Operazioni straordinarie

Alessandra Fabbri
01 Marzo 2021

Scheda in fase di aggiornamento

Le operazioni straordinarie costituiscono una categoria mutuata dalle scienze aziendalistiche, nella quale rientrano tutti gli atti o procedimenti finalizzati alla riconfigurazione della struttura essenziale dell'azienda, al fine di adeguarla alle mutate esigenze dell'impresa. Le ragioni alla base di tali operazioni possono essere molteplici, dalla modifica della struttura o della forma giuridica dell'impresa, al trasferimento della titolarità dell'azienda o del controllo della stessa, alla liquidazione della società per procedere alla sua chiusura. Configurano operazioni straordinarie il trasferimento e il conferimento d'azienda, la liquidazione ordinaria o coatta dell'impresa, nonché trasformazioni, fusioni, scissioni, cambi di partecipazioni azionarie.

Inquadramento

Le operazioni straordinarie costituiscono una categoria mutuata dalle scienze aziendalistiche, nella quale rientrano tutti gli atti o procedimenti finalizzati alla riconfigurazione della struttura essenziale dell'azienda, al fine di adeguarla alle mutate esigenze dell'impresa (Palmieri).

Le ragioni alla base di tali operazioni possono essere molteplici, dalla modifica della struttura o della forma giuridica dell'impresa, al trasferimento della titolarità dell'azienda o del controllo della stessa, alla liquidazione della società per procedere alla sua chiusura.

Configurano operazioni straordinarie il trasferimento e il conferimento d'azienda, la liquidazione ordinaria o coatta dell'impresa, nonché trasformazioni, fusioni, scissioni, cambi di partecipazioni azionarie.

In particolare, la trasformazione, la fusione e la scissione sono caratterizzate da una funzione riorganizzativa dell'impresa in forma societaria (Libonati), a differenza delle altre operazioni straordinarie che incidono solo su un singolo aspetto, come la riorganizzazione dell'investimento (aumenti di capitale) o della sola impresa (cessione d'azienda) (Ferri jr.-Guizzi).

Per la posizione di rilievo occupata in ambito giuslavoristico, il presente contributo verterà in particolare sul trasferimento d'azienda e di ramo d'azienda, limitandosi a richiamare le ulteriori operazioni straordinarie in ragione della differenziazione della disciplina e/o delle conseguenze giuridiche rispetto alle prime, con particolare riferimento a quelle che presentano una incidenza diretta sui singoli rapporti di lavoro.

Il trasferimento d'azienda

In base alla definizione fornita dall'art. 2112, comma 5, c.c., configura un trasferimento d'azienda qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di un'attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità, a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato, ivi compresi l'usufrutto o l'affitto di azienda. Il trasferimento d'azienda realizza, dunque, una modificazione dal punto di vista soggettivo del rapporto di lavoro, determinando la successione a titolo particolare del cessionario dell'azienda nei singoli rapporti lavorativi.

La fattispecie giuridica del trasferimento d'azienda è stata oggetto di numerosi interventi normativi, da un lato finalizzati a circoscrivere l'abuso del ricorso all'esternalizzazione di interi settori industriali a danno dei lavoratori sottoposti al trasferimento e, dall'altro lato, tesi ad adeguare la normativa nazionale alle direttive europee.

L'individuazione dell'oggetto del trasferimento, al di fuori del circoscritto rinvio alla dottrina commercialistica (che richiamava solo l'art. 2555 c.c.), ha acceso significativi dibattiti tra gli studiosi del diritto, dividendo coloro che sostenevano la distinguibilità e non sovrapponibilità tra azienda e impresa (Galgano) dai giuristi secondo i quali azienda e attività economica sono inseparabili, essendo entrambe necessarie per dar vita all'organismo economico descritto dall' art. 2082 c.c. (Carnelutti).

La giurisprudenza, da sempre aderente alla prima ricostruzione, ha mutato orientamento in ragione della necessità di adeguare l'interpretazione nazionale agli interventi della Corte di Giustizia, secondo cui si è in presenza di un trasferimento d'impresa nell'ipotesi in cui venga ceduta un'entità economica intesa come complesso di persone e di elementi che consentano l'esercizio di un'attività economica finalizzata al perseguimento di un determinato obiettivo. Il trasferimento d'impresa sussiste, quindi, ove l'oggetto del trasferimento costituisca un insieme inscindibile di organizzazione e attività (Corte di Giustizia UE, 6 settembre 2011, C-108/10).

Il trasferimento di ramo d'azienda

L'interesse degli interpreti si è da sempre focalizzato sulla disciplina del trasferimento del ramo di azienda, sollecitato dalla necessità di governare e circoscrivere i fenomeni di esternalizzazione e di decentramento produttivo che hanno interessato le imprese italiane negli ultimi decenni.

