Accordo “condizionale” di separazione: i genitori regolano l'esercizio della responsabilità genitoriale sul figlio nascituro
24 Ottobre 2017
Massima
Nell'accordo di separazione consensuale, i coniugi possono tutelare preventivamente, in presenza di una crisi coniugale in atto, gli interessi del nascituro concepito, evitando che nel periodo immediatamente successivo al parto si verifichi una «vacatio» della regolamentazione dell'esercizio della responsabilità genitoriale, del diritto di visita del genitore non collocatario e del contributo al mantenimento del nascituro una volta nato. Il caso
Una coppia di sposi decide di separarsi ed opta per un procedimento separativo consensuale. La moglie è in stato di gravidanza e la nascita della bambina è imminente: i coniugi decidono, pertanto, di regolare già “ora per allora” l'esercizio della responsabilità genitoriale sulla futura figlia, il contributo al mantenimento e gli altri diritti connessi. La questione
La questione affrontata nel decreto in commento è quella della validità di un accordo condizionale introdotto in una separazione consensuale ed avente ad oggetto le questioni relative al futuro esercizio della responsabilità genitoriale su un nascituro. Per meglio contestualizzare la questione giuridica così brevemente descritta, è appena il caso di ricordare che il contenuto degli accordi di separazione è composto da un aspetto essenziale – costituito dalle cd. convenzioni di diritto di famiglia, relative prevalentemente alla cessazione del dovere di convivenza, alla regolamentazione degli altri obblighi previsti dall'art. 143 c.c. nonché all'esercizio della responsabilità genitoriale – e da un aspetto eventuale ed occasionale, attinente alle intese che esulano dagli elementi essenziali della separazione consensuale e che si collocano nell'alveo dei contratti atipici. In merito a tali ultimi patti, è pacifico, nella giurisprudenza consolidata della Suprema Corte (cfr. ex multis, Cass. civ. n. 8678/2013), che l'accordo di separazione costituisce un atto di natura essenzialmente negoziale – più precisamente, un negozio giuridico bilaterale a carattere non contrattuale (in quanto privo, almeno nel suo nucleo centrale del connotato della “patrimonialità”) - rispetto al quale il provvedimento di omologazione si atteggia a mera condizione sospensiva (legale) di efficacia. Con riguardo ai contenuti “eventuali” della separazione, non vi è dubbio che è consentito ai contraenti, già coniugi, di stipulare anche contratti condizionali ossia subordinare l'efficacia o la risoluzione del patto a un avvenimento futuro e incerto (cfr. art. 1353 c.c.). L'elemento accidentale del contratto stipulato dai coniugi può condizionarlo vuoi sospensivamente (inefficace fino all'avveramento della condizione), vuoi risolutivamente (efficace fino all'avveramento della condizione). Nell'ipotesi di specie, tuttavia, la condizione non è stata apposta dai contraenti ad uno dei contenuti negoziali dell'accordo separativo, bensì ad una delle clausole contraddistinte da indisponibilità ed afferenti al cd. contenuto necessario: nell'ipotesi in esame, la responsabilità genitoriale nel suo esercizio. Va premesso che la valutazione giudiziale circa la sussistenza o meno di una condizione ai patti de quibus va fatta con riferimento al momento decisorio e non anche a quello della presentazione tout court dell'accordo, venendo in rilievo condizioni dell'azione e non presupposti processuali. Nel caso esaminato dal Tribunale di Mantova, al momento della decisione, la bambina era comunque nata e, dunque, il patto non costituiva più un accordo condizionale e non poteva essere trattato come tale. Correttamente, dunque, l'ufficio giudicante ha proceduto normalmente al vaglio di merito seguito da omologazione. Quid juris, però, se al momento della decisione la bambina non fosse ancora nata? Le soluzioni giuridiche
Sul piano processuale e sistematico la decisione che giudica sull'esercizio della responsabilità genitoriale ha natura cd. «determinativa» nel senso che va compresa nella categoria delle pronunce che conservano i loro effetti preclusivi fino a quando per eventi successivi non venga a verificarsi un mutamento obiettivo dello stato di fatto accertato in precedenza e tale mutamento non sia riconosciuto da una nuova decisione. Le connotazioni caratterizzanti le decisioni determinative sono le seguenti: da un lato, l'efficacia della decisione non può, in ogni caso, retroagire ad una data anteriore alla proposizione della domanda; dall'altro, l'efficacia non può essere perclusa da un precedente giudicato superato da un nuovo stato in fatto o diritto delle cose. La giurisprudenza ammette la natura determinativa delle pronunce in primis in materia alimentare ed è risalente (Cass. civ., sez. I, sent., 3 gennaio 1962, n. 6; Cass. civ., sez. I, sent., 16 febbraio 1952, n. 421). In particolare, secondo questa giurisprudenza (v. Cass. civ., sez. I, sent., 10 febbraio 1971, n. 337) le pronunce cd. determinative passano in giudicato con riferimento limitato alla situazione di fatto esistente al momento in cui vengono pronunciate. Il principio che governa la materia è, dunque, quello della valenza rebus sic stantibus dei patti. Applicando questo principio, in casi come quelli qui in esame, i coniugi non potrebbero regolare “ora per allora” l'esercizio della responsabilità genitoriale ma dovrebbero attendere che il bambino sia nato e poi modificare, consensualmente, ex art. 710 c.p.c., il pregresso accordo, arricchendolo delle nuove clausole all'attualità. Il