I beni di un fondo patrimoniale possono essere oggetto di iscrizione ipotecaria

Matteo Pillon Storti
11 Dicembre 2017

In tema di iscrizione ipotecaria dei beni facenti parte di un fondo patrimoniale, ferme restando le regole previste dall'art. 170 codice civile e in coerenza ad una dottrina giurisprudenziale ormai consolidata, relativamente alle obbligazioni tributarie grava sul debitore che intende usufruire del regime di impignorabilità dei beni costituiti in fondo patrimoniale l'onere di provare l'estraneità del debito alle esigenze familiari.
Massima

In tema di iscrizione ipotecaria dei beni facenti parte di un fondo patrimoniale, ferme restando le regole previste dall'art. 170 codice civile e in coerenza ad una dottrina giurisprudenziale ormai consolidata, relativamente alle obbligazioni tributarie grava sul debitore che intende usufruire del regime di impignorabilità dei beni costituiti in fondo patrimoniale l'onere di provare l'estraneità del debito alle esigenze familiari. Il debitore deve anche provare la consapevolezza di tale estraneità da parte del creditore. La prova in questione non può ritenersi presentata e/o dimostrata per il solo fatto che l'insorgenza del debito sia avvenuta nell'esercizio dell'impresa.

Il caso

La Corte di Cassazione è stata chiamata a decidere riguardo un caso in cui il contribuente (nonché imputato) era sottoposto ad un procedimento penale in cui venivano contestati, in particolare, i reati di cui all'art. 10-ter (Omesso versamento di IVA) e all'art. 11 (Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte) del D.Lgs. n. 74/2000. Il giudice dell'udienza preliminare del tribunale compente aveva condannato l'imputato alla pena di 6 mesi di reclusione. Successivamente, il giudice di secondo grado aveva modificato tale sentenza rideterminando la pena in 4 mesi di reclusione. L'imputato, non soddisfatto, proponeva ricorso in Cassazione lamentando innanzitutto il fatto che la costituzione di un fondo patrimoniale non è idonea a rendere inefficacie, né totalmente né parzialmente, la procedura di riscossione coattiva del debito fiscale. Da ciò ne conseguirebbe l'impossibilità di sussistenza del reato di cui all'art. 11 D.Lgs. n. 74/2000. In secondo luogo il contribuente contestava l'operato del giudice di merito che utilizzava, per la determinazione del quantum da sottoporre a sequestro, gli importi ritenuti evasi e non, invece, il valore dei beni sottratti all'esecuzione.

La Suprema Corte ha deciso con sentenza n. 47827 del 17 ottobre 2017, annullando la sentenza e rinviando ad altra sezione della Corte d'appello competente.

La Cassazione ha ricordato che la decisione dei coniugi di costituire un fondo patrimoniale rappresenta uno dei modi legittimi di attuazione dell'indirizzo economico familiare. Inoltre è stato aggiunto che se dovesse venir dimostrato che la costituzione del fondo suddetto è stata fatta al fine di ostacolare il soddisfacimento dell'obbligazione tributaria, il fondo patrimoniale diventerebbe uno dei tanti mezzi di sottrazione del patrimonio alla garanzia di adempimento del debito contratto con il fisco. Infine viene chiarito che per godere del regime di impignorabilità previsto dall'art. 170 c.c., spetta al debitore dimostrare l'estraneità del debito (fiscale) alle esigenze familiari, nonché la consapevolezza di suddetta estraneità da parte del creditore. Ai fini dell'onere della prova non è sufficiente che il debito sia sorto nell'esercizio dell'impresa.

La questione

La questione deriva dalla contestazione sollevata a carico del contribuente relativamente al reato di cui all'art. 11 D.Lgs. n. 74/2000 e il suo eventuale legame con la creazione di un fondo patrimoniale di cui all'art. 167 e seguenti del codice civile.

In particolare l'art. 170 c.c. prevede che “l'esecuzione sui beni del fondo e sui frutti di essi non può aver luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia”. L'art. 11, comma 1, D.Lgs. n. 74/2000, invece, prevede che “È punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva. Se l'ammontare delle imposte, sanzioni ed interessi è superiore ad euro duecentomila si applica la reclusione da un anno a sei anni”.

La sentenza oggetto del presente commento analizza quindi, tra le altre cose, il rapporto che ci può essere tra un fondo patrimoniale costituito dai coniugi e la possibilità di esecuzione sui beni oggetto del fondo stesso.

Inoltre viene valutata anche la possibilità che la costituzione di detto fondo integri il presupposto del reato di cui all'art. 11 D.Lgs. n. 74/2000.

