imprenditore da qualsiasi esportazione presso imprese concorrenti del patrimonio immateriale dell'azienda, nei suoi elementi interni (organizzazione tecnica ed amministrativa, metodi ed i processi di lavoro, eccetera) ed esterni (avviamento, clientela, ecc.), trattandosi di un bene che assicura la sua resistenza sul mercato ed il suo successo rispetto alle imprese concorrenti.

L'art. 2125 c.c., si preoccupa di tutelare il lavoratore subordinato, affinché le dette clausole non comprimano eccessivamente le possibilità di poter dirigere la propria attività lavorativa verso altre occupazioni, ritenute più convenienti: ha pertanto previsto che esse debbano essere subordinate a determinate condizioni, temporali e spaziali, e ad un corrispettivo adeguato, a pena della loro nullità."

La ratio dell'art 2125 c.c., quindi, è quella di controbilanciare l'interesse datoriale ed evitare un'eccessiva compromissione delle opportunità occupazionale del lavoratore.

A tal fine, la norma sancisce che il patto è nullo se:

a) non risulta da atto scritto;

b) non è pattuito un corrispettivo a favore del prestatore di lavoro;

c) il vincolo non è contenuto entro determinati limiti di oggetto, di tempo e di luogo.

In evidenza: Cass. sez. lav., 4 aprile 2006, n. 7835

La Suprema Corte ha stabilito cheNel rapporto di lavoro subordinato il patto di non concorrenza è nullo se il divieto di attività successive alla risoluzione del rapporto non è contenuto entro limiti determinati di oggetto, di tempo e di luogo, poiché l'ampiezza del relativo vincolo deve essere tale da comprimere l'esplicazione della concreta professionalità del lavoratore in limiti che non ne compromettano la possibilità di assicurarsi un guadagno idoneo alle esigenze di vita. La valutazione circa la compatibilità del suddetto vincolo concernente l'attività con la necessità di non compromettere la possibilità di assicurarsi il riferito guadagno come pure la valutazione della congruità del corrispettivo pattuito costituiscono oggetto di apprezzamento riservato al giudice del merito, come tale insindacabile in sede di legittimità se congruamente e logicamente motivato”.

Forma

In difformità rispetto al generale principio della libertà della forma in materia giuslavoristica, il legislatore richiede per la validità del patto la forma scritta ad substantiam.

Ciò anche al fine di richiamare l'attenzione delle parti sull'importanza dell'atto da stipulare e delle conseguenze che ne derivano.

È opportuno che il patto di prova sia specificamente sottoscritto se inserito all'interno di un contratto di lavoro.

In evidenza: Corte di Appello di Firenze, 3 aprile 2009

“Il patto di non concorrenza, come tutti quelli limitativi della libertà contrattuale, qualora inserito fra le condizioni generali di contratto, richiede la specifica sottoscrizione di cui all'art. 1341, comma 2, c.c. La mancata specifica sottoscrizione della clausola relativa al patto di non concorrenza ne comporta la nullità, che può essere fatta valere da chiunque ne abbia interesse, ivi compresa la parte che l'ha predisposta, e può essere rilevata anche d'ufficio in ogni stato e grado del processo”.

Limiti: oggetto

Si è già chiarito che il patto di non concorrenza ha la finalità di tutelare gli interessi datoriali, evitando che le conoscenze acquisite dal lavoratore durante il rapporto possano essere trasmesse ad un'impresa concorrente, determinando un danno alla propria competitività, e che la funzione dell'art 2125 c.c. è quella di impedire un'eccessiva limitazione alle possibilità di ricercare un nuovo lavoro.

Tuttavia, è pur vero che la generica formulazione della norma, non consente una chiara definizione dei limiti necessari per la validità del patto.

Orbene, partendo dal presupposto che l'art 2125 c.c. ha la funzione di contemperare opposti interessi, la giurisprudenza ha chiarito che l'oggetto del patto non può essere tanto generico da impedire al lavoratore lo svolgimento di qualunque attività e, quindi, di assicurarsi un guadagno idoneo alle esigenze di vita propria e della famiglia dopo la cessazione della precedente occupazione.

