Sicurezza degli impianti

Ferdinando Della Corte
Alberto Celeste
27 Settembre 2017

Il Legislatore se, per un verso, ha assicurato una maggiore tutela della collettività in materia di sicurezza, ha, nel contempo, reso più gravoso il compito dell'amministratore del condominio, il quale deve adoperarsi per porre in atto quell'insieme di adempimenti necessari per adeguare gli impianti comuni alle nuove disposizioni e per controllare, pure attraverso l'anagrafe condominiale, che lo stesso condominio rispetti la normativa vigente.
Inquadramento

* aggiornamento della Bussola a cura di A. Celeste

La l. 5 marzo 1990, n. 46 aveva affrontato compiutamente - forse per la prima volta in modo organico - la problematica relativa alla sicurezza degli impianti, avendo come obiettivo primario la tutela dell'ambiente in generale e, in particolare, la salvaguardia della salute nell'interesse dell'individuo e della collettività; beni, questi, che si possono ritenere garantiti solo se siano stati posti in atto adeguati sistemi di protezione a prevenzione dei potenziali danni derivanti dalla permanenza negli edifici di impianti pericolosi, realizzati fuori norma o, come spesso accade per l'incuria dei titolari, addirittura fatiscenti.

La suddetta l. n. 46/1990 aveva, pertanto, rappresentato il risultato dello sforzo di mettere in campo uno strumento efficace per adeguare la normativa tecnica nazionale a quella dei paesi europei che, già negli anni '90, si erano preoccupati di costruire un impianto giuridico sovranazionale, istitutivo di un sistema di certificazione, che avrebbe interessato i produttori, i commercianti, gli utenti (pubblici e privati), i condomini, gli installatori.

L'obiettivo che il Legislatore si era posto, quindi, si sviluppava secondo due direttrici: da un lato, dare vita a norme che conferissero ordine e regolamentazione per le fasi essenziali del processo di progettazione, di installazione, di trasformazione e di ampliamento degli impianti tecnici e, dall'altro, individuare e sanzionare, attraverso un rigoroso sistema di controlli, le responsabilità dei soggetti inadempienti al dettato legislativo.

Purtroppo, per anni, i termini iniziali previsti dal Legislatore per adeguare gli impianti già esistenti alle nuove norme sono ripetutamente ed immotivatamente slittati, complice tanto un consolidato sistema di decreti-legge, che venivano reiterati sempre negli stessi termini, quanto il ricorso a singole disposizioni che, a sorpresa, venivano inserite nelle varie leggi finanziarie.

Con il d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380(Testo unico dell'edilizia), poi, la l. n. 46/1990 veniva completamente modificata e, in primis, l'àmbito di applicazione della stessa risultava notevolmente ampliato, poiché non si parlava più di «impianti relativi ad edifici adibiti ad uso civile» - da intendersi tali, secondo il d.P.R. 6 dicembre 1991, n. 447, regolamento di attuazione di quest'ultima legge, le «unità immobiliari o la parte di esse destinate ad uso abitativo, a studio professionale o a sede di persone giuridiche private, associazioni, circoli o conventi e simili» - ma ci si riferiva molto più genericamente agli impianti relativi agli edifici.

Il d.m. 22 gennaio 2008, n. 37 ha visto, infine, la luce dopo una serie considerevole di proroghe dei termini per l'adeguamento degli impianti, l'ultima delle quali era contenuta nel d.l. 28 dicembre 2006, n. 300 (art. 3), che aveva previsto come termine ultimo utile per la messa a norma il 31 maggio 2007; il tutto, peraltro, con il programma dichiarato da parte del Ministero delle attività produttive di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, mediante decreti, di predisporre un riassetto sistematico delle disposizioni in materia di installazione degli impianti all'interno degli edifici.

In proposito, mette punto rammentare che l'art. 63-bis del d.l. 14 agosto 2020, n. 104 (c.d. Decreto Agosto), convertito in l. 13 ottobre 2020, n. 125, al comma 2, ha rinviato a sei mesi dal termine dello stato di emergenza, deliberato dal Consiglio dei Ministri in relazione al Covid-19 e via via prorogato a seguito del perdurare della situazione pandemica, il termine per gli adempimenti e adeguamenti antincendio negli edifici di civile abitazione previsti dal decreto del Ministero dell'Interno 25 gennaio 2019.

Quest'ultimo, in vigore dal 6 maggio 2019, per un verso, aveva integrato la vigente regola tecnica di prevenzione incendi per edifici di civile abitazione, contenuta nel d.m. 16 maggio 1987, n. 246, con prescrizioni concernenti gli edifici con altezza antincendio superiore a 12 metri, e, per altro verso, aveva dettato requisiti di sicurezza antincendio per le facciate di edifici di civile abitazione soggetti ai procedimenti di prevenzione incendi di cui al punto 77 dell'Allegato I al d.P.R. 1 agosto 2011, n. 151, ossia quelli con altezza antincendio superiore a 24 metri.

Tale proroga, però, è valida esclusivamente per i condominii con altezza antincendio compresa tra 12 e 24 metri, a cui si riferisce il d.m. 25 gennaio 2019, rimanendo, invece, inalterata la scadenza, fissata al 6 maggio 2021, per l'obbligo di installazione degli impianti nei condomini con altezza compresa tra 24 e 80 metri.

