A.T.P.
06 Marzo 2024
Inquadramento Il legislatore, con l'art. 38, comma 1, D.L. n. 98/2011, conv.to con modif.ni dalla L. n. 111/2011, ha inserito nel codice di rito un nuovo istituto, l'accertamento tecnico preventivo obbligatorio (d'ora in poi ATPO) “al fine di realizzare una maggiore economicità dell'azione amministrativa e favorire la piena operatività e trasparenza dei pagamenti, nonché deflazionare il contenzioso in materia previdenziale, di contenere la durata dei processi in materia previdenziale nei termini di durata ragionevole dei processi, previsti ai sensi della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà d'espressione.” Alla luce di tale obiettivo e utilizzando, come prospettato dalla dottrina processualistica, il canone della “semplicità” nell'interpretazione delle leggi processuali, da considerare come il “canone principale della tecnica ermeneutica in materia processuale”, si procederà alla ricostruzione dell'istituto, alla luce, fra l'altro, della sentenza n. 243/2014 della Corte costituzionale e delle pronunce nn. 8533/2015, 8878/2015 e 8932/2015 della Corte di Cassazione. Introduzione
Il legislatore del 2011 ha inserito nel codice di procedura civile, all'interno del capo dedicato al processo previdenziale, una disciplina ad hoc in tema di accertamento medico legale, disciplina che, a decorrere dall'1 gennaio 2012, pone in essere un sub-procedimento giurisdizionale che può concludersi o con un decreto di omologa dell'accertamento del requisito medico-legale, o può sfociare in ipotesi di contestazione in una successiva fase processuale sempre innanzi allo stesso giudice che ha emesso il decreto. Il procedimento contenzioso è di tipo sommario, sul modello di quelli d'istruzione preventiva, e ha quale oggetto la verifica delle condizioni sanitarie legittimanti la pretesa che s'intende far valere in giudizio, cui potrà far seguito un giudizio di merito a cognizione piena. La Corte di Cassazione, tenendo conto di quanto si legge nel testo dell'art. 38 con riguardo agli obiettivi perseguiti dal legislatore, ha preso atto che l'elemento sanitario nella maggior parte dei casi assume valore risolutivo delle controversie in questione, sicché l'anticipazione di tale aspetto può sortire un effetto acceleratorio e deflativo del contenzioso.
L'istituto ha altresì superato il vaglio di costituzionalità al quale è stato sottoposto con riguardo a plurimi profili, avendo il Giudice delle legge dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale sottoposte al suo scrutinio con riguardo agli artt. 3, 24, 38 e 111 della Costituzione.
Il procedimento: aspetti generali
Il primo comma individua, con elencazione tassativa, le controversie alle quali si applica il nuovo istituto e precisamente quelle in materia di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap, disabilità; nonché la pensione di inabilità e l'assegno ordinario di invalidità, istituti questi che trovano la loro disciplina nella L. n. 22/1984. La stessa disposizione individua:
È sempre il legislatore, nel successivo secondo comma, a fissare la regola che individua nell'esperimento dell'ATPO la condizione di accesso, procedibilità, dell'eventuale successiva domanda giudiziaria. Il modello utilizzato appare essere quello, noto al modello processuale previdenziale (si v. l'art. 443 c.p.c.) ancorché con riguardo ai procedimenti amministrativi e non giurisdizionali, che condiziona la procedibilità della domanda anche all'esaurimento dei procedimenti amministrativi. La contiguità fra i due istituti è resa palese dalla disciplina in commento, che fa propri ed esplicita gli insegnamenti della giurisprudenza sul primo. Infatti l'improcedibilità, intesa come non esperibilità e come non conclusione del procedimento amministrativo, deve essere eccepita dall'ente previdenziale o rilevata d'ufficio sino alla prima udienza e se ciò non avviene pertanto il procedimento continua regolarmente, senza possibilità di sorta che il procedimento regredisca alla fase di accertamento tecnico preventivo obbligatorio. All'opposto, qualora l'eccezione di improcedibilità, abbia trovato rituale ingresso nel processo previdenziale, il giudice adito sospende il processo innanzi a sé, con applicazione analogica della regola dettata dall'art. 443 c.p.c., e assegna alle parti il termine di quindici giorni per l'esperimento dell'ATPO