L'amministrazione giudiziaria e il controllo giudiziario a seguito della riforma del codice antimafiaFonte: L. 17 ottobre 2017 n. 161
30 Novembre 2017
Abstract
Il presente contributo analizza gli istituti dell'amministrazione giudiziaria dei beni connessi alle attività economiche e del controllo giudiziario delle aziende alla luce della novella di cui alla l. 161 del 2017. Sono analizzati i presupposti e le finalità di tali misure di prevenzione, tenuto conto anche della intensificazione delle esigenze di contrasto a fenomeni di infiltrazione mafiosa nel tessuto economico “sano”, sottese alle stesse ed alla recenziore riforma. Introduzione
Gli artt. 10 e 11 l. 161 del 2017 (Modifiche al codice delle leggi antimafia e delle misura di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, al codice penale e alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale e altre disposizioni. Delega al Governo per la tutela del lavoro nelle aziende sequestrate e confiscate) interessano, rispettivamente, gli istituti dell'amministrazione giudiziaria dei beni connessi ad attività economiche e del controllo giudiziario delle aziende, disciplinati – oggi – dagli artt. 34 e 34-bis, d.lgs. 159 del 2011. Giova subito chiarire che, pur a fronte di una sensibile estensione dell'ambito applicativo di queste misure, ovvero del maggiore dettaglio nella disciplina dei contenuti dei provvedimenti con cui sono disposte, è rimasta inalterata la loro connotazione finalistica. L'amministrazione giudiziaria nel confronto tra la normativa previgente e quella risultante a seguito della novella
L'amministrazione giudiziaria, come chiarito in dottrina e in giurisprudenza, consiste in una misura patrimoniale di carattere preventivo diretta a contrastare la contaminazione di imprese “sane”, vale a dire di attività economiche che non siano nella disponibilità nemmeno indiretta di soggetti pericolosi ma che offrano a questi ultimi un “contributo agevolativo”. Lo scopo dell'amministrazione giudiziaria – lo si è anticipato – è in definitiva quello di sottoporre tali attività «a controllo giudiziario con lo scopo di sottrarle, il più rapidamente possibile, all'infiltrazione criminale e restituirle al libero mercato una volta depurate dagli elementi inquinanti» e, per tale via, di paralizzare i “canali di accumulazione economica” delle imprese che reimpieghino risorse economiche provenienti dalla criminalità di tipo mafioso. Altrimenti detto, si punta a colpire il fenomeno dell'infiltrazione economica nel tessuto economico “sano”. Evidente è pertanto lo “scopo terapeutico” collegato a tale tipo di misura, essendo la stessa diretta anche a tutelare l'imprenditore rimasto avviluppato nella rete del condizionamento promanante dal sodalizio criminale. L'immediato antecedente storico dell'amministrazione giudiziaria disciplinata dall'art. 34, cit. è rappresentato dagli artt. 3-quater e 3-quinquies, l. 575 del 1965, come novellati dal d.l. 306 del 1992, norme, queste, dirette a superare – come è stato correttamente osservato – «le difficoltà emerse nell'applicazione della misura delle sospensioni dell'amministrazione dei beni prevista dall'art. 22 della l. 152/77». Nella formulazione antecedente alla recenziore riforma, l'art. 34 prevedeva: a) che in caso di sussistenza di sufficienti indizi per ritenere che l'esercizio di attività economiche fosse, direttamente o indirettamente, sottoposto alle condizioni di intimidazione e di assoggettamento di cui all'art. 416-bis c.p. o che potesse fornire un contributo agevolativo dell'attività svolta da soggetti colpiti da – o anche solo “proposti” per l'applicazione di – una misura di prevenzione, ovvero di persone interessate da procedimento penale per i reati di cui all'art. 4, comma 1, lett. a) e b) – art. 416-bis c.p. o i reati di cui all'art. 51, comma 3-bis, c.p.p. o, ancora, quelli di cui all'art. 12-sexies d.l. 306 del 1992 o di cui all'art. 418 c.p. –, sempre che non ricorressero i presupposti per l'applicazione di una misura di prevenzione, il procuratore della Repubblica presso il capoluogo del tribunale ove dimora la persona, il questore o il direttore della Dia potevano richiedere nei confronti delle stesse “indagini e verifiche”, fermo restando l'obbligo di chi avesse la proprietà o la disponibilità di risorse economiche sproporzionate al proprio reddito di giustificarne la provenienza (comma 1); b) che, quando ricorressero sufficienti elementi per ritenere che lo svolgimento delle attività di cui al comma 1 fosse tale da agevolare l'attività di persone sottoposte a procedimento penale per i reati di cui agli artt. 416-bis, 629, 630, 644, 648-bis e 648-ter c.p., il tribunale disponeva la misura dell'amministrazione giudiziaria, nominando il giudice delegato e l'amministratore; c) che, entro i quindici giorni antecedenti la data di scadenza del provvedimento di amministrazione giudiziaria (complessivamente non superiore a dodici mesi), il tribunale poteva, in caso di mancata rinnovazione del provvedimento, alternativamente, revocare la misura o disporre la confisca «dei beni che si ha motivo di ritenere siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego»; d) che, con il provvedimento che revocava la misura, il tribunale poteva disporre il controllo giudiziario dell'impresa, misura più blanda dell'amministrazione giudiziaria, ma in definitiva retta da finalità similari (prima evidenziate).