Ne consegue che deve ritenersi nullo il patto che comprime a tal punto la professionalità del lavoratore dal privarlo di qualunque opportunità reddituale.

L'oggetto del patto, inoltre, deve essere strettamente collegato con l'attività del datore di lavoro nei confronti del quale è assunto il vincolo, con la conseguenza che attività estranee al settore produttivo o merceologico nel quale l'azienda opera, devono essere escluse dal divieto, in quanto oggettivamente inidonee a creare un danno.

Inoltre, si ritiene che la validità del patto non presupponga una perfetta corrispondenza tra l'attività vietata e quella esercitata dal lavoratore durante la vigenza del rapporto, potendosi estendere sino a ricomprendere qualsiasi attività lavorativa esercitata nell'impresa, anche se riferibile a settori diversi rispetto a quelli cui era addetto il lavoratore (ad esempio può essere inibita l'attività nel settore di produzione, ad un dipendente si occupa della contabilità in un'azienda di ristorazione).

In evidenza: Cass. sez. lav., 3 dicembre 2001, n. 15253; Cass. sez. lav., 26 novembre 1994, n. 10062; Corte d' Appello di Milano, 17 marzo 2006; Tribunale Ravenna, 24 marzo 2005; Tribunale Milano, 31 luglio 2003; Tribunale Torino, 23 settembre 1997

La giurisprudenza, ha chiarito che, qualsiasi attività lavorativa che possa competere con quella del datore di lavoro e non deve quindi limitarsi alle sole mansioni svolte nel corso del rapporto, purché la sua ampiezza non sia tale da precludere al lavoratore ogni possibilità di reperire una nuova occupazione.

In evidenza: Cass. sez. lav., 19 novembre 2014, n. 24662

La Suprema Corte ha chiarito che, per la determinazione dei limiti di oggetto, si deve aver riguardo all'attività del prestatore di lavoro, non circoscritta alle specifiche mansioni in concreto svolte presso il datore di lavoro nei cui confronti è assunto il vincolo. L'art 2125 c.c. non fornisce indicazioni sulla estensione di tali limiti, ma esse devono ricavarsi dalla ratio della previsione di nullità, palesemente intesa ad assicurare al prestatore di lavoro un margine di attività idoneo a procurargli un guadagno adeguato alle esigenze di vita proprie e della famiglia.

In ogni caso, deve ritenersi che le attività non consentite al lavoratore devono essere comprese nel proprio patrimonio professionale e, pertanto, assumono rilevanza solo quelle competenze che il lavoratore ha già acquisito e che fanno già parte del suo bagaglio professionale le quali, qualora riutilizzate sul mercato, produrrebbero un indebito e diretto beneficio professionale ad un'azienda concorrente.

In evidenza: Cass. sez. lav., 19 novembre 2014, n. 24662

La Suprema Corte ha ritenuto che, a fronte di un patto di non concorrenza ben determinato ed incentrato sui prodotti specificamente attinenti alla prestazione lavorativa, non possono determinare una violazione della concorrenza l'esercizio di attività estranee al settore produttivo e commerciale relativo all'azienda stipulante il patto.

Limiti: territorio

Inversamente proporzionale al profilo oggettivo è la delimitazione territoriale del patto di non concorrenza, nel senso che tanto più ampio è l'oggetto del patto e tanto sarebbe opportuno circoscriverne l'estensione territoriale.

Attraverso la comparazione dei due elementi, quindi, è possibile delineare la residua capacità lavorativa riservata al lavoratore e, conseguentemente, valutare la legittimità del patto.

In generale, la delimitazione territoriale può essere riferita ad una determinata area geografica (es. Italia, Comunità Europea, ecc.), all'area in cui operano società concorrenti ovvero all'area in cui opera il datore di lavoro, in quanto facente parte di un gruppo, ma entro i limiti dell'interesse dell'impresa e del Gruppo.

In evidenza: Esempi in merito ai limiti spaziali del patto di non concorrenza

La Suprema Corte ha ritenuto che, in considerazione dell'attuale contesto socio economico e dell'economia globalizzata, siano perfettamente legittimi patti estesi non solo all'Italia, ma anche all'intero territorio europeo (Cass. sez. lav., 10 settembre 2003, n. 13282, e conformemente, Trib. Milano, 3 maggio 2005, n. 1484; Trib. Milano, 22 ottobre 2003).

