Il concetto di atti sessuali

Francesca Romana Fulvi
03 Novembre 2017

L'atto sessuale in sé è lecito in quanto costituisce una manifestazione esteriore di una libertà fondamentale dell'individuo, quella sessuale. Diviene, però, penalmente rilevante quando manca il reciproco ed effettivo consenso al suo compimento e viene, pertanto, imposto alla persona offesa. In questo senso l'art. 609-bisc.p. adotta la locuzione atti sessuali come omnicomprensiva delle condotte invasive della sfera sessuale altrui.
Abstract

La legge 15 febbraio 1996, n. 66 Norme contro la violenza sessuale ha ridisciplinato l'intera materia dei reati sessuali introducendo la nozione di atti sessuali. Specificamente il problema si pone in riferimento a quelli diversi dalla congiunzione carnale perché non è di facile identificazione la linea di confine tra l'atto sessuale e quello che, pur riguardando il corpo della persona, è giuridicamente indifferente e, quindi, lecito.

Il quadro normativo

La nuova disciplina dei reati di violenza sessuale introdotta dalla legge 15 febbraio 1996, n. 66 Norme contro la violenza sessuale con l'art. 609-bis c.p. elimina la distinzione tra congiunzione carnale e atti di libidine violenti e s'incentra sulla nozione di atti sessuali, omnicomprensiva delle condotte invasive della sfera sessuale altrui.

L'individuazione della nozione di atti sessuali penalmente rilevanti

L'atto sessuale in sé è lecito in quanto costituisce una manifestazione esteriore di una libertà fondamentale dell'individuo, quella sessuale. Diviene, però, penalmente rilevante quando manca il reciproco ed effettivo consenso al suo compimento e viene, pertanto, imposto alla persona offesa. In questo senso l'art. 609-bisc.p. adotta la locuzione atti sessuali come omnicomprensiva delle condotte invasive della sfera sessuale altrui.

Tale locuzione, però, si caratterizza per un notevole grado di indeterminatezza. Non è possibile, infatti, individuare una nozione sufficientemente univoca di atto o comportamento sessuale che rifletta un significato consolidato nel linguaggio comune o nella stessa letteratura scientifica. La genericità dell'espressione ha sollevato dubbi di costituzionalità, sotto il profilo del rispetto del principio di sufficiente determinatezza della fattispecie ai sensi dell'art. 25, comma 2, della Cost. (trib. Crema, 21 ottobre 1998, ord.).

Sono stati ravvisati problemi di compatibilità dell'espressione atti sessuali con il principio di legalità, sub specie di determinatezza. Il tribunale di Crema ha dichiarato non manifestamente infondata la questione di illegittimità costituzionale dell'art. 609-bisc.p. che, nel ricorrere alla generica locuzione atti sessuali per individuare la condotta penalmente illecita, sarebbe in contrasto con il principio di tassatività tutelato dall'art. 25, comma 2, Cost. (trib. Crema, 21 ottobre 1998, ord.). Per motivare la propria ordinanza, il giudice a quo si è riferito al contrasto giurisprudenziale sulla rilevanza penale del bacio ai fini del previgente delitto di cui all'art. 521 c.p. (atti di libidine violenti), a volte esclusa (Cass. pen., Sez. III, 11 ottobre 1995; cfr. altresì trib. Piacenza - Gip, 4 giugno 1998), altre volte ravvisata (Cass. pen.,Sez. III, 27 aprile 1998). La Corte costituzionale, però, si è limitata a dichiarare manifestamente inammissibile, per carenza di motivazione sulla rilevanza, l'eccezione di legittimità costituzionale, non avendo il giudice a quo descritto i fatti contestati all'imputato (Corte cost., 17 luglio 2000, ord.n. 295).

Indubbiamente costituisce atto sessuale la congiunzione carnale, intesa come penetrazione dell'organo sessuale maschile nel corpo di un altro soggetto attraverso qualunque via (vaginale, anale, orale), anche se incompleta. Ai fini della consumazione della fattispecie, poi, è irrilevante che la persona che costringe al rapporto sia il soggetto passivo della penetrazione.

La nozione di atto, inoltre, richiede l'esercizio di un'attività materiale a prescindere dalla circostanza che si raggiunga il risultato a cui è tendenzialmente preordinata (come l'eccitamento o l'orgasmo). La fattispecie incriminatrice prevede, infatti, la “soddisfazione” sessuale dell'agente come elemento meramente eventuale (Cass. pen., Sez. III, 4 luglio 2017, n. 39549; Cass. pen., Sez. III, 11 maggio 2016, n. 35591) essendo sufficiente che l'atto abbia interessato materialmente, attraverso il contatto fisico, la sfera della sessualità altrui.