Le soluzioni giuridiche

Con la sentenza in commento, la Suprema Corte ha innanzitutto chiarito che la costituzione di un fondo patrimoniale, decisa dai coniugi, rappresenta uno dei modi legittimi di attuazione dell'indirizzo economico familiare. Dopo aver specificato tale principio, la Cassazione ha ricordato anche che, viceversa, nel caso in cui venga dimostrata l'idoneità della costituzione del fondo patrimoniale ad ostacolare il soddisfacimento delle obbligazioni tributarie, il fondo stesso finisce per costituire uno dei vari mezzi – seppure formalmente legittimi – di sottrazione del patrimonio a garanzia dell'adempimento tributario.

Una volta chiariti gli aspetti suddetti, ai fini della sussistenza del reato di cui all'art. 11 D.Lgs. n. 74/2000, a fronte di un fondo patrimoniale costituito per tutelare i bisogni della famiglia è necessario accertare che nell'operazione posta in essere sussistano gli elementi costitutivi della sottrazione fraudolenta. La Suprema Corte ha confermato quindi la tesi giurisprudenziale ormai consolidata secondo la quale tale accertamento dovrà essere svolto nel processo di merito, nel quale si dovranno individuare gli elementi che dimostrano la strumentalizzazione della causa tipica negoziale allo scopo di evitare il pagamento tributario. Sul tema, inoltre, non è possibile istituire una sorta di inversione dell'onere della prova, basata sul presupposto che la creazione del patrimonio separato rappresenti di per se l'elemento materiale della sottrazione del patrimonio del debitore.

Nel caso concreto il tribunale competente si è discostato dai predetti principi, offrendo una motivazione inadeguata. In quella sede, infatti, è stato solo evidenziato il profilo temporale della stretta concomitanza tra la costituzione del fondo patrimoniale e le reiterate condotte di omesso versamento delle imposte.

In secondo luogo, la Suprema Corte si è soffermata a valutare l'ammissibilità dell'iscrizione ipotecaria relativamente ai beni facenti parte di un fondo patrimoniale. In questo caso, i giudici di legittimità hanno chiarito, ai sensi dell'art. 170 c.c., che l'iscrizione ipotecaria suddetta è legittima solo se l'obbligazione tributaria è strumentale ai bisogni della famiglia, oppure se il creditore non conosceva l'estraneità dell'obbligazione stessa ai bisogni suddetti. La Suprema Corte, inoltre, ha confermato la tesi giurisprudenziale secondo la quale è onere del debitore dimostrare l'estraneità del debito alle esigenze familiari. Il debitore, in più, è tenuto a provare che il creditore conosceva l'estraneità dell'obbligazione in questione rispetto ai bisogni della famiglia del debitore. L'onere probatorio suddetto non può ritenersi adempiuto per il solo fatto che il debito in questione è sorto nell'esercizio dell'impresa.

In terzo luogo la suprema corte ha valutato il secondo motivo del ricorso, riconoscendo l'erronea determinazione del quantum da sottoporre a confisca effettuato dal giudice di appello. Il giudice suddetto, contrariamente a quanto affermato in diverse occasioni dalla Cassazione, ha determinato il quantum da confiscare sulla base delle imposte oggetto di sottrazione fraudolenta al pagamento. La Suprema Corte ha chiarito che il profitto confiscabile del reato di cui all'art. 11 D.Lgs. n. 74/2000, non consiste nell'ammontare del debito tributario rimasto inadempiuto, ma piuttosto è pari al valore dei beni idonei a fungere da garanzia nei confronti del Fisco che agisce per il recupero delle somme evase costituenti oggetto di condotte artificiose considerate dalla norma.

Osservazioni

La sentenza n. 47827/2017 chiarisce alcuni aspetti ben definiti:

  • il profitto del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte va individuato nella riduzione simulata o fraudolenta del patrimonio del soggetto obbligato e, quindi, consiste nel valore dei beni idonei a garantire l'amministrazione finanziaria che tenta il recupero delle somme evase e non nel totale del debito fiscale rimasto inadempiuto.
  • Perché, a fronte di un fondo patrimoniale, vi siano i presupposti per il reato di cui all'art. 11 D.Lgs. n. 74/2000 è necessario che, nell'operazione concretamente valutata, vi siano gli elementi costitutivi della sottrazione fraudolenta. Tali elementi dovranno essere dimostrati in tribunale. Non è sufficiente, ai fini della prova, il semplice fatto che la creazione del fondo patrimoniale rappresenti, di per se, l'elemento materiale della sottrazione del patrimonio del debitore.
  • L'iscrizione ipotecaria è ammissibile sui beni di un fondo patrimoniale solo se l'obbligazione tributaria è strumentale ai bisogni della famiglia oppure se il titolare del credito era a conoscenza dell'estraneità di tale obbligazione relativamente ai bisogni suddetti. Per poter usufruire del regime di impignorabilità dei beni facenti parte di un fondo patrimoniale spetta al debitore dimostrare, in sede processuale, l'estraneità del debito e la consapevolezza del creditore.

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