Trasferimento d’azienda

Gabriele Livi
15 Gennaio 2021

Scheda in fase di aggiornamento

Il trasferimento di azienda o di ramo d'azienda è fattispecie rilevante anzitutto sul piano del diritto commerciale e societario e può essere inteso, oltre che quale negozio traslativo in senso stretto, anche quale modalità di riorganizzazione della compagine aziendale, in vista di una sua sistemazione ottimale in un momento dato. Tali processi impattano in maniera notevole sui prestatori di lavoro la cui posizione lavorativa inerisca all'ambito aziendale interessato.Oltretutto, spesso i riferiti processi sono attuati con l'obiettivo del contenimento dei costi del personale, avvantaggiandosi, per esempio, dei più contenuti livelli di trattamento economico in atto presso la società destinataria della cessione. Di qui la rilevanza della materia anche sul fronte dei rapporti di lavoro e l'intervento dell'ordinamento – soprattutto, ma non solo in sede di art. 2112 c.c. – a presidio e tutela dei lavoratori ceduti nell'ambito del trasferimento aziendale.

Inquadramento

Il trasferimento di azienda o di ramo d'azienda è fattispecie rilevante anzitutto sul piano del diritto commerciale e societario e può essere inteso, oltre che quale negozio traslativo in senso stretto, anche quale modalità di riorganizzazione della compagine aziendale, in vista di una sua sistemazione ottimale in un momento dato.

Attraverso tale modalità vengono fra l'altro spesso attuate, per lo più nell'ambito di gruppi societari, o reti d'imprese, soluzioni volte alla esternalizzazione di parte delle attività produttive e di confluenza delle stesse in distinti agglomerati organizzativi. Si dà poi anche il caso in cui le attività esternalizzate vengano riacquisite dall'azienda cedente sulla base di contratti di appalto di opera o servizi con la cessionaria.

Tali processi impattano in maniera notevole sui prestatori di lavoro la cui posizione lavorativa inerisca all'ambito aziendale interessato.

Oltretutto, spesso i riferiti processi sono attuati con l'obiettivo del contenimento dei costi del personale, avvantaggiandosi, per esempio, dei più contenuti livelli di trattamento economico in atto presso la società destinataria della cessione.

Di qui la rilevanza della materia anche sul fronte dei rapporti di lavoro e l'intervento dell'ordinamento – soprattutto, ma non solo in sede di

art. 2112 c.c.

– a presidio e tutela dei lavoratori ceduti nell'ambito del trasferimento aziendale.

L'art. 47 della Legge n. 428 del 1990, in attuazione delle norme europee in materia, integra la normativa codicistica definendo fra l'altro le procedure sindacali che accompagnano l'ipotesi di trasferimento di azienda e regola la fattispecie con riguardo alle procedure concorsuali e situazioni qualificabili in termini di “crisi d'impresa”. La norma è fatta oggetto di un significativo intervento ad opera del D.Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14 contenente il “Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza in attuazione della legge 19 ottobre 2017 n. 155”, in vigore dal 1° settembre 2021 (e che va a sostituire la Legge fallimentare n. 267 del 1942).

Profili generali

L'art. 2112 cod. civ. disciplina gli effetti del trasferimento dell'azienda sul versante dei rapporti di lavoro, evidenziando un parallelismo con la norma –

art. 2558 cod. civ.

– che, in generale, in riferimento ai rapporti giuridici che fanno capo a una determinata azienda, prevede, in caso di trasferimento, il subentro dell'acquirente in tutti i contratti stipulati per l'esercizio dell'azienda medesima che non abbiano carattere personale.

È proprio in funzione di tale parallelismo che l'art. 2112, comma 1, prevede, in caso di trasferimento, che “il rapporto di lavoro continua con il cessionario e il lavoratore conserva i diritti che ne derivano”.

Le disposizioni richiamate - quella dell'

art. 2558

c.c.

, ma anche quella dell'art. 2112 - trovano fondamento e giustificazione nella qualificazione, ricorrente in dottrina e in giurisprudenza (cfr.

Cass. n. 1720/2016

;

Cass. n. 13319/2015

), dell'azienda quale universitas facti o iuris (

art. 816 c.c.

), aspetto questo che ne giustifica una considerazione, per molti aspetti, quale bene unitario, anche per quanto attiene la sua circolazione, come somma dei rapporti giuridici che via via la compongono.

È proprio in connessione con tale qualificazione che la cessione d'azienda comporta la cessione dei rapporti di lavoro che ne sono parte a prescindere dall'adesione dei titolari dei singoli rapporti di lavoro ceduti, differentemente da quanto avverrebbe in caso di cessione dei singoli rapporti di lavoro senza contemporanea cessione del complesso aziendale (

art. 1406 c.c.

e ss.). Il lavoratore non può quindi “opporsi” all'effetto traslativo, se non recedendo dal rapporto con le garanzie appresso indicate.