Nell'attuale assetto normativo, invece, si prevede: a) che, quando all'esito degli accertamenti di cui all'art. 19 o di quelli previsti dell'art. 92, cod. antimafia, o ancora di quelli compiuti dall'Autorità nazionale anticorruzione ai sensi dell'art. 213, d.lgs. 50 del 2016 (codice dei contratti pubblici), risulti la sussistenza di «sufficienti indizi per ritenere che il libero esercizio di determinate attività economiche, comprese quelle di carattere imprenditoriale, sia direttamente o indirettamente sottoposto alle condizioni di intimidazione o di assoggettamento previste dall'articolo 416-bis del codice penale o possa comunque agevolare l'attività di persone nei confronti delle quali è stata proposta o applicata una delle misure di prevenzione personale o patrimoniale previste dagli articoli 6 e 24 del presente decreto, ovvero di persone sottoposte a procedimento penale per taluno dei delitti di cui all'articolo 4, comma 1, lettere a), b) e i-bis), del presente decreto, ovvero per i delitti di cui agli articoli 603-bis, 629, 644, 648-bis e 648-ter del codice penale, e non ricorrono i presupposti per l'applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali di cui al capo I del presente titolo», il tribunale dispone tout court «l'amministrazione giudiziaria dei beni utilizzabili, direttamente o indirettamente, per lo svolgimento delle attività economiche oggetto di infiltrazione, su proposta dei soggetti di cui all'art. 17». Ciò significa – volendo compendiare – che la misura consegue all'accertamento di sufficienti indizi di attività agevolativa a favore di attività economiche condotte da soggetti sottoposti o proposti per una misura di prevenzione o, ancora, sottoposti a procedimento penale per un ventaglio di reati più ampio rispetto a quello contemplato dalla previgente disposizione, il che comporta una sensibile estensione dell'ambito oggettivo di applicazione dell'amministrazione giudiziaria; b) che l'amministrazione giudiziaria può essere adottata per un periodo non superiore a un anno, che può essere prorogato di ulteriori sei mesi e, comunque, per una durata complessivamente non superiore ai due anni; c) che il provvedimento che dispone l'amministrazione «è eseguito sui beni aziendali con l'immissione dell'amministratore nel possesso» e con l'iscrizione nel registro tenuto dalla cod. antimafia era di commercio ove è scritta l'impresa, mentre – come previsto già dalla previgente normativa, è necessaria la trascrizione se la misura interessa beni soggetti ad un regime di pubblicità attraverso Registri; d) che l'amministratore «esercita tutte le facoltà spettanti ai titolari dei diritti sui beni e sulle aziende oggetto della misura» e, in specie, laddove si tratti di imprese esercitate in forma societaria, può esercitare i poteri spettanti agli organi di amministrazione ed agli altri organi sociali secondo le modalità stabilite dal Tribunale e tenuto conto dell'esigenza di prosecuzione dell'attività economica; e) che entro la data di scadenza della misura, laddove non sia disposto il rinnovo della stessa, il tribunale dispone, alternativamente, la revoca della stessa (con eventuale e contestuale applicazione del controllo giudiziario) o la confisca dei beni «che si ha motivo di ritenere che siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego»”.
La disciplina del controllo giudiziario è stata “spostata” in una norma più ampia (l'attuale art. 34-bis, cod. antimafia) che detta più analitiche disposizioni rispetto al contenuto di tale controllo, sulle quali si tornerà infra. Così come la norma previgente, ma con maggiore grado di dettaglio (dacché si richiamano in quanto compatibili le disposizioni dei capi I e II, del titolo III del libro I, cod. antimafia: artt. 35 e ss.), l'art. 34 novellato disciplina, inoltre, gli obblighi di relazione e segnalazione in capo all'amministratore giudiziario. Resta immutata la possibilità di disporre (su richiesta dei soggetti di cui all'art. 17) il sequestro dei beni, nel caso in cui vi sia concreto pericolo che gli stessi possano essere dispersi, sottratti o alienati, purché – si aggiunge – si ha motivo di ritenere che tali beni siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego. Dal confronto tra le due successive versioni dell'art. 34, cit. si apprezza – come anticipato – una sensibile estensione dell'ambito oggettivo di applicazione della misura, sotto due distinti profili: da un lato, il Legislatore estende il novero degli interessi criminali, la contiguità ai quali, sebbene in forma meramente agevolativa, consente al tribunale (sulla scorta dei presupposti indiziari sopra indicati) di disporre l'amministrazione giudiziaria; dall'altro lato, è estesa la durata massima della misura. Quanto a quest'ultimo profilo, va segnalato che la proroga della stessa è oggi subordinata (non solo alla permanenza delle condizioni che ne avevano giustificato l'adozione, ma anche) alla relazione da parte dell'amministratore giudiziario che «evidenzi le necessità di completare il programma di sostegno e di aiuto alle imprese amministrate e la rimozione delle situazioni di fatto e di diritto che avevano determinato la misura». Resta invece inalterato il riferimento ai sufficienti elementi che giustificano il ricorso alla misura. Sul punto, la non copiosa giurisprudenza in materia ha ritenuto che il conferimento di commesse a soggetti prevenuti o indiziati ai sensi del previgente comma 2 (e oggi del più comprensivo comma 1) può costituire una forma di agevolazione.
Sotto il profilo soggettivo, è opportuno ricordare che la Corte costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell'art. 8-quinquies l. 575 del 1965 nella parte in cui consentiva (come pure oggi consentito dall'art. 34 cod. antimafia) di disporre, prima della scadenza della misura della allora vigente sospensione temporanea dell'amministrazione, la confisca dei beni, ebbe ad osservare che i soggetti colpiti da tale misura non possono considerarsi “terzi” rispetto alla realizzazione degli obiettivi propri del sodalizio criminale. In quella occasione, il giudice delle leggi ha fatto esplicito riferimento a condotte di agevolazione consapevole, le quali peraltro giustificano la confisca, onde, come è stato osservato, «è del tutto ragionevole concludere che, in questo caso, l'esercente l'attività economica lecita non versi affatto in una situazione di soggettiva incolpevolezza». La giurisprudenza successiva, allora, ha ritenuto che l'oggettiva contiguità a interessi criminali rilevata nell'attività aziendale in termini di agevolazione in favore di interessi a sfondo mafioso, può costituire motivo di censura «esclusivamente sul piano del rapporto colposo, che riguardi, cioè, la violazione di normali regole di prudenza e buona amministrazione imprenditoriale che la stessa società si sia data o che costituiscano norme di comportamento esigibili sul piano della legalità da un soggetto che opera ad un livello medio-alto nel settore degli appalti di opere e/o servizi». Assai rilevante è invece la modifica attinente ai poteri dell'amministratore: la previgente disposizione giustificava la ricostruzione, proposta dalla più accreditata dottrina, dell'attività di quest'ultimo in termini di “tutoraggio” dell'impresa; nell'attuale contesto normativo, al contrario, l'amministratore gode di poteri assai ampi, anche laddove l'impresa “amministrata” sia svolta in forma societaria. La pregnanza di questi poteri è accentuata dall'espressa previsione che l'amministrazione si apre con l'immissione in possesso dell'amministratore nei beni di cui si tratta. Il controllo giudiziario delle aziende