Il problema si pone in riferimento ad atti diversi dalla congiunzione carnale perché la linea di confine tra l'atto sessuale penalmente rilevante e quello che, pur riguardando il corpo della persona, è giuridicamente indifferente, non è di facile identificazione e i parametri valutativi utilizzati sono ancorati a norme culturali storicamente e socialmente condizionate.

Prima della riforma gli atti diversi dalla congiunzione carnale penalmente rilevanti erano gli atti di libidine. La giurisprudenza aveva accolto una nozione di carattere soggettivo. Si riteneva costituisse atto di libidine «qualsiasi atto di manomissione del corpo altrui, non già soltanto nelle parti intime, diverso dalla congiunzione carnale e suscettibile di eccitare la concupiscenza sessuale anche, in modo non completo e/o di breve durata come ad esempio l'abbraccio, essendo del tutto irrilevante, ai fini della consumazione, che il soggetto attivo abbia o meno conseguito la soddisfazione erotica» (Cass. pen., Sez. III, 27 aprile 1998, n. 6651).

Per stabilire se comportamenti che hanno un significato equivoco (quali, ad es., baci, abbracci, toccamenti e carezze) possono essere considerati atti di libidine è stato utilizzato come criterio dirimente l'accertamento della sussistenza dell'impulso lussurioso da parte del reo. Di conseguenza le condotte realizzate, ad es. per amicizia o per affetto potevano essere ritenute penalmente irrilevanti perché non presentavano uno stato interiore psichico caratterizzato dalla libidine sessuale.

Dopo la riforma si sono sviluppati tre diversi indirizzi interpretativi elaborati dalla dottrina.

Secondo il primo la locuzione atti sessuali costituisce un'espressione di sintesi in cui sono confluite le previgenti ipotesi di congiunzione carnale e di atti di libidine. In tal senso la Cassazione ha affermato che «il concetto di ‘atti sessuali' preso in considerazione dall'articolo 609-bis del c.p. è la somma dei previgenti concetti di congiunzione carnale e di atti di libidine, sicché esso ricomprende, oltre a ogni forma di congiunzione carnale, qualsiasi atto che, risolvendosi in un contatto corporeo tra soggetto attivo e soggetto passivo, ancorché fugace ed estemporaneo, o comunque coinvolgendo la corporeità sessuale di quest'ultimo, sia finalizzato e normalmente idoneo a porre in pericolo la libertà di autodeterminazione del soggetto passivo nella sua sfera sessuale. Pertanto, anche i palpeggiamenti e i toccamenti dei glutei della vittima possono costituire ‘atti sessuali' penalmente rilevanti, giacché costituiscono una indebita intrusione nella sfera sessuale altrui, tenuto del resto conto che il riferimento al sesso non deve limitarsi alle zone genitali, ma comprende pure quelle ritenute ‘erogene' – stimolanti dell'istinto sessuale – dalla scienza medica, psicologica e antropologico-sociologica» (Cass. pen., Sez. III, 2 luglio 2004, n. 37395, Annunziata; Cass. pen., Sez. III, 11 maggio 2016, n. 35591; Cass. pen., Sez. III, 17 febbraio 2015, n. 24683; Cass. pen., Sez. unite, 19 dicembre 2013,n. 16207; Cass. pen., Sez. I, 5 gennaio 2006, n. 7369). Il carattere polisenso ed ambiguo della locuzione atto di libidine però, ripropone gli stessi problemi di determinatezza sopra evidenziati (Cass. pen., Sez. III, 12 dicembre 2011, n. 45950; Cass. pen., Sez. III, 11 novembre 2011, n.41096; Cass. pen., Sez. III, 28 marzo 2011, n. 12506; Cass. pen., Sez. III, 1 giugno 2011, n. 21840; Cass. pen., Sez. III, 4 giugno 2010, n. 21336; Cass. pen., Sez. IV, 23 gennaio 2008, n. 3447; Cass. pen., Sez. III, 27 settembre 2007, n. 35365; Cass. pen. Sez. III. 5 ottobre 2006, n. 33464).

