Prescrizione e decadenze

Marco Giardetti
15 Gennaio 2016

Scheda in fase di aggiornamento

La prescrizione e la decadenza sono istituti comuni a tutte le branche del diritto: non c'è settore dello stesso o materia che non preveda entrambi gli istituti, dettati tutti a tutela della fondamentale certezza del diritto. Da un lato, la prescrizione indica il periodo di tempo entro il quale un soggetto può esercitare un diritto a pena di estinzione dello stesso. Dall'altro, la decadenza si verifica ogniqualvolta, trascorso un determinato limite temporale, un soggetto perde la possibilità di esercitare un proprio diritto.

Inquadramento

Una particolare forma di tutela dei diritti del lavoratore deriva dalla disciplina della prescrizione introdotta dalla Corte Costituzionale: una disciplina che si distingue nettamente da quella prevista in generale dal nostro ordinamento.

Ed infatti, secondo la regola generale prevista dall'art. 2934 c.c. la prescrizione determina l'estinzione del diritto allorquando il titolare non lo esercita per un periodo prefissato dalla legge. La stessa prescrizione inizia a decorrere dal momento in cui il diritto può esser fatto valere.

In particolare, l'art. 2934 prevede che “Ogni diritto si estingue per prescrizione, quando il titolare non lo esercita per il tempo determinato dalla legge.

E secondo l'art. 2935 c.c.La prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”.

Di converso, la decadenza opera nei casi in cui specifiche disposizioni di legge prevedano espressamente che il titolare del diritto debba esercitarlo entro un termine perentorio a pena di immediata estinzione dello stesso o di preclusione al suo esercizio.

Sulla speciale disciplina della prescrizione in materia lavoro

La normale e generale regola della prescrizione di un diritto è che la stessa decorra dal momento in cui può essere esercitato.

Il lavoratore, quindi, nel momento in cui esegue la propria prestazione lavorativa matura diritti quali la retribuzione che potrebbe far valere direttamente ed immediatamente. Secondo la regola generale, quindi, la prescrizione degli stessi dovrebbe decorrere dal momento in cui viene eseguita la prestazione lavorativa e quindi anche in costanza di rapporto di lavoro.

Tale disciplina è stata tuttavia dichiarata incostituzionale dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 63/1966) in relazione ai diritti retributivi nella “parte in cui consentono che la prescrizione del diritto alla retribuzione decorra durante il rapporto di lavoro”.

Ed infatti, la disciplina generale non tiene conto della debolezza economica e sociale del lavoratore e del metus al quale lo stesso è costantemente sottoposto durante il rapporto di lavoro nei confronti del datore di lavoro. In particolare, si parla del timore delle ritorsioni che il datore di lavoro potrebbe mettere in atto per reagire ad eventuali rivendicazioni del lavoratore, ad esempio licenziandolo.

È stata così introdotta una disciplina speciale in virtù della quale la prescrizione dei diritti del lavoratore decorre dal momento in cui cessato il rapporto di lavoro, quando viene meno il metus che ne può ostacolare la rivendicazione.

Tale disciplina speciale è stata poi rivisitata dalla stessa giurisprudenza costituzionale in relazione al successivo intervento della Legge n. 300/70 e dei limiti e paletti posti al potere del datore di lavoro di licenziare i propri dipendenti.

In virtù di tale cambio di orientamento, la disciplina speciale sopra citata non si applica ai rapporti di lavoro assistiti da una adeguata stabilità del rapporto e cioè:

  • al pubblico impiego;
  • ai rapporti cui è applicabile l'art. 18, Legge n. 300/70.

Ciò in quanto, come detto, proprio in virtù dell'introduzione dei limiti al licenziamento di cui all'art. 18 è venuta meno la presunzione assoluta di coercizione o metus del lavoratore nei confronti del datore di lavoro nell'ipotesi di rivendicazione di propri diritti.

Concludendo, esistono due regimi relativi alla decorrenza della prescrizione:

  • quello di diritto comune, applicabile ai rapporti caratterizzati da stabilità;
  • quello speciale previsto dalla generale regola di cui all'art. 2934 c.c.; nelle ipotesi di cosiddetta tutela obbligatoria, ossia di rapporto di lavoro non dotato di stabilità.