o per il suo completamento. È da condividere la soluzione accolta dai giudici di merito che hanno ritenuto legittima l'azione giudiziaria non preceduta dall'esperimento dell'accertamento tecnico preventivo obbligatorio, allorquando l'INPS in via amministrativa abbia riconosciuto l'esistenza del requisito sanitario, rigettando la domanda per inesistenza del requisito contributivo (così: Tribunale Taranto, 22 maggio 2014, in Foro it., 2014, I, 2243). L'art. 445 bis individua l'oggetto dello stesso procedimento giurisdizionale sommario nell'accertamento “delle condizioni sanitarie legittimanti la pretesa”. A fronte di tale testo ci si è posti la questione della possibilità o meno che in seno allo stesso procedimento e prima di nominare il consulente tecnico il giudice adito possa verificare l'esistenza di ulteriori e diversi elementi costitutivi del diritto, quali il requisito socio-economico e/o quello reddituale. Requisiti costitutivi che, accertatane l'inesistenza, porterebbero con sé strutturalmente l'inutilità della consulenza medico-legale e, pertanto, il rigetto dell'ATPO. La Cassazione è intervenuta sulla questione una prima volta nel 2014, antecedentemente allo scrutinio di costituzionalità, ed era pervenuta alla conclusione che l'ATPO è un procedimento obbligatorio inteso esclusivamente alla verifica delle condizioni sanitarie.
Sempre la Cassazione è intervenuta una seconda volta sulla questione a un anno di distanza, accogliendo un'opzione ermeneutica opposta coonestata nella teleologia della novella, opzione in forza della quale è consentito al giudice dell'ATPO, prima di procedere alla nomina del CTU, procedere sommariamente alla verifica di ulteriori e prevî requisiti.
Non è questa la sede deputata per esaminare la correttezza interpretativa dell'una o dell'altra opzione, si può solo dire a una prima lettura che la seconda e più recente soluzione accolta dal giudice della nomofilachia è quella che garantisce de facto un migliore assetto degli interessi in gioco e un utilizzo ottimale del sistema giustizia. La Corte però, così facendo, compie un'attività di sostituzione e supplenza dell'attività di un legislatore che ha preteso di governare e disciplinare un fenomeno dallo stesso non compiutamente e completamente conosciuto, sol così si può dare un senso al sintagma “verifica preventiva delle condizioni sanitarie”. È lo stesso legislatore, al terzo comma, a riconoscere espressamente alla proposizione della domanda di ATPO l'effetto di interrompere il termine. Lo stesso legislatore però nulla dice con riguardo alla decadenza, istituto strutturale alle prestazioni previdenziali e assistenziali, e quest'omissione dimostra ancora una volta il tasso di bassa conoscenza della materia in capo ai conditores della novella. Il silenzio serbato dal legislatore sul punto è riempito dagli interpreti che – anche qui con modulo interpretativo per certi versi forzato al pari di quel che sta accadendo per l'individuazione dell'oggetto della controversia e dei poteri affidati al giudice, e tenendo in considerazione il fine perseguito con l'introduzione del nuovo istituto – hanno ritenuto che la proposizione della richiesta propaga i suoi effetti anche nei confronti della decadenza. La rappresentanza in giudizio dell'INPS in questo procedimento e con norma speciale, art. 10 comma 6 del D.L. n. 203/2005, conv.to con modif.ni dalla L. n. 248/2005, è affidata ai propri dipendenti, ma ciò ovviamente non esclude che lo stesso ente si affidi alla difesa tecnica per il tramite della propria Avvocatura. Una volta affidata la difesa ai propri funzionari, ne discende che costoro acquisiscono tutte le capacità connesse alla qualità di difensore in detti giudizi compresa quella di ricevere la notifica della sentenza ai fini del decorso del termine breve di impugnazione (in questo termini: Cass., 14 ottobre 2014, n. 21698). Con riguardo alla difesa tecnica e alla posizione fatta alla stessa nel procedimento, il Giudice delle leggi, nella sentenza più volte citata, ha escluso che vi è una lesione del diritto di difesa, avendo il legislatore effettuato un congruo bilanciamento tra gli interessi generali e l'interesse della parte a far valere il suo diritto di assistenza o previdenza, basato sullo stato di invalidità, nell'ambito dell'esercizio della discrezionalità che compete al medesimo legislatore.