In particolare, con il D.Lgs. n. 18/2001, il legislatore ha enucleato la definizione di ramo d'azienda, identificandola in quella “articolazione funzionalmente autonoma di un'attività economica organizzata, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità”.

Con il D.Lgs. n. 276/2003, il legislatore è intervenuto nuovamente in materia, abrogando - solo con riferimento al ramo d'azienda - il requisito della preesistenza e prevedendo che l'articolazione possa essere “identificata” da cedente e cessionario anche al momento del trasferimento.

L'intervento normativo sconta, tuttavia, gli arresti della giurisprudenza comunitaria, laddove la Corte di Giustizia - sin dalla prima Direttiva in materia, n. 1977/187/CE, oggi sostituita dalla Direttiva n. 2001/23/CE - ha ammesso sì la possibilità che l'oggetto del trasferimento possa essere parte dell'impresa, ma ha chiarito che “l'articolazione”, allo stesso modo dell'entità economica, deve essere dotata di autonomia organizzativa e funzionale oggettivamente già presente presso il cedente (Corte di Giustizia UE, 6 marzo 2014, n. C-458/12).

La Corte di Giustizia dell'UE ha, altresì, ammesso che in determinati settori nei quali l'attività si fonda principalmente sulla manodopera, è possibile che l'entità economica oggetto di trasferimento sia rappresentata da un gruppo di lavoratori.

Aderendo a tale giurisprudenza, la Corte di Cassazione ha ammesso la liceità del trasferimento di sola manodopera precisando, tuttavia, che il gruppo di lavoratori ceduti deve essere stabilmente coordinato e organizzato, nonchè dotato di un particolare know-how.

La giurisprudenza, in questo caso, ha ammesso che il ramo d'azienda possa essere composto da beni immateriali, costituiti dalle conoscenze altamente specialistiche dei dipendenti ad esso addetti, sempre che, in sede di accertamento, venga dimostrata l'esistenza di un collegamento stabile e funzionale delle attività dei dipendenti del ramo, ovverosia la loro organizzazione (Cass., 24 gennaio 2018 n. 1769; Cass. 12 aprile 2016 n. 7121; Cass. sez. lav., 8 aprile 2014 n. 8208; Trib. Milano, 22 aprile 2013 n. 1623).

In evidenza: il know-how nella cessione di sola manodopera

È configurabile il trasferimento di un ramo d'azienda nel caso in cui la cessione abbia ad oggetto anche solo un gruppo di dipendenti stabilmente coordinati ed organizzati tra loro, la cui capacità operativa sia assicurata dal fatto di essere dotati di un particolare “know-how o, comunque, dall'utilizzo di “copyright”, brevetti, marchi, etc., con la conseguenza che la cessione realizza la successione legale nel rapporto di lavoro del cessionario senza bisogno di consenso dei contraenti ceduti (Cass. sez. lav, 7 marzo 2013, n. 5678).

In evidenza: identificazione del ramo d'azienda

Nel caso in cui un lavoratore svolga la prestazione in più di una parte d'azienda, per valutare se il dipendente appartiene o meno al ramo ceduto, è necessario utilizzare il criterio della prevalenza, calcolato sulla base della percentuale di tempo-lavoro complessivo prestato dal dipendente presso la parte di azienda ceduta. Ove questa superi il 50%, il lavoratore sarà ceduto con la parte dell'azienda oggetto di trasferimento.

Diversamente opinando - individuando come lavoratori del ramo quelli che prestano la propria attività in maniera esclusiva per la parte cedenda - il trasferimento diverrebbe, in concreto, normalmente impossibile, in quanto potrebbe non essere conveniente l'acquisto di una parte dell'azienda priva di determinate professionalità (Cass. sez. lav, 6 dicembre 2005, n. 26668).

Gli effetti del trasferimento d'azienda e di ramo d'azienda sui rapporti di lavoro

La tutela fondamentale prevista per il lavoratore in caso di trasferimento dell'azienda o di un ramo di essa è la continuazione del rapporto di lavoro con il cessionario, secondo le previsioni contenute nell'art. 2112 c.c., il cui effetto è, per tali fattispecie, inderogabile.

La norma prevede che, in caso di trasferimento d'azienda, il rapporto di lavoro continui con il cessionario ed il lavoratore mantenga tutti i diritti e le condizioni economiche già acquisite presso il cedente al momento della cessione dell'azienda: riconoscimento del livello retributivo raggiunto, diritto al mantenimento dell'anzianità di servizio maturata, diritti connessi alla qualifica e alle mansioni svolte, etc. (comma 1).

La sostituzione del cessionario al cedente nella titolarità del rapporto di lavoro è, quindi, un effetto legale automatico del trasferimento d'azienda, che non comporta la necessità di una nuova assunzione.