Per una seconda impostazione, minoritaria, il concetto di atto sessuale sarebbe più ampio di quello riconducibile alla violenza carnale ed agli atti di libidine, rientrandovi «tutti gli atti aventi significato erotico anche solo nella dimensione soggettiva dei rapporti soggetto attivo/soggetto passivo» (MARINI). Sono ricompresi, quindi, tutti gli atti espressivi della concupiscenza dell'agente, quali, ad es. quelli di esibizionismo, di voyerismo, ecc. Gran parte della giurisprudenza però, pur accogliendo una definizione soggettiva di atto sessuale, per cui è necessario che quest'ultimo sia espressivo della concupiscienza dell'agente, ritiene sempre necessario il coinvolgimento della corporeità sessuale della vittima. Di conseguenza ai fini della definizione di atti sessuali di cui all'art. 609-bis c.p. non è indispensabile il requisito del contatto fisico diretto con il soggetto passivo ma è sufficiente che l'atto abbia oggettivamente coinvolto la corporeità sessuale della persona offesa e sia finalizzato ed idoneo a compromettere il bene primario della libertà dell'individuo nella prospettiva dell'agente di soddisfare od eccitare il proprio istinto sessuale (Cass. pen., Sez. III, 22 dicembre 2010, n. 11958, per la quale integrerebbe il delitto anche la sola induzione a compiere atti di automasturbazione).

Secondo un terzo orientamento la nozione di atti sessuali è più ristretta di quella derivante dall'interpretazione pregressa degli atti di libidine, ricomprendendo solo quelli che hanno natura sessuale sul piano oggettivo, indipendentemente dalle variabili e soggettive pulsioni della vittima. L'atto ha natura sessuale quando si realizza un contatto fisico tra una parte qualsiasi del corpo della persona con una zona genitale (compresa la mammella nella donna), anale o orale del partner (CADOPPI). Non rientrano nell'ambito della predetta nozione gli abbracci, i toccamenti di sedere, i piedini, i pizzicotti, i baci superficiali. Secondo la Cassazione, infatti, «la connotazione sessuale dell'atto fa assumere alla nozione un significato prevalentemente oggettivo e non soggettivo come, invece, avveniva per quella di atti di libidine, e determina un restringimento dell'area di rilevanza penale di alcuni aspetti marginali dei c.d. atti di libidine, giacché il riferimento al sesso comporta un rapporto corpore corpori che, però, non deve necessariamente limitarsi alle zone genitali, ma comprende anche tutte quelle ritenute dalla scienza non solo medica, ma anche psicologica ed antropologica sociologica, erogene, tali a dimostrare l'istinto sessuale, con esclusione di quelle espressioni di libido connotate da una sessualità particolare» (Cass. pen., Sez. III, 27 aprile 1998, n. 6651). In tal modo si perviene ad una nozione definita oggettiva di atto sessuale, rispetto alla quale il dolo (generico) del delitto si rinviene nella coscienza e volontà di compiere un atto lesivo della libertà sessuale della persona offesa e dove non assume rilevanza l'ulteriore fine dell'agente, che in genere è quello di soddisfare la sua concupiscenza, ma può anche essere un fine ludico o di umiliazione della vittima (Cass. pen., Sez. III, 2 luglio 2007, n. 25112). Secondo questa impostazione sussiste violenza sessuale anche quando i toccamenti sono compiuti dalla vittima su se stessa, su costrizione o induzione del soggetto attivo. Tale nozione, individuata attraverso criteri neutrali di carattere medico e psicosociale, pur avendo carattere oggettivo e riducendo indubbiamente il tasso di indeterminatezza, è stata oggetto di critiche soprattutto nei casi-limite, quali quello della rilevanza penale del bacio.

La nozione di “zone erogene”

Secondo la giurisprudenza la formulazione maggiormente convincente della nozione è quella che ricomprende negli atti sessuali tutti quelli oggettivamente idonei a compromettere la libertà sessuale del soggetto passivo perché invadono la sua sfera sessuale, mediante un rapporto corpore corpori. Tale rapporto non deve necessariamente riguardare solo le zone genitali perché può estendersi anche a tutte le altre zone ritenute erogene.

La giurisprudenza di legittimità, perciò, ricomprende nell'ambito dell'espressione atti sessuali tutti quelli che coinvolgono zone del corpo considerate dalle scienze empiriche erogene.