È utile altresì evidenziare che l'espressione cessione di azienda, ex art. 2112 c.c., ricomprende una pluralità di evenienze traslatorie (cfr. oltre) tutte caratterizzate dal fatto che i rapporti di lavoro interessati – ceduti assieme e per effetto della cessione dell'azienda – restano quelli originari, nonostante la modifica soggettiva che li interessa; si ha cioè una successione (c.d. a titolo particolare), fra cedente e cessionario, nella titolarità di rapporti giuridici (anche processuali: cfr. Cass. n. 17151/2008), che, quanto a contenuto oggettivo, restano quelli ex ante, non conoscendo soluzione di continuità. In altre parole, il datore di lavoro cessionario subentra nel rapporto di lavoro già in essere tra datore cedente e lavoratore ceduto, secondo la conformazione che il rapporto stesso è venuta (nel tempo) ad assumere, in relazione alla normativa contrattuale applicabile, oltre che di legge, salvi successivi effetti modificativi ammessi dal legislatore o per effetto di accordi sindacali.

Tale soluzione (cui si applicano taluni contemperamenti: v. oltre) realizza un significativo apparato di tutela per il lavoratore: il rapporto di lavoro e la relativa anzianità di servizio non vengono interrotti; i diritti e le garanzie economiche e normative di cui è titolare non subiscono sostanziale alterazione; la normativa applicabile al successivo svolgimento del rapporto resta quella originaria e la sua modificazione è subordinata ad apposite condizioni.

Evoluzione nella disciplina dell'art. 2112 c.c.

L'

art. 2112

c.c.

è stato fatto oggetto, nel tempo, di una pluralità di modifiche, anche alla luce della normativa europea.

Nella versione originaria, del codice del 1942 – in coerenza peraltro con il principio, allora dominante, della libera e acausale recedibilità dal rapporto di lavoro – era riconosciuta al datore, in sede di trasferimento dell'azienda, la possibilità di dare disdetta ai rapporti di lavoro interessati.

È con la legge comunitaria del 1990 (art. 47 L. 29 dicembre 1990 n. 428) che, formalmente, tale principio viene superato, essendo recepito dall'ordinamento il principio opposto, di derivazione comunitaria (art. 4 direttiva 77/187/CE), in forza del quale il trasferimento d'azienda, di per sé (v. oltre), non rappresenta un giustificato motivo di recesso dai rapporti di lavoro ad essa inerenti, né per il datore cedente né per quello cessionario. Ne deriva la regola secondo cui “in caso di trasferimento d'azienda, il rapporto di lavoro continua con il cessionario e il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano” (art. 2112, comma 1).

Un altro rilevante intervento normativo in materia si è avuto, prima, con d.lgs. 2 febbraio 2001, n. 18 che (recependo la direttiva 98/50/CE) ha complessivamente novellato l'art. 2112 (rivedendo anche l'art. 47 L. n. 428 cit.) e, poi, con l'art. 32 d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, modificato dall'art. 9, d.lgs. 6 ottobre 2004 n. 251, che, anche alla luce della più recente Direttiva 2001/23/CE, è intervenuto nuovamente sui contenuti della norma del codice civile. Con tali modifiche è stato quindi, messo a fuoco, per gradi successivi, il concetto di trasferimento di azienda (e di parte dell'azienda) applicabile nella disciplina dei rapporti di lavoro.

Definizione di trasferimento di azienda e di parte (o ramo) d'azienda

Come accennato, l'art. 2555 cod. civ. contiene la nozione “generale” di azienda, identificata con “il complesso dei beni organizzati dall'imprenditore per l'esercizio dell'impresa”, mentre gli articoli successivi (2556 – 2568) si occupano delle vicende giuridiche, anche traslatorie, da cui la stessa può essere interessata.

In origine, e sino al d.lgs. n. 18/2001 cit., l'art. 2112, nel disciplinare la fattispecie del trasferimento, rimandava, in pratica, alla nozione di azienda generalmente recepita, quindi, per l'appunto, quella individuata in base all'art. 2555 e ss.

A partire dal d.lgs. n. 18 del 2001, come accennato, e poi a seguito dell'intervento dell'art. 32 d.lgs. n. 276/2003, è stata inserita nell'art. 2112, comma 5, una normativa specifica al riguardo, sia in ordine al concetto di azienda, o parte di essa, in senso statico, sia in ordine ai profili dinamici (trasferimento).

Azienda, a tali effetti, risulta essere “qualsiasi attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità”. Per parte o ramo di azienda si intende, poi, in base alle modifiche apportate all'art. 2112 c.c. nel periodo 2001-2004, “l'articolazione funzionalmente autonoma, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del trasferimento”. Il trasferimento, a sua volta, è riferibile a “qualsiasi operazione che in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità, a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato ivi compresi l'usufrutto o l'affitto”.

Autonomia del concetto di azienda ex art. 2112 c.c.