Tra gli adeguamenti per la prevenzione antincendio contenuti nel suddetto decreto ministeriale, è previsto obbligo di: a) informare gli occupanti dei comportamenti da tenere in caso di emergenza per i condomìni di altezza antincendio compresa tra 12 e 24 metri; b) predisporre indicazioni per le vie di esodo, le porte tagliafuoco, le sorgenti di possibile innesco, valutazione dei rischi in edifici con altezza compresa tra 24 e 50 metri; c) installare un impianto di segnalazione manuale antincendio con indicatori di tipo ottico ed acustico nei condominii con altezza che varia tra i 50 e gli 80 metri.

L'àmbito di applicazione della nuova normativa

Il suddetto decreto ministeriale si caratterizza per il suo specifico àmbito di applicazione che, ai sensi dell'art. 1, si estende agli «impianti posti al servizio degli edifici, indipendentemente dalla destinazione d'uso, collocati all'interno degli stessi o delle relative pertinenze. Se l'impianto è connesso a reti di distribuzione si applica a partire dal punto di consegna della fornitura (...). Gli impianti o parti di impianto che sono soggetti a requisiti di sicurezza prescritti in attuazione della normativa comunitaria, ovvero a normativa specifica, non sono disciplinati, per tali aspetti, dalle norme del presente decreto».

La classificazione degli impianti è stata ampliata rispetto alle precedenti normative.

In particolare, risulta modificata la lett. a) dell'art. 1, secondo cui oggetto della disposizione sono «gli impianti di produzione, trasformazione, trasporto, distribuzione, utilizzazione dell'energia elettrica, impianti di protezione contro le scariche atmosferiche, nonché gli impianti per l'automazione di porte cancelli e barriere».

Più articolata risulta la tipologia degli impianti indicati nella lett c), primariservatamolto sinteticamente a quelli di riscaldamento e condizionamento, pur se con la specifica dei vari tipi di alimentazione: la nuova formulazione, infatti, comprende «gli impianti di riscaldamento, di climatizzazione, di condizionamento e di refrigerazione di qualsiasi natura o specie, comprese le opere di evacuazione dei prodotti della combustione e delle condense, e di ventilazione ed aerazione dei locali».

La specificazione relativa alle opere di evacuazione dei prodotti della combustione è stata inserita anche nella lett. e) che riguarda gli impianti per il trasporto e l'utilizzazione di gas «di qualsiasi tipo».

Sostanzialmente invariate rispetto al passato restano, invece, le indicazioni di cui agli impianti di risalita, di protezione antincendio e radiotelevisivi.

La serietà dell'impresa affidataria

Quando si interviene su di un impianto condominiale e/o privato, il primo passo per garantire che il lavoro sia eseguito in «sicurezza» è quello di affidare l'incarico ad un'impresa che sia regolarmente iscritta al relativo registro, abbia i requisiti prescritti dalle norme vigenti e che si attenga strettamente ai dettati normativi.

In questo senso, il summenzionato d.m. n. 37/2008 (art. 3, comma 3) ha stabilito, ad esempio ed in modo decisamente più stringente rispetto al passato, che le imprese interessate alle attività oggetto del provvedimento devono presentare una segnalazione certificata di inizio attività - che ha sostituito la dichiarazione di inizio lavori - indicando specificatamente «per quale lettera e quale voce, di quelle indicate nel medesimo articolo 1, comma 2 intendono esercitare l'attività e dichiarano, altresì, il possesso dei requisiti tecnici professionali di cui all'art. 4, richiesti per i lavori da realizzare».

Una previsione, questa, che non era contenuta né nella l. n. 46/90 e neppure nel d.P.R. n. 380/2001, così come certamente una maggiore serietà è garantita dalla circostanza che il tecnico responsabile incaricato dall'imprenditore può svolgere tale funzione per una sola impresa e la qualifica è incompatibile con ogni altra attività continuativa; in questo senso, è stato chiarito dal Ministero dello sviluppo economico che tale soggetto non può contemporaneamente svolgere attività autonoma, né attività subordinata presso terzi poiché il rapporto professionale intrattenuto con l'impresa dal tecnico è esclusivo.

Gli interventi specifici

Gli interventi si distinguono in opere che richiedono una progettazione e lavori che non comportano la redazione di un progetto.

Rientrano nella prima categoria l'installazione, la trasformazione e l'ampliamento degli impianti oggetto della presente legge, con l'eccezione degli impianti radiotelevisivi ed elettronici - come previsto dalla lett. f) dell'art. 1 - in quanto non richiamati espressamente, nonché degli impianti telefonici e di telecomunicazione interni collegati alla rete pubblica ai quali si applica la normativa vigente di settore.

In particolare, il progetto è obbligatorio per gli impianti elettrici relativi alle utenze condominiali di uso comune, per le utenze domestiche di singole unità abitative con potenza impegnata superiore a 6 kW o per le utenze domestiche di singole unità abitative di superficie superiore a 400 mq.

Sono, altresì, soggetti alla normativa gli impianti dotati di canna fumaria collettiva ramificata, da intendersi tale un condotto di fumi unico che raccoglie ed espelle i prodotti della combustione di più apparecchi collocati su differenti piani (come nel caso di più caldaie autonome a gas site in un condominio); gli apparecchi così posizionati sono collegati alla canna fumaria mediante condotti di raccordo, definiti canali da fumo, nel caso di generatori di calore alimentati a gas di tipo B (caldaia a camera aperta), o condotti di scarico fumi, nel caso di generatori di calore alimentati a gas di tipo C (caldaia a camera stagna).