Inoltre, cedente e cessionario sono obbligati, in solido tra loro, per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento (comma 2). Tale solidarietà passiva può essere derogata ove il lavoratore liberi il cedente dalle obbligazioni derivanti dal rapporto con le procedure previste ex artt. 410 e 411 c.p.c. (riferiti alle procedure di conciliazione in sede protetta).

In evidenza: Il TFR nel trasferimento d'azienda

Le diverse interpretazioni circa la natura del TFR determinano conseguenze differenti circa gli effetti, su tale istituto, del trasferimento d'azienda.

Se si ritiene che il TFR venga ad esistenza solo all'atto della cessazione del rapporto di lavoro, la sua corresponsione è a carico esclusivo del cessionario (Cass. sez. lav., 13 dicembre 2000, n. 15687); diversamente, se si accoglie la tesi secondo cui il TFR matura in costanza di rapporto e diventa esigibile alla cessazione di quest'ultimo, il cessionario sarà responsabile direttamente solo per la parte maturata successivamente al trasferimento e, invece, solidalmente con il cedente per la frazione maturata anteriormente a tale momento (Cass. civ., sez. VI, 8 gennaio 2016, n. 164).

Il cessionario è tenuto, altresì, ad applicare i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali ed aziendali vigenti alla data del trasferimento, fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri contratti collettivi, del medesimo livello, applicabili all'impresa del cessionario (comma 3).

La tutela dei lavoratori in caso di trasferimento ammette, quindi, anche la possibilità che le condizioni individuali risultanti nel tempo successivo alla cessione rappresentino un trattamento peggiorativo rispetto a quello applicato presso l'impresa cedente. La finalità della norma è quella di garantire le posizioni giuridiche già maturate nel passato dai lavoratori, agevolando le vicende circolatorie ed evitando che una diversa interpretazione sia in grado di attuare una sorta di cristallizzazione della regolamentazione collettiva, onerando il datore di lavoro cessionario dell'applicazione contemporanea di due diversi trattamenti collettivi, dei quali uno – per giurisprudenza consolidata – insuscettibile di rinegoziazione in peius (in questo senso, Cass. sez. lav., 13 maggio 2011 n. 10614).

In evidenza: gli usi aziendali

Come nel caso del TFR, anche per quanto riguarda gli usi aziendali le differenti ricostruzioni dell'istituto determinano conseguenze differenti sulla loro sopravvivenza al trasferimento d'azienda.

Parte della giurisprudenza ritiene che l'uso aziendale diventi un elemento di integrazione del contratto individuale ex art. 1340 c.c., di talché il cessionario è vincolato alla sua osservanza (Cass. sez. lav., 8 luglio 1992, n. 8315); altra giurisprudenza, riconoscendo che l'uso aziendale agisce sul piano dei singoli rapporti individuali allo stesso modo e con la stessa efficacia di un contratto collettivo aziendale, ne ammette la modificabilità da parte dell'autonomia collettiva (Cass. sez. lav., 17 febbraio 2000, n. 1773).

Pertanto, se si accede alla prima ricostruzione, l'uso aziendale sopravvive in caso di cessione fino a quando non vi sia una modifica del contratto di lavoro da parte dei soggetti del rapporto; aderendo alla seconda opinione, i diritti derivanti dall'uso potranno essere modificati, anche in peius, dal contratto collettivo applicato dal cessionario.

Il trasferimento d'azienda non costituisce di per sé motivo di licenziamento né per il cedente né per il cessionario, dal momento che configura un mero mutamento nella titolarità dell'azienda e non della struttura organizzativa e produttiva (comma 4).

Fermo quanto sopra, si sottolinea che, allo stato, non è rinvenibile una disposizione che preveda un diritto di opposizione del lavoratore al trasferimento.

Il comma 4 dell'art. 2112 c.c. consente al lavoratore unicamente di rassegnare le proprie dimissioni per giusta causa ex art. 2119 c.c. nel caso in cui, nei tre mesi successivi al trasferimento, le sue condizioni di lavoro subiscano una sostanziale modifica. Da ciò ne consegue che qualsiasi accordo concluso con il lavoratore afferente al ramo, finalizzato al trattenimento del lavoratore presso il cedente, deve considerarsi invalido, perché dispositivo di un effetto inderogabile prodotto dalla legge.

Se, invece, il lavoratore ritiene che il trasferimento sia avvenuto in violazione delle norme di legge, può impugnare il trasferimento entro 60 giorni dalla data dello stesso - stante l'applicabilità dell'art. 32, Legge n. 183/2010 - chiedendo in giudizio la reintegrazione presso il cedente.