Da tali riferimenti normativi risulta anzitutto confermato che l'art. 2112, come novellato nei primi anni duemila, incorpora un concetto di azienda non più pienamente coincidente con quello generale, di cui all'art. 2555 c.c.: la logica è quella di assicurare le garanzie e tutele in un senso più ampio, per esempio anche ai rapporti di lavoro afferenti datori di lavoro non imprenditori (Cass. n. 25021/2014). Ai sensi dell'art. 31, d.lgs. n. 165/2001 e salvo che sussistano apposite deroghe normative, la disciplina dell'art. 2112 e della L. n. 428/1990 è altresì applicabile ai rapporti di pubblico impiego (cfr. Cass. n. 12670/2016).

Per altro verso, se pure è necessario, ai sensi dell'espresso dettato normativo, che l'azienda trasferita preesista al trasferimento e conservi la propria identità anche in seguito, il concetto utilizzato ammette una interpretazione elastica, tale che l'entità aziendale - in una prospettiva ampiamente dematerializzata - possa essere costituita anche soltanto da un insieme di lavoratori all'uopo organizzati, senza supporto di un apparato strumentale: si tratta dei c.d. labour intensive process (cfr. Cass. n. 493/2005, Cass. n. 5709/2009, Cass. 28.4.2014, n. 9361; cfr. tuttavia Cass. n. 1183/2014).

Ramo d'azienda, conseguenze dell'accertamento negativo

Ancor più flessibile risulta, almeno “sulla carta”, il concetto di parte o ramo d'azienda, posto che, nella vigente versione della norma (quella conseguente all'intervento del D.lgs. n. 276 cit.), l'articolazione aziendale funzionalmente autonoma (rispetto alla complessiva compagine aziendale), passibile di trasferimento, è quella “identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del trasferimento”; il d.lgs. 18/2001, in senso più limitativo, faceva invece, anche qui, riferimento alla preesistenza della parte d'azienda rispetto al momento del trasferimento e alla conservazione della identità successivamente ad esso.

Sul punto, si sono avuti contrasti interpretativi (cfr. in senso estensivo cfr. Tribunale Milano 4 aprile 2014 e 31 gennaio 2008). Prevale, comunque, nella giurisprudenza di legittimità - anche in relazione al fatto che la Direttiva 2001/23/CE fa riferimento alla “conservazione dell'identità” del ramo d'azienda trasferito (cfr. CGUE 6 marzo 2014, in C-458/12) - una interpretazione rigorosa, ai sensi della quale il ramo d'azienda “presuppone una preesistente realtà produttiva autonoma e funzionalmente esistente e non una struttura produttiva creata ad hoc in occasione del trasferimento [...], o come tale identificata dalle parti del negozio traslativo" (Cass. n. 28593/2018; Cass. n. 11069/2016 Cass. n. 11247/2016 e rinvii ivi contenuti).

Inoltre, e questo è un punto delicato, anche nel caso di effettiva sussistenza del ramo d'azienda quale realtà produttiva funzionalmente autonoma, potrebbe essere assente un legame “preesistente” fra lo stesso e il lavoratore interessato al trasferimento; questi potrebbe contestare in giudizio di essere stato inserito illegittimamente nel ramo trasferito (cfr. anche Cass. n. 6755/2015 per gli effetti che sui rapporti di lavoro ha la dichiarazione di nullità dell'effetto traslativo ex art. 2112 c.c.). L'eventuale azione è soggetta al termine di decadenza previsto per l'impugnazione del licenziamento (art. 32, lett. c, l. 183/2010; su altro profilo, per la non applicabilità della norma, v. Cassn. 28750/2019).

La giurisprudenza di legittimità ha in più occasioni inteso tracciare i confini fra mera esternalizzazione di attività e vero e proprio trasferimento di ramo d'azienda (cfr. fra le altre Cass. n. 17434/2007).

Concetto di trasferimento

Quanto osservato in ordine alla relativa ampiezza dei concetti di “azienda” e “ramo di azienda”, si può poi ripetere per la nozione di “trasferimento” recepita con le già cennate modifiche normative: questa, infatti, risulta tale da inglobare un po' tutte le situazioni possibili, quali l'usufrutto, l'affitto (e ritrasferimento alla scadenza Cass. n. 23765/2018), la vendita, il leasing, il conferimento, la fusione per incorporazione (ex pluribus Cass. n. 12771/2012); anche il trasferimento per provvedimento autoritativo o ex lege è stato ritenuto riconducibile all'alveo dell'art. 2112 (v. Cass. n. 31087/2018, Cass. n. 8460/2011; Cass. n. 21278/2010). È configurabile un trasferimento d'azienda nella stessa ipotesi in cui non ricorra un unico atto di cessione, ma il trasferimento del complesso dei beni destinati all'esercizio dell'impresa, si realizzi con una pluralità di contratti succedutisi in un certo arco di tempo ovvero in più fasi (Cfr. Cass. n. 493/2005).