La redazione del progetto è considerata a regola d'arte quando è elaborato nel rispetto delle norme tecniche di sicurezza dettate dall'Ente italiano di unificazione (UNI) e dal Comitato elettrotecnico italiano (CEI) nonché dagli Enti appartenenti agli Stati membri dell'Unione Europea; la correttezza della progettazione è assicurata dalla particolare attenzione che il Legislatore ha conferito alla documentazione da allegare: gli schemi dell'impianto, i disegni planimetrici, la relazione tecnica sulla consistenza e tipologia dell'intervento programmato, la tipologia e le caratteristiche dei materiali e delle componenti (documentazione, quest'ultima, che deve essere integrata se l'impianto, che forma oggetto del progetto, viene sottoposto a varianti).

Terminata questa fase iniziale, la stessa rigorosità è imposta alle imprese incaricate per la realizzazione ed installazione degli impianti a regola d'arte, dalle quali si esige un comportamento conforme alla normativa vigente; con una particolare precisazione contenuta nell'art. 6, comma 3, che ci riporta sostanzialmente al passato: «gli impianti elettrici nelle unità immobiliari ad uso abitativo realizzati prima del 13 marzo 1990 si considerano adeguati se dotati di sezionamento e protezione contro le sovracorrenti posti all'origine dell'impianto, di protezione contro i contatti diretti o protezione con interruttore avente corrente differenziale nominale non superiore a 30 mA».

In proposito, vale la pena ricordare che, per questo preciso profilo della normativa, il d.P.R. n. 447/1991 (regolamento di attuazione della l. n. 46/1990) aveva operato un'evidente variazione rispetto alla legge che, all'art. 7, n. 2), aveva previsto per gli impianti elettrici la dotazione di «impianto di messa a terra e di interruttori differenziali ad alta sensibilità o di altri sistemi di protezione equivalenti», disponendo (art. 5, comma 8) negli stessi termini poi ripresi dal d.m. n. 31/2008; una soluzione che risponde, ora come allora, ad una duplice esigenza di ordine tecnico-pratico: da un lato, la minore entità della spesa prevista per l'installazione del c.d. salvavita, a fronte degli alti costi derivanti dalla realizzazione di un impianto di messa a terra (comportante, tra l'altro, notevoli opere murarie) e, dall'altro lato, la certezza che proprio tale gravosità di costi potrebbe indurre, ancora oggi, i cittadini a rendere non operative le norme di legge, con l'ovvia conseguenza che le finalità della normativa verrebbero del tutto vanificate.

La dichiarazione di conformità

La dichiarazione di conformità consiste in un attestato, rilasciato al committente dalla ditta che ha eseguito i lavori, che garantisce l'impianto in tutti i suoi componenti ed aspetti operativi, ivi compresa la sua funzionalità: trattasi, in buona sostanza, della manifestazione conclusiva dell'intero iter attraverso il quale si è pervenuti al completamento dell'opera e di cui fanno parte integrante anche il progetto e la relazione concernente la tipologia dei materiali e delle componenti impiegati.

Si può, quindi, affermare che, tra i due momenti, sussista una necessaria complementarietà, poiché il progetto rappresenta ciò che l'impiantista si propone di realizzare, mentre la dichiarazione di conformità attesta l'avvenuta realizzazione dell'impianto secondo il progetto.

La dichiarazione di conformità ha diversa valenza e peso a seconda del tipo di impianto di riferimento, per cui quando sia necessaria la presenza di un tecnico responsabile per la redazione del progetto, la dichiarazione richiederà una documentazione ed una relazione più complessa e circostanziata, mentre, quando l'impianto sia stato rifatto parzialmente, il tutto sarà limitato alla porzione sulla quale si è intervenuti.

La legge prevede, altresì, che, se la dichiarazione di conformità non sia stata prodotta all'ufficio competente o non sia più reperibile, possa essere sostituita - per gli impianti eseguiti prima dell'entrata in vigore del decreto in esame - da una dichiarazione di rispondenza, resa da un professionista iscritto all'albo professionale per le specifiche competenze tecniche e che abbia esercitato l'attività per almeno cinque anni nel settore impiantistico di riferimento; questi, in seguito a sopralluogo ed accertamento e sotto la propria responsabilità attesta, la conformità dell'impianto alla normativa vigente.

Tale disposizione avrebbe assunto particolare rilevanza se letta alla luce del successivo art. 13 (rubricato «documentazione»), poi abrogato dall'art. 35, comma 2, del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, nella l. 6 agosto 2008 n. 133; la norma abrogata, infatti, prevedeva che la documentazione amministrativa e tecnica, nonché il libretto di uso e manutenzione, dovevano essere conservati a cura del proprietario, il quale avrebbe dovuto consegnarli al suo avente causa in caso di trasferimento dell'immobile, a qualsiasi titolo (locazione, vendita, comodato, usufrutto, uso e abitazione), sicché il rogito avrebbe dovuto riportare, a tutela del venditore, l'indicazione di tutti gli elementi che garantissero l'immobile in termini di sicurezza degli impianti; tuttavia, se, da un lato, l'abrogazione di tale obbligo ha eliminato il nesso tra commerciabilità dell'immobile e conformità degli impianti, dall'altro, non viene meno l'opportunità che il venditore/locatore informi il suo successore sullo stato degli impianti per non essere chiamato, in futuro, a rispondere dei danni in caso di vizi.

