Abuso di informazioni privilegiate: sanzionato anche l’insider “di se stesso”

Luigi Giordano
11 Dicembre 2017

In tema di abuso di informazioni privilegiate, il termine “informazione” non presuppone il trasferimento di materiale conoscitivo da un soggetto “informatore” ad un soggetto “informato”, dovendo essere inteso semplicemente come “conoscenza”, con la conseguenza che è punibile anche la condotta del cd. “insider di sé stesso”, cioè di chi utilizzi un'informazione da lui stesso creata.
Massima

In tema di abuso di informazioni privilegiate, il termine “informazione” non presuppone il trasferimento di materiale conoscitivo da un soggetto “informatore” ad un soggetto “informato”, dovendo essere inteso semplicemente come “conoscenza”, con la conseguenza che è punibile anche la condotta del cd. “insider di sé stesso”, cioè di chi utilizzi un'informazione da lui stesso creata. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto che integra l'illecito punito dall'art. 187-bis T.U.F. l'acquisto di titoli da parte del socio di maggioranza di una società quotata nel periodo intercorrente tra la decisione della medesima società di promuovere un'offerta pubblica totalitaria per la cancellazione delle azioni dal listino di borsa (cd. delisting) e la comunicazione al pubblico del lancio di tale OPA).

Il caso

Una società quotata decideva di realizzare un'operazione definita in gergo di delisting per cancellare le proprie azioni dal listino di borsa. A tale scopo comunicava al mercato la volontà di promuovere un'offerta pubblica di acquisto di tali azioni, totalitaria e volontaria (OPA).

La Consob accertava che, circa due mesi prima dell'annuncio dell'OPA, una delle società che componevano il gruppo di controllo della società quotata, specificamente una S.r.l., tramite l'amministratore delegato e in attuazione di una decisione della sua proprietà, costituita peraltro dal presidente e dall'amministratore delegato della stessa società quotata, aveva “rastrellato” un'ingente quantitativo di azioni di tale ultima società. Sulla scorta di tali risultanze, ravvisando l'abuso dell'informazione privilegiata rappresentata dal lancio dell'OPA, la Consob irrogava una sanzione pecuniaria ai sensi dell'art. 187-bis del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (nel prosieguo, T.U.F.), alle persone fisiche che avevano compiuto queste condotte, riconoscendone la responsabilità in solido con la S.r.l., oltre a disporre nei loro confronti la sanzione interdittiva accessoria di cui all'art. 187-quater del medesimo T.U.F.

Le persone fisiche e la società sanzionata presentavano opposizione ex art. 187-septies, comma 4, T.U.F.

Avverso la sentenza della Corte di appello che rigettava l'opposizione, essi proponevano ricorso per cassazione, affidato a sei motivi, due dei quali di particolare interesse, perché affrontano questioni molto rilevanti in tema di disciplina delle sanzioni amministrative per l'abuso di mercato.

Le questioni

Con il primo motivo di ricorso, è stata dedotta la violazione dell'art. 187-septies T.U.F. a causa del mancato rispetto, nell'ambito del procedimento sanzionatorio svoltosi davanti alla Consob, dei principi del contraddittorio, della conoscenza degli atti istruttori e della distinzione tra funzioni istruttorie e decisorie nonché in conseguenza dell'inosservanza, nella fase giurisdizionale, della garanzia della pubblicità dell'udienza.

La Corte ha ritenuto tale motivo inammissibile.

Dinanzi alla Corte d'appello, infatti, i ricorrenti non avevano eccepito l'illegittimità della fase di irrogazione della sanzione amministrativa o di quella della sua impugnazione, non avendo lamentato specificamente la violazione delle regole del cd. giusto processo di cui all'art. 6 CEDU.

Seppur solo per completezza, inoltre, la questione è stata reputata infondata.

Secondo l'indirizzo consolidato della Suprema Corte, in tema di sanzioni che, pur qualificate come amministrative, abbiano natura sostanzialmente penale per la loro portata afflittiva, la garanzia del giusto processo ex art. 6 CEDU può essere realizzata, alternativamente, o nella fase amministrativa (nel qual caso, una successiva fase giurisdizionale non sarebbe necessaria) ovvero mediante l'assoggettamento del provvedimento sanzionatorio (adottato in assenza di tali garanzie) ad un sindacato giurisdizionale pieno, di natura tendenzialmente sostitutiva ed attuato per mezzo di un procedimento conforme alle richiamate prescrizioni della Convenzione (Cass. n. 8210/2016, Cass. n. 770/2017).