Sempre la Corte costituzionale, nella sentenza n. 243/2014, ha escluso, come paventato dal giudice remittente, che l'organo giurisdizionale sia stato ridotto in tale procedimento a mero organismo sussidiario che svolge soltanto un ruolo al più direttivo o esecutivo degli interventi normativamente previsti.
La Corte a confutazione di tale asserto osserva che il giudice, investito dell'istanza di accertamento tecnico preventivo diretto alla verifica preventiva delle condizioni sanitarie legittimanti la pretesa fatta valere, dispone di tutti i poteri all'uopo necessari. In particolare, in forza del richiamo contenuto nell'art. 696-bis c.p.c., si applicano gli artt. da 191 a 197 del detto codice, in quanto compatibili, sicché spettano al giudice tutti i poteri procedimentali previsti nella citata normativa, nonché il governo dei tempi del procedimento, secondo le scansioni stabilite dal legislatore nell'esercizio della sua discrezionalità.
Si osservi che la posizione fatta al giudice è ancor più ampia se si accede alla tesi secondo la quale a questi, prima di provvedere alla nomina del consulente tecnico d'ufficio, è altresì affidato il compito di verificare, ancorché sommariamente, oltre alla propria competenza, anche la ricorrenza di una delle ipotesi per le quali è previsto il ricorso alla procedura prevista dall'art. 445 bis c.p.c., nonché la presentazione della domanda amministrativa, l'eventuale presentazione del ricorso amministrativo, la tempestività del ricorso giudiziario; ed inoltre il profilo dell'interesse ad agire. Interesse che dovrà essere valutato dal giudice nella prospettiva dell'accertamento medico richiesto al fine di ottenere il riconoscimento del diritto soggettivo sostanziale di cui l'istante si afferma titolare (in questi termini: Cass. 5 maggio 2015, n. 8932). Qualora questo previo esame conduca all'accertamento dell'inesistenza dei cennati requisiti l'effetto sarà l'emissione da parte del giudice di un provvedimento di rigetto ancor prima e senza necessità di nomina del consulente tecnico d'ufficio. Su quest'esito la giurisprudenza di merito ha ritenuto che si tratta di una sentenza definitiva del giudizio avente natura meramente processuale (Trib. S. Maria Capua V., 14 giugno 2012, R.G. 1156/2012). Il Tribunale ha utilizzato lo strumento della sentenza, ancorché la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 5338/2014, aveva avallato in un caso di rigetto della domanda di accertamento per intervenuta decadenza semestrale ex art. 42 D.L. n. 269/2003, conv.to con modif.ni dalla L. n. 326/2003, l'utilizzo dello strumento dell'ordinanza di inammissibilità. L'esito è in ogni caso identico, ovverosia meramente processuale, che non ha effetto di giudicato sulla situazione soggettiva di natura sostanziale, stante la possibilità per l'interessato di promuovere il ricorso nel merito (conferma tale approdo la Cass., con la successiva sentenza n. 8932/2015). Sempre la giurisprudenza di merito ha ritenuto che avverso la declaratoria di inammissibilità del ricorso per accertamento tecnico preventivo obbligatorio non è proponibile il reclamo, costituendo il procedimento mera condizione di procedibilità finalizzata all'accertamento del requisito sanitario (in questi termini, Trib. Roma, 17 dicembre 2012, in Lav. giur., 2013, 12, p. 1104). Il consulente medico-legale
La figura centrale attorno alla quale ruota il procedimento è quella del consulente medico-legale, recte dei consulenti medico-legali, essendo affidato a tali organi tecnici il compito di verificare, in contraddittorio fra loro, l'esistenza in capo al richiedente delle condizioni sanitarie per l'accesso al beneficio richiesto. Verifica che si conclude da parte del consulente tecnico d'ufficio con la consegna al giudice di una relazione di accertamento che costituisce il presupposto necessario e sufficiente del decreto emesso da questi.