Il vaglio dell'autorità competente

Il deposito presso lo sportello unico per l'edilizia della documentazione, attestante le fasi del rifacimento o dell'installazione dei nuovi impianti negli edifici per i quali sia stato già rilasciato il certificato di agibilità, rappresenta il momento nel quale l'intervento, oramai definito, viene sottoposto al vaglio dell'autorità competente; il deposito deve essere effettuato entro 30 giorni dalla conclusione dei lavori mentre, per le opere di installazione, di trasformazione e di ampliamento degli impianti connesse ad interventi che richiedono il permesso di costruire ovvero la S.C.I.A. (sostitutiva della D.I.A.), il relativo progetto deve essere depositato contestualmente al progetto edilizio.

Per gli interventi di manutenzione ordinaria sugli impianti, l'art. 10 del decreto esclude che sia necessaria la redazione del progetto e del rilascio dell'attestazione di collaudo, così come non si richiede di affidare le opere ad imprese abilitate; si tratta, infatti, di opere destinate «a contenere il degrado normale d'uso nonché a far fronte ad eventi accidentali che comportano la necessità di primi interventi, che comunque non modificano la struttura dell'impianto su cui si interviene o la sua destinazione d'uso secondo le prescrizioni previste dalla normativa tecnica vigente e dal libretto d'uso e di manutenzione del costruttore».

Sul punto, va chiarito che gli interventi richiesti per mantenere in sicurezza gli impianti, in quanto finalizzati a tutelare in generale l'incolumità delle persone, non rientrano nell'ordinaria manutenzione in quanto non dipendono né dall'intensità dell'uso e né dalla vetustà dell'impianto, tanto meno sono collegati con guasti accidentali; essi hanno carattere straordinario.

Né sono previste le suddette formalità per gli apparecchi di uso domestico e la fornitura provvisoria di energia elettrica per impianti di cantiere e similari, fermo restando l'obbligo del rilascio della dichiarazione di conformità, riprendendo, nella sostanza, il dettato degli artt. 12 della l. n. 46/1990 e 8 del d.P.R. n. 447/1991.

Dall'àmbito applicativo delle norme citate sono, infine, esclusi gli impianti di ascensori e montacarichi che, precedentemente soggetti all'art. 5 della l. 24 ottobre 1942, n. 1415, sono attualmente disciplinati dal d.P.R. 30 aprile 1999, n. 162.

Gli obblighi del condominio-committente

Si configura uno stretto collegamento tra il d.m. n. 37/2008 e le disposizioni codicistiche in materia di condominio, soprattutto dopo la riforma entrata in vigore il 18 giugno 2013.

L'art. 8 del d.m., rubricato «obblighi del committente o del proprietario», per quanto concerne il tema trattato, ha come diretto destinatario, per il condominio, il suo amministratore il quale non può sottrarsi alla stretta osservanza delle norme vigenti.

L'attività dell'amministratore nei confronti dei beni comuni è circoscritta alle attribuzioni a lui affidate dagli artt. 1129 e 1130 c.c. - come novellati dalla l. n. 220/2012 - e più precisamente:

a) esecuzione di provvedimenti amministrativi (art. 1129, comma 11, n. 2, c.c.);

b) riscossione dei contributi ed erogazione delle spese per la manutenzione ordinaria delle parti comuni dell'edificio (art. 1130, comma 1, n. 3, c.c.);

c) esecuzione degli atti conservativi relativi alle parti comuni dell'edificio (art. 1130, comma 1, n. 4, c.c.);

d) raccolta di ogni dato relativo alle condizioni di sicurezza delle pari comuni (art. 1130, comma 1, n. 6, c.c.).

L'inosservanza di quest'ultimo obbligo, concernente la cura e aggiornamento dell'anagrafe condominiale, è stata prevista (art. 1129, comma 11, n. 7, c.c.), come grave irregolarità che giustifica la revoca giudiziaria dell'amministratore.

Peraltro, l'obbligo di garantire la sicurezza in abito condominiale è stata affidata anche all'assemblea da una nuova disposizione di attuazione del codice civile, in materia di impianti non centralizzati di ricezione radiotelevisiva e di produzione di energia da fonti rinnovabili, a norma della quale «l'assemblea, al fine dell'adeguamento degli impianti non centralizzati di cui all'art. 1122-bis, primo comma del codice, già esistenti alla data di entrata in vigore del predetto articolo, adotta le necessarie prescrizioni con le maggioranze di cui all'art. 1136, commi primo, secondo e terzo del codice» (art. 155-bis disp. att. c.c.).

Né va dimenticato che l'art. 1120, comma 2, n. 1), c.c. nella sua nuova formulazione, ha disposto che quando gli interventi e le opere finalizzati a migliorare la sicurezza e la salubrità degli edifici rivestono carattere innovativo dovranno essere approvati con la maggioranza agevolata prevista dall'art. 1136, comma 2, c.c.

Nello specifico, nell'art. 8 del d.m. n. 37/2008, si riassumono gli obblighi a carico del committente/condominio il quale agisce tramite il proprio amministratore; recita il comma 1: «il committente è tenuto ad affidare i lavori di installazione, di trasformazione, di ampliamento e di manutenzione straordinaria degli impianti indicati all'art. 1, comma 2, ad imprese abilitate ai sensi dell'art. 3».

