Gli obblighi di informazione “passiva” e "attiva" in tema di intermediazione finanziaria

03 Novembre 2017

In tema di intermediazione finanziaria, al cliente deve essere fornita una informazione specifica e circostanziata sul prodotto finanziario oggetto della negoziazione, non essendo sufficienti, a tal fine, né la consegna del prospetto generale dei rischi degli investimenti in strumenti finanziari, previsto dall'art. 28, comma 1, lett. b) reg. Consob n. 11522/1998, né altre comunicazioni di tipo generico e standardizzato.
Know your costumer rule

Know Your Customer, meglio conosciuto con l'acronimo KYC, identifica quell'attività di due diligence finanziaria che tanto si è evoluta e sviluppata da essere presenza necessaria ed imprescindibile nei rapporti contrattuali aventi ad oggetto transazioni finanziarie.

Si realizza attraverso il reperimento di adeguate informazioni, finanziarie e non, circa le proprie parti contrattuali onde evitare rapporti forieri di rischio o danno alla propria realtà economica. Ne deriva una finalità di tutela per le parti in rapporto che in materia bancaria e finanziaria si esprime attraverso la raccolta di tutte quelle informazioni utili a preventive valutazioni circa i possibili scenari di un affare e, più specificamente, nelle situazioni in cui i rapporti prevedono movimenti di denaro, transazioni ed investimenti tra istituzioni bancarie da una parte e clientela dall'altra (art. 21 T.U.F. e art. 28, lett. a, Reg. Consob n. 11522/1998).

Gli istituti bancari, nello specifico, devono raccogliere informazioni circa l'identità del cliente, situazione finanziaria, attività, eventuali situazioni di rischio, sofferenza, movimenti di danaro, interesse ed esperienza negli investimenti e nel mercato finanziario, apertura/chiusura di società. Tutti elementi che permettono di inquadrare il rapporto con il cliente come portatore o meno di rischio.

La politica di informazione e chiarezza in materia finanziaria, oramai trasversale, si realizza dapprima col reperimento di dati anagrafici ed elementi afferenti alla sfera lavorativa e professionale dei clienti per assumere poi una propria specificità in ragione del paese e del contesto in cui è radicato il rapporto, con l'aggiunta di tutte quelle informazioni utili a scongiurare l'esistenza o la possibilità di crimini afferenti al riciclaggio di denaro – AML (Anti Money Laundry) - o terrorismo - CTF (counter terrorism financing).

Essenzialmente le banche utilizzano formulari caratterizzati da informazioni quali norme per la clientela e procedure per la sua identificazione, monitoraggio delle transazioni, rischio di gestione rivolte a tutti i soggetti, privati o meno, coinvolti in transazioni e rapporti a carattere finanziario. Emerge così un profilo di responsabilità a carico dell'istituto bancario quanto ad obblighi informativi e preventiva conoscenza delle attitudini, anche speculative, del proprio interlocutore.

La politica di informazione e chiarezza in materia finanziaria pone in essere un'attività di tutela e promozione degli interessi della parte contrattuale debole, la clientela, ovvero l'attivazione di procedure ed attività che mettono al riparo gli stessi istituti bancari in caso di lite.

In Europa, il controllo e la regolamentazione delle procedure di tutela di questi soggetti non professionali che effettuano scambi in strumenti finanziari sono attuati attraverso il recepimento della Direttiva 2004/39/CE del 21 aprile 2004, Market in Financial Instruments Directive (c.d. MiFID).

La MiFID trova applicazione, rispetto alle imprese di investimento, ai mercati regolamentati ed agli enti creditizi sull'onda del progetto di creazione di un mercato competitivo avviato dal FSAP – Financial Services Action Plan, con il rafforzamento sia della protezione degli investitori che dell'efficienza ed integrità dei mercati.

L'imminente applicazione (3 gennaio 2018) della Direttiva 2011/61/UE (c.d. MiFID II) e della Direttiva 2014/65/UE del 15 maggio 2014 (c.d. MiFIR) implementeranno ulteriormente gli obiettivi e le modalità operative dell'attuale MiFID.