principio rebus sic stantibus, insomma, osterebbe a regolare, già per il futuro, fatti che devono ancora accadere atteso il precipuo strumento rimediale previsto ad hoc dalla normativa vigente. A parere di chi scrive, questa soluzione presenta un argomento giuridico di supporto che la rende meritevole di condivisione. Il procedimento di “adeguamento” «dell'accordo stipulato ieri ai fatti sopravvenuti oggi» se governato dalla mera clausola condizionale dei genitori espunge ogni valutazione giudiziale “all'attualità” e consente, cioè, ai genitori di regolare clausole orbitanti nelle garanzie dell'art. 160 c.c. senza alcun controllo giudiziale. Il ricorso, seppur congiunto, al procedimento giudiziale di “adeguamento” consente, sia pure se con un sindacato più lieve, che intervenga l'autorità giudiziaria a verificare che le nuove clausole efficaci per il bambino rispondano al suo preminente interesse e che alla luce del “fatto nuovo” quel tipo di accordo meglio degli altri preservi il best interest of the child. Valga un esempio. Ipotizziamo che due coniugi “separandi” regolino in armonia “ora per allora” l'esercizio della responsabilità genitoriale sul futuro figlio nascituro e stabiliscano che, appena nato, sarà affidato a entrambi i genitori e collocamento prevalentemente dalla madre. Ipotizziamo che, poco prima della nascita, la detta madre sia colpita da provvedimenti amministrativi e penali sanzionatori per reati legati al consumo abituale e al traffico di stupefacenti, realizzato anche utilizzando l'ambiente domestico. Può dirsi, all'attualità, che il collocamento del minore, quando nato, risponda al suo preminente interesse del medesimo? A questa domanda dovrebbe rispondere l'autorità giudiziaria e non certo l'accordo dei coniugi. In casi del genere, di fatto, dovrebbe ipotizzarsi che il genitore altro (l'unico legittimato) presenti una richiesta di modifica dell'accordo stipulato “ora per l'allora”, instando affinché la clausola di imminente efficacia sia rivista. Con due inconvenienti: in primis, si verrebbe comunque a verificare quella “vacatio” che il Tribunale di Mantova aveva in animo di evitare (e che qui in realtà causerebbe); in secundis, non è detto che qualcuno presenti davvero domanda di modifica dell'accordo separativo e come strada tutelante resterebbe il procedimento ex artt. 330, 333 c.c. attivato su impulso della Procura minorile presso il Tribunale per i Minorenni. Osservazioni
La decisione in commento si presenta di interesse anche con riguardo al fatto di ammettere che venga steso un accordo che investe un soggetto non ancora nato. Come noto, gli studi della Dottrina tendono a distinguere tra “persona” e “soggetto”, con una elaborazione critica della teoria della soggettività: questa tematica assume rilevanza proprio per la figura del concepito, che è “vita nascente”. Infatti, assodato che il concepito non è «persona fisica» al lume dell'art. 1 c.c. (contra C. M. Bianca, Istituzioni di diritto privato, Giuffrè, 2014, 70 che qualifica il nascituro come “persona”), ormai prevalente è l'opinione che gli attribuisce, comunque, la qualifica di “soggetto” del diritto. In questa direzione, inoltre, si è mosso il Legislatore che, in materia di procreazione medicalmente assistita, ha inscritto il concepito nell'ambito dei “soggetti” (art. 1, comma 1, l. n. 40/2004). Potrebbe trattarsi di una soggettività “tipica”, individuata per singole fattispecie, e ciò potrebbe spiegare razionalmente le previsioni normative che attribuiscono al nascituro dei diritti, già prima della nascita (v. artt. 462 e 784 c.c.). Sfogliando il diritto pretorile, si appura che, secondo le Sezioni Unite (v. Cass., S.U., 22 dicembre 2015, n. 25767), tenuto conto del naturale relativismo dei concetti giuridici, alla tutela del nascituro si può pervenire senza postularne la soggettività - che è una tecnica di imputazione di diritti ed obblighi - bensì considerandolo oggetto di tutela (Corte cost. 18 febbraio 1975, n. 27; Cass., sez. III, n. 9700/2011; Cass. 9 maggio 2000, n. 5881). Secondo le Sezioni Unite «si può essere destinatari di tutela anche senza essere soggetti dotati di capacità giuridica ai sensi dell'art. 1 c.c.». Questa trama di principi se consente da un lato di includere “clausole attuali” a protezione del concepito nell'accordo di separazione non bypassa l'obbligo del vaglio giudiziale per le misure “attuali” per il minore. Ad es., in un accordo di separazione consensuale, potrebbe ipotizzarsi che i coniugi, a tutela del concepito, stabiliscano di non migrare o trasferirsi all'estero al fine di garantire la massima prossimità dei rapporti familiari. Resterebbe da comprendere, però, in che termini quest'accordo poi possa essere vincolante. Può però ricordarsi che, secondo l'orientamento della Corte di Giustizia, il periodo che il minore ha trascorso in un certo Stato Membro allorchè ancora nascituro non è rilevante per determinare la residenza abituale (Corte Giustizia UE, sent., 8 giugno 2017, C. 111/17/PPU): la nozione di «residenza abituale», ai sensi del Regolamento n. 2201/2003, riflette essenzialmente una questione di fatto e, pertanto, sarebbe difficilmente conciliabile con tale nozione considerare che l'intenzione iniziale dei genitori, che il minore risieda in un luogo determinato, prevalga sulla circostanza che egli soggiorna ininterrottamente in un altro Stato sin dalla sua nascita. Giuda all'approfondimento
F.D. Busnelli, Lo statuto del concepito, in Dem. dir., 1988, 231; A. Falzea, Il soggetto nel sistema dei fenomeni giuridici, Giuffrè, 1939. |