Si ritiene, tuttavia, che l'obbligo in capo all'amministratore, nella veste di mandatario del condominio, non si possa fermare ad un mero controllo che l'impresa cui sono stati affidati i lavori sia dotata dei requisiti di legge, ma è sempre necessario che sia effettuata un'indagine sulle caratteristiche proprie dell'impresa che ne garantiscano competenza, capacità tecnica ed organizzativa tali da assicurare che la prestazione sia eseguita senza pericolo di danni per i terzi; sostanzialmente, si può affermare che l'idoneità della ditta deve essere sempre verificata con la stessa scrupolosità richiesta allorché ci si venga a trovare nell'ipotesi di lavori edilizi oggetto di un contratto di appalto.

Un ulteriore obbligo posto a carico del condominio, quale proprietario degli impianti comuni, concerne la necessità di adottare tutte le misure finalizzate a conservare le caratteristiche di sicurezza prevista dalla normativa vigente in materia, tenendo conto delle istruzioni per l'uso e la manutenzione predisposte dall'impresa installatrice dell'impianto e dai fabbricanti delle apparecchiature installate; tale obbligo, tuttavia, non esclude la responsabilità delle aziende fornitrici o distributrici per le parti dell'impianto e delle relative componenti tecniche dalle stesse installate o gestite.

Anche in questo caso la disposizione non può che riferirsi sia alla fase concernente i controlli, ordinari e straordinari, degli impianti, sia a quella del corretto uso degli stessi da parte dei condomini, i quali devono utilizzarli in modo appropriato e consono alla natura dell'impianto.

Il comma 3 dell'art. 8 è norma dettata sempre nell'ottica della sicurezza ma a tutela dell'ente distributore, allorché nell'edificio sia stato effettuato l'allacciamento di una nuova fornitura di gas (si pensi che, soprattutto in alcune località di villeggiatura, sono ancora in uso bombole per il gas), energia elettrica, acqua. In tal caso, il committente deve consegnare all'ente erogatore della fornitura entro 30 giorni dall'allacciamento una copia della dichiarazione di conformità dell'impianto; decorso il termine improduttivamente, l'ente distributore sospende la fornitura.

L'apparato sanzionatorio

L'impianto sanzionatorio previsto dal decreto ministeriale del 2008, ma anche da tutti i provvedimenti che nel corso degli anni lo hanno preceduto, fa comprendere l'importanza della normativa e della sua concreta applicazione.

Le sanzioni previste dall'art. 15 comprendono due tipi di violazioni.

In primo luogo, assume rilevanza la violazione dell'art. 8, che ha per oggetto la dichiarazione di conformità in relazione a tutti gli adempimenti ad essa collegati; il documento, infatti, rappresenta l'attestato indispensabile per dare prova della rispondenza dell'impianto ai requisiti di legge in tutte le sue componenti. In relazione a ciò, si applicheranno «le sanzioni amministrative da euro 100,00 ad euro 1.000,00 con riferimento all'entità e complessità dell'impianto, al grado di pericolosità ed alle altre circostanze obiettive e soggettive della violazione», mentre, per tutte le violazioni degli altri obblighi derivanti dal decreto, sono previste «sanzioni amministrative da euro 1.000,00 ad euro 10.000,00 con riferimento all'entità e complessità dell'impianto, al grado di pericolosità ed alle altre circostanze obiettive e soggettive della violazione».

L'accertamento delle violazioni a carico delle imprese installatrici sono comunicate ad opera delle autorità preposte ai controlli, alla Camera di commercio, industria, artigianato ed agricoltura competente per territorio per l'annotazione nell'albo provinciale delle imprese artigiane o nel registro delle imprese in cui l'impresa stessa è iscritta, mediante apposito verbale; la violazione reiterata ed accertata per tre volte, nei casi più gravi, comporta la sospensione temporanea dell'iscrizione dell'impresa dal registro o dall'albo provinciale, previo giudizio delle commissioni che sovraintendono la tenuta degli albi e dei registri.

Neppure i professionisti risultano indenni dalle sanzioni in parola, poiché anche a loro carico, una volta accertata la terza violazione concernente la progettazione ed i collaudi, scattano i provvedimenti disciplinari applicati dai rispettivi albi di competenza.

Importante, anche nell'interesse specifico del condominio, appare il punto 7 dell'art. 15 che potrebbe, ad una lettura superficiale ed affrettata, passare inosservato; recita, infatti, la disposizione: «sono nulli, ai sensi dell'art. 1418 c.c., i patti relativi alle attività disciplinate dal presente regolamento stipulati da imprese non abilitate ai sensi dell'art. 3, salvo il diritto al risarcimento di eventuali danni».

Il Legislatore si è certamente riferito alla nullità dei contratti sottoscritti dal committente o proprietario con ditte o imprese prive dei requisiti di legge: invero, la norma di riferimento è norma di carattere generale che sanziona la nullità di quei contratti sottoscritti in violazione di norme imperative (v., in proposito, Cass. civ., sez. II, 18 luglio 2003, n. 11256, secondo cui, in tema di nullità del contratto prevista dall'art. 1418 c.c., la natura imperativa della norma violata deve essere individuata in base all'interesse pubblico tutelato)

E' pacifico che le norme sulla sicurezza sono palesemente preordinate a proteggere gli utenti da qualsivoglia pericolo che possa loro derivare da impianti esistenti, desueti per vetustà, privi di manutenzione ovvero installati, trasformati od ampliati non a regola d'arte, talché sul carattere cogente delle disposizioni di cui al decreto in esame non vi possono essere dubbi; infatti, sul carattere imperativo della normativa in essere non vi potranno essere dubbi, stanti le chiare dizioni usate dal legislatore (debbono, deve, è vietato), così come non vi si può dubitare che il divieto sia assoluto, posto a tutela di un interesse generale, la salute pubblica, ciò che non ammette né una diversa volontà delle parti che possa superare il divieto, né un'eccezione prevista dalla legge stessa.