Nel caso di specie, le difformità del procedimento sanzionatorio di cui all'art. 187-bis e ss. T.U.F. rispetto al paradigma del giusto processo non hanno prodotto alcuna violazione dell'art. 6 CEDU in quanto il provvedimento adottato dalla Consob è impugnabile in sede giurisdizionale, dinanzi alla Corte di appello in un giudizio che si svolge in pubblica udienza, essendo assicurato piena attuazione alle regole del cd. giusto processo.

Con il quinto motivo, invece, i ricorrenti hanno dedotto la violazione dell'art. 187-bis T.U.F. e della direttiva 2003/06/CE. Essi hanno rilevato che l'informazione privilegiata dell'esistenza del progetto di OPA era in loro possesso non in ragione dei ruoli da loro rispettivamente svolti nelle società interessate (la S.p.a. quotata e la S.r.l. che ha “rastrellato” i titoli della prima in un momento precedente alla pubblicizzazione dell'OPA), ma semplicemente perché tale progetto era stato da loro ideato. L'illecito amministrativo, al pari del reato corrispondente disciplinato dall'art. 184 T.U.F., postulerebbe la diversità soggettiva tra il creatore della notizia privilegiata, in genere il membro di organi di amministrazione, di direzione o di controllo della società quotata, ed il suo utilizzatore, cioè l'insider. Non sarebbero sanzionabili, invece, le condotte tenute dal cd. “insider di sé stesso”, cioè da colui che utilizza informazioni da egli stesso create.

A sostegno di questo motivo sono state proposte una serie di argomentazioni.

Il termine “informazione” adoperato dalla norma sanzionatoria, in primo luogo, evocherebbe il trasferimento di materiale conoscitivo da un soggetto informatore ed un soggetto informato. Solo le notizie che hanno formato oggetto di una trasmissione potrebbero essere ricomprese nella fattispecie descritta dall'art. 187-bis T.U.F. (e questo anche se l'aggettivo “ottenute”, riferito in precedenza alle informazioni oggetto dell'illecito dall'art. 2, comma 1, della legge n. 157 del 1991, che regolava la materia, è stato eliminato dalla fattispecie in occasione della riforma della disciplina degli abusi di mercato).

In secondo luogo, la locuzione “in ragione della sua qualità di …”, contenuta nel testo dell'art. 187-bis T.U.F., richiederebbe che la condotta sanzionata consista nello sfruttamento da parte dell'insider di un'informazione acquisita nell'ambito (ed a causa) di un rapporto fiduciario in essere con l'emittente.

In terzo luogo, si contesta l'affermazione della sentenza gravata secondo cui il considerando n. 30 della direttiva 2003/06/CEE ("Poiché l'acquisizione o la cessione di strumenti finanziari implica necessariamente una decisione preliminare di acquisire o di cedere da parte della persona che procede ad una di queste operazioni, non si dovrebbe considerare che il fatto di effettuare questo acquisto o cessione costituisca di per sé un'utilizzazione di un'informazione privilegiata"), che esclude la punibilità di operazioni compiute dalla persona che ha deciso di compiere un'offerta pubblica, si applicherebbe soltanto alle OPA con finalità di scalata, ma non a quelle che abbiano scopo di delisting (vale a dire le OPA in cui il socio di maggioranza mira ad acquistare tutte le azioni della società per poi cancellare la stessa dal listino di borsa).

A tale ultimo riguardo, in alternativa, i ricorrenti hanno sollecitato la Corte a sollevare davanti alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea la questione pregiudiziale relativa alla possibilità di interpretare gli artt. 1 e 2 della direttiva 2003/06/CEE, anche alla luce del considerando n. 30, nel senso che tali disposizioni escludono l'abuso di informazione privilegiata per il solo fatto di acquisto di azioni dell'emittente effettuato precedentemente al lancio di un'OPA finalizzata al delisting.

La Corte ha rigettato anche questo motivo di ricorso, reputandolo infondato.