Fattispecie estranee al trasferimento d'azienda

Non rientra nella fattispecie del trasferimento d'azienda il cambiamento della ragione sociale o il cambio di struttura dell'ente (Cass. 25823/2014), né la cessione del pacchetto di maggioranza o di controllo (Cass. n. 4425/2019; Cass. n. 9954/2005; Cass. n. 10500/2000).

Neppure si è di fronte a trasferimento di azienda nel caso di cessazione di una attività economica, con successiva ripresa della stessa da parte di un diverso imprenditore che acquisisca strutture e mezzi aziendali; tuttavia, tale situazione può mascherare la volontà di eludere l'applicazione dell'art. 2112 e quindi può essere configurare negozio in frode alla legge ai sensi dell'art. 1344 c.c.

Allo stesso modo, ma in una prospettiva inversa, il trasferimento di azienda o di ramo, può essere lo strumento attraverso cui - con finalità fraudolenta - si intendono perpetrare effetti differenti da quelli propri del negozio ex art. 2112, il che, realizzando una violazione di una norma imperativa, viene sanzionato con la nullità ex art. 1344 cit.; in particolare, la fraudem legis può essere rappresentata dall'elusione della disciplina sui licenziamenti (cfr. Cass. n. 30415 del 2019; Cass. n. 2874 del 2008; cfr. però Cass. n. 9090/2014 sull'esclusione dell'art. 1344 c.c. nel caso di cessione di azienda in dissolvimento, per la quale è prevedibile l'applicazione della disciplina dei licenziamenti).

Trasferimento d'azienda e appalto

Ai sensi dell'art. 2112, comma 6, fra appaltante e appaltatore opera il regime di solidarietà di cui all'art. 29, comma 2, d.lgs. n. 276/2003, anche nel caso in cui l'appalto fa seguito e si collega a cessione di ramo d'azienda, nel senso che l'appaltatore/cessionario – servendosi del ramo aziendale acquisito – porta a compimento l'opera o il servizio commessogli (se non c'è cessione d'azienda v. Cass. n. 21615/2019).

Si consideri poi che, ai sensi dell'art. 29, comma 3, d.lgs. n. 276/2003, nel testo in vigore sino al 23 luglio 2016 (v. subito appresso), nel caso di “cambio” di appalto, l'acquisizione di personale già impiegato dal precedente appaltatore, “non costituisce trasferimento d'azienda o di parte d'azienda” ai sensi dell'art. 2112 c.c. La Commissione Europea, rilevando una carenza di garanzie nella disposizione, sul punto, aveva dato avvio a una procedura precontenziosa nei confronti dell'Italia, affermando la non conformità della disciplina in parola ai principi della Direttiva 2001/23/CE cit. In ragione di ciò, con l'art. 30 della Legge 7 luglio 2016, n. 122, il testo dell'art. 29, comma 3 cit., è stato novellato, fissando quali ulteriori presupposti, ai fini dell'esclusione della fattispecie del trasferimento d'azienda, in caso di subentro di nuovo appaltatore, la sussistenza di elementi di discontinuità che determinino una specifica identità di impresa, e la condizione che il nuovo appaltatore sia dotato di una propria struttura organizzativa ed operativa (cfr. in giurisprudenza Cass. n. 10730/2016; Cass. n. 11918/2013).

Le tutele del lavoratore dipendente

Prosecuzione del rapporto, divieto di licenziamento e conservazione dei diritti e dell'anzianità lavorativa

Ai sensi dell'art. 2112, la tutela basilare è data, come visto, dalla prosecuzione del rapporto di lavoro con il datore cessionario (comma 1). Sebbene sottinteso in tale regola, è stato esplicitato, nel comma 4, il suo diretto corollario e cioè che “il trasferimento … non costituisce di per sé motivo di licenziamento”; questo, per essere attuato, dal datore cedente o da quello cessionario, a livello individuale o collettivo, deve trovare sostegno nella autonoma ricorrenza di specifici presupposti per la applicazione della disciplina sui licenziamenti (v. Cass. n. 11410/2018).

Prosecuzione del rapporto di lavoro significa anche conservazione di tutti i diritti che ne derivano (art. 2112, comma 1, cit.): viene mantenuta, anzitutto, la anzianità di servizio già maturata, la quale, sebbene situazione di fatto (cfr. Cass. n. 8228/2003), rappresenta il fondamento per la integrale conservazione di una pluralità di vantaggi economico-normativi, quali gli scatti, i requisiti per la progressione di carriera, le ferie, il Tfr, ecc.

Sempre in tema di tutele, ma in una prospettiva affatto diversa, l'art. 2112, comma 4, ultimo periodo, attribuisce al lavoratore “le cui condizioni di lavoro subiscono una sostanziale modifica nei tre mesi successivi al trasferimento d'azienda”, la facoltà di recedere dal rapporto senza preavviso, con diritto a ricevere l'indennità sostitutiva. La norma realizza un ampliamento dell'ambito di applicazione delle dimissioni per giusta causa, riferendolo a una situazione (“sostanziale modifica delle condizioni di lavoro”) di per sé non necessariamente correlata alla giusta causa.