Parimenti, un duplice regime opera in relazione all'oggetto dei diritti del lavoratore.

Ed infatti sussisterà:

  • la prescrizione ordinaria decennale applicabile ai diritti non retributivi (classico caso sono le rivendicazioni in tema di mansioni superiori) e al risarcimento del danno per omissione contributiva e da responsabilità contrattuale;
  • la prescrizione quinquennale applicabile a tutte le prestazioni periodiche come la retribuzione e le indennità spettanti per la cessazione del rapporto (quali il trattamento di fine rapporto e l'indennità di mancato preavviso).

Viene riconosciuta una presunzione di avvenuto pagamento solo per i crediti retributivi, parlandosi in questo caso di prescrizione presuntiva, atteso che i crediti si presumono soddisfatti se non rivendicati dal lavoratore entro un periodo di tempo indicato dalla legge. Tale prescrizione è superabile con la confessione del debitore o con deferimento del giuramento decisorio.

La prescrizione presuntiva può essere di due tipi:

  • triennale per le retribuzioni corrisposte per periodi superiori al mese (ad esempio la tredicesima mensilità);
  • annuale per le retribuzioni corrisposte a periodi non superiori al mese (ad esempio lavoro straordinario).

In evidenza: giurisprudenza

In tema di lavoro carcerario, il termine di prescrizione dei diritti del lavoratore non decorre durante lo svolgimento del rapporto, essendo il rapporto privo di stabilità ed atteso che le particolarità del lavoro carcerario - nel quale la configurazione sostanziale e la tutela giurisdizionale dei diritti nascenti dal rapporto possono non coincidere con quelli che contrassegnano il lavoro libero in considerazione delle modalità essenziali di esecuzione della pena e delle corrispondenti esigenze organizzative dell'amministrazione penitenziaria - possono determinare nel lavoratore una situazione di metus giustificativa della sospensione della prescrizione” (Cass. Lavoro, sentenza n. 21573/2007).

Interruzione della prescrizione

La prescrizione è interrotta quando il titolare compie un atto con il quale esercita il suo diritto (notifica della domanda giudiziale od invio di missiva di costituzione in mora del debitore) o in caso di riconoscimento del debito da parte del soggetto passivo.

L'atto di costituzione in mora del datore di lavoro può essere sottoscritto non soltanto dal titolare del diritto, ma anche da un rappresentante del lavoratore (avvocato, sindacato), purchè lo stesso sia stato investito con qualsiasi forma di un potere di rappresentanza dimostrabile con ogni mezzo di prova.

Sul punto è vivo il dibattito giurisprudenziale in relazione alle missive interruttive della prescrizione a firma del solo rappresentante in assenza di qualsivoglia sottoscrizione del lavoratore.

Ed infatti, la Suprema Corte di Cassazione insegna che “In materia di prescrizione, condizione di idoneità di un atto alla produzione di effetti interruttivi della prescrizione è, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 2934 e 2943 cod. civ., la sua provenienza dal titolare del diritto ovvero da soggetto che agisca quale suo valido rappresentante” (Cass. 3 dicembre 2002 n. 17157).

Parte della giurisprudenza ritiene, invece, che l'assenza della sottoscrizione del lavoratore o di altra prova utile a dimostrare il conferimento del mandato comporti l'inidoneità della missiva ad assolvere funzioni interruttive. In alcune pronunce si legge: “con particolare riferimento alle lettere interruttive della prescrizione, si evince che l'azienda convenuta aveva in quel periodo un numero di dipendenti superiore a 15, per cui la prescrizione decorre pur in costanza di rapporto. In ogni caso osserva il giudice che nel caso in esame il rapporto di lavoro risulta cessato in data …, per cui, anche ritenendo non provata la sussistenza del requisito dimensionale per il ricorso a stabilità reale, dovrebbe farsi decorrere la prescrizione da tale ultima data … Non può essere riconosciuto valore interruttivo alle precedenti missive del 1991, del 1995 e del 1998 in quanto non vi è alcun elemento che consenta di affermare che il soggetto che di volta in volta le abbia inviate abbia agito in rappresentanza degli odierni ricorrenti … infine, si deve rilevare che in ogni caso non vi è alcuna prova che il lavoratore fosse iscritto al sindacato Fisafs, per cui anche sotto questo profilo si potrebbe escludere una presunzione di rappresentanza da parte del soggetto che aveva inviato la missiva in questione … L'accoglimento integrale dell'eccezione di prescrizione preclude l'esame della controversia nel merito. I ricorrenti soccombenti devono essere condannati in solido tra loro, al pagamento delle spese del giudizio in favore della società convenuta, liquidate in dispositivo” (Tribunale Lavoro di Roma, sentenze n. 321, n. 322 e n. 324 del 9 gennaio 2007).