Considerato che oggetto del decreto del 2008 è il «riordino delle disposizioni in materia attività di installazione degli impianti all'interno degli edifici» riferito ad una casistica ben individuata, tutti gli impianti ivi non indicati sono soggetti, anche per quanto concerne violazioni e relative sanzioni, alle rispettive norme di settore delle quali, solo per la manutenzione ordinaria, è stato richiamato il decreto presidenziale che disciplina gli impianti di ascensori e montacarichi in servizio privato (art. 10).

Le varie responsabilità in capo all'amministratore

Non è estraneo a questo quadro il tema concernente la responsabilità dell'amministratore il quale, in forza del mandato affidatogli dall'assemblea, deve assumere tutti i provvedimenti necessari a mantenere in costante sicurezza gli impianti comuni.

E' pacifico che l'attività svolta dall'amministratore, anche alla luce della Riforma del condominio che ha introdotto nuovi adempimenti a suo carico, ha reso l'incarico molto più articolato rispetto al passato e questo richiede che lo svolgimento del mandato sia effettuato con maggiore diligenza ed accortezza.

Accanto alla responsabilità contrattuale, che si fonda sul fisiologico rapporto condominio/amministratore, può essere configurabile tanto una sua responsabilità extracontrattuale o aquiliana, per i danni cagionati ai terzi o ai singoli condomini, quanto una responsabilità penale qualora il soggetto nell'espletamento delle sue funzioni compia atti che integrano ipotesi di reato.

Per il primo profilo - responsabilità contrattuale - la Riforma ha sciolto ogni dubbio in ordine alla natura del rapporto sussistente tra condominio ed amministratore poiché, con l'art. 1129, comma 15, c.c., ha affermato che a questa fattispecie si applicano le norme relative al mandato (artt. 1703 ss. c.c.) se compatibili con la disciplina del condominio.

Il principio di comportamento cui si deve, in via generale, ispirare l'amministratore è la diligenza del buon padre di famiglia, ovvero attendere ai propri doveri con la precisione, la competenza, lo scrupolo e la oculatezza che viene richiesta all'uomo saggio e prudente; tradotto in termini più attinenti al tema trattato, l'amministratore deve indirizzare la propria attività alla tutela degli interessi della collettività, e ciò è tanto più importante allorché si verta nel campo della sicurezza.

All'amministratore, pertanto, si chiede non solo di portare a conoscenza del condominio le norme di legge rispetto alle quali determinati interventi sugli impianti comuni sono necessari, ma anche - al fine di escludere ogni sua responsabilità - di intervenire qualora l'assemblea rimanga inerte rispetto agli interventi in questione.

Sempre per linee generali, si evidenzia che la responsabilità extracontrattuale consegue alla violazione del precetto fondamentale del neminem laedere,con il quale si tutelano i diritti fondamentali del singolo come quello alla vita, all'incolumità personale, all'integrità personale, ecc., e l'art. 2043 c.c. ne costituisce la norma fondamentale stabilendo che «qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno».

Alcuni autori ed interpreti hanno individuato il fondamento della responsabilità aquiliana nell'art. 2049 c.c., che disciplina la responsabilità dei padroni e committenti per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi nell'esercizio delle incombenze a cui sono adibiti, ampliando la portata della norma fino a ricomprendervi anche il mandato con rappresentanza, per cui il mandante risponde del fatto commesso dal mandatario nell'esercizio del mandato; secondo un altro indirizzo, invece, vi sarebbe un rapporto diretto tra responsabilità aquiliana e custodia dell'edificio, con un diretto richiamo all'art. 2051 c.c. a norma del quale «ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo il caso fortuito», e ciò sulla base della considerazione che nel caso del condominio è questo il soggetto deputato alla custodia e, per esso, l'amministratore.

In linea di principio, comunque, si osserva che il punto nodale della questione è l'accertamento delle ragioni di rivalsa che il condominio potrebbe avere sull'amministratore per eventuali risarcimenti pagati al terzo danneggiato, ivi compreso il singolo condomino, ed in questo ambito non può non assumere rilevanza il comportamento omissivo dell'amministratore che si sia reso responsabile per avere disatteso ad un obbligo giuridico posto a suo carico.

E' questo il caso, ad esempio, in cui l'amministratore non ponga in esecuzione una delibera assembleare con la quale gli si conferisca l'incarico di accertare il regolare funzionamento di un impianto comune, quando da tale omissione derivi un danno; quando il legale rappresentante dell'ente non provveda a dare esecuzione ad un'ordinanza comunale emessa nei confronti del condominio; allorché tale soggetto, malgrado più volte sollecitato dall'assemblea, non abbia provveduto ad adeguare l'impianto alla normativa vigente ed ancora se abbia affidato i lavori di manutenzione di un impianto a ditta non idonea e priva delle caratteristiche previste dalle norme, dando prova di negligenza e imperizia; in tutti questi casi, la responsabilità non potrà che ricadere sull'amministratore personalmente.

Concorrente con la responsabilità civile fino ad ora esaminata è la responsabilità penale dell'amministratore che si configura quando il soggetto, nell'esercizio delle sue funzioni, commetta un reato.