Solidarietà fra cedente e cessionario (art. 2112 c.c., comma 2)

I crediti già maturati dai lavoratori – ma non quelli maturati successivamente al trasferimento o esauritisi anteriormente (

Cass.

n. 4598/2015

; ma cfr.

Cass

n. 26401

/2014

) – sono garantiti da una solidarietà debitoria (

art. 1292 c.c.

e ss.) in capo a datore di lavoro cedente e cessionario. Il singolo può tuttavia liberare dalla responsabilità solidale il cedente nelle sedi legittimate ex

artt. 410

e

411 c.p.c

.

(v. però Cass. n. 17076/2020)

; peraltro anche il cessionario può essere alternativamente liberato,

ex

art. 2113 c.c.

(per i debiti previdenziali cfr.

Cass n. 3646

/2016

ai cui sensi “i debiti contratti dall'alienante nei confronti degli istituti previdenziali per l'omesso versamento dei contributi obbligatori, esistenti al momento del trasferimento, costituiscono debiti inerenti all'esercizio dell'azienda e restano soggetti alla disciplina dettata dall'

art. 2560 c.c.

, senza che possa operare l'automatica estensione di responsabilità all'acquirente

ex art. 2112,

2º comma, c.c.

… stante l'autonomia del rapporto contributivo, intercorrente tra datore di lavoro ed ente previdenziale, dal rapporto di lavoro

”).

Contratto collettivo applicabile, le regole della successione

Il riferimento alla “conservazione dei diritti” chiama in causa il sostrato normativo a fondamento di tali diritti, sostrato costituito, in ampia parte, dai contratti collettivi applicabili.

Tale aspetto forma oggetto di disciplina nel comma 3,

art. 2112

c.c.

, il quale prospetta due situazione alternative, a seconda che presso il datore cessionario manchi, ovvero sia presente, una normativa collettiva di riferimento. Nella prima ipotesi, continuano a trovare applicazione, sino alla loro scadenza (momento in cui saranno rinegoziati), i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali ed aziendali già applicabili dal cedente. Nell'evenienza opposta, trovano applicazione, in via di sostituzione, in contratti applicabili nell'impresa del cessionario: si ha una sorta di sostituzione automatica delle norme di fonte collettiva in vigore presso l'impresa cessionaria, fatti tuttavia salvi i diritti quesiti (

Cass. n. 5882

/2010

).

Pertanto, la contrattazione collettiva dell'impresa cedente è sostituita immediatamente ed in tutto da quella applicata presso la cessionaria anche se meno favorevole, il che va a incidere, in particolare, sulla posizione di “coloro che non abbiano ancora maturato i requisiti per l'attribuzione di un diritto previsti dalle precedenti disposizioni collettive” (cfr.

Cass.

n. 10614/2011

). Ovviamente, nell'ipotesi considerata, soprattutto sul fronte retributivo, il tema dei diritti (o meno) quesiti può risultare spesso complesso, e viene per lo più affrontato e risolto in sede di accordi sindacali correlati e di transazioni ex art. 2113 (v. Cass. n. 29291/2019 che a fronte di un “accordo di transizione” chiarisce che l'art. 2112 non garantisce l'omogeneità dei trattamenti retributivi e normativi all'interno del complesso aziendale risultante dal trasferimento, cosicché i dipendenti dell'azienda ceduta non hanno titolo per pretendere l'estensione in loro favore delle disposizioni contrattuali più favorevoli applicabili ai lavoratori dell'impresa cessionaria).

Ancora, la norma precisa che “l'effetto di sostituzione si produce esclusivamente fra contratti collettivi del medesimo livello”: in ipotesi, se presso il cedente trova applicazione oltre al contratto nazionale anche uno aziendale mentre presso il cessionario è presente solo il Ccnl, si possono prospettare disallineamenti (anche per i rimandi contenuti nei diversi livelli di contrattazione), i quali, anche qui il più delle volte, vengono “corretti” dalla contrattazione collettiva operante nel corso dell'attività traslativa dell'azienda.

Art. 2112 c.c. e lavoro non dipendente

I rapporti di lavoro autonomo, compreso il lavoro professionale e le collaborazioni coordinate e continuative, non rientrano nell'ambito delle tutele dell'

art. 2112

c.c.

, ma seguono la normativa generale di cui all'art. 2558 cit., ai sensi della quale, si ha sì, anche in questo caso, automatico subentro del cessionario in tutti i contratti stipulati dal cedente per l'esercizio dell'impresa (quindi anche nei contratti di lavoro non subordinato, senza necessità di assenso del contraente ceduto), ma a tale regola alienante e acquirente possono derogare e, inoltre, la stessa non si applica ai rapporti aventi carattere personale (aspetto da valutare caso per caso).