All'interno di tale quadro si inserisce pertanto anche la posizione del consulente tecnico dell'INPS del quale si è predicata una violazione di principi costituzionali, affermandosi che lo stesso potrebbe muoversi all'interno del procedimento al di fuori di qualsivoglia regola. La Corte costituzionale, nella più volte citata sentenza, ha escluso anche tale profilo di legittimità costituzionale, ritenendo che anche per quest'aspetto il legislatore abbia correttamente esercitato la propria discrezionalità e non ha inteso riconoscere al consulente tecnico dell'INPS alcuna posizione privilegiata in violazione del principio del contraddittorio; ma il legislatore, continua la Corte, ha inteso garantire il contraddittorio anche tecnico fin dall'inizio delle operazioni processuali, alla luce degli interessi pubblici di cui l'INPS è portatore e dei quali, quindi, va garantita la tutela, peraltro senza che la realizzazione di tale esigenza incida sul libero espletamento dell'attività difensiva della parte privata.
La consulenza medico-legale, al pari di tutte le altre consulenze medico-legali nella materia previdenziale e assistenziale, può concludersi o con il disconoscimento dell'esistenza del requisito medico-legale strutturale per il riconoscimento del beneficio richiesto, o all'opposto con il riconoscimento dell'esistenza del predetto requisito sin dal momento della domanda, o infine con il riconoscimento ma con decorrenza differita a un momento successivo alla domanda. Una volta concluse le operazioni peritali è compito del giudice fissare alle parti, con decreto alle stesse comunicate, un termine perentorio non superiore a trenta giorni entro il quale queste devono depositare presso la cancelleria del giudice medesimo un atto ove dichiarano se intendono aderire o meno alle conclusioni alle quali è addivenuto il CTU (art. 445 bis, quarto comma).
Il procedimento, decorso il termine predetto, ha esiti diversi a seconda che le parti abbiano o non abbiano contestato la consulenza tecnica d'ufficio. L'esito più lineare della controversia è quello connesso all'assenza di contestazioni. In questo caso il giudice emette fuori udienza un decreto di omologa, senza necessità alcuna di fissare una previa udienza in contraddittorio fra le parti.
Il legislatore fissa un termine di trenta giorni per il deposito del decreto di omologa che decorre dallo spirare del precedente termine di trenta giorni assegnato alle parti per la presentazione della dichiarazione scritta di dissenso, al pari di altre disposizioni codicistiche che assegnano al giudice un termine per depositare un provvedimento, si deve ritenere che lo stesso sia meramente indicativo, senza che il suo mancato rispetto conduca a effetti di sorta sull'esito della procedura. Ci si è chiesti se il giudice, a fronte dell'accordo tacito delle parti sull'esito della consulenza tecnica emerso dalla mancata presentazione di dichiarazioni di dissenso, possa distaccarsi dalle conclusioni alle quali è approdato il consulente e la risposta è stata negativa, potendo egli solo disporre la rinnovazione della consulenza o la nomina di nuovo consulente (appare esiziale pertanto in questa fase del procedimento, l'individuazione da parte del giudice di un consulente professionalmente adeguato all'attività da svolgere e insensibile a sirene di qualsivoglia genere e specie). Soluzione che trova un avallo lessicale nell'espressione utilizzata dal legislatore: “omologa l'accertamento del requisito sanitario secondo le risultanze probatorie indicate nella relazione del consulente tecnico dell'ufficio”.
Nello stesso decreto di omologa il giudice provvede altresì sulle spese, ivi comprese quelle di consulenza tecnica, secondo il principio della soccombenza. Si deve altresì ritenere applicabile al caso di specie la disposizione dell'art. 152 disp. att. c.p.c., secondo le regole in questo dettate, in tema di esenzione dal pagamento di spese e competenze e onorari nei giudizi per prestazioni previdenziali.
Il decreto così emesso diviene definitivo e, per espressa volontà del legislatore, non è né impugnabile, né modificabile, né ricorribile per Cassazione ai sensi dell'art. 111 della Costituzione. Tale effetto si deve ritenere attenga non solo l'accertamento sanitario, ma anche la disciplina delle spese (ma su questo aspetto si v. infra la diversa posizione della Corte di legittimità) e infine, conseguenza di non poco conto se si accede all'approdo al quale è pervenuta la Corte di Cassazione con le tre sentenze del 2015 supra citate, gli aspetti preliminari che sono stati oggetto della verifica giudiziale e ritenuti non preclusivi dell'ulteriore corso, relativi ai presupposti processuali e alle condizioni dell'azione (così si deve inferire a contrario sulla scorta dell'argomentare utilizzato dalla Corte nella sentenza n. 8878/2015, ma l'argomentare è omologo nelle altre due decisioni, ancorché il Supremo Collegio allorché si soffermi sull'ipotesi di mancanza di contestazioni, parla di accertamento sanitario ratificato con il decreto di omologa).