In caso di licenziamento (illegittimo) intimato dal cedente al lavoratore e basato unicamente sul fatto del trasferimento, deve riconoscersi la nullità del recesso per violazione della norma imperativa contenuta nell'art. 2112, comma 4, c.c. Alla nullità consegue la prosecuzione ope legis del rapporto di lavoro con il cessionario e la conservazione in capo al lavoratore di tutti i diritti che aveva verso il cedente (Cass. sez. lav., 28 febbraio 2012, n. 3041).

La procedura sindacale

La tutela legale dei rapporti di lavoro nell'ambito del trasferimento d'azienda e di ramo d'azienda passa anche attraverso l'esperimento obbligatorio della procedura di informazione e consultazione sindacale, prevista dall'art. 47, Legge n. 428/1990, per le aziende con organico superiore alle 15 unità.

Cedente e cessionario, almeno 25 giorni prima che sia perfezionato l'atto da cui deriva il trasferimento o che sia raggiunta un'intesa vincolante tra le parti, se precedente, sono tenuti, ognuno per proprio conto, a dare comunicazione scritta del previsto trasferimento alle RSU o alle RSA costituite nelle unità produttive interessate (in loro mancanza, la comunicazione deve essere effettuata ai sindacati di categoria comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale) nonché ai sindacati di categoria che hanno stipulato il contratto collettivo applicato nelle imprese interessate dal trasferimento.

In evidenza: criteri di calcolo del termine ex art. 47, comma 1, Legge n. 428/1990

In ordine al termine entro il quale devono essere adempiuti gli obblighi di informativa sindacale da parte del cedente e del cessionario, il Ministero del Lavoro, con Nota prot. n. 5/26570/70 del 31 maggio 2001, ha precisato che:

  • per la prima fattispecie giuridica (“25 giorni prima che sia perfezionato l'atto da cui derivi il trasferimento”), il dies a quo da cui a ritroso decorrono i 25 giorni è da individuare nella data in cui viene effettuata l'iscrizione del contratto traslativo nel registro delle imprese, in quanto con tale iscrizione si dà pubblicità ai terzi dell'avvenuto trasferimento d'azienda (ai sensi e per gli effetti dell'art. 2556 e ss. c.c.);
  • per la seconda fattispecie giuridica (“intesa vincolante tra le parti, se precedente”), il Ministero del Lavoro ritiene che il termine "vincolante" sia stato voluto dal legislatore per individuare l'atto conclusivo del processo circolatorio da cui, a ritroso, decorrono i venticinque giorni per informare i soggetti sindacali. Di conseguenza, secondo l'interpretazione ministeriale, sono da ricondurre alla predetta formulazione (“intesa vincolante”) “unicamente quegli atti "definitivi" o "stabili" nel tempo per includere la manifestazione di volontà ormai "immodificabile" o "irretrattabile" del cedente e del cessionario e come tali idonei a produrre effetti reali traslativi. In ultima analisi, nell'ambito della suddetta intesa, preliminare e prodromica all'iscrizione nel registro delle imprese, rientra il solo negozio giuridico con cui l'azienda - mediante atto pubblico - viene alienata o concessa in affitto o in usufrutto.
    Conseguentemente, si può ritenere che né l'eventuale “contratto preliminare” di cessione d'azienda, né gli atti interni della società cedente o di quella cessionaria (come le delibere assembleari) rientrino nelle fattispecie individuate dal legislatore, giacché il “contratto preliminare” potrebbe pur sempre essere sostituito da un contratto successivo e le delibere delle assemblee potrebbero essere successivamente modificate o impugnate, ad esempio, dai soci di minoranza”.

Quanto al contenuto della comunicazione, le parti devono indicare la data - anche proposta - del trasferimento, i motivi del programmato trasferimento d'azienda, le conseguenze giuridiche, economiche e sociali per i lavoratori determinate dall'operazione, nonché le eventuali misure previste nei confronti di questi ultimi.

Le organizzazioni sindacali non hanno alcun potere di criticare le scelte dell'imprenditore o di impedire la conclusione del negozio di trasferimento, in quanto l'obbligo di informativa ha esclusivamente lo scopo di verificare le ricadute del trasferimento sui rapporti di lavoro.

Su richiesta scritta delle rappresentanze sindacali o dei sindacati di categoria – trasmessa entro 7 giorni dal ricevimento dell'informativa sul trasferimento – il cedente e il cessionario sono tenuti ad avviare un esame congiunto con i soggetti sindacali richiedenti entro i successivi 7 giorni. L'esame deve concludersi entro il termine di 10 giorni dall'inizio delle consultazioni, trascorso il quale esso si intende esaurito. Il carattere informativo dell'esame congiunto non impedisce che, in tale sede, si raggiunga un accordo con le parti sindacali che preveda, ad esempio, una specifica disciplina di armonizzazione dei trattamenti collettivi dei dipendenti ceduti (c.d. contratto d'ingresso) oppure garanzie in merito ai livelli occupazionali in essere al momento del trasferimento.