L'aspetto distintivo sta quindi nel fatto che, in sede di trasferimento di azienda, le parti si possono accordare per escludere l'effetto traslativo in riferimento a determinati rapporti di lavoro non subordinato, come se la fattispecie traslativa sia da intendere quale causa legittima di recesso. Ove non disposto in sede di trasferimento, il recesso dai singoli rapporti segue la disciplina ordinariamente valida per ciascuno di essi.

Le procedure sindacali

L'art. 47, commi da 1 a 4 (ma anche commi successivi, applicabili ai casi di “crisi aziendale”: v. oltre), della legge 428 cit. contiene - quale ulteriore livello di garanzia - procedure sindacali preventive, nel caso in cui il trasferimento riguardi aziende che nel complesso occupino più di 15 dipendenti (limite di riferimento aziendale, valido anche per il caso di trasferimento di ramo d'azienda).

Infatti, almeno 25 giorni prima del trasferimento, i datori di lavoro interessati (cedente e cessionario) sono tenuti a comunicare, per iscritto, la volontà di attuare il negozio traslatorio alle rispettive Rsu o Rsa e alle organizzazioni di categoria firmatarie del contratto collettivo applicato nelle imprese interessate al trasferimento (cfr.

Cass.

n. 21430/2015

). In mancanza delle rappresentanze aziendali, resta fermo l'obbligo nei confronti dei sindacati di categoria comparativamente più rappresentativi e può essere assolto dal cedente e dal cessionario per il tramite dell'associazione datoriale cui aderiscono o conferiscono mandato.

Entro sette giorni da tale comunicazione le Osl, a loro volta per iscritto, possono richiedere l'apertura di un tavolo per un esame congiunto, da attuarsi nei sette giorni successivi; l'informativa e il relativo confronto sindacale afferiscono, secondo il disposto di legge, tutti i profili salienti dell'operazione e le relative ricadute sul personale (data trasferimento e ragioni sottostanti; conseguenze giuridiche, economiche e sociali e misure eventualmente previste per il personale). La procedura si intende esaurita se nei dieci giorni susseguenti non si raggiunga un accordo.

Per espresso disposto dell'art. 47 cit., comma 3, il mancato rispetto della procedura costituisce condotta antisindacale (

art. 28 L. n. 300/1970

); non incide invece sulla validità del negozio di trasferimento d'azienda: l'insussistenza dei presupposti per l'applicazione dell'art. 2112, non può cioè essere ricavata dall'inadempimento dell'obbligo di informazione del sindacato e dal mancato svolgimento della procedura imposta dall'

art. 47 l. n. 428 del 1990

, in quanto detto inadempimento configura un comportamento rilevante sul solo fronte dei rapporti fra le parti sindacali (Cfr.

Cass. 13171/2009

, Trib. Milano 6 marzo 2006).

Imprese in crisi: limitazioni alle tutele. Presupposti e condizioni

Momenti di confronto e trattativa sindacale accompagnano anche le ipotesi di trasferimento di aziende interessate da procedure concorsuali o da “situazioni di crisi” variamente qualificate ai sensi di normativa specifica; in tali evenienze, la contrattazione collettiva è autorizzata a definire accordi derogatori dell'art. 2112 c.c. (e la derogabilità avrà un perimetro più o meno ampio a seconda delle situazioni), nella prospettiva di favorire la ripresa dell'attività produttiva e nell'ottica di incentivare l'intervento, in subentro, dell'imprenditore cessionario.

Più nello specifico, ai sensi dell'art. 47, commi 4 bis, 5 e 6 l. n. 428/1990 (più volte modificati), le tutele dei lavoratori possono subire deroghe nelle situazioni ivi enumerate quali crisi di impresa (L. n. 675/1977); amministrazione straordinaria o liquidazione coatta amministrativa (L. n. 270/1999); fallimento o di apertura della procedura di concordato preventivo consistente nella cessione dei beni, o se di omologazione dell'accordo di ristrutturazione dei debiti (L. Fallimentare).

Al ricorrere di tali situazioni, la contrattazione collettiva può definire soluzioni che, a seconda dei casi, incidano sui livelli occupazionali, sui diritti e livelli di trattamento in essere, nonché sull'obbligazione solidale fra cedente e cessionario.

Anche su questo versante, la materia si è venuta progressivamente definendo nel concorso della normativa europea (in particolare Direttiva 77/187/CE e Direttiva 2001/23/2001/CE) e di quella nazionale (richiamato art. 47 L. n. 428 del 1990), fatta oggetto, sul punto, di successive modifiche (in particolare, l'art. 19 quater D.L. n. 135 del 2009 ha inteso recepire la sentenza della Corte europea11 giugno 2009 C-561/07).