In particolare è stato ritenuto lecito il patto di non concorrenza con il quale veniva proibito ad un addetto marketing, dipendente di una società multinazionale nel settore della vendita di articoli per il fitness, di svolgere qualunque tipo di attività in favore di aziende operanti nel medesimo settore nell'intero territorio europeo (Cass. 10 settembre 2003, n. 13282), come pure un patto di non concorrenza che vietava ad un direttore commerciale, per un periodo di 7 anni e per un corrispettivo pari al 7% della retribuzione, lo svolgimento, nei paesi di Italia, Francia, Svizzera, Germania e Austria attività lavorativa nel settore dei prodotti per il giardinaggio, tenuto conto che la professionalità del lavoratore era caratterizzata dal nucleo significativo delle mansioni di direttore commerciale (capacità organizzative, conoscenza delle strategie di mercato, esperienza nella gestione di reti di vendita, gestione del personale) che potevano essere utilizzate in qualsiasi altro settore (Cass. sez. lav., 3 dicembre 2001, n. 15253).

I giudici di merito hanno ritenuto illegittimo un patto di non concorrenza la cui estensione ricomprendeva tre continenti con riferimento ad ogni tipo di attività prestata, anche in via saltuaria od occasionale, da aziende, enti o privati che svolgevano attività in concorrenza con quella dell'ex datore di lavoro. (Trib. Bari, 18 giugno 2014, n.5802) come pure hanno ritenuto nullo un patto di non concorrenza esteso indefinitamente sia all'Italia che all'estero (Trib. Ravenna, 24 marzo 2005), mentre è stato ritenuto legittimo (Trib. Torino, 16 gennaio 2006) un patto esteso al territorio europeo e degli Stati Uniti.

Inoltre, è stato ritenuto legittimo (Corte d'Appello di Bologna, 18 gennaio 2001) il patto di non concorrenza di un tecnico elettronico addetto allo sviluppo e studio dell'hardware e del software - esteso a Europa, Asia, Stati Uniti, Canada, Sud America, Giappone e Australia - avente ad oggetto uno specifico settore della progettazione e costruzione di macchine automatiche computerizzate per il dosaggio di fluidi (rivolte ai settori tessile, chimico, delle vernici e degli inchiostri) in quanto compensato dal limite particolarmente ristretto dell'oggetto. È stato affermato che il particolare settore oggetto del patto non limitava la redditività e la capacità lavorativa del dipendente, dal momento che gli era consentito di svolgere qualsiasi ulteriore attività di consulenza, in ambito hardware e software per macchine industriali computerizzate sia in Italia che all'estero.

È stato ritenuto legittimo (Trib. Milano, 31 luglio 2003) il patto di non concorrenza di un “design brand coordinator” – esteso a Italia, Francia, Svizzera, Inghilterra, Germania e Stati Uniti - avente ad oggetto qualsiasi attività in favore di società operanti nel settore della produzione, commercializzazione e distribuzione di articoli di abbigliamento e pelletteria, calzature ed articoli per la casa. Il patto aveva una durata di sei mesi e prevedeva un corrispettivo pari al 50% della retribuzione del semestre precedente la cessazione del rapporto. In tale fattispecie, si è stabilito, l'ampiezza territoriale della limitazione è compensata dall'ambito temporale affatto esiguo, suscettibile di non compromettere (...) la possibilità del ricorrente di impiegare la propria professionalità e di esprimerla anche in altri settori e per altri tipi di consulenza o collaborazioni.

Durata

Durata massima fissata ex lege:

  • 5 anni per i dirigenti;
  • 3 anni per le altre categorie di lavoratori.

Naturalmente detti termini decorrono dal primo giorno successivo alla cessazione dell'attività lavorativa.

In caso di previsione di una durata maggiore di quella stabilita dall'art 2125 c.c. c'è la sostituzione automatica della clausola e riduzione della durata entro i limiti indicati dalla legge.

In caso di assenza di previsione circa la durata del patto la sua durata è pari a quella massima individuata dall' art 2125 c.c.