La protezione e l'obbligo informativo non sono uniformemente applicati ma proporzionali sia al tipo di attività e/o investimento realizzato sia alla "categoria" del cliente, rilevata proprio attraverso la raccolta di informazioni. Nel caso specifico della normativa MiFID ad esempio, sono riconosciute distinte categorie doverose di ricevere propria ed adeguata informativa circa le operazioni che andranno a realizzare:

i) il cliente qualificato, che per la propria capacità di operare in materia finanziaria avrà diritto al più basso livello di informazione e protezione tanto che non beneficia di particolari regole di condotta (es. compagnie assicurative,compagnie d'investimento ecc.);

ii) il cliente professionale, che ha esperienza e conoscenza del mercato pertanto capace di operare in autonomia;

iii) il cliente al dettaglio, che si affida all'istituzione finanziaria esperta del mercato;

Oltre a tali categorie andranno poi verificati i singoli rapporti in essere oltre che le specifiche attività richieste e/o pattuite posto che, il livello di protezione prescinde non solo dalla tipizzazione del cliente ma anche dal tipo di attività ed investimento in contratto.

Know the security rute

Diversamente dai sopra descritti doveri di informazione passiva, gli intermediari finanziari devono, altresì, attenersi a quelli che vengono definiti i doveri di informazione attiva. Questi culminano nell'obbligo di segnalare al cliente l'inadeguatezza dell'operazione e di astenersi dall'effettuarla, salvo il cliente manifesti per iscritto o su supporto durevole la chiara volontà di procedere all'operazione stessa.

Tale obbligo di informazione "attiva" ha una connotazione di specificità. Come ha ricordato di recente la Suprema Corte, esso deve sostanziarsi nella rappresentazione, all'investitore, della natura, della quantità e della qualità dei prodotti finanziari, oltre che nella formulazione delle indicazioni atte a dar conto della loro rischiosità (cfr. Cass., n. 9066/2017; Cass., n. 8619/2017; Cass. n. 8089/2016).

In particolare, è stato ancora sottolineato che l'obbligo informativo ha ad oggetto la natura e le caratteristiche peculiari del titolo, con particolare riferimento alla rischiosità del prodotto finanziario offerto e la precisa individuazione del soggetto emittente.

La mera indicazione che si tratti di un "Paese emergente", del rating nel periodo di esecuzione dell'operazione ed il connesso rapporto tra il rendimento e il rischio non sono elementi sufficienti per configurare in capo all'intermediario l'assolvimento degli obblighi di informazione attiva.

E' evidente, allora, che l'obbligo di cui trattasi non è assolto attraverso informazioni di carattere generale afferenti l'attività di investimento, quand'anche essa sia riferita a particolari tipologie di prodotti finanziari. In particolare, l'obbligo informativo non può esaurirsi nella consegna agli investitori del documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari previsto dall'art. 28, comma 1, lett. b) reg. Consob n. 11522/1998. Lo si evince anche dalla lettura del 3 comma dell'art. 28, con il quale si prevede che gli intermediari autorizzati non possano effettuare operazioni o prestare il servizio di gestione se non dopo aver fornito all'investitore informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio, la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento o disinvestimento. Quest'ultima previsione fa comprendere, infatti, come l'intermediario sia tenuto a prestare un'attività informativa ulteriore rispetto a quella consistente nella consegna del predetto documento sui rischi generali.

La natura della responsabilità dell'intermediario per la violazione degli d'informazione

Relativamente alla natura della responsabilità dell'intermediario, le Sezioni Unite nel 2007 sono intervenute a dirimere il contrasto giurisprudenziale sorto attorno alle conseguenze derivanti dalla violazione dei doveri d'informazione.