In una visione di sintesi, la fattispecie di trasferimento di azienda in presenza di procedure concorsuali o di situazioni di crisi “limitrofe” (richiamate nell'art. 47 cit., comma 4 bis e seguenti, o anche in disposizioni afferenti fattispecie assimilabili) si basa, attualmente (ma con modifiche per effetto dell'entrata in vigore del Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza in vigore dal 1° settembre 2021: v. oltre) sulla seguente duplice direttiva: i) quando a tali procedure/situazioni si accompagni la continuazione dell'attività aziendale, non sono ammessi interventi che compromettano, anche parzialmente, la continuità – presso il cessionario – dei rapporti di lavoro dei lavoratori interessati (salvi invece interventi più limitati della contrattazione collettiva, quale l'esclusione della solidarietà fra cedente e cessionario o la riperimetrazione dei diritti vantati dai lavoratori ceduti); ii) in caso di procedure (o situazioni di “crisi”) in relazione alle quali venga meno la continuazione dell'attività produttiva, il principio cardine della prosecuzione dei rapporti di lavoro presso il cessionario cede il passo, salva ovviamente la possibilità della contrattazione collettiva di negoziare soluzioni di tutela occupazionale anche parziale.

Tale impostazione, complessivamente intesa, ispira anche la disciplina del “Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza” di cui al D.lgs. 12 gennaio 2019 n. 14 (di attuazione della delega contenuta nella Legge 19 ottobre 2017 n. 155”), corpus normativo chiamato a sostituire la Legge fallimentare del 1942 e la cui entrata in vigore è stata spostata dal 15 agosto 2015 al 1° settembre 2021 dal D.L. Liquidità (D.L. n. 23 del 2020L. n. 40 del 2020), in conseguenza dell'emergenza Covid-19.

L'art. 191 di detto Codice conferma anzitutto che “al trasferimento di azienda nell'ambito delle procedure di liquidazione giudiziale, concordato preventivo e al trasferimento d'azienda in esecuzione di accordi di ristrutturazione si applicano l'art. 47 L. 29 dicembre 1990 428 ... [e le altre disposizioni vigenti in materia]” e ciò alla luce delle modifiche che all'art. 47 cit. sono apportate dall'art. 368, comma 4 del medesimo Codice.

Al riguardo, l'art. 368 inserisce anzitutto un comma 1-bis all'art. 47 ai sensi del quale – in una ottica di semplificazione delle procedure – la comunicazione preventiva alle Osl, di cui al comma 1, del medesimo art. 47, può essere effettuata “… anche solo da chi intende proporre proposta di acquisto dell'azienda o proposta di concordato preventivo concorrente con quella dell'imprenditore”.

Nel complesso, le modifiche apportate all'art. 47 risultano volte ad attuare una più coerente armonizzazione della disciplina nazionale con quella europea, allo stesso tempo ampliando gli spazi a garanzia della continuità dei rapporti di lavoro.

In tal senso, l'art. 368 riformula il comma 4-bis, riferito a procedure concorsuali e “situazioni di crisi” rispetto alle quali sia prevista la continuazione dell'attività aziendale ed elimina ogni ambiguità in merito al fatto che gli accordi collettivi, correlati al trasferimento d'azienda, pur potendo apportare limitazioni o deroghe all'art. 2112 c.c., non possono mettere in discussione la salvaguardia del complesso dei rapporti di lavoro già facenti capo al cedente (“fermo il trasferimento al cessionario dei rapporti di lavoro”).

Ambiguità presente nel testo del comma 4 bis ancora in vigore (fino al 1° settembre 2021) laddove assegna all'autonomia collettiva, in sede di negoziati correlati al trasferimento d'azienda, la possibilità di prevedere “il mantenimento, anche parziale, dell'occupazione”, quindi, sembrerebbe dal dato letterale, di attuare una riduzione di organico in vista del trasferimento. È noto che il dato letterale della norma è stato però superato dalla giurisprudenza costante, sulla base di una interpretazione sistematica intesa a conformare il diritto nazionale a quello europeo di cui alla più volte citata Direttiva Ue 2001/23 (v. recente Cass. n. 10414 del 2020, relativa alla nota vertenza successiva alla cessione di compendio aziendale da Alitalia Cai ad Alitalia Sai, ai cui sensi gli accordi sindacali, nell'ambito di procedure di insolvenza aperte nei confronti del cedente non in vista della liquidazione dei beni, non possono disporre dell'occupazione preesistente al trasferimento di impresa).

L'art. 368 modifica, poi, il comma 5 dell'art. 47 afferente, invece, alle procedure concorsuali o “situazioni di crisi” per le quali si preveda il venir meno della attività imprenditoriale. Nel testo attuale (in vigore sino al 31 agosto 2021) la norma, facendo riferimento ai “lavoratori la cui attività continui con l'acquirente” involge la possibilità di licenziamenti attuati in correlazione al trasferimento dell'azienda, per i quali in quanto tali non trova applicazione la L. n. 223 del 1990 (v. per es. Cass. n. 1383/2018 ai cui sensi la L. n. 428 del 1990, art. 47, comma 5, ha previsto ampia facoltà, per l'impresa subentrante, di concordare condizioni contrattuali per l'assunzione ex novo dei lavoratori in deroga a quanto dettato dall'art. 2112 c.c., nonché la possibilità di escludere parte del personale eccedentario dal passaggio, in quanto tale derogabilità, laddove prevista dall'accordo sindacale, anche se peggiorativa del trattamento dei lavoratori, si giustifica con lo scopo di conservare i livelli occupazionali; ne consegue che i principi dettati della L. n. 223 del 1991, artt. 4 e segg. e in particolare quelli relativi alla obbligatoria indicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare e delle modalità di applicazione di tali criteri, non si estendono analogicamente alla fattispecie disciplinata dall'art. 47 cit., stante la diversità di ratio dei due istituti e l'assoluta diversità di disciplina; v. anche n. 23473 del 2014).