Corrispettivo

Il patto di non concorrenza è un contratto oneroso e deve prevedere un corrispettivo per l'obbligazione di non facere assunta dal lavoratore.

La legge ha lasciato alle parti ampia discrezionalità nella determinazione e nelle modalità del corrispettivo, per cui il compenso del lavoratore può consistere in somme di denaro, oppure altre utilità (ad es. remissione di un debito), anche determinabile, ma deve essere necessariamente congruo e specifico, in relazione al sacrificio richiesto.

In evidenza: Trib. Milano, 11 settembre 2004; Trib. Milano, 22 ottobre 2003; Trib. Milano, 5 giugno 2003; Trib. Milano, 18 giugno 2001; Pret. Prato, 18 luglio 1991; Trib. Milano, 24 giugno 1974; Trib. Torino, 19 febbraio 1964.

Il datore di lavoro dovrà stimare il valore del sacrificio chiesto al lavoratore in termini di professionalità, di retribuzione, di perdita di chance e di eventuali maggiori oneri indiretti (ad esempio per acquisire una nuova professionalità o per variare il luogo di lavoro) derivanti dal patto di non concorrenza.

Il compenso può essere versato in corso di rapporto (assoggettato al prelievo IRPEF) oppure dopo la cessazione dello stesso (soggetto a tassazione separata con stessa aliquota del TFR).

Nel primo caso il compenso può essere pattuito anche come percentuale della retribuzione ed il corrispettivo deve essere considerato nella retribuzione utile ai fini del calcolo del trattamento di fine rapporto.

Le legittimità dell'erogazione del compenso durante il rapporto di lavoro non è, tuttavia, pacifico in giurisprudenza, ove si registrano posizioni contrastanti.

In evidenza: Trib. Milano, 27 gennaio 2007; Trib. Milano, 11 settembre 2004; Trib. Milano, 18 giugno 2001

Una parte della giurisprudenza lo ha ritenuto perfettamente legittimo, in quanto un corrispettivo crescente in proporzione alla durata del rapporto risponderebbe meglio alle esigenze delle parti poiché "la maggiore permanenza in un determinato settore merceologico comporta la maggiore specializzazione del lavoratore, rendendo più difficile la collocazione nel mercato del lavoro in un settore diverso e che, viceversa, tali difficoltà non incontra chi abbia svolto un breve periodo di lavoro presso un datore di lavoro che, dopo aver consentito comunque l'apprendimento di nozioni tecniche, non possa fruire del lavoro di tale dipendente perché in breve tempo dimissionario".

Non sono mancate, tuttavia posizioni in senso contrario, in particolare una parte della giurisprudenza ha ritenuto che violi il disposto dell'art 2125 c.c. la previsione del pagamento del corrispettivo in costanza di rapporto di lavoro, in quanto tale modalità di pagamento introduce una variabile legata alla durata del rapporto che conferisce al patto un inammissibile elemento di aleatorietà ed indeterminatezza tale da non consentire al lavoratore di valutare il costo del proprio sacrificio.

Ai fini del giudizio di congruità dovranno essere presi in considerazione, tra l'altro, una serie di elementi, tra cui la professionalità acquisita e la retribuzione percepita dal dipendente, incidenza del patto sulla situazione concreta.

In evidenza: Cass. sez. lav., 14 maggio 1998, n. 4891; Trib. Milano, 11 settembre 2004; Trib. Milano, 22 ottobre 2003; Trib. Milano, 5 giugno 2003; Trib. Milano, 18 giugno 2001

La giurisprudenza ha chiarito che il corrispettivo non potrà essere meramente simbolico, iniquo o sproporzionato in rapporto al sacrificio richiesto al lavoratore ed alle sua residue capacità di guadagno, ma dovrà essere parametrato al sacrificio imposto al lavoratore, della sua retribuzione, del livello professionale raggiunto, dei minori guadagni che questo potrà realizzare e delle eventuali maggiori spese che il lavoratore dovrà sostenere per modificare il luogo di lavoro o per acquisire una nuova professionalità.

A titolo meramente indicativo, la giurisprudenza ha ritenuto congrui corrispettivi oscillanti tra il 15 % ed il 35% della retribuzione, secondo l'ampiezza dei vincoli di oggetto, di territorio e di durata.