Il mancato rispetto della procedura esaminata costituisce condotta antisindacale sanzionabile ex art. 28, Legge n. 300/1970, ma non comporta l'invalidità o l'inefficacia del trasferimento, posto che l'espletamento della procedura non costituisce presupposto di legittimità del negozio di trasferimento.

Il trasferimento d'azienda nell'ambito delle imprese in stato di crisi – Le novità introdotte dal nuovo codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza

Il nuovo Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, introdotto con d.lgs. 12 gennaio 2019 n. 14, interviene – con effetto dal 1 settembre 2021 - sulla disciplina del trasferimento delle aziende in stato di crisi o insolvenza, in una prospettiva ora maggiormente conforme alla direttiva comunitaria n. 23 del 2001, come interpretata dalla Corte di Giustizia europea.

In particolare, l'art. 368, comma 4, del Codice riscrive l'art. 47 della L. 428/1990, apportando diverse modifiche ed integrazioni, con l'obiettivo di contemperare, da un lato, l'interesse dei lavoratori al mantenimento dell'occupazione e, dall'altro lato, l'interesse a garantire la massima soddisfazione dei creditori.

Numerose sono le novità introdotte dal nuovo impianto normativo, a partire dalla procedura di informazione sindacale prevista dal nuovo comma 1-bis dell'art. 47, L. n. 428/1990, il quale stabilisce che la comunicazione al sindacato possa essere effettuata anche solo da chi intenda proporre offerta di acquisto dell'azienda o proposta di concordato preventivo concorrente con quella dell'imprenditore. La formulazione letterale della norma sembrerebbe riservare all'acquirente l'applicazione della nuova fattispecie, tuttavia parte della dottrina ritiene che il precetto normativo non possa non ricomprendere anche l'affitto di azienda, stante la sua inclusione nella disciplina del trasferimento di azienda. Il legislatore precisa, inoltre, che l'efficacia degli accordi previsti dai commi 4-bis e 5 dell'art. 47 della L. 428/90 può essere subordinata – tramite apposizione di condizione sospensiva - alla successiva attribuzione dell'azienda ai terzi offerenti o proponenti, in considerazione della non automaticità del trasferimento dell'azienda al soggetto che ha formulato proposta di acquisto o di concordato preventivo.

Segue un nucleo normativo rappresentato dall'art. 368, comma 4, lett. b),c) d) del Codice, in cui il legislatore delinea il nuovo impianto derogatorio all'art. 2112 cod.civ., che si articola in procedure concorsuali con finalità conservative (comma 4-bis), procedure concorsuali con finalità liquidatorie (comma 5) e procedura di amministrazione straordinaria in assenza di continuità aziendale (art. 47, comma 5- ter).

Per quanto attiene alla procedure con finalità conservative (nella specie dichiarazione di apertura della procedura di concordato preventivo in regime di continuità indiretta, omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti, amministrazione straordinaria in caso di continuazione o mancata cessazione dell'attività), il comma 4-bis dell'art. 47, L. 428/1990, come modificato dall'art. 368, comma 4, lett. b) del Codice, stabilisce che, qualora sia stato raggiunto un accordo nel corso delle consultazioni sindacali, con finalità di salvaguardia dell'occupazione, l'articolo 2112 cod.civ., fermo il trasferimento al cessionario dei rapporti di lavoro, trova applicazione per quanto attiene alle condizioni di lavoro nei termini e con le limitazioni previste dall'accordo medesimo.

Rispetto alla formulazione precedente, l'attuale comma 4-bis prevede che l'accordo sindacale possa avere ad oggetto solo la modifica delle condizioni contrattuali, fermo restando il necessario trasferimento al cessionario dei rapporti di lavoro che fanno capo al cedente, in forza del principio di continuità aziendale sancito dall'art. 2112 cod.civ., ribadito dalla giurisprudenza di merito, nonché dal recente orientamento della Corte di Cassazione.

Va segnalato peraltro che, secondo il nuovo comma 4-bis dell'art. 47, l'accordo derogatorio può essere concluso “anche” attraverso contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria ex art. 51, d.lgs. n. 81/2015.

Particolare attenzione merita, altresì, l'esclusione delle imprese in stato di crisi dal campo di applicazione degli accordi di flessibilizzazione delle condizioni di lavoro di cui al comma 4-bis. Tale esclusione rappresenta un'importante novità e pone fine alla principale questione di contrasto della disciplina italiana con quella europea. Quest'ultima, ai fini dell'ammissibilità della deroga, richiede infatti la necessità di un controllo capillare da parte dell'autorità amministrativa o giudiziaria, tanto sull'apertura quanto sullo svolgimento della procedura concorsuale, presupposto non rinvenibile nella procedura di accertamento dello stato di crisi, come più volte ribadito dalla Corte di Giustizia europea.