Anche tale locuzione, però, non è mai stata chiaramente determinata (Cass. pen., Sez. III, 23 febbraio 2012, n. 7059, non massimata) e risulta piuttosto generica. La difficoltà nella sua puntuale delimitazione deriva dalla sua indubbia correlazione a connotazioni strettamente soggettive, che ne rende conseguentemente incerta l'efficacia ai fini della collocazione, nell'ambito degli atti sessuali penalmente rilevanti, di tutti quei comportamenti non strettamente attinenti all'area genitale (sentenza 7059/2012).

Generalmente la giurisprudenza individua le c.d. zone erogene in quelle parti del corpo umano che, se stimolate, sono in grado di determinare piacere sessuale ed eccitazione.

Nelle prime pronunce erano definite tali tutte quelle zone «ritenute dalla scienza non solo medica, ma anche psicologica ed antropologico-sociologica erogene, tali da dimostrare l'istinto sessuale, con esclusione di quelle espressioni di libido connotate da una sessualità particolare (ad es. bacio delle scarpe)» (Cass. pen., Sez. III, 4 luglio 2000, n. 7772).

Successivamente in altre pronunce (Cass. pen., Sez. III, 8 luglio 2008, n. 27762; Cass. pen., Sez. III, 7 luglio 2008, n. 27469; Cass. pen., Sez. III, 5 giugno 1998, n. 6653) dette zone sono state individuate nei genitali e nelle parti del corpo che la scienza medica, psicologica e antropologica qualifica come zone erogene ed in quelle considerate tali dall'agente (impostazione oggettivo-anatomica, CADOPPI). Tale precisazione è stata operata per distinguere le ipotesi di reato consumato da quelle di tentativo, ritenuto configurabile quando l'agente non riesca a toccare la parte corporea presa di mira per la pronta reazione della vittima, o per altre ragioni, ed il contatto corporeo sia solo superficiale e fugace, fermo restando lo scopo libidinoso, che deve comunque sussistere. In queste decisioni la condotta in un caso era consistita nell'avere toccato le spalle della vittima, allo scopo di slacciarle il reggiseno senza, però, riuscire nell'intento per la sua pronta reazione mentre, nell'altro, nell'aver toccato la gamba, invece della coscia e della zona genitale, sempre a causa della opposizione del soggetto passivo.

In altra occasione (Cass. pen., Sez. III, 11 luglio 2008, n. 28815) è stata definita zona erogena «l'area della pelle o delle mucose, la cui stimolazione produce sensazioni piacevoli ed eccitazione sessuale» e sono state indicate, quali "principali zone erogene", le aree genitali, la zona perianale, i capezzoli e la mucosa orale e precisato, tuttavia, che esse non esauriscono le potenzialità erogene del corpo umano, variabili da individuo ad individuo.

La giurisprudenza, infine, in molte pronunce ha ritenuto di includere nell'ambito delle zone erogene anche la bocca per la rilevante funzione di stimolo ed eccitazione sessuale in quanto normalmente adoperata per esplicare la sessualità, dal bacio al coito orale.

La rilevanza penale del bacio e dell'abbraccio

La Cassazione più volte è stata chiamata a decidere se atti quali baci ed abbracci avessero una oggettiva connotazione sessuale. Si tratta, infatti, di manifestazioni che non sarebbero invasive dell'altrui libertà di autodeterminazione nella propria sfera sessuale in quanto non coinvolgerebbero zone erogene ed sarebbero indicativi di un atteggiamento diffuso e tipico dei costumi locali e non.

Prima della l. 66/1996 vi erano due diversi orientamenti: secondo il primo il bacio costituiva atto di libidine solo quando era manifestazione erotica ovvero veniva dato per impulso di lussuria. Mentre non rientrava nell'ambito delle condotte penalmente rilevanti quando, seppur sconveniente, non implicava concupiscenza carnale, in qualunque circostanza e per qualsiasi fine mediato esso veniva dato; poteva, semmai, imputarsi a titolo di ingiuria, di violenza o di molestia, ma non come reato contro la moralità pubblica e il buon costume.

Il secondo indirizzo, invece, escludeva la configurabilità del reato di cui all'abrogato art. 521 c.p. almeno nelle ipotesi in cui il bacio imposto ricadeva su una parte “non erogena” del corpo del soggetto passivo.

Subito dopo la riforma del 1996 la fattispecie concreta del bacio sulla guancia a donna dissenziente è stata giudicata dalla Cassazione in modo contraddittorio. In alcuni casi, infatti, è stato ritenuto penalmente irrilevante, mentre in altri è stata considerata una delle possibilità modalità esplicative della condotta di reato.

