La revocabilità dell’ordinanza anticipatoria di condanna ex art. 186-bis c.p.c.

15 Dicembre 2017

Nella pronuncia in commento, la Corte di cassazione si è occupata di stabilire gli elementi caratterizzanti le ordinanze anticipatorie emesse ai sensi dell'art. 186-bis c.p.c., le conseguenze della revoca di tale ordinanza e l'ambito di operatività della disciplina di cui all'art. 282 c.p.c..
Massima

L'ordinanza di condanna al pagamento di somme non contestate, emessa ai sensi dell'art. 186-bis c.p.c., è un provvedimento endoprocessuale, privo di decisorietà in quanto revocabile e modificabile sia in corso di causa (artt. 177 e 178 c.p.c.), da parte dello stesso giudice che lo ha emesso, sia in sentenza, da parte del giudice che decide la causa e, dato il suo carattere anticipatorio, è insuscettibile di passare in cosa giudicata formale. Revocata l'ordinanza, vengono meno tutti i suoi effetti, e l'eventuale esecuzione forzata che sia stata intrapresa in forza di detto titolo esecutivo, che non sia ancora conclusa, diviene, per la caducazione sopravvenuta del titolo, illegittima ex tunc, in quanto l'esistenza di un valido titolo esecutivo costituisce presupposto dell'azione esecutiva stessa; una tale verifica deve essere compiuta in ogni stato e grado del giudizio.

Il caso

La Corte d'appello ha rigettato il gravame proposto dal creditore procedente avverso la decisione del tribunale che a sua volta aveva dichiarato l'illegittimità del pignoramento presso terzi e l'inesistenza del diritto del creditore a procedere in executivis in forza di ordinanza emessa ex art. 186-bis dal tribunale, successivamente revocata dallo stesso giudice nell'emettere la sentenza definitiva di declaratoria di difetto di giurisdizione. Con il primo motivo di impugnazione il ricorrente si duole (ai sensi dell'art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c.) della violazione e falsa applicazione/interpretazione dell'art. 282 c.p.c., nonchè dell'omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi dell'art. 360, comma 1 n. 5 c.p.c., per avere la Corte territoriale, facendo leva solo sul principio di revocabilità dell'ordinanza ridetta, erroneamenteinterpretato l'art. 282 c.p.c., che limitava la provvisoria esecutività alle sentenze di condanna, laddove quelle di accertamento (quale quella di difetto di giurisdizione) non avevano efficacia sino al loro passaggio in giudicato.

La questione

Le questioni principali in esame sono le seguenti: quali sono gli elementi caratterizzanti le ordinanze anticipatorie emesse ai sensi dell'art. 186-bis c.p.c.? Quali sono le conseguenze della revoca dell'ordinanza? Qual è l'ambito di operatività della disciplina di cui all'art. 282 c.p.c.?

Le soluzioni giuridiche

La Corte di cassazioneha ritenuto il motivo manifestamente infondato, richiamando in primo luogo il principio consolidato della revocabilità dell'ordinanza ex art. 186-bis c.p.c., provvedimento endoprocessuale insuscettibile di passare in giudicato; quello della caducazione ex tunc, in conseguenza della revoca, degli atti di esecuzione già compiuti, per il venir meno del titolo; ha poi ritenuto inconferente il richiamo alla disciplina dell'art. 282 c.p.c. al caso di specie, disposizione riferibile all'efficacia esecutiva delle sentenze di condanna.

L'ordinanza in esame desta interesse perchè attraverso il richiamo al principio consolidato di revocabilità dell'ordinanza anticipatoria emessa ai sensi dell'art. 186-bis c.p.c., segna implicitamente il diverso ambito di operