Il mobbing in una dimensione transnazionale

30 Ottobre 2017

Negli ultimi anni il termine “mobbing” è diventato sempre più diffuso nel linguaggio comune. Tuttavia, identificare le connotazioni specifiche di tale fenomeno è un'operazione complessa, in mancanza di una definizione internazionale utilizzabile come parametro di riferimento. L'Autore, evidenziati i caratteri del mobbing sulla base dell'analisi linguistica, e dandone poi una definizione, analizza gli effetti del mobbing sulla vittima e sull'organizzazione per poi presentare i rimedi per contrastare il fenomeno in questione.
Definizione

Negli ultimi anni il termine “mobbing” è diventato sempre più diffuso nel linguaggio comune. Tuttavia, identificare le connotazioni specifiche di tale fenomeno è un'operazione complessa, in mancanza di una definizione internazionale utilizzabile come parametro di riferimento.

Non è inutile tentare una prima analisi sulla base dell'etimologia del termine. Mobbing, chiaramente di stampo anglosassone, deriva da “mob”, traducibile in diversi modi estremamente significativi (definizione presa dal dizionario Collins); infatti, “mob” utilizzato come sostantivo significa “folla, massa, calca”, mentre come verbo “to mob” è riconducibile al concetto di “assalire qualcuno”, in origine tra animali dello stesso branco, come descritto dall'etologo Konrad Lorenz.

Interessante notare che la terminazione “ing” sembra evocare un fenomeno non statico, ma al contrario in continuo movimento. A sua volta il termine inglese trova origine nell'espressione latina “mobile vulgus”, letteralmente traducibile come “gentaglia mobile, plebaglia”.

Nella lingua italiana il termine mobbing risulta sicuramente quello più diffuso. Tuttavia, proprio l'assenza di una definizione univoca a livello europeo ed internazionale comporta delle differenze tra ordinamenti non solo linguistiche ma anche di carattere sostanziale, in considerazione delle diverse culture e tradizioni nazionali.

Così, per esempio, nel mondo anglosassone concetto analogo, sebbene non perfettamente sovrapponibile al mobbing, è quello di “bullying”, il quale sembra comprendere un campo di applicazione più vasto di quello del mobbing, non limitato esclusivamente all'ambito lavorativo. “Bully”, infatti, può essere tradotto in due modi: come sostantivo, significa “bullo, prepotente”, mentre come verbo “fare le prepotenze a”. Presenta dunque una connotazione personale accentuata, a differenza del mobbing che presuppone una struttura organizzativa, essendo legato ai rapporti di lavoro. Sotto tale profilo nel mondo anglosassone il concetto di mobbing è più simile a quello di “bossing, termine traducibile letteralmente come comandare.

In Francia e in Belgio il fenomeno è indicato come “harcèlement moral”, termine molto diffuso, il cui successo è legato alla maggiore attenzione rivolta alla sfera psicologica del fenomeno, rispetto al concetto di “bullying”. La legislazione francese regola con una normativa apposita il fenomeno (L. n. 73/2002), sancendo che “nessun lavoratore deve subire atti ripetuti di molestia morale che hanno per oggetto o per effetto un degrado delle condizioni di lavoro suscettibili di ledere i diritti e la dignità del lavoratore, di alterare la sua salute fisica o mentale o di compromettere il suo avvenire professionale”. Al contrario, in Belgio la legislazione viene integrata in modo sostanziale dalla giurisprudenza. Una rilevante definizione di harcèlement moral (L. del 10 gennaio 2007) riprende e ribadisce il concetto espresso dalla studiosa Marie-France Hirigoyen: “si intende per mobbing qualsiasi condotta abusiva e ripetuta che si manifesti con comportamenti, parole, atti, gesti o scritti unilaterali che offendono intenzionalmente la personalità, la dignità o l'integrità psicologica di una persona, che mettono in pericolo il suo impiego o degradano il clima lavorativo”.

Evidenziati i caratteri del mobbing sulla base dell'analisi linguistica, si può ora tentare una definizione chiara del mobbing. Lo storico Heinz Leymann, definito come il padre del mobbing in seguito alla pubblicazione del suo lavoro più famoso, “Mobbing, la persécution au travail” è stato il primo a circoscrivere l'ambito del fenomeno.

Secondo Leymann, il mobbing o terrore psicologico sul posto di lavoro consiste in messaggi ostili e moralmente scorretti diretti sistematicamente da uno o più individui verso (in genere) un solo individuo, il quale, a causa del perpetuarsi di tali azioni, viene posto e mantenuto in una condizione di impotenza e incapacità di difendersi. Le azioni di mobbing si verificano molto frequentemente (secondo la definizione statistica almeno una volta alla settimana) e per un lungo periodo di tempo (secondo la definizione statistica per almeno sei mesi). A causa della frequenza elevata e della lunga durata del comportamento ostile, questo maltrattamento produce uno stato di considerevole sofferenza sul piano mentale, psicosomatico e sociale.

Nel tentativo di definire in modo ancora più chiaro la fattispecie Leymann ha presentato una lista di 45 comportamenti tipici del mobbing (Per consultare la lista originale, H. Leymann, Mobbing. La persécution au travail, Seuil, 1996, p. 42-43), a loro volta raggruppabili in 5 categorie:

  • Attacchi alla possibilità di comunicare;
  • Attacchi alle relazioni sociali;
  • Conseguenze sull'immagine sociale;
  • Attacchi alla qualità della situazione professionale e privata;
  • Attacchi alla salute.

Altra definizione molto diffusa è quella proposta dallo psicologo e studioso Harald Ege, considerato come uno dei principali esperti di mobbing a livello nazionale. Secondo Ege, con la parola mobbing si intende una forma di terrore psicologico sul posto di lavoro, esercitata attraverso comportamenti aggressivi e vessatori ripetuti, da parte di colleghi o superiori. La vittima di queste vere e proprie persecuzioni si vede emarginata, calunniata, criticata: le vengono affidati compiti dequalificanti, o viene spostata da un ufficio all'altro, o viene sistematicamente messa in ridicolo di fronte a clienti o superiori. Nei casi più gravi si arriva anche al sabotaggio del lavoro e ad azioni illegali. Lo scopo di tali comportamenti può essere vario, ma sempre distruttivo: eliminare una persona divenuta in qualche modo “scomoda”, inducendola alle dimissioni volontarie o provocandone un motivato licenziamento.

In generale, si può affermare che, pur nella varietà dei comportamenti che sono all'origine del mobbing, esistono dei caratteri distintivi ritenuti essenziali, tra cui la loro ripetizione, la loro natura perniciosa e un deterioramento del contesto lavorativo e personale del mobbizzato (la vittima del mobbing).

Tra le ragioni più frequenti che possono portare a una situazione di conflittualità estrema come il mobbing sul lavoro, vi sono l'invidia, la gelosia, la rivalità e la paura. In particolare, proprio la paura di essere attaccati da un collega in ufficio può essere paradossalmente la ragione ultima alla base del comportamento di mobbing.

Tale definizione di mobbing, elaborata con una particolare attenzione anche alla dimensione psicologica del fenomeno, può essere sicuramente integrata e risultare più completa prendendo in considerazione la giurisprudenza italiana, europea ed internazionale degli ultimi anni. Infatti, esistono numerose sentenze della Corte di Giustizia dell'Unione Europea (Sentenza C-84/94, Corte di Giustizia dell'Unione Europea, 12 novembre 1996: “Non vi è nulla nella formulazione dell'art. 118 A che possa indicare che le nozioni di «ambiente di lavoro», «sicurezza» e «salute», ai sensi di tale disposizione, andrebbero interpretate — in assenza di altri elementi più precisi — in senso restrittivo e non invece come riguardanti tutti i fattori, fisici e di altra natura, in grado di incidere sulla salute e sulla sicurezza del lavoratore nel suo ambiente di lavoro e, in particolare, taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro. Al contrario, i termini «in particolare dell'ambiente di lavoro» depongono a favore di un'interpretazione ampia della competenza attribuita al Consiglio dall'art. 118 A in materia di tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori. Inoltre, un'interpretazione siffatta dei termini «sicurezza» e «salute» è avvalorata, in particolare, dal preambolo della costituzione dell'Organizzazione mondiale della Sanità, alla quale appartengono tutti gli Stati membri, che definisce la salute come uno stato completo di benessere fisico, mentale e sociale e non come uno stato che consiste nella sola assenza di malattie o infermità.), della Corte di Cassazione e del Tribunale Amministrativo dell'Organizzazione Internazionale del lavoro che definiscono il fenomeno del mobbing (Judgment No. 3416, 11 February 2015), delineandone i caratteri essenziali.

In particolare, la Cassazione Civile nel 2015 ha emesso una sentenza che rappresenta una vera e propria pietra miliare, in quanto ha elencato i sette parametri tassativi per riconoscere l'esistenza del mobbing (Cass. sez. lav., 15 maggio 2015, n. 10037):

  • L'ambiente, ovvero necessariamente il posto di lavoro;
  • La durata, ovvero le azioni ostili messe in atto dal mobber devono ripetersi alcune volte al mese;
  • La frequenza, si può parlare di mobbing esclusivamente se i comportamenti proseguono da almeno sei mesi;
  • Il tipo di azioni ostili, in quanto le azioni ostili devono appartenere ad almeno due categorie del questionario ideato nel 1950 da H. Ege, il ‘Lipt Hege';
  • Il dislivello tra antagonisti, in quanto la vittima deve essere in posizione di costante inferiorità;
  • L'andamento secondo fasi successive, ovvero il fenomeno ha raggiunto la seconda fase del modello proposto sempre dallo stesso Hege;
  • L'intento persecutorio, ovvero le azioni ostili devono essere messe in atto secondo un disegno vessatorio coerente e finalizzato.

E ha ritenuto che si abbia “mobbing” solo nel caso in cui tutti e sette questi parametri siano esistenti.

Anche negli altri ordinamenti europei la giurisprudenza si è espressa riguardo al concetto di mobbing o harcèlement, allineandosi spesso con questa sentenza della Cassazione. I tribunali del Lussemburgo hanno descritto il fenomeno statuendo che "si manifesta come una condotta offensiva ripetuta il cui carattere vessatorio, umiliante o pregiudizievole per la dignità turba l'esecuzione del contratto di lavoro della persona che ne é la vittima. La posizione gerarchica dell'autore del mobbing non ha alcuna influenza sulla sua qualificazione giuridica: può provenire dal datore di lavoro, da un superiore gerarchico o da un collega di lavoro". Anche la giurisprudenza belga ha sancito l'importanza che il giudice riveste nell'interpretare e qualificare una determinata situazione come harcèlement, sancendo che "appartiene in ultima analisi al giudice valutare il reale pregiudizio alla serenità di una persona, la sua gravità ed il nesso di causalità tra il fastidio recato ad una persona determinata ed il comportamento improntato a mobbing".

La dottrina ha affrontato il problema nell'ottica della differenza tra harcèlement moral e situazioni di conflitto che, sebbene presentino caratteristiche simili al mobbing, non sono tali. L'avvocato Francese Pierre Burucoa evidenzia come forme di abuso di potere e contrasti professionali non possano sistematicamente essere considerati come harcèlement moral (o mobbing), sebbene non sia escluso che degenerino in una situazione di mobbing, a condizione che ne ricorrano i presupposti (la ripetitività dei comportamenti ostili e un danno concreto alla persona del lavoratore).

Anche a livello europeo sono stati fatti sforzi considerevoli per delineare un quadro normativo in grado di contrastare il fenomeno del mobbing. Con l'introduzione dell'Atto unico europeo entrato in vigore il 1º luglio 1987, l'Unione europea ha varato concretamente una legislazione volta a garantire la protezione di uomini e donne da qualsiasi forma di discriminazione che si verifichi sul posto di lavoro ed allo stesso tempo ha incentivato i legislatori nazionali a garantire una tutela effettiva anche a livello nazionale.

Nonostante questo, il mobbing, harcèlement nel linguaggio comunitario, è un concetto che non è stato considerato in modo autonomo fino agli anni novanta. Fondamentale in materia di protezione sul posto di lavoro è stata la Direttiva 76/207/CEE del Consiglio, che, pur non fornendo specifica definizione del fenomeno, è stata una pietra miliare nella tutela dei lavoratori, garantendo finalmente un'uguaglianza sostanziale tra i lavoratori di entrambi i sessi con il divieto di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta (Direttiva 76/207/CEE del Consiglio, del 9 febbraio 1976). Successivamente, il Parlamento europeo ed il Consiglio hanno emanato la Direttiva 2002/73/CE, con la quale hanno modificato la precedente (Direttiva 2002/73/CE).