Con riferimento, invece, alle procedure concorsuali con finalità liquidatorie (liquidazione giudiziale, concordato preventivo liquidatorio, liquidazione coatta amministrativa nel caso in cui la continuazione dell'attività non sia stata disposta o sia cessata) il nuovo comma 5 dell'art. 47, L. 428/1990, sostituito dall'art. 368, comma 4, lett c) del Codice, conferma la possibilità di disapplicare, attraverso lo strumento dell'accordo collettivo, la disciplina inderogabile dell'art. 2112 cod.civ. Ne discende la facoltà dell'autonomia collettiva di intervenire con riferimento alla continuità dei rapporti di lavoro, al mantenimento delle condizioni di lavoro ovvero al divieto di licenziamento in ragione del trasferimento.

Resta ammessa la possibilità di accordi individuali, anche in caso di esodo incentivato dal rapporto di lavoro, da sottoscriversi inderogabilmente nelle sedi di cui all'articolo 2113, ultimo comma del codice civile. Secondo la tesi interpretativa prevalente, la previsione intende semplicemente precisare che il diritto alla continuità del rapporto, già entrato nel patrimonio del lavoratore, può essere oggetto di atti di disposizione dell'autonomia privata, con conseguente facoltà e non obbligo del dipendente di stipulare un accordo individuale.

L'art. 47 della L. 428/90 si arricchisce, infine, del comma 5-ter ove il legislatore prevede una disciplina dedicata alla fattispecie del trasferimento di imprese sottoposte ad amministrazione straordinaria nella quale la continuazione dell'attività non sia stata disposta o sia cessata. In tali ipotesi, qualora venga raggiunto un accordo collettivo circa il mantenimento anche parziale dell'occupazione, ai lavoratori il cui rapporto di lavoro prosegue con il cessionario non trova applicazione l'art. 2112 c.c., salvo che dall'accordo risultino condizioni di miglior favore. Il predetto accordo può altresì prevedere che il trasferimento non riguardi il personale eccedentario e che quest'ultimo rimanga in tutto o in parte alle dipendenze dell'alienante, fermo restando il diritto di precedenza nelle assunzioni che il cessionario effettui entro un anno dalla data del trasferimento, ovvero entro il periodo maggiore stabilito dagli accordi collettivi.

Si delinea così un impianto derogatorio che colloca i programmi di amministrazione straordinaria finalizzati al risanamento dell'impresa nell'ambito del comma 4-bis ed isola all'interno del comma 5-ter i programmi di amministrazione straordinaria di cessione di complessi aziendali in funzione liquidatoria, consentendo solo in questo secondo caso e in presenza di accordo sindacale la disapplicazione delle tutele individuali previste dall'art.2112 cod.civ.

L'art. 368 del Codice introduce, infine, due ulteriori importanti novità relative, rispettivamente, alla responsabilità solidale e all'esigibilità ex lege dei crediti di lavoro.

Sotto il primo profilo, con riferimento alle vicende concorsuali di carattere liquidatorio l'introduzione ex-novo del comma 5-bis all'art.47 della L. 428/90, sancisce la diretta disapplicazione del principio di responsabilità solidale per i crediti di lavoro di cui all'art. 2112 cod.civ., secondo comma, senza necessità di utilizzare lo strumento dell' accordo sindacale derogatorio.

Sotto il secondo profilo, e quasi a voler prevedere una “contromisura” per mitigare la deroga al regime di responsabilità solidale, il legislatore prevede, sempre nell'ambito delle procedure concorsuali a finalità liquidatoria, il diritto del lavoratore all'immediata esigibilità del trattamento di fine rapporto nei confronti del cedente, mediante l'intervento diretto del Fondo di Garanzia. In presenza delle condizioni previste dall'art. 2, legge n. 297/1982, il Fondo interviene anche a favore dei lavoratori che passino senza soluzione di continuità alle dipendenze dell'acquirente, in forza di una fictio che equipara il requisito della cessazione del rapporto di lavoro al trasferimento. A tal fine, il legislatore ha previsto che la data del trasferimento si sostituisca a quella di cessazione del rapporto di lavoro, anche ai fini dell'individuazione dei crediti di lavoro diversi dal trattamento di fine rapporto che saranno corrisposti dal Fondo di Garanzia nella loro integrale misura, a prescindere dalla percentuale di soddisfazione stabilita, anche in ipotesi di concordato preventivo.