L'atto di interruzione della prescrizione e costituzione in mora deve essere in ogni caso specifico, indicando in maniera compiuta e dettagliata i diritti rivendicati dal lavoratore.

Proprio di recente il Tribunale Lavoro di Roma è intervenuto in materia, statuendo che “In ogni caso, nessuno dei pretesi atti interruttivi della prescrizione prodotti in giudizio dai ricorrenti sembra possedere i requisiti minimi previsti dall'articolo 2943 c.c. affinché si possa ritenere ritualmente effettuata la costituzione in mora del debitore. In tali atti i ricorrenti si limitano a richiedere alla odierna resistente la liquidazione della indennità sostitutiva per le ferie non godute, senza però specificare in alcun modo il proprio diritto. Ossia i pretesi giorni di ferie spettanti, ma non godute; nonché gli anni ai quali tali ferie si riferivano. Specificazioni che erano invece indispensabili, anche in considerazione del termine decennale di prescrizione previsto per l'indennità de qua, al fine di consentire al debitore di comprendere quale fosse il diritto fatto valere dai creditori. Se è infatti pacifico che l'atto di costituzione in mora non debba contenere anche la quantificazione delle pretese fatte valere, deve però ritenersi che esso produce propri effetti solo quando vengano rappresentati – anche in termini generali - i fatti costitutivi della pretesa fatta valere (cfr. Cass. Sez. I, 26 marzo 2003, n. 4464). Rappresentazione del tutto mancata nel caso di specie” (Tribunale di Roma, Sezione Lavoro, sent. n. 11197/2013).

Decadenza

L'istituto della decadenza tende a favorire l'esigenza di certezza delle situazioni giuridiche e, nell'ambito del diritto del lavoro, ha un frequente ambito di applicazione in materia di impugnazioni del licenziamento e delle rinunce e transazioni (art. 2113 c.c.).

La previsione di termini di decadenza consente al datore di lavoro di sapere se, trascorso un determinato periodo, la cessazione del rapporto di lavoro o gli atti dispositivi compiuti dai lavoratori possano o meno formare oggetto di contestazione. Chiaramente decorsi i termini suddetti, l'esercizio del diritto non sarà più consentito.

Pertanto il lavoratore ha l'onere di esercitare i propri diritti in un preciso arco temporale decorso il quale egli decade dallo stesso ossia perde la possibilità di esercitarlo.

La decadenza può essere di due tipi, legale o convenzionale.

La decadenza legale, come nel caso del termine di 60 giorni per impugnare il licenziamento e dei successivi 180 giorni per il deposito del ricorso giudiziario, o nel caso del termine semestrale di cui all'art. 2113 c.c. per impugnare rinunzie e transazioni e quelli previsti dall'art. 7 dello Statuto dei Lavoratori.

La decadenza convenzionale comporta l'applicazione delle regole generali di cui agli artt. 2965 e ss c.c. in virtù dei quali le parti non possono stabilire a pena di nullità termini di decorrenza che rendono eccessivamente difficoltoso l'esercizio del diritto.

Si è discusso se la decadenza potesse avere anche fonte sindacale. Secondo parte della dottrina (Proia) la decadenza può avere fonte legale. Potrà avere fonte collettiva e convenzionale al solo ricorrere di due condizioni.

La prima condizione è che devesi trattare di decadenza riferita a diritti disciplinati dalle stesse fonti sindacali, atteso che la fonte collettiva non può limitare diritti derivanti direttamente dalla legge.