Secondo la sentenza in esame, nel contesto dell'art. 187-bis T.U.F., la parola “informazione” è usata in senso meramente oggettivo e statico, come sinonimo di “conoscenza” o “notizia” oggetto di possesso, non essendo accompagnata da alcun riferimento alla sua provenienza. Dal punto di vista letterale, la norma non attribuisce alcun rilievo alla circolazione che l'informazione possa avere avuto prima di entrare nel possesso dell'agente. Secondo la decisione in esame, pertanto, «Va quindi affermato che nel testo dell'articolo 187-bis T.U.F. l'espressione “informazione” va intesa quale “conoscenza”, indipendentemente dal fatto che tale conoscenza sia stata o meno trasmessa da altri all'agente».

Nella disposizione sanzionatoria e nella Direttiva 2003/6/CE, inoltre, non è operata alcuna distinzione tra chi utilizzi un'informazione da lui stesso creata (vale a dire, la conoscenza di un evento futuro da lui stesso ideato) e chi utilizzi l'informazione ricevuta da altri.

L'art. 187-bis T.U.F., in altri termini, a differenza di quanto sostenuto dai ricorrenti, non richiede un nesso causale tra il possesso dell'informazione e la qualità di insider.

Non ha supporto normativo, in particolare, l'assunto dei ricorrenti secondo cui il disvalore dell'illecito andrebbe rinvenuto “nello sfruttamento di informazioni privilegiate acquisite mediante una posizione di insider, quando tale abuso si traduce in un profitto parassitario”.

La ratio del divieto di utilizzare informazioni privilegiate, invece, come ha chiarito la Corte di Giustizia dell'Unione,consiste «nel tutelare l'integrità dei mercati finanziari e nel rafforzare la fiducia degli investitori che riposa, in particolare, sulla garanzia che questi ultimi saranno posti su un piano di parità e tutelati contro l'utilizzazione illecita delle informazioni privilegiate» (CGUE, C-45/08, Spector, § 62).

Neppure ha pregio, infine, l'argomento desunto dai ricorrenti dal considerando n. 30 della direttiva 2003/6/CE. Quest'ultimo, infatti, quando afferma che il fatto di effettuare acquisti o cessioni non può essere considerato un'utilizzazione dell'informazione privilegiata relativa alla decisione dello stesso agente (necessariamente antecedente) di effettuare tali operazioni, postula l'identità tra le operazioni oggetto della previa decisione e le operazioni successivamente poste in essere dall'operatore in esecuzione della stessa, ma soprattutto si riferisce alle sole operazioni successive alla pubblicizzazione dell'OPA. La disposizione europea, pertanto, non offre alcuna indicazione utile a considerare lecite le operazioni di vendita o di acquisto antecedenti al lancio dell'OPA, compiute da chi ha deciso tale offerta pubblica.

Il divieto di abuso di informazioni privilegiate, pertanto, si applica quando un insider primario che le detiene utilizza indebitamente il vantaggio che dette informazioni gli conferiscono, effettuando un'operazione di mercato corrispondente a queste ultime ed alterando la condizione di parità informativa tra gli operatori.

Nell'OPA finalizzata al delisting, in modo particolare, l'iniziativa parte non da un soggetto esterno alla società investita dall'OPA stessa, bensì dal socio di maggioranza di tale società (nel caso di specie, un S.r.l.). Questi, compiendo operazioni di acquisto di titoli nel periodo intercorrente tra la decisione e la comunicazione al pubblico del lancio dell'OPA, utilizza l'informazione privilegiata relativa al prossimo lancio dell'offerta di acquisto proprio al fine di abusare della disparità informativa esistente tra di lui, che è al corrente dell'imminente lancio dell'OPA, e gli altri azionisti della stessa società. Questi ultimi, ignari di tale imminente lancio, sono disposti a cedergli le azioni in loro possesso a un prezzo minore di quello destinato ad essere offerto nella futura OPA.

Nel caso di specie, il prezzo offerto nell'OPA era di € 3 per azione, mentre gli acquisti effettuati prima della pubblicizzazione dell'OPA erano avvenuti ad un prezzo medio di € 2,27 per azione. La conoscenza dell'informazione privilegiata, pertanto, aveva permesso di conseguire un significativo guadagno.

Osservazioni

Fin dall'introduzione nel nostro ordinamento degli illeciti per l'abuso di informazioni previlegiate, un'autorevole dottrina aveva evidenziato che l'intenzione di salvaguardare la parità delle condizioni tra gli operatori di mercato comportava il rischio di punire anche la condotta di chi, piuttosto che essere percettore di una notizia non pubblica, si avvaleva semplicemente della conoscenza dei propri propositi (F. Galgano, Gruppi di società, insider trading, OPA obbligatoria, in Contratto e Impresa, 1992, 638).