Modificando tale impostazione, il rinnovato comma 5 dell'art. 47, applicabile dal 1° settembre 2021, conferma, anche in questo caso, la regola generale dell'art. 2112 circa la continuità ex lege dei rapporti di lavoro presso il cessionario, con il correttivo secondo cui “tuttavia, in tale ipotesi, nel corso delle consultazioni … possono comunque stipularsi, con finalità di salvaguardia dell'occupazione, contratti collettivi in deroga all'art. 2112, commi 1, 3 e 4” cioè, fra l'altro, in deroga alla continuità dei rapporti di lavoro (ma, per i casi di amministrazione straordinaria in vista di cessazione di attività, è conservato, attraverso un comma 5 ter, un regime parzialmente diverso. È noto che la amministrazione straordinaria è procedura alternativa al fallimento riferita, ex D.lgs. n. 270 del 1999 e L. n. 39 del 2004 ad aziende di maggiori dimensioni).

Con riguardo alle ipotesi di applicazione dell'art. 47, comma 5 “riformato”, viene introdotto inoltre un comma 5 bis in forza del quale non si applica la regola della solidarietà passiva del cessionario per tutti i crediti maturati dai lavoratori verso il cedente e, inoltre, che il Tfr è immediatamente esigibile nei confronti dell'azienda cedente, pur ove si abbia passaggio alle dipendenze del cessionario senza soluzione di continuità.

Sul punto, il comma 5 bis stabilisce altresì che il Fondo di garanzia ex L. n. 80 del 1992 interviene a favore dei lavoratori che passano senza soluzione di continuità alle dipendenze dell'acquirente e che il Tfr (nonché gli altri crediti da lavoro rilevanti ex art. 2 L. n. 80 del 1992) è corrisposto dal Fondo di Garanzia nella integrale misura, quale che sia la percentuale di soddisfazione stabilita.

Resta infine confermato il comma 6 dell'art. 47 cit. che pone in capo a coloro che sono stati licenziati dall'alienante a causa del trasferimento dell'azienda, il diritto di precedenza nell'assunzione presso il cessionario (Cfr. Cass. n. 1474/2004 ai cui sensi il diritto di precedenza insorge quale che sia stata la formula dell'intimazione del licenziamento ed anche se l'effetto estintivo del rapporto di lavoro abbia preceduto la data del trasferimento).

Riferimenti

Normativa

:

  • Direttiva 2001/23/CE

  • Direttiva 98/50/CE
  • Direttiva 77/187/CE
  • art. 2112 codice civile
  • art. 47 L. 29 dicembre 1990 n. 428
  • D.lgs. 2 febbraio 2001, n. 18
  • art. 32 d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276
  • art. 32, lett. c, l. 183 del 2010
  • art. 30 l. 7 luglio 2016, n. 122
  • D.lgs. 12 gennaio 2019 n. 14

Giurisprudenza (ex pluribus)

:

  • Cass. n. 10414/2020

  • Cass. n. 31946/2019


  • Cass. n. 30415/2019
  • Cass. n. 29291/2019
  • Cass. n. 28750/2019
  • Cass. n. 21615/2019
  • Cass. n. 4425/2019
  • Cass. n. 31087/2018
  • Cass. n. 28593/2018
  • Cass. n. 23765/2018
  • Cass. n. 11410/2018
  • Cass. n. 1720/2016

  • Cass. n. 21430/2015
  • Cass. n. 13319/2015

  • Cass. n. 6755

    /2015

  • Cass. n. 4598/2015

  • Cass n. 26401/2014

  • Cass. n. 25823/2014

  • Cass. n. 25021/2014

  • Cass. n. 1183

    /2014

  • Cass. n. 9090

    /2014

  • Cass. n. 9361

    /2014

  • Cass. n. 11918

    /2013

  • Cass. n. 12771/2012

  • Cass. n. 10614/2011

  • C

    ass. n. 8460

    /2011

  • Cass. n. 21278/2010

  • Cass. n. 5882

    /2010

  • Cass. n. 13171/2009

  • Cass. n. 5709/2009

  • Cass. n. 17151/2008

  • Cass. n. 2874/2008

  • Cass. n. 17434/2007

  • Cass. n. 9954/2005

  • Cass. n. 493/2005

  • Cass. n. 16673/2003

  • Cass. n. 8228/2003

  • Cass. n. 10500/2000

  • Trib. Milano 6 marzo 2006

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