La giurisprudenza più recente ha precisato che ai fini della configurabilità del reato non può essere operata alcuna distinzione con riferimento all'intensità del bacio, per cui si riconosce la natura sessuale sia per i baci caratterizzati soltanto dal contatto delle labbra sia per quelli più penetranti (bacio profondo o alla francese). Entrambe le tipologie, infatti, sono state ritenute idonee a ledere la libertà e integrità sessuale del soggetto passivo perché si concretano in un atto idoneo a invadere la sua sfera intima ed integrare, pertanto, uno degli elementi materiali del reato di violenza sessuale, tranne nel caso in cui si tratti di baci leggeri scambiati in contesti non erotici che ne escludano la connotazione sessuale.

Perciò è stato considerato atto sessuale anche il bacio che si concreta nel semplice contatto delle labbra (Cass. pen., Sez. III, 29 ottobre 2009, n. 41536, non massimata, relativa a fattispecie in cui l'imputato, afferrandola per il collo, aveva tentato di baciare il viso della parte lesa senza assicurarsi il suo previo consenso).

Secondo gli ultimi arresti giurisprudenziali per stabilire se il bacio rientra nell'ambito degli atti sessuali penalmente rilevanti occorre considerare le circostanze di tempo e di luogo in cui viene dato, le modalità e la zona prescelta, nonché le condizioni dei due soggetti, attivo e passivo, in quanto può essere manifestazione di molteplici, sentimenti (teoria contestuale o della valutazione del caso concreto, FIANDACA). Di conseguenza si è affermato che un bacio sul collo, zona erogena del corpo, dato dal datore di lavoro ad una propria dipendente durante lo svolgimento dell'attività lavorativa non è espressione soltanto di arroganza e sopraffazione, ma può costituire un fatto penalmente rilevante.

Recentemente, poi, la Cassazione ha qualificato come atto sessuale il c.d. succhiotto in quanto quest'ultimo non comporta un mero toccamento delle labbra con una parte del corpo, ma esige un'attività prolungata sul corpo stesso che, proprio per la sua durata ed intensità, esprime esattamente quella carica erotica che il concedersi con piacere alla bocca altrui comporta (Cass. pen., Sez. III, 8 settembre 2016, n. 47265).

A conclusioni non dissimili deve peraltro pervenirsi con riferimento all'abbraccio, condotta che, in determinate situazioni, può dimostrarsi maggiormente invasiva rispetto al bacio, potendo coinvolgere l'intero corpo del soggetto passivo e comportare un contatto anche con zone indubbiamente erogene, ma che, in altre circostanze, si risolve in una condivisa manifestazione di affetto e confidenza del tutto avulsa da connotazioni tipicamente sessuali.

In entrambi i casi (del bacio e dell'abbraccio), pertanto, la giurisprudenza più recente ha affermato che il giudice nel corso dell'accertamento deve valutare la condotta tenuta nel suo complesso, il contesto sociale e culturale in cui l'azione è stata realizzata, la sua incidenza sulla libertà sessuale della persona offesa, il contesto relazionale intercorrente tra i soggetti coinvolti ed ogni altro dato fattuale qualificante (Cass. pen., Sez. III, 22 febbraio 2017, n. 36627; Cass. pen., Sez. III, 26 novembre 2014, n. 964) e può escludere la connotazione come sessuale dell'atto, secondo l'id quod plerumque accidit, solo in presenza di particolari contesti sociali, culturali o familiari nei quali tali atti risultino privi di valenza erotica (Cass. pen., Sez. III, 13 febbraio 2007, n. 25112).

In conclusione

Tutti gli orientamenti dottrinari sopra esposti sulla nozione di atto sessuale sono presenti in giurisprudenza, talvolta con commistioni dell'uno nell'altro. Un caso paradigmatico di fusione tra concezione oggettiva e soggettiva è una delle prime sentenze pronunciate dalla Cassazione dopo la riforma in cui definisce l'atto sessuale penalmente rilevante «ogni comportamento che, nell'ambito di un rapporto fisico interpersonale, sia manifestazione dell'intento di dare soddisfacimento all'istinto, collegato con i caratteri anatomico genitali dell'individuo. Ne deriva che la condotta deve consistere, quanto meno, in toccamenti di quelle parti del corpo altrui suscettibili d'essere – nella normalità dei casi – oggetto dei prodromi diretti al conseguimento della piena eccitazione o dell'orgasmo» (nella fattispecie è stato ritenuto atto sessuale l'inserimento della mano tra le gambe di una donna, che mostrava di rifiutare ogni contatto Cass. pen.,Sez. III, 11 novembre 1996, n. 3800).