In evidenza: Giurisprudenza di legittimità

In caso di trasferimento che riguardi aziende delle quali sia stato accertato lo stato di crisi aziendale, ai sensi dell'articolo 2, quinto comma, lett. c), della l. n. 675 del 1977, ovvero per le quali sia stata disposta l'amministrazione straordinaria, in caso di continuazione o di mancata cessazione dell'attività, ai sensi del d.lgs. n. 270 del 1999, l'accordo sindacale di cui all'art. 47, comma 4-bis, della l. n. 428 del 1990, inserito dal d.l. n. 135 del 2009, conv. in l. n. 166 del 2009, può prevedere deroghe all'art. 2112 c.c. concernenti le condizioni di lavoro, fermo restando il trasferimento dei rapporti di lavoro al cessionario, in quanto la locuzione - contenuta del predetto comma 4-bis - "Nel caso in cui sia stato raggiunto un accordo circa il mantenimento, anche parziale, dell'occupazione, l'articolo 2112 del codice civile trova applicazione nei termini e con le limitazioni previste dall'accordo medesimo", va letta in conformità al diritto dell'Unione europea ed alla interpretazione che dello stesso ha fornito la Corte di giustizia, 11 giugno 2009, in causa C-561/07 (all'esito della procedura di infrazione avviata nei confronti della Repubblica italiana per violazione della direttiva 2001/23/CE), nel senso che gli accordi sindacali, nell'ambito di procedure di insolvenza aperte nei confronti del cedente sebbene non "in vista della liquidazione dei beni", non possono disporre dell'occupazione preesistente al trasferimento di impresa. (cfr. Cass. 1 giugno 2020 n. 10414)

Fusione e scissione

Nel diritto commerciale, il termine fusione indica un'operazione mediante la quale società distinte vengono unite in un unico ente sociale, preesistente alla fusione o creato ex novo (artt. 2501 e segg. c.c.).

Prima della riforma del diritto societario (attuata con il D.Lgs. n. 6/2003), la fusione era classificata come successione a titolo universale, con conseguente inapplicabilità a tale vicenda societaria delle tutele previste per i lavoratori in caso di trasferimento d'azienda, in particolare la responsabilità solidale tra cedente e cessionario e l'esperimento della procedura di consultazione sindacale.

Dopo la riforma, la fusione è stata assimilata ad una vicenda modificativa del contratto sociale, di talché essa può integrare il trasferimento d'azienda, come ora espressamente previsto dall'art. 2112, comma 5, c.c.

Anche la scissione societaria ha ricevuto analoga interpretazione, pur se l'applicazione delle regole in tema di trasferimento d'azienda viene limitata ai casi in cui venga ceduta l'azienda o una parte di essa alla/alle società risultanti dalla scissioni e non nel caso in cui vengano ceduti solo singoli beni o rapporti.

Cessione del pacchetto azionario

In armonia con la Direttiva n. 2001/23/CE, non è configurabile un trasferimento d'azienda nella cessione del pacchetto azionario.

Il trasferimento del pacchetto azionario di maggioranza di una società di capitali non integra, infatti, gli estremi del trasferimento d'azienda ai sensi dell'art. 2112 c.c., ma comporta solo una modificazione degli assetti azionari interni della persona giuridica la quale, pertanto, conserva la sua soggettività esterna e, in particolare, la sua responsabilità nei confronti dei propri dipendenti per le obbligazioni assunte (Cass. sez. lav., 18 aprile 2007, n. 9251).

Trasferimento d'azienda e successione nell'appalto

Sovente la sovrapponibilità nella pratica dei due strumenti ha portato il legislatore a chiarire che l'acquisizione del personale già impiegato nell'appalto a seguito di subentro di un nuovo appaltatore, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto d'appalto, non costituisce trasferimento d'azienda o di parte d'azienda (così la vecchia formulazione dell'art. 29, comma 3, D.Lgs. n. 276/2003).

La giurisprudenza, conformemente al dettato di legge, aveva dunque applicato la norma muovendo dalla circostanza che, nel caso di successione nell'appalto, manca qualsiasi diretto rapporto tra i due imprenditori che si susseguono nel servizio, e che acquistano ciascuno l'azienda, a titolo originario, dal comune appaltante. La prosecuzione dell'attività dei lavoratori a favore del nuovo datore di lavoro non era dunque automatica, ma richiedeva il consenso degli stessi, tramite la sottoscrizione di un nuovo contratto di lavoro o la cessione, ex art. 1406 c.c., del precedente rapporto.