Per scongiurare questo rischio, un orientamento dottrinario ha fatto leva su un dato semantico: il verbo “informare” comprende il trasferimento di materiale conoscitivo da un soggetto “informatore” ad un altro che diviene “informato”. L'illecito, pertanto, presupporrebbe una dinamica informativa, di modo che l'estremo qualificante la figura è quello dell'alterità della fonte, mentre la figura dell'insider di sé stesso esula dalla fattispecie normativa (cfr. L. Di Brina, Il divieto di insider trading, in C. Rabbitti Bedogni, Il dovere di riservatezza nel mercato finanziario: l'insider trading, Milano, 1992, 430).

Un diverso indirizzo ha ritenuto che il creatore dell'informazione deve essere considerato anche il proprietario della medesima e, dunque, colui che può sfruttarla sul mercato, perché ha il “merito economico” del progetto al quale si riferisce l'informazione (cfr. S. Ballerini, Insider trading: problemi attuali e profili di comparazione, in Contratto e impresa, 1990, 1209 e ss.). quest'approccio “meritocratico” giustificherebbe l'esclusione della punibilità.

Un ulteriore orientamento ha richiamato il contenuto del considerando n. 30 della direttiva dapprima citata. Sebbene i “considerando” abbiano solo una funzione esplicativa del contenuto della normativa europea, si sostiene che quello indicato abbia delineato come fisiologico il percorso di attuazione di una deliberazione societaria, comportando che esso esuli dall'area dell'illecito.

Questi argomenti, elaborati dai principali apporti dottrinali in materia a sostegno della liceità delle condotte dell'insider di se stesso, sono stati puntualmente sviluppati dai ricorrenti nel giudizio in esame.

La Suprema Corte, invece, ha aderito all'orientamento giurisprudenziale che ritiene punibile l'insider di sé stesso.

Secondo questa tesi, l'obiettivo che il legislatore si è prefissato, tanto con il reato di cui all'art. 184 T.U.F., quanto con l'illecito amministrativo per il quale sono state irrogate le sanzioni in esame, consiste nell'impedire qualsiasi sfruttamento di informazioni privilegiate, anche da parte del produttore della notizia, e non la cessione a terzi di detta informazione. La finalità perseguita è primariamente quella di inibire lo sfruttamento di informazioni privilegiate e, in modo specifico, qualsiasi forma di sfruttamento, senza alcuna esclusione degli emittenti e non già di inibire la traslazione dell'informazione riservata (Trib. Milano, Sez. III, 2 febbraio 2016, in Soc., 2016, 4, 513; App. Bologna Sez. III, 29 ottobre 2013, inedita).

L'illecito amministrativo, dunque, non presuppone, come requisito tipico, la diversità soggettiva tra il creatore della notizia privilegiata, in genere il membro di organi di amministrazione, di direzione o di controllo dell'emittente, ed il suo utilizzatore, cioè l'insider.

Conclusioni

Secondo la sentenza in esame, dunque, il termine “informazione” adottato nell'ambito della disciplina degli abusi di mercato delineata nel T.U.F. non svolge alcuna funzione di selezione delle condotte punibili. L'illecito amministrativo, come il corrispondente reato, pertanto, è configurabile anche nel caso di “rastrellamento” (o specularmente, di vendita) di azioni compiuto prima della pubblicizzazione di un'offerta pubblica di acquisto da parte del socio di maggioranza che ha progettato la stessa OPA.

Un'autorevole opinione, infine, al fine di selezionare le condotte punibili, ha desunto dal principio di materialità del diritto penale (e del diritto sanzionatorio in genere) una tesi mediana tra l'orientamento giurisprudenziale illustrato e l'affermazione della liceità dell'uso dell'informazione da parte del suo creatore, giungendo alla conclusione che soltanto gli atti negoziali sui titoli che si concretizzano nell'utilizzazione della specifica informazione privilegiata da parte del creatore della stessa sarebbero illeciti: «non è possibile incriminare l'uso a livello mentale di un'informazione in sé e per sé – inteso, cioè, quale “progetto” o “scelta” avente alla base una determinata notizia – ma è possibile incriminare un atto negoziale connotato … dall'utilizzazione di un dato informativo» (A.F. Tripodi, Informazioni privilegiate e statuto penale del mercato finanziario, Padova, 2012, 328).