Anche quest'ultima ha rappresentato un elemento chiave a livello Europeo nella lotta alla discriminazione e alla disuguaglianza sul lavoro. Per apprezzare gli sforzi del legislatore, bisogna tenere a mente che definire e regolare in maniera univoca tale concetto è un'impresa di difficile riuscita, tanto è vero che viene conferito un largo potere al giudice nazionale. Nella redazione della Direttiva si sono dovute prendere in considerazione le ventisette legislazioni e tradizioni giuridiche di ogni singolo stato membro. Le difficoltà non sono esistite solo dal punto di vista quantitativo ma anche qualitativo, poiché in molti paesi una definizione di harcèlement non esiste mentre in altri è del tutto assente un termine che consenta di tradurre adeguatamente il verbo harceler (come nel caso del mobbing). Tra l'altro, prima dell'introduzione della Direttiva, non erano molti gli stati membri che disponevano già di una legislazione specifica in materia di mobbing.

In generale, a partire dagli anni 2000 le istituzioni europee hanno adottato una serie di Direttive che presentano come filo conduttore la protezione del lavoratore e l'uguaglianza sul posto di lavoro. Il legislatore ha scelto di definire esclusivamente il concetto di harcèlement nella sua forma più generale, senza fornire una definizione specifica di harcèlement moral. Seppur questa scelta può apparire come una lacuna del legislatore, in realtà è stata ponderata: il concetto di mobbing o harcèlement, infatti, ha una connotazione generale che può ricadere indistintamente sulla sfera sessuale, morale e fisica. Il comportamento riconducibile a mobbing può quindi manifestarsi in varie forme, purché siano di natura sufficientemente grave da creare un “ambiente intimidatorio, umiliante e offensivo”.

Uno dei più importanti traguardi realizzati a livello europeo è rappresentato dall'accordo quadro in materia di molestie e violenza sul luogo di lavoro del 2007. (Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento Europeo che presenta l'accordo quadro europeo sulle molestie e la violenza sul luogo di lavoro ): “Il rispetto reciproco della dignità a tutti i livelli sul luogo di lavoro è una delle caratteristiche principali delle organizzazioni di successo. Per questo motivo le molestie e la violenza sono inaccettabili.” Una delle novità di questo accordo quadro è la definizione in maniera accurata dei fenomeni dell'harcèlement e della violenza. Ancora oggi rappresenta, a dieci anni di distanza dalla sua realizzazione, uno dei massimi risultati delle istituzioni nella lotta contro il mobbing.

Ad ogni modo, il mero stress sul posto di lavoro non è di per sé qualificabile come mobbing, in quanto è un fenomeno tendenzialmente soggettivo che la Commissione Europea ha definito come “un insieme di reazioni emotive, cognitive, comportamentali e fisiologiche ad aspetti avversi e nocivi del contenuto del lavoro, dell'organizzazione del lavoro e dell'ambiente di lavoro” (European Agency for Safety and Health at Work – Psychosocial risks and stress at work ). Inoltre, mentre il mobbing è un fenomeno qualificato giuridicamente e legalmente, lo stress sul posto di lavoro è un concetto principalmente legato alla capacità di un determinato individuo di rispondere agli eventi snervanti.

E d'altra parte tale struttura, che rappresenta il minimo comun denominatore, può dar vita a diverse tipologie di mobbing: orizzontale, se compiuto tra colleghi di pari grado; verticale, se compiuto da uno o più superiori nei confronti di un dipendente; ascendente, se compiuto da uno o più subalterni nei confronti di un superiore per rimuoverlo.

Effetti del mobbing sulla vittima e sull'organizzazione

Importanti sono le conseguenze del mobbing sia per la vittima sia per la struttura organizzativa.

Tra tutti i conflitti e le problematiche che possono profilarsi sul posto di lavoro, il mobbing presenta le conseguenze più serie per la vittima, a livello fisico, mentale e psicofisico. Infatti, mentre le altre situazioni conflittuali sul luogo di lavoro, una volta terminate, permettono alla persona di tornare a condurre una vita normale, a livello sia personale sia lavorativo, il mobbing provoca dei danni permanenti che possono perdurare per anni e che lasciano una cicatrice indelebile nella vittima.

Invero, per la vittima il mobbing è un vero e proprio attacco personale che si verifica sul posto di lavoro, sebbene il lavoro sia nella maggior parte dei casi soltanto un pretesto, essendo all'origine del fenomeno una situazione di carattere personale. Sotto tale profilo, il filosofo tedesco Arthur Schopenhauer è stato un antesignano perché nel suo trattato “L'arte di ottenere ragione”, aveva già indicato come stratagemma l'attacco diretto alla persona dell'avversario. Non importa quanto bene o con quanto impegno verrà portato a termine un incarico, perché questo sarà comunque utilizzato come pretesto per attaccare e criticare chi lo ha compiuto.

La conseguenza più facilmente riscontrabile nelle persone vittime di mobbing è lo stress. Non si tratta, tuttavia, dello stress normale sul posto di lavoro in seguito a particolari periodi o situazioni, come ad esempio la presenza di numerose scadenze da rispettare, bensì uno stress derivante da una situazione prolungata nel tempo dalla quale scaturiscono numerosi disagi a livello psicofisico. Dal punto di vista medico, lo stress comporta il rilascio di ormoni da parte dell'organismo come reazione al verificarsi di determinati eventi “stressanti”: per questa ragione se si verifica per brevi periodi non ha un'influenza negativa, ma al contrario può permettere di superare dei momenti difficili. Al contrario, lo stress prolungato nel tempo può essere considerato come cronico e di conseguenza diventa nocivo e dannoso per la salute.

Oltre allo stress, sono riscontrabili tre principali conseguenze che il mobbing ha sulle vittime: a livello socio-emotivo (depressione, ansia, attacchi di panico), a livello psicosomatico e a livello comportamentale. Sono numerosi i casi di depressione e suicidi in seguito al mobbing: si parla appunto di “patologia della solitudine”, per esempio nel 2016 si sono verificati 60 suicidi presso France Telecom a causa del “senso di solitudine e la mancanza di solidarietà privata”.

La giurisprudenza italiana ha affermato nel corso degli anni che il mobbing può essere causa principalmente di due tipologie di danni sulle vittime: il danno biologico, che colpisce la salute, e il danno alla sfera professionale. Per quanto concerne il danno biologico, la Cassazione ha riconosciuto che esso può essere causato, tra gli altri, da lavoro usurante, sovraccarico di lavoro, nonché da un comportamento persecutorio da parte del datore di lavoro, come stabilito dalla recente pronuncia della Cassazione n. 2142/2017 dove un agente di Polizia Municipale vittima di abusi e umiliazioni sul luogo di lavoro, costretto a sostare in piedi lungo il corridoio, isolato e lasciato per più di un anno inattivo, poi spostato al cimitero per lo svolgimento delle pratiche cimiteriali, si è visto indennizzare il danno biologico arrecatogli a titolo di risarcimento.

Per quanto concerne il danno professionale, invece, esso sarebbe dovuto a situazioni qualificabili come cumulo di mansioni e demansionamento.

Tuttavia, risulta difficile trovare una linearità di orientamento giurisprudenziale:

La Cassazione 7 ottobre 2015, n. 40320 ha riconosciuto mobbing a danno di un cardiochirurgo che era stato esautorato nonostante l'anzianità di servizio maturata, per preferire invece i suoi colleghi meno preparati e più giovani.

La Cassazione 15 febbraio 2016, n. 2920, pur riconoscendo evidenti carenze organizzative e gestionali di una “casa circondariale”, nonché le evidenti ripercussioni sulla lavoratrice ricorrente in giudizio, respinge la richiesta di mobbing.

E d'altra parte gli effetti menzionati sono richiamati dalla giurisprudenza dei tribunali amministrativi internazionali ed europei, come emerge dalle seguenti sentenze:

“Il Paragrafo 6 del Bollettino Generale n. 2017 del 2007 stabilisce che il bullying o il mobbing è un'aggressione ripetuta o persistente sul luogo di lavoro, e può essere di carattere verbale, psicologico o fisico, che ha l'effetto di umiliare, disprezzare, offendere, intimidire o discriminare una persona” (Judgment No. 3299, International Labour Organization Administrative Tribunal, 5 February 2014).

“Un comportamento inappropriato indebolisce la fiducia che la persona che lo subisce ripone in sè stessa. Può avere un impatto sulla sua capacità di svolgere le proprie funzioni al meglio. Può anche avere un impatto sulla salute e sul benessere” (Judgment F-43/10, European Union Civil Service Tribunal, Cerafogli v ECB, 12 December 2012).

La perdita di autostima e l'impatto sulla salute psichica della vittima possono essere talmente forti che, anche in caso di comportamenti particolarmente aggressivi e protratti a lungo, spesso le vittime preferiscono continuare a rimanere nel posto di lavoro, accettando quindi di subire continue umiliazioni, piuttosto che passare un periodo in disoccupazione alla ricerca di un altro impiego.

Tale comportamento, sebbene del tutto irrazionale, è comprensibile se ci si colloca in una dimensione psicologica. Infatti, il lavoro rappresenta uno strumento importante per la propria realizzazione personale. Così l'individuo preferisce continuare a lavorare, sebbene in condizioni difficili, piuttosto che rimanere senza occupazione. Infatti, anche la disoccupazione ha un impatto negativo sulla vita di una persona non solo a livello economico ma anche a livello personale, essendo un impiego fondamentale per creare un'identità e per consolidarne la sua posizione nella società.

Non solo la vittima ma anche l'organizzazione paga le conseguenze del mobbing. Secondo Destructive Conflict & Bullying at Work, University of Manchester, Institute of Science and Technology, H., & Cooper, C. L. (2000), “Non pensiamo di allontanarci molto dalla realtà se diciamo che il costo dello stress e del mobbing si aggira intorno al 30% dei costi totali per malattie ed incidenti. Possiamo quindi asserire....che il costo dello stress e del mobbing rappresenta approssimativamente lo 0,5% - 3,5% del PIL annuo”.

Basti pensare, ad esempio, all'assenteismo, evidenziato da numerosi studi come strettamente collegato con problematiche sul posto di lavoro.

A ciò si aggiunga l'ulteriore costo aziendale rappresentato dalla perdita di produttività del lavoratore a causa della situazione di stress a cui è sottoposto; nell'ipotesi in cui il lavoratore rassegni le proprie dimissioni o in caso di assenza prolungata per malattia, l'azienda dovrà sostenere nuove spese e nuove assunzioni per sostituirlo.

Costi aggiuntivi a carico dell'impresa possono riscontrarsi nelle spese di tipo legale per denunce promosse dai mobbizzati contro l'azienda, e dei risarcimenti per cause civili dovuti ai lavoratori mobbizzati.

I potenziali costi delle procedure messe in atto nei confronti dei mobbizzati quali sospensioni, trasferimenti e provvedimenti ingiusti, nonché dei costi derivati dalla necessità di sostituire il lavoratore mobbizzato durante la sua assenza per malattia o incaricare qualcuno di portare a termine il lavoro incompiuto della vittima.

Viene, inoltre, lesa la qualità della vita dei dipendenti, crolla il clima sociale dell'organizzazione con ulteriori ripercussioni quali la delusione dei clienti ed il calo dell'immagine aziendale.

Così si può dire che l'azienda dovrà fronteggiare una situazione di “danno emergente e lucro cessante”. Infatti, il mobbing sulla vittima determinerà conseguenze negative nell'ambiente lavorativo, sul rendimento del lavoratore, sulla qualità del prodotto e sui vari costi per l'impresa.

Tutela e rimedi

Ma quali sono i rimedi per contrastare il mobbing? La legislazione Italiana prevede diverse norme a tutela delle vittime del mobbing.

Nonostante in Italia non esista una normativa specifica in materia di mobbing come in altri paesi europei, sono tuttavia delineabili alcune forme di protezione. Prima di tutto, la Costituzione; la nostra Legge fondamentale sancisce, tra gli altri, la tutela della salute (art. 32), la tutela del lavoro (art. 35), il divieto di qualsiasi attività economica privata che possa danneggiare la sicurezza, la libertà e la dignità umana (art. 41) ed il diritto dei lavoratori di partecipare effettivamente alla gestione dell'attività imprenditoriale (art. 46).

Parimenti importante è il ruolo ricoperto dal codice civile, dove è possibile rinvenire due norme fondamentali, l'art. 2043 (Risarcimento per fatto illecito) e l'art. 2087 (Tutela delle condizioni di lavoro). Entrambe le disposizioni assumono un ruolo chiave per quanto concerne la natura della responsabilità in cui incorre l'autore del mobbing. Infatti, l'art. 2043 prevede la c.d. responsabilità extracontrattuale quando un soggetto cagioni ad altri un danno ingiusto; l'art 2087, invece, determina la c.d. responsabilità contrattuale, in quanto impone al datore di lavoro di adottare tutte le misure idonee a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori.

Conseguentemente, secondo la posizione della giurisprudenza maggioritaria (Cass. n. 2053/77; Cass. n. 3260/77; Cass. n. 2858/79; Cass. n. 28/80; Cass. n. 2654/81; Cass. n. 1295/82; Cass. sez. lav., n. 2799/86), nel caso in cui il mobber sia il datore di lavoro, risponderà per inadempimento del contratto di lavoro, in violazione dell'art. 2087 c.c. (c.d. mobbing verticale); se invece l'autore dei comportamenti dannosi sia un collega della vittima (c.d. mobbing orizzontale), si configura una responsabilità ai sensi dell'art. 2043 c.c.

Nonostante la giurisprudenza riconosca questo principio, la Corte di Cassazione se n'è a volte discostata, sancendo che è possibile la cumulabilità della responsabilità contrattuale ed extracontrattuale in capo al datore di lavoro (Cassazione 21 dicembre 1998, n. 12763). Questa posizione della giurisprudenza trova fondamento nello stesso art. 2087 c.c., in quanto viene imposto un doppio obbligo al datore di lavoro: positivo, con il dovere di adottare tutte le misure necessarie per la sicurezza dei lavoratori, e negativo, con il divieto di creare qualsiasi situazione pericolosa per la salute dei lavoratori. Si può affermare che in questo modo la norma ha voluto tutelare sia la salute, sia la dignità del lavoratore. Inoltre, è interessante notare che una giurisprudenza minoritaria ha sostenuto che la responsabilità del datore di lavoro sia qualificabile come extracontrattuale.

Per ottenere il risarcimento dei danni subiti, nel nostro ordinamento assume un ruolo fondamentale l'onere della prova, ovvero la vittima del mobbing deve necessariamente fornire al giudice una serie di prove molto rigorose, tra cui:

  • la prova della realizzazione di “comportamenti persecutori, con intento vessatorio”;
  • tali comportamenti devono essersi ripetuti in maniera costante per un periodo di tempo sufficientemente lungo;
  • l'aver subito concretamente un danno;
  • elemento essenziale, l'accertamento del nesso di causalità tra condotta e danno.

Questi elementi sono rinvenibili nella sentenza della Cassazione n. 10037 del 2015, nella quale sono stati definiti gli elementi necessari affinché si configuri la fattispecie del mobbing.

Come accennato, anche l'Unione Europea si è sempre battuta nella lotta al mobbing o harcèlement non solo con l'emanazione delle direttive sopra menzionate ed indirizzate agli Stati membri, ma anche con l' adozione di una serie di misure dirette a regolare i rapporti di lavoro interni. Così allo “Statuto dei funzionari”, adottato nel 1968, è stata poi apportata un'importante modifica nel 2004 (Regolamento (CE, Euratom) n. 723/2004), con lo scopo di definire sia l'harcèlement moral sia harcèlement sexuel e di garantire in tal modo una disciplina uniforme a livello istituzionale.

L'art. 12, infatti, stabilisce che “Il funzionario deve astenersi da qualsiasi atto o comportamento che possa menomare la dignità della sua funzione":

  • Il funzionario deve astenersi da ogni forma di molestia psicologica o sessuale.
  • Il funzionario vittima di molestie psicologiche o sessuali non può essere penalizzato dall'istituzione. Il funzionario che ha fornito prove di molestie psicologiche o sessuali non può essere penalizzato dall'istituzione, nella misura in cui abbia agito onestamente.