La necessità di leggere l'art. 29 in conformità alla Direttiva n. 2001/23/CE - la quale, formulando la nozione di trasferimento d'impresa in maniera ampia, non impedisce che ad essa sia ricondotta anche la fattispecie della successione nell'appalto - ha indotto la giurisprudenza più attenta a sancire che l'art. 29 cit. non può interpretarsi nel senso della necessaria esclusione del trasferimento d'azienda in ogni caso di formale successione di appaltatori con trasferimento dall'uno all'altro di personale impiegato nell'appalto; tale articolo, piuttosto, doveva essere inteso nel senso che non era idoneo il solo trasferimento di personale tra appaltatori di uno stesso servizio a far ritenere, ex se, l'esistenza di un trasferimento d'azienda.

Ai fini del perfezionamento della fattispecie, tale giurisprudenza ha chiarito che il trasferimento d'azienda è configurabile in ipotesi di successione nell'appalto di un servizio sempre che si abbia un passaggio di beni di non trascurabile entità, e tale da rendere possibile lo svolgimento di una specifica impresa, elemento qualificante imprescindibile rispetto al mero passaggio di manodopera (Cass. sez. lav., 13 aprile 2011, n. 8460).

L'interpretazione giurisprudenziale conforme alla Direttiva ha determinato il legislatore ad intervenire nuovamente sull'art. 29, il quale – modificato dalla Legge n. 122/2016 - oggi recita “l'acquisizione del personale già impiegato nell'appalto a seguito di subentro di nuovo appaltatore dotato di propria struttura organizzativa e operativa, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto d'appalto, ove siano presenti elementi di discontinuità che determinano una specifica identità di impresa, non costituisce trasferimento d'azienda o di parte d'azienda”.

Dunque la norma riscritta, ribaltando la precedente prospettiva, anziché affermare che l'acquisizione del personale dell'appaltatore uscente non costituisce, di per sé considerata, trasferimento d'azienda, individua invece le condizioni che devono sussistere affinché tale acquisizione non costituisca trasferimento d'azienda.

Alla luce di quanto precede, due sono gli elementi necessari per escludere che la successione dell'appalto costituisca trasferimento d'azienda:

  1. le qualità soggettive del subentrante, il quale deve essere dotato di una personale e autonoma organizzazione imprenditoriale e produttiva con assunzione a proprio carico del rischio di impresa;
  2. l'oggettiva sussistenza della “discontinuità imprenditoriale”, che deve essere valutata con riferimento alla tipologia dell'attività svolta in esecuzione dell'appalto oggetto di successione e deve essere diversa da quella del soggetto uscente per quanto riguarda le caratteristiche concrete ed operative.

Riferimenti

Normativi

  • Art. 29, D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276
  • Direttiva n. 2001/23/CE
  • Art. 47, Legge n. 428/1990
  • Art. 2112 c.c.
  • Art. 1406 c.c.
  • D.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14

Giurisprudenza

  • Corte Costituzionale, 27 gennaio 2017, n. 27
  • Cass. sez. lav., 6 dicembre 2016, n. 24972
  • Cass. sez. lav., 12 aprile 2016, n. 7121
  • Cass. sez. lav., 9 aprile 2015, n. 7144
  • Cass. sez. lav., 4 novembre 2014, n. 23473
  • Cass. sez. lav., 16 giugno 2014, n. 13617
  • Corte di Giustizia UE, 6 marzo 2014, n. C-458/12
  • Tribunale di Pisa, 13 novembre 2013
  • Cass. sez. lav., 12 marzo 2013, n. 6131
  • Tribunale di Milano, 12 giugno 2012, n. 2912
  • Corte d'Appello di Milano, 9 luglio 2004
  • Cass., sez. lav., 1° giugno 2020, n. 10414

Dottrina

  • F. Carnelutti, Sulle nuove posizioni del diritto commerciale, in Riv. dir. comm. 1942, I, 68
  • L. A. Cosattini, Cambio appalto e trasferimento d'azienda: un intervento normativo poco meditato, in Il Lavoro nella giurisprudenza 11/2016
  • F. Galgano, L'imprenditore, Bologna, 1974, 77
  • S. Piccoli, Il trasferimento d'azienda, Working paper n. 36/2006
  • G. Quadri, Uso aziendale e trasferimento d'azienda, in Riv. it. dir. lav., fasc. 4, 2010, 814
  • F. Santoro Passarelli, Diritto e processo del lavoro e della previdenza sociale, Torino, 2014
  • G. Zaccardi, Manuale di diritto del lavoro, sindacale e della previdenza sociale, Roma, 2015, 236
  • P. Lambertucci, La disciplina dei rapporti di lavoro nel trasferimento dell'impresa sottoposta a procedure concorsuali, prime note sul codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza del 2019

    , in Riv. it.dir.lav., fasc. 1, 2019, 149

  • A. Preteroti, Il trasferimento d'impresa nel Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza: prove di assestamento euro unitario,

    in

    Massimario della Giurisprudenza del Lavoro

    , n. 3/2020.

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