Sull'argomento va evidenziato che, nella specie, non si rilevano differenze rispetto agli elementi distintivi generali della responsabilità penale, in quanto le caratteristiche proprie del soggetto attivo - anche se inquadrato nell'ambito del sistema condominiale - non sfuggono all'applicabilità della normativa in materia.

Degna di approfondimento è la responsabilità che deriva dai reati omissivi, ovvero quelle ipotesi delittuose legate a condotte negligenti del soggetto, configurabili allorché l'amministratore non avendo messo in atto le misure di sicurezza previste dalle leggi in vigore, non avendo modificato ed adeguato gli impianti comuni e così via, rendendosi responsabile di un comportamento inerte, abbia contribuito a causare lesioni (nelle diverse graduazioni della gravità) su persone o, addirittura, la morte delle stesse.

La norma principe che disciplina la materia, anche per una rigorosa interpretazione della giurisprudenza sul punto, è l'art. 40, comma 2, c.p., a norma del quale «non impedire un evento che si ha l'obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo», e in questo senso si è espressa più volte la giurisprudenza, ad avviso della quale l'amministratore del condominio riveste una specifica posizione di garanzia, in virtù della quale ha l'obbligo di attivarsi per rimuovere le situazioni di pericolo per l'incolumità di terzi.

Nello specifico, l'amministratore può essere ritenuto penalmente ex art. 434 c.p. (crollo di costruzioni o altri disastri dolosi), a norma del quale «chiunque……commette un fatto diretto a cagionare il crollo di una costruzione o di una parte di essa ovvero un altro disastro è punito, se dal fatto deriva pericolo per la pubblica incolumità, con una reclusione da uno a cinque anni».

Il richiamo della norma potrebbe, con l'entrata in vigore della Riforma del condominio, assumere una nuova valenza poiché, se è vero che si è affermato che, ai fini dell'ipotesi delittuosa di cui all'art. 434 c.p., il concetto di crollo, totale o parziale, di una costruzione implica la disintegrazione delle strutture essenziali di essa in modo che la forza di coesione fra i singoli elementi costruttivi venga superata e vinta dalla forza di gravita; non basta, quindi, ad integrare il reato qualsiasi distacco con conseguente caduta al suolo di singoli elementi costruttivi, ancorché stabilmente inseriti nella costruzione, quando le strutture essenziali di essa non risultino definitivamente compromesse; pertanto, non ogni disfacimento o dissesto di opere può definirsi crollo, ma solo quello che assume proporzioni notevoli, si da suscitare un sentimento di pubblica commozione, sia pure in una collettività limitata (Cass. pen., sez. IV, 15 maggio 1975, n. 5135).

E' altrettanto vero che le nuove competenze dell'assemblea con riferimento all'adeguamento di alcuni impianti non centralizzati (art. 155-bis disp. att. c.c.) sono il segnale che gravi eventi, cui possa conseguire la parziale demolizione del condominio - ad esempio anche di un appartamento per effetto di incidenti su componenti di un impianto comune come quello elettrico o di riscaldamento - potrebbero rientrare nell'àmbito della norma richiamata.

E', altresì, ipotizzabile una responsabilità ex art. 449 c.p. (delitto colposo di danno) previsto a carico di «chiunque, al di fuori delle ipotesi previste nel secondo comma dell'art. 423-bis, cagiona per colpa un incendio, o un altro disastro preveduto dal capo primo di questo titolo, è punito con la reclusione da uno a cinque anni».

Il tutto fino alle ipotesi più gravi di responsabilità a carico dell'amministratore per omicidio colposo (art. 589 c.p.) e lesioni colpose (art. 590 c.p.).

In evidenza

Ad ogni buon conto, considerando la particolare delicatezza della materia concernente la sicurezza degli impianti e l'incolumità delle persone, la documentazione relativa alla certificazione connessa agli adempimenti richiesti dalla normativa in vigore deve essere custodita dall'amministratore del condominio ed essere disponibile in qualsiasi momento per poter essere esibita agli eventuali controlli da parte degli organi competenti, sicché, quando l'amministratore lascia l'incarico, tali documenti - al pari di tutta la documentazione concernente il condominio - devono costituire oggetto di passaggio immediato al nuovo rappresentante, il quale potrà avviare nei confronti di colui che non abbia provveduto alla loro restituzione un procedimento cautelare d'urgenza ai sensi dell'art. 700 c.p.c.

Invero, in questo caso, è ravvisabile un pericolo di danno grave ed irreparabile, poiché l'indisponibilità di tale incartamento - fatture, ricevute dei lavori eseguiti, certificati di conformità e di collaudi e quant'altro - non consente né di verificare la regolarità ed idoneità degli impianti, né di acquisire il certificato di agibilità che, ai sensi dell'art. 9 del d.m. n. 37/2008, viene rilasciato dalle autorità competenti sulla base della consegna della documentazione in parola.

Casistica

CASISTICA

Adeguamento dell'ascensore

Gli interventi di adeguamento dell'ascensore alla normativa Cee, essendo diretti al conseguimento di obiettivi di sicurezza della vita umana e incolumità delle persone, onde proteggere efficacemente gli utenti e i terzi, attengono all'aspetto funzionale dello stesso, ancorché riguardino l'esecuzione di opere nuove, l'aggiunta di nuovi dispositivi, l'introduzione di nuovi elementi strutturali (in applicazione di tale principio, si era cassata la sentenza di merito che - con una motivazione carente - aveva considerato le spese per l'adeguamento dell'ascensore come spese di ricostruzione, senza spiegare quale fosse, e in che cosa consistesse, l'elemento strutturale e costruttivo nuovo) (Cass. civ., sez. II, 5 marzo 2004, n. 5975).