La seconda condizione è che i termini di decadenza non siano comunque di durata così breve da rendere “eccessivamente difficile ad una delle parti l'esercizio del diritto” come previsto dall'art. 2965 c.c.

Aspetti processuali

Gli aspetti processuali connessi alla prescrizione ed alla decadenza sono trancianti.

Ed infatti:

  • nell'ipotesi di deposito di un atto giudiziario scaduti i termini di decadenza previsti, verrà dichiarata l'inammissibilità dello stesso;
  • nell'ipotesi di rivendicazione del diritto oltre i termini di prescrizioni, lo stesso verrà dichiarato estinto con conseguente rigetto della domanda.
Orientamenti a confronto

ORIENTAMENTI A CONFRONTO

Potere di rappresentanza (necessaria la firma del lavoratore o di idonea procura): “Con particolare riferimento alle lettere interruttive della prescrizione, si evince che l'azienda convenuta aveva in quel periodo un numero di dipendenti superiore a 15, per cui la prescrizione decorre pur in costanza di rapporto. In ogni caso osserva il giudice che nel caso in esame il rapporto di lavoro risulta cessato in data …, per cui, anche ritenendo non provata la sussistenza del requisito dimensionale per il ricorso a stabilità reale, dovrebbe farsi decorrere la prescrizione da tale ultima data … Non può essere riconosciuto valore interruttivo alle precedenti missive del 1991, del 1995 e del 1998 in quanto non vi è alcun elemento che consenta di affermare che il soggetto che di volta in volta le abbia inviate abbia agito in rappresentanza degli odierni ricorrenti … infine, si deve rilevare che in ogni caso non vi è alcuna prova che il lavoratore fosse iscritto al sindacato Fisafs, per cui anche sotto questo profilo si potrebbe escludere una presunzione di rappresentanza da parte del soggetto che aveva inviato la missiva in questione … L'accoglimento integrale dell'eccezione di prescrizione preclude l'esame della controversia nel merito. I ricorrenti soccombenti devono essere condannati in solido tra loro, al pagamento delle spese del giudizio in favore della società convenuta, liquidate in dispositivo” (Tribunale Lavoro di Roma, sentenze n. 321, n. 322 e n. 324 del 9 gennaio 2007).

Potere di rappresentanza (non necessità di firma lavoratore): “In materia di prescrizione, condizione di idoneità di un atto alla produzione di effetti interruttivi della prescrizione è, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 2934 e 2943 cod. civ., la sua provenienza dal titolare del diritto ovvero da soggetto che agisca quale suo valido rappresentante” (Cass. 3 dicembre 2002 n. 17157).

Casistica

CASISTICA

Interruzione prescrizione tentativo di conciliazione

Il tentativo obbligatorio di conciliazione interrompe la prescrizione se comunicato alla controparte; infatti, ai sensi dell'art. 410 c.p.c. la comunicazione della richiesta di espletamento del tentativo di conciliazione interrompe la prescrizione e sospende, per la durata del tentativo di conciliazione e per i venti giorni successivi alla sua conclusione, il decorso di ogni termine di scadenza (Cass. 1 luglio 2013 n. 16452, in Lav. nella giur. 2013, 951)

Prova interruzione della prescrizione: poteri del giudice

La prova di un atto interruttivo della prescrizione può essere dedotta in via presuntiva; in tale ipotesi, resta, peraltro, riservata all'apprezzamento discrezionale del giudice di merito la sussistenza sia dei presupposti per il ricorso a tale mezzo di prova, sia dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge, con valutazione sindacabile in sede di legittimità solo quanto alla congruenza della relativa motivazione, con la precisazione che, per aversi una presunzione giuridicamente valida, non occorre che tra il fatto noto e il fatto ignoto sussista una relazione avente carattere di assoluta ed esclusiva necessità, essendo sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile secondo un criterio di normalità (Cass. 29 marzo 2012 n. 5084, in D&L 2012, 544).

Riferimenti

Art. 2934 c.c.

Art. 2935 c.c.

Art. 2937 c.c.