Quanto al controllo giudiziario, la prima e più rilevante modifica (oltre alla nuova collocazione topografica della disciplina conferente) attiene alla individuazione del grado di intensità che deve raggiungere l'agevolazione per dare luogo a tale misura: si tratta di un contatto solo occasionale, accompagnato dalla sussistenza di circostanze di fatto da cui si possa desumere il pericolo concreto di infiltrazioni mafiose. La misura può essere disposta dal tribunale anche al di fuori del caso in cui vi sia stato un pregresso provvedimento di amministrazione giudiziaria e lo stesso sia stato revocato (art. 34, comma 8, nella versione previgente). Ed anzi, il riferimento alla agevolazione occasionale unitamente alla prevista possibilità di disporre il controllo non solo all'esito della revoca di una misura più pregnante valgono a giustificare la conclusione che controllo giudiziario e amministrazione si pongano come misure dirette a contrastare gradi crescenti di contiguità al sodalizio criminale del tessuto economico sano, secondo un criterio di gradualità circa l'incidenza della misura da adottare in concreto. Il controllo giudiziario – che ha una durata massima non superiore a tre anni – può consistere, alternativamente:
In quest'ultimo caso (nomina di un amministratore), il provvedimento che dispone il controllo giudiziario può stabilire a carico dell'impresa “controllata” diversi obblighi, tra cui: quello di non cambiare la sede la denominazione e la ragione sociale o la composizione degli organi di amministrazione direzione o vigilanza, ovvero quello di non dare luogo a vicende modificative quali fusioni o altre trasformazioni senza autorizzazione del giudice delegato; quello di adempiere ai doveri informativi sopra citati nei confronti dell'amministratore; quello di informare l'amministratore circa l'accensione di finanziamenti a favore della società da parte di soci o di terzi; quello di adottare e dare compiuta attuazione alle misure organizzative di cui agli artt. 6, 7, 24-ter, d.lgs. 231 del 2001; quello di assumere ogni altra precauzione, sotto il profilo gestionale, atta a neutralizzare il rischio di infiltrazioni o condizionamenti mafiosi). Il tribunale può autorizzare accessi volti alla verifica del corretto adempimento di tali obblighi. La misura è revocabile su istanza di parte. Altra rilevante novità è costituita dalla possibilità – per le imprese destinatarie di informazione interdittiva ex art. 84, comma 4, cod. antimafia – di richiedere l'applicazione del controllo giudiziario nella forma attuantesi tramite la nomina di un amministratore. In conclusione
Da quanto sopra detto, si può ritenere che la riforma punti in parte qua alla intensificazione delle esigenze preventive anche a fronte di fenomeni di agevolazione colposa diretta od indiretta, degli interessi economici della criminalità organizzata, da parte di imprenditori estranei al sodalizio mafioso. Viene per altro verso accentuata la natura di strumento con scopo “terapeutico” di tali misure ed in specie del controllo giudiziario che può essere anche richiesto dall'impresa colpita da una interdittiva antimafia ex art. 94 cod. antimafia. La concreta riuscita di tali obiettivi si lega a doppio filo con la professionalità degli amministratori giudiziari, il controllo della quale è assicurato dalla iscrizione in un Albo nazionale, oltre – beninteso – alla effettività dell'attività di accertamento da cui possono emergere gli indizi atti a giustificare l'adozione di queste misure. Castaldo, L'Amministrazione giudiziaria va proposta con cautela, in Il Sole 24 Ore 4.7.2016; Chiaraviglio, La misura di prevenzione dell'amministrazione giudiziaria dei beni connessi ad attività economiche: due recenti pronunce del Tribunale di Milano, in Riv. dottori commercialisti, 2017, 1, 135; Menditto, Le misure di prevenzione personali e patrimoniali - La confisca ex art. 12-sexies L. n. 356/92, Milano 2012, pag. 632 e segg.; Menditto, Presente e futuro delle misure di prevenzione personali e patrimoniali: da misure di Polizia a prevenzione della criminalità da profitto, in Diritto penale contemporaneo, online 23.5.2016; Roberti - De Simone, Osservazioni a margine dei lavori del Senato sull'iter di approvazione della A.S. n. 2134 recante modifiche al codice delle leggi antimafia. La posizione della Procura nazionale, in Diritto penale contemporaneo, online il 28.6.2016, a pag. 13; Pignatone, Mafia e corruzione: tra confische, commissariamenti e interdittive, in Diritto penale contemporaneo, online il 24.9.2015; Visconti, “Ancora una decisione innovativa del Tribunale di Milano sulla prevenzione antimafia nelle attività imprenditoriali”, in Diritto penale contemporaneo, online l'11.7.2016; Visconti, Approvate in prima lettura dalla Cod. antimafiaera importanti modifiche al procedimento di prevenzione patrimoniale, in Diritto penale contemporaneo, online il 23.11.2015.
In giurisprudenza: Trib. Milano, 27 gennaio 2017; Trib. Milano, 28 settembre 2016; Trib. Milano, 28 giugno 2016; Cass. pen., Sez. II, 6 ottobre 2015, n. 2272; Trib. Milano, 15 aprile 2011; |