Ripartizione delle spese

- Le spese per l'adeguamento dell'impianto elettrico alla normativa prevista dalla l. 5 marzo 1990, n. 46 (“norme per la sicurezza degli impianti”), in quanto rientranti nella categoria delle spese relative alla conservazione ed al godimento delle parti e degli impianti comuni, devono essere ripartite tra tutti i condomini in misura proporzionale al valore di proprietà di ciascuno, ai sensi dell'art. 1123, comma 1, c.c., mentre l'eventuale ripartizione in parti uguali di tale spesa, in quanto consistente in una deroga convenzionale del criterio legale previsto dalla predetta norma, deve essere approvata necessariamente con il consenso unanime di tutti i partecipanti al condominio (Trib. Bari 20 settembre 2010).

- Le spese straordinarie relative agli ascensori, necessarie per l'adeguamento degli impianti alle norme di sicurezza, attengono al profilo della proprietà del bene e vanno sostenute da tutti i condomini in proporzione dei rispettivi millesimi di proprietà esclusiva (Trib. Bologna 2 maggio 1995).

Obbligo di rilascio della dichiarazione di conformità

L'impresa installatrice non può rifiutarsi, al termine dei lavori, di rilasciare al committente la dichiarazione di conformità degli impianti realizzati nel rispetto delle norme di cui all'art. 7 della l. 5 marzo 1990, n. 46, adducendo quale motivazione l'omesso adempimento da parte del committente costituto dalla prestazione contrattuale (mancato pagamento del residuo prezzo); il rilascio del certificato di conformità, lungi dal rappresentare l'adempimento di un obbligo contrattuale costituisce, un atto dovuto di natura amministrativo-certificativa, imposto da una norma imperativa di ordine pubblico (Trib. Roma 8 maggio 1996).

Appalto di lavori a terzi

Nel caso di appalto di lavori a terzi, il controllo dei beni comuni nell'interesse del condominio deve considerarsi attribuito all'amministratore quante volte - da un lato - l'appaltatore non è posto in una condizione di esclusivo custode delle cose sulle quali si effettuano i lavori e - dall'altro - l'assemblea non affida l'anzidetto compito ad una figura professionale diversa dallo stesso amministratore; questi allora deve curare che i beni comuni non arrechino danni agli stessi condomini o a terzi, cagionati dalla propria negligenza, dal cattivo uso dei propri poteri e, in genere, da qualsiasi inadempimento degli obblighi legali o regolamentari (Cass. civ., sez. III, 16 ottobre 2008, n. 25251).

Posizionamento all'esterno dello stabile

I climatizzatori/condizionatori d'aria costituiscono impianti tecnologici e, pertanto, se collocati all'esterno dei fabbricati, rientrano nel novero degli interventi edilizi definiti dall'art. 3 del d.P.R n. 380/2001, sicché la loro realizzazione o installazione, seppure non necessitante del permesso di costruire, è tuttavia soggetta a segnalazione certificata di inizio di attività (Scia) ai sensi dell'art. 22 del decreto citato, non rientrando tra gli interventi eseguibili senza alcun titolo abilitativo; in ogni caso, poiché anche l'attività edilizia c.d. libera deve essere attuata nel rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia e, in particolare, delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di quelle relative all'efficienza energetica nonché delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al d.lgs. n. 42/2004, ne consegue che ove l'installazione di condizionatore (già soggetta a Scia) abbia luogo in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, essa è da ritenersi condizionata anche a nulla-osta da parte dell'autorità preposta alla tutela del vincolo, derivando dal mancato rilascio dell'autorizzazione paesaggistica l'integrazione della fattispecie di reato prevista dall'art. 181 del d.lgs. n. 42/2004 (Cass. pen., sez. III, 7 ottobre 2014, n. 952).

Incendio di parti dello stabile

Posto che l'amministratore di condominio, ai sensi dell'art. 1130, comma 1, n. 4), c.c., è titolare di un obbligo di garanzia in relazione alla conservazione delle parti comuni dell'edificio e che, con riguardo al reato colposo per condotta omissiva, la sua responsabilità va considerata e risolta nell'àmbito dell'art. 40 c.p., secondo cui «non impedire un evento che si ha l'obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo», l'affermazione della colpevolezza di tale soggetto presuppone sia l'individuazione della condotta in concreto esigibile in relazione alla predetta posizione di garanzia, sia l'accertamento che, una volta posta in essere tale condotta, l'evento lesivo non si sarebbe verificato (nella specie, si era cassata la sentenza del giudice di merito che - pur non avendo adeguatamente dimostrato la sussistenza del nesso causale tra condotta omissiva ed evento lesivo - aveva, ciononostante, ritenuto responsabile del reato di incendio colposo l'amministratore di uno stabile per non essersi attivato prontamente nei confronti di un condomino, che aveva installato sule parti comuni una canna fumaria non coibentata da cui, poi, si erano sviluppate le fiamme) (Cass. pen., sez. IV, 23 settembre 2009, n. 39959).

Guida all'approfondimento

Nicoletti - Celeste, Tecnologia e informatica nel nuovo condominio, Rimini, 2014, 233;

Benedetti, Sicurezza nel condominio: impianti e lavori, in Igiene & sicur. lav., 2011, 219;

Buzzanca, Violazione delle normative in materia di sicurezza e responsabilità del condomino, in Immob. & proprietà, 2010, 9.

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