Inoltre, con l'art. 12-bis sono state introdotte le definizioni di “molestia psicologica” e “molestia sessuale”, rispettivamente ai paragrafi 3 e 4:

  • Per 'molestia psicologica' si intende ogni condotta inopportuna che si manifesti in maniera durevole, ripetitiva o sistematica attraverso comportamenti, parole, scritti, gesti e atti intenzionali che ledono la personalità, la dignità o l'integrità fisica o psichica di una persona.
  • Per 'molestia sessuale' si intende un comportamento a connotazione sessuale non desiderato dalla persona oggetto del medesimo e avente come scopo o come effetto di lederne la dignità o di creare un'atmosfera intimidatoria, ostile, offensiva o imbarazzante. La molestia sessuale è equiparata a una discriminazione fondata sul sesso.

Ai funzionari vittime di mobbing viene garantita la possibilità di ricorrere innanzi al Tribunale dell'Unione Europea ed in secondo grado alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea. In passato, vi è stata in materia la competenza del Tribunale della Funzione Pubblica (quest'ultimo soppresso a decorrere da settembre 2016, con conseguente trasferimento delle sue funzioni al del Tribunale dell' Unione Europea).

Conclusioni

Dall'analisi svolta, si può comprendere come il mobbing rappresenti un fenomeno estremamente pericoloso dal punto di vista professionale, culturale e personale. Negli ultimi anni si è assunta consapevolezza che il fenomeno debba essere contrastato con un'adeguata prevenzione; attuarla non è compito semplice, dato che è necessaria un'azione uniforme su tutti gli elementi che portano al concreto verificarsi del mobbing sul posto di lavoro.

Senza dubbio, la tolleranza nei confronti del mobbing e di coloro che lo attuano sta diminuendo, in Italia come in Europa. Sono sempre più numerose le associazioni per la prevenzione del mobbing e i gruppi che forniscono aiuto e supporto alle vittima, sia dal punto di vista psicologico che legale. È possibile affermare che ormai risulta inaccettabile pensare che le persone debbano soffrire sul posto di lavoro. Tuttavia, nonostante la Cassazione abbia definito il mobbing in una sentenza del 2015 in modo piuttosto chiaro, risulta ancora difficile determinare con la stessa linearità quali siano le regole all'interno delle aziende e delle organizzazioni internazionali in grado di prevenire la nascita del mobbing. Sotto tale ultimo profilo può essere utile prendere consapevolezza che il mobbing è un fenomeno relazionale prima che lavorativo e pertanto una certa attenzione dovrebbe essere prestata alla natura sociale delle relazioni lavorative.

Guida all'approfondimento
  • Maria Gentile, Il Mobbing – Problemi e casi pratici sul posto di lavoro, Giuffrè
  • Silvia Carlucci, Mobbing e organizzazioni di personalità – Aspetti clinici e dinamici, Franco Angeli – Psicologia, 2009, Milano, p. 15 "Simile al bullying è il termine bossing che indica un'azione vessatoria messa in atto dai vertici aziendali per indurre un dipendente scomodo alle dimissioni"
  • Armida Gargani, Mobbing e diritto, p. 6 - in Armida Gargani, Luciano Sani, David Lazzari, Mauro Bacci, Il mobbing. Dalla prevenzione al risarcimento, Morlacchi Editore, Perugia, 2005
  • Marie-France Hirigoyen, Malaise dans le travail – Harcèlement Moral: Démêler le vrai du faux, La Découverte, 2003, p. 63 e p. 255
  • Harald Ege, Mobbing, Che cos'è il terrore psicologico sul posto di lavoro, Pitagora, Bologna, 1996
  • A. Cieslar, A. Nayer, B. Smeesters, Le droit à l'èpanouissement de l'être humain au travail : Métamorphoses du droit social, Bruxelles, Bruylant, 2007, p. 543
  • Individual and organizational consequences of mobbing in the workplace: case of banking sector in Turkey, 2007
  • Arthur Schopenhauer, L'arte di ottenere ragione, p. 18
  • Hirigoyen, Malaise dans le travail – Harcèlement Moral: Démêler le vrai du faux, p. 131
  • Bruno Sechi, I danni derivanti dal Mobbing, monografia
  • Gerassimos Zorbas, Le Harcèlement – Droits européen, belge, français et luxembourgeois, p. 179
  • Gabrielle S. Friedman, James Q. Whitman, The European Tranformation of Harassment Law: Discrimination versus Dignity, The Columbus Journal of European law, Vol. 9 N. 2, 2003, p. 269

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