La Corte di Cassazione a S.U., con le note sentenze gemelle n. 26724 e 26725 del 2007, ha risolto la questione di diritto, per altro ritenuta dalla Corte non controversa nella giurisprudenza di legittimità, ma di particolare importanza, se la violazione delle regole di comportamento da parte dell'intermediario possa comportare la nullità dei contratti di investimento. Si trattava dunque di una questione capace di andare ad incidere sulle fondamenta stesse del diritto civile riguardando la possibilità che la violazione di una norma imperativa di comportamento, quali quelle contenute nel T.U.F. e nel regolamento Consob n. 11522 in materia di informazioni all'investitore, potesse determinare la nullità di un contratto ai sensi del primo comma dell'art. 1418 c.c. da sempre interpretato come afferente alle sole ipotesi di violazione di norme imperative di validità.

La Suprema Corte a Sezioni Unite ha voluto tratteggiare una forma di tutela soddisfacente per l'investitore, soggetto ontologicamente svantaggiato nel sinallagma contrattuale proprio in ragione dell'asimmetria informativa che caratterizza i rapporti tra questi e l'intermediario. Così la Corte di Cassazione ha ribadito l'immanenza nel nostro ordinamento del principio di non interferenza tra regole di comportamento e regole di validità lasciando invariati i confini di applicabilità della nullità virtuale di cui al primo comma dell'art. 1418 c.c.

Per nullità virtuali si intendono le ipotesi di violazione di norme imperative e quindi poste a tutela di interessi pubblici e generali, ma perché operi tale nullità ciò non è sufficiente, è infatti necessario anche che la legge non disponga diversamente e che la norma violata abbia ad oggetto il contratto.

Diversa l'ipotesi delle nullità strutturali, di cui al secondo comma del medesimo art. 1418 c.c., la quale ricorre nei casi in cui il contratto sia strutturalmente deficitario di elementi essenziali (causa, oggetto, accordo e forma ad substantiam) o sia materialmente o giuridicamente impossibile. La nullità c.d. strutturale può distinguersi da quella testuale, di cui al terzo comma dell'art. 1418 c.c., in quanto essa non ricorre in ragione della violazione dell'art. 1325 c.c. poiché tale articolo, pur descrivendo gli elementi essenziali del contratto, non contiene un precetto specifico che sanzioni la loro assenza con la nullità.

Posti tali limiti definitori è evidente come il terreno maggiormente scivoloso per l'interprete, su cui la Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi a sezioni unite, sia quello del ruolo delle norme imperative di comportamento. Sono queste le norme che, pur avendo il carattere dell'imperatività ed essendo quindi poste a tutela di interessi di ordine generale, non incidono sul profilo della validità del contratto, bensì sono poste a fondamento della particolare ipotesi della responsabilità pre-contrattuale.

In questo senso la Corte si era espressa già nel 2005 con la sentenza n. 19024 i cui principi, sebbene enucleati con riferimento a disciplina non più in vigore, sono stati in parte confermati e specificati dalle Sezioni Unite del 2007.

La Corte di Cassazione nel 2005 aveva infatti affermato il principio per cui “la violazione delle regole di comportamento che precedono la stipula del contratto di investimento non determina la nullità dello stesso ai sensi dell'art. 1418, comma 1, c.c., in quanto si tratta di regole che, pur avendo natura imperativa, non incidono su elementi intrinseci (struttura o contenuto) della fattispecie negoziale. Il contraente vittima del comportamento scorretto può chiedere il risarcimento del danno ai sensi dell'art. 1337 c.c.; danno da quantificare nel minor vantaggio o maggior aggravio economico cagionato dal comportamento sleale, salvo la prova di ulteriori danni che risultano collegati a tale comportamento da un rapporto rigorosamente conseguenziale diretto”.