Si osservi però, con riguardo al capo sulle spese, che la Corte di Cassazione, con la decisione n. 6084/2014, ha ritenuto ammissibile il ricorso straordinario da parte dell'INPS, avverso il decreto di omologa che faceva proprie le conclusioni della consulenza tecnica di insussistenza del requisito sanitario e ancorché era incontroverso che l'ente previdenziale era totalmente vittorioso. La soluzione appare condivisibile, ancorché parte della dottrina prospetta altra soluzione in forza della quale il capo del decreto in tema di spese dovrebbe seguire la disciplina legislativa riguardante il merito della questione. Se nel caso di specie si fosse applicata tale opzione ermeneutica, ne sarebbe conseguito che la parte del procedimento, ancorché integralmente vincitrice, si sarebbe vista addossare le spese legali e di consulenza senza possibilità di rimedio. Il decreto, limitatamente al capo che accerta l'esistenza del requisito sanitario (il discorso è diverso con riguardo al capo che condanna alle spese), non rientra nella categoria dei titoli esecutivi.
L'argomentare utilizzato dal Giudice delle leggi, per giustificare la mancata attribuzione al decreto di omologa dell'efficacia di titolo esecutivo, potrebbe colorare di significato diverso la ricostruzione della norma, patrocinata dalla maggior parte dei commentatori, in punto poteri di verifica affidati al giudice su elementi propedeutici e necessari all'esperimento della consulenza e il cui accertamento non è chiaro se ricade sotto la disciplina dettata dal quinto comma.
Una volta emesso il decreto, lo stesso è notificato agli enti – si deve ritenere che tale adempimento sia svolto dalla parte privata che si sia vista accogliere la propria domanda – ai quali il legislatore assegna dapprima il compito di verificare gli ulteriori requisiti non sanitari per la concessione del beneficio e successivamente, una volta che la predetta verifica abbia dato esito positivo, il pagamento della prestazione, il tutto entro 120 giorni dalla cennata notifica. La giurisprudenza di merito, applicando regole consuete per l'erogazione di prestazioni previdenziali e assistenziali nel rispetto di termini fissati dal legislatore, ha ritenuto che lo stesso decorre dal momento in cui l'INPS è entrato nella disponibilità di tutti i dati necessari alla liquidazione della prestazione (Trib. Torino, 7 maggio 2014, R.G.l. 266/2013). Nell'ipotesi in cui l'ente previdenziale non provveda alla liquidazione della prestazione, come riconosciuto dalla Corte di Cassazione (si v. la sentenza n. 6085/2014), la parte che ha avuto il decreto di omologa favorevole sarà tenuta a proporre un nuovo giudizio, che è a cognizione piena, ancorché limitato (essendo ormai intangibile l'accertamento sanitario) alla verifica dell'esistenza di tutti i requisiti non sanitari prescritti dalla legge per il diritto alla prestazione richiesta. E il relativo giudizio si concluderà con una sentenza che, in assenza di contrarie indicazioni della legge, sarà soggetta agli ordinari mezzi di impugnazione, che dovranno incentrarsi solo sulla verifica dei requisiti diversi dall'invalidità (così testualmente sent. ult. cit.).
L'esito finale del procedimento muta allorché le parti dello stesso, nel rispetto dei termini e delle forme fissate dall'articolo, presentano la dichiarazione di dissenso. In questo caso la parte dissenziente deve depositare presso il giudice innanzi al quale ha incardinato l'ATPO e si può ritenere che il giudice possa essere lo stesso, entro il termine perentorio di trenta giorni, da calcolarsi dal momento del deposito della dichiarazione di dissenso, il ricorso, specificando, a pena di inammissibilità i motivi della contestazione.