Nel tentativo di individuare con maggiore precisione i confini della nozione di atto sessuale si è fatto riferimento alle c.d. zone erogene. Anche questa espressione, però, presenta un certo grado di indeterminatezza dovuta alla circostanza che tutta la superficie del corpo può essere considerata erogena, sebbene in grado diverso da regione a regione. Spesso, inoltre, il concetto di zone erogene è stato utilizzato in modo atecnico perché non si è fatto riferimento alle parti del corpo umano la cui stimolazione concorre a determinare l'eccitamento sessuale della persona che subisce il contatto, ma a quelle che notoriamente sono oggetto di concupiscenza sessuale come, ad es. quelle del corpo femminile rientranti nella gamma della c.d. appetibilità sessuale (Cass. pen., Sez. III, 14 dicembre 2001, n. 6010).

Posto che sono concordemente considerate zone erogene quelle genitali, pubiche, anali, orali e mammelari, la giurisprudenza ha ritenuto atti sessuali (nella misura in cui da un lato hanno come oggetto parti erogene altrui, dall'altro compromettono o tentano di compromettere la sfera di autodeterminazione sessuale della persona offesa):

  1. toccamenti e palpeggiamenti del sedere (Cass. pen., Sez. III, 14 gennaio 2016, n. 5515; Cass. pen., Sez. III, 2 luglio 2004, n. 37395);
  2. toccamenti della coscia e della mammella (Cass. pen., Sez. III, 10 luglio 2008, n. 36361);
  3. toccamenti, palpeggiamenti e sfregamenti sulle parti intime delle vittime, o comunque su zone erogene suscettibili di eccitare la concupiscenza sessuale anche in modo non completo e/o di breve durata (Cass. pen., Sez. III, 2 maggio 2000, n. 7772);
  4. allungare la mano tra le gambe (Cass. pen., Sez. III, 11 novembre 1996, n. 3800)
  5. toccamenti della coscia e palpeggiamenti del sedere (Cass. pen., Sez. III, 22 febbraio 2017, n. 36627; Cass. pen., Sez. III, 2 febbraio 2017, n. 15245).

Il bacio, invece, è l'atto su cui si rinviene maggiore discrasia in merito alla sua qualifica come sessuale. Nelle ultime pronunce si è chiarito che nelle ipotesi di bacio sulla bocca, il riferimento alle zone erogene va integrato anche con un'attenta valutazione del contesto sociale e culturale in cui la condotta è realizzata. Tale operazione consente di evitare eccessive dilatazioni della connotazione sessuale del comportamento contrarie al senso comune ed al principio di determinatezza della fattispecie penale (Cass. pen., Sez. III, 5 ottobre 2006, n. 33464).

Recentemente la Cassazione ha, pertanto, affermato il principio secondo il quale «non essendo possibile classificare aprioristicamente come atti sessuali tutti quelli che, in quanto non direttamente indirizzati a zone chiaramente individuabili come erogene, possono essere rivolti al soggetto passivo con finalità diverse, come nel caso del bacio o dell'abbraccio, la loro valutazione deve essere attuata mediante accertamento in fatto da parte del giudice del merito, evitando improprie dilatazioni dell'ambito di operatività della fattispecie penale contrarie alle attuali condizioni di sviluppo sociale e culturale ma valorizzando ogni altro elemento fattuale significativo, tenendo conto della condotta nel suo complesso, del contesto in cui l'azione si è svolta, dei rapporti intercorrenti tra le persone coinvolte ed ogni altro elemento eventualmente sintomatico di una indebita compromissione della libera determinazione della sessualità del soggetto passivo» (Cass. pen., Sez. III, 12 febbraio 2014, n. 10248).

Pertanto, per decifrare il significato di atto sessuale è necessario fare riferimento sia ad un criterio oggettivistico-anatomico (parti del corpo attinte) e sia ad un criterio oggettivistico-contestuale, che tenga conto cioè del “contesto di azione", in maniera che dalle modalità della condotta nel suo complesso e da altri elementi significativi si accerti se vi sia stata o meno una indebita compromissione della libera determinazione della sfera sessuale altrui, accertamento che, implicando valutazioni fattuali, spetta al giudice del merito compiere e che se, adeguatamente e logicamente motivato, si sottrae al controllo di legittimità (Cass. pen., Sez. III, 11 maggio 2016, n. 35591).

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