Violazione

In caso di violazione del patto di non concorrenza ex art 2125 c.c., si applicano le disposizioni generali in materia di risoluzione del contratto per inadempimento. Il datore di lavoro potrà, quindi, chiedere, oltre all'intera somma già erogata a titolo di corrispettivo, la risoluzione del patto e contestualmente il risarcimento dei danni subiti, in misura proporzionale al nocumento arrecato al patrimonio immateriale della propria azienda.

Orbene, stante la difficoltà di provare il danno, sovente c'è la previsione di una clausola penale, che appunto assume la funzione di predeterminare l'entità del danno ed esonerare il soggetto dalla prova del danno.

Il datore di lavoro, tuttavia, potrebbe anche chiedere l'esatto adempimento del patto di non concorrenza. In tal caso, fermo restando al diritto al risarcimento del danno, può ricorrere alla procedura d'urgenza ex art. 700 c.p.c. al fine di ottenere dal giudice un'inibitoria che vieti al lavoratore di continuare a svolgere l'attività concorrenziale. Ciò dovrebbe disincentivare quelle situazioni, invero abbastanza frequenti, nelle quali le aziende, pur di accaparrarsi un determinato lavoratore, sono disposte ad accollarsi il pagamento della penale, e, per le quali, conseguentemente, la tutela risarcitoria appare uno scarso deterrente.

In evidenza: Trib. Forlì, 18 giugno 2002

In caso di violazione di un patto di non concorrenza può essere concessa alla parte che ne abbia interesse la tutela inibitoria volta all'immediata cessazione della condotta pregiudizievole; tale violazione, infatti, costituisce condotta produttiva di un danno immediato che, per sua natura, è, nel successivo giudizio di merito, difficilmente provabile in tutta la sua estensione da parte del danneggiato e, conseguentemente, difficilmente riparabile, stante anche il naturale protrarsi nel tempo degli effetti pregiudizievoli della condotta concorrenziale”.

In evidenza: Trib. Bologna, 29 gennaio 2002

Ove sia provata la violazione del patto di non concorrenza ex art 2125 c.c., il giudice può ordinare al lavoratore di cessare da un rapporto di lavoro subordinato in essere; è possibile, inoltre, in sede cautelare, adottare misure atipiche di coazione indiretta all'esecuzione di tale ordine, ponendosi a carico del lavoratore che non vi ottemperi una somma da corrispondere per ogni mese di inadempimento del suddetto ordine.

Patto di non concorrenza per agenti e parasubordinati

Mentre l'art 2125 c.c. disciplina il patto di non concorrenza nell'ambito del rapporto di lavoro subordinato, l'art. 1751-bis c.c. regolamenta l'istituto con riferimento al rapporto di agenzia.

La norma (inserita dall'art. 5, D.Lgs. 10 settembre 1991, n. 303 e integrata dall'art. 23, L. 29 dicembre 2000, n. 422 -Legge Comunitaria 2000) prevede che:

  • il divieto dovrà essere stipulato per iscritto;
  • potrà essere concordato per un massimo di due anni;
  • dovrà riguardare la medesima zona, clientela e genere di beni o servizi per i quali era stato concluso il contratto di agenzia;

In evidenza: Trib. Milano, 23/05/2003

“In materia di contratto di agenzia, il patto di non concorrenza stipulato senza l'indicazione dei limiti territoriali previsti dall'art. 1751-bis c.c. deve intendersi circoscritto alla zona di competenza dell'agente nel corso del rapporto di agenzia”.