Le argomentazioni utilizzate dal Giudice delle leggi consentono anche di dare una maggiore compiutezza allo spezzone normativo che prevede la specificità dei motivi della contestazione, che si appalesano pertanto omologhe a qualsivoglia ricorso introduttivo di un processo previdenziale. Le ragioni a sostegno del ricorso non possono essere che le stesse che hanno trovato rituale ingresso nella fase di accertamento tecnico preventivo. Pertanto esse possono essere o solo di tipo sanitario, se si accede alla ricostruzione dell'istituto fatta dalla Cassazione nella decisione n. 6085/2014, o all'opposto possono riguardare anche tutti gli altri elementi antecedenti e propedeutici all'accertamento sanitario, se si accede alla ricostruzione prospettata dalla maggior parte dei commentatori e fatta propria dalla Cassazione nella decisione n. 8878/2015. Al giudice si deve riconoscere, nei limiti della domanda giudiziaria, il potere di valutare ex novo tutta la situazione, con la possibilità pertanto che la sentenza conclusiva del giudizio decida integralmente la questione difformemente dall'esito che si era avuto con l'ATPO. Infine ci si deve chiedere cosa accada qualora, nonostante il rituale e tempestivo deposito della dichiarazione di dissenso, la parte non provveda o provveda senza il rispetto del termine perentorio all'incardinazione del giudizio. Il legislatore non disciplina siffatta ipotesi e si ritiene condivisibile l'opzione secondo la quale la dichiarazione di contestazione è espunta dal mondo giuridico e il giudice può emettere il decreto di omologa. I mezzi di tutela avverso la sentenza
Il legislatore, all'ultimo comma della norma in commento aggiunto dall'art. 27, primo comma, lett. f) della L. n. 183/2011, espressamente esclude l'appellabilità della decisione che è resa a conclusione del procedimento di primo grado incardinato per chiedere la riforma del decreto di rigetto dell'omologa. La Corte di Cassazione ne inferisce, all'interno della costruzione dell'istituto dalla stessa delineata (si tratta della sentenza n. 6085/2014), che non dovrebbero più discutersi in appello questioni concernenti lo stato di invalidità perché o, in assenza di contestazioni, vi è stata l'omologa, non impugnabile né modificabile, oppure – secondo caso – la contestazione vi è stata e si è aperto il procedimento contenzioso terminato con sentenza la quale non è soggetta ad appello. Avverso questa sentenza può essere sempre proposto il ricorso straordinario ex art. 111 Costituzione.
La soluzione prospettata dalla Corte di Cassazione deve essere posta all'interno della ricostruzione che dalla stessa è stata fatta dell'ATPO, ricostruzione in forza della quale oggetto del procedimento è l'accertamento dei soli requisiti medico-legali. La predetta soluzione non appare soddisfacente allorché si acceda alla ricostruzione dell'ATPO fatta sempre dalla Cassazione nella successiva sentenza n. 8535/2015; ricostruzione in forza della quale è riconosciuto al giudice dell'accertamento il potere, prima di nominare il CTU, di verificare altri e diversi requisiti. Se si riconosce la bontà di tale ricostruzione si deve concludere, come affermato dai commentatori che condividono la predetta interpretazione della disposizione, che l'inappellabilità è limitata al capo della sentenza che riguarda i requisiti sanitari; mentre per il capo di sentenza che riguarda gli altri propedeutici e necessari requisiti vagliati dal giudice, e si aggiunga anche per il capo di sentenza che disciplina le spese, sia possibile esperire l'appello. Riferimenti Giurisprudenza: Per i recenti orientamenti sul tema, v. Cass., sez. II, ord. 19 luglio 2023, n. 21085 Normativa: Art. 10, Decreto Legge 30 settembre 2005, n. 203 Artt. 445 bis , 442,193,669 bis c.p.c. Prassi: INPS, Circolare 23 gennaio 2015, n. 10 INPS, Circolare 27 novembre 2014, n. 152 INPS, Circolare 30 luglio 2012, n. 103 INPS, Circolare 30 dicembre 2011, n. 168 Giurisprudenza: Cass. sez. lav., 5 maggio 2015, n. 8932 Cass. sez. lav., 4 maggio 2015, n. 8878 Cass. sez. lav., 27 aprile 2015, n. 8533 Cass. sez. lav., 14 ottobre 2014, n. 21698 Cass. sez. lav., 17 marzo 2014, n. 6085 Cass. sez. lav., 17 marzo 2014, n. 6084 Corte Cost., 28 ottobre 2014, n. 243 Bibliografia essenziale
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