La tutela così riconosciuta all'investitore era però insufficiente a fronte di una condizione di sua strutturale minorità. A fronte di ciò e alla molteplicità di interpretazioni diffuse nella giurisprudenza di merito, la Suprema Corte a Sezioni Unite nel 2007, pur confermando la sussistenza e la piena operatività anche nel settore dell'intermediazione finanziaria della distinzione tra norme imperative di validità e di comportamento, ha ampliato le possibilità di tutela. La Corte ha infatti affermato che la violazione degli obblighi di informazione al momento della stipula del contratto di intermediazione “è naturalmente destinata a produrre una responsabilità di tipo precontrattuale, da cui ovviamente discende l'obbligo per l'intermediario di risarcire gli eventuali danni”, salva però l'ipotesi in cui la violazione sia di tal fatta da determinare un vizio del consenso e quindi rendere il contratto annullabile. Qualora la violazione dei doveri dell'intermediario si verifichi in un momento successivo alla stipulazione del contratto d'intermediazione la responsabilità ad egli imputabile “può assumere i connotati di un vero e proprio inadempimento (o non esatto adempimento) contrattuale: giacché quei doveri, pur essendo di fonte legale, derivano da norme inderogabili e sono quindi destinati ad integrare a tutti gli effetti il regolamento negoziale vigente tra le parti. Ne consegue che l'eventuale loro violazione, oltre a generare eventuali obblighi risarcitori in forza dei principi generali sull'inadempimento contrattuale, può, ove ricorrano gli estremi di gravità postulati dall'art. 1455 c.c., condurre anche alla risoluzione del contratto d'intermediazione finanziaria in corso” (Cfr. Cass. n. 17080/2017; Cass. n. 12937/2017; Cass. n. 10640/2016).

Conclusioni

Alla luce di quanto esposto, è possibile ravvisare una tendenza normativa e giurisprudenziale volta a garantire un maggiore equilibrio contrattuale tra i protagonisti dell'operazione finanziaria, ossia l'intermediario ed il cliente. A tal fine risulta pertanto necessaria la riduzione delle asimmetrie informative che costituiscono la causa principale della carenza di potere contrattuale in capo al cliente.

L'attuale disciplina di settore prevede infatti una serie di obblighi informativi gravanti sull'intermediario, che mirano a rendere il cliente consapevole delle proprie scelte in merito all'operazione da realizzare.

La normativa vigente sottolinea, inoltre, la rilevanza della fase di “profilatura del cliente”, quale momento per individuare i presupposti della responsabilità dell'intermediario. Quest'ultimo dovrà infatti valutare l'adeguatezza dell'operazione proprio in relazione all'esperienza del cliente in materia di investimenti, alla sua situazione finanziaria, alla propensione al rischio ed a tutti gli altri elementi necessari ad identificare la controparte. Qualora l'intermediario ritenga l'operazione inadeguata rispetto alle caratteristiche del cliente, dovrà astenersi dalla prestazione, anche nel caso in cui il cliente insista per la sua esecuzione; in caso contrario incorrerà automaticamente nella responsabilità.

E' interessante rilevare che una valutazione così approfondita e l'obbligo di astensione dell'intermediario sono previsti unicamente per i servizi di consulenza in materia di investimenti e gestione portafogli d'investimento.

Per quanto riguarda, invece, tutte le altre tipologie di operazioni, l'intermediario dovrà valutare il servizio richiesto sulla base del criterio meno stringente dell'appropriatezza; qualora, poi, il cliente, informato della valutazione negativa, richieda ugualmente la prestazione, l'intermediario non dovrà astenersi.

In definitiva, quindi, si può scorgere la volontà di rafforzare la tutela del risparmiatore che si trova a rapportarsi con un soggetto contrattualmente “più forte”.

Tale obbligo, peraltro, viene ribadito anche dalla disciplina comunitaria, la quale prevede, attualmente, espressamente in capo agli intermediari il dovere di agire «in modo onesto, equo e professionale per servire al meglio gli interessi dei loro clienti» (art. 19.1, Dir. 2004/39 CE c.d. MIFID). Disciplina comunitaria che diverrà ancora più stringente in materia con l'applicazione della MIFID 2 entro il 3 gennaio 2018.

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