  • l'agente ha diritto ad un'indennità di natura non provvigionale alla cessazione del rapporto che potrà essere determinata in base alle seguenti circostanze:
    a) al rapporto non si applica la disciplina degli AEC.
    In tal caso l'indennità può essere liberamente determinata dalla parti tenendo conto di quanto stabilito dagli AEC in relazione ai seguenti elementi:
    - durata del rapporto (nel limite biennale);
    - la natura del contratto, mono o plurimandatario;
    - indennità di cessazione del rapporto.
    In mancanza di determinazione pattizia, sarà possibile ricorrere al giudice, che la determinerà in via equitativa anche con riferimento alla media dei corrispettivi riscossi dall'agente, in pendenza di contratto, oppure alle cause di cessazione del contratto di agenzia (da verificarsi di volta in volta anche ai fini della chiara determinazione delle rispettive responsabilità) e/o all'ampiezza della zona assegnata all'agente stesso e all'esistenza o meno di un vincolo di esclusiva per il solo preponente
    b) al rapporto si applicano gli AEC.
    In tal caso gli accordi stabiliscono le modalità del computo dell'indennità, prendendo come base di calcolo la media delle annua delle provvigioni spettanti nei 5 anni precedenti, la cessazione del rapporto ovvero la media annua calcolata sull'intero importo se questo ha avuto durata inferiore a 5 anni.

Nell'ipotesi di violazione del patto da parte dell'agente, il preponente potrà attivarsi al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti, eventualmente anche predeterminati con la previsione aggiuntiva di una clausola penale.

In evidenza: Art. 14 AIND

Gli AEC del settore industriale prevedono espressamente una clausola penale per cui per cui, in caso di violazione l'agente dovrà restituire l'indennità eventualmente percepita e corrispondere inoltre una penale di importo pari al 50% dell'indennità prevista. L'azienda è comunque ammessa a provare di aver subito un danno maggiore.

Il preponente potrà anche proporre, in esecuzione del patto e dimostrando il mero inadempimento, un'azione di urgenza ex art. 700 c.p.c. che inibisca all'agente la prosecuzione dell'attività a favore del nuovo preponente, fatto salvo il diritto al risarcimento dei danni per concorrenza sleale.

Con riferimento agli altri rapporti di collaborazione non ci sono specifiche disposizioni per cui le parti, fermo restando i doveri di correttezza nel rapporto obbligatorio (ai sensi dell'art. 1175 c.c.) e un dovere di buona fede nell'esecuzione del contratto (art. 1375 c.c.), potranno negoziare un accordo di non concorrenza ex art. 2596 c.c.

Fac simile

Fac simile PATTO DI NON CONCORRENZA

***

Con la presente scrittura privata da valere ad ogni effetto di legge, tra l'azienda “Impresa S.p.A.” (C.F e P.IVA n. ______) in persona del suo legale rappresentante Sig. dott. Rossi con sede in _____ via _____n. 1

E

Il sig. dott. Bianchi nato a Roma il _____, e residente in Roma via _____,

***

Premesso che:

  1. Tra le parti è tuttora in corso un rapporto di lavoro a tempo indeterminato avente decorrenza dal __/__/__, in forza di un contratto di lavoro stipulato il __/__/__ e che il sig. dott. Bianchi riveste la qualifica di ________.
  2. Ai sensi dell'art. 2105 c.c. il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l'imprenditore, né divulgare notizie attinenti all'organizzazione e ai metodi di produzione dell'impresa, o farne uso in modo pregiudizievole per la stessa.
  3. L'art. 2105 c.c., in merito all'obbligo di fedeltà, individua due distinti doveri: il divieto di concorrenza e l'obbligo di riservatezza. Il primo consiste nell'obbligo di astenersi dal trattare affari in concorrenza con l'imprenditore, sia per conto proprio che di terzi, mentre il secondo vieta al lavoratore di divulgare o di utilizzare, a vantaggio proprio o altrui, informazioni attinenti l'impresa, in modo da poterle arrecare danno. A differenza del divieto di concorrenza, che cessa al momento dell'estinzione del rapporto, l'obbligo di riservatezza permane intatto anche successivamente alla cessazione del rapporto, per tutto il tempo in cui resta l'interesse dell'imprenditore a tale segretezza;

***

Tutto ciò premesso

Si conviene e si stipula ad ogni effetto di legge il seguente patto di non concorrenza ex art 2125 C.C. per il periodo successivo alla risoluzione del rapporto con il sig. dott. Bianchi;

***

1) DELIMITAZIONI DELL'OBBLIGO DI NON CONCORRENZA:

a) Limite di oggetto:

Il sig. dott. Bianchi si impegna ad astenersi dal prestare la propria attività in qualità di lavoro subordinato, consulente o in qualsiasi altra forma (parasubordinato o autonomo, agente, amministratore, o socio) occasionalmente e saltuariamente, presso o a favore di persone, imprese o enti, che svolgono attività identiche o similari a quelle svolte da “impresa S.p.A.”. Costituirà violazione del presente patto di non concorrenza anche la partecipazione diretta o indiretta a imprese aventi in origine oggetto diverso da “impresa S.p.A.” che estendano successivamente il campo della loro attività a settori in concorrenza, così come la partecipazione a imprese che abbiano partecipazioni in imprese concorrenti di “impresa S.p.A. “Il sig. dott. Bianchi si asterrà, inoltre, dall'intraprendere o comunque svolgere in proprio, né per interposta persona né per conto terzi, attività identiche o similari a quelle di “impresa S.p.A.”.

b) Limite di tempo:

Il vincolo derivante dalla firma del presente patto di non concorrenza avrà la durata massima di anni 3 (/ anni 5) a partire dalla cessazione del rapporto di lavoro, e sarà efficace qualunque sia la causa od il motivo della risoluzione del rapporto di lavoro.

c) Limite di luogo:

Tutto il territorio italiano: in ogni caso, la società si riserva la facoltà di modificare il limite sopra indicato, con l'unico divieto di ampliarlo quantitativamente.

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2) CORRISPETTIVO:

La società “impresa S.p.A.” a fronte del vincolo di cui al punto 1, verserà un corrispettivo di euro ___/00 lorde mensili a titolo di patto di non concorrenza, a decorrere dalla mensilità di gennaio e verrà corrisposto con periodicità mensile (se il corrispettivo viene stabilito in percentuale della retribuzione lorda annua sarà opportuno specificare quali voci retributive entrano a far parte del corrispettivo). Il corrispettivo come sopra determinato è stato concordato tra le parti tenuto conto della diminuzione quantitativa e qualitativa di lavoro e di guadagno imposta al sig. dott. Bianchi dal presente patto, anche in relazione all'efficacia spaziale e temporale dello stesso.

***

3) RESPONSABILITA' PER INADEMPIENZA:

Nel caso di inadempienza anche parziale del sig. dott. Bianchi, delle obbligazioni assunte con il presente patto, la “impresa S.p.A.” sarà legittimata a pretendere la restituzione delle somme eventualmente già corrisposte in esecuzione del presente patto di non concorrenza.

4) PENALE:

In caso di violazione del presente patto il sig. Dott. Bianchi dovrà corrispondere a titolo di penale ai sensi dell'art. 1382 del c.c. la somma di Euro_____- Viene fatto salvo comunque il diritto della “Impresa S.p.A.” a ottenere il risarcimento dell'ulteriore maggior danno sofferto in conseguenza di tale inadempimento.

5) OBBLIGO DI RISERVATEZZA:

Il sig. Dott. Bianchi si impegna, a mantenere rigorosamente riservate e segrete tutte le notizie e le informazioni ricevute o comunque apprese relative a _______ed alla sua attività ed al presente accordo;

6) CLAUSOLA RISOLUTIVA:

Nella vigenza del suddetto patto di non concorrenza, il sig. Dott. Bianchi fornirà, a richiesta di “Impresa S.p.A.”, informazioni complete sull'attività lavorativa svolta. In caso di rifiuto o di comunicazioni false o reticenti, il presente patto si intende risolto ai sensi e per egli effetti di cui all'art. 1456 c.c..

LCS

Roma, lì ___________

Impresa S.p.a. _______________

Dott. Bianchi ________________

Riferimenti

Normativi:

  • Art 212 c.c.

Giurisprudenza:

  • Cass. sez. lav., 19 novembre 2014, n. 24662
  • Cass. sez. lav., 4 aprile 2006, n. 7835
  • Cass. sez. lav., 19 aprile 2002, n. 5691
  • Cass. sez. lav., 3 dicembre 2001, n. 15253
  • Cass. sez. lav., 10 settembre 2003, n. 13282
  • Cass. sez. lav., 26 novembre 1994, n. 10062
  • Cass. sez. lav., 14 maggio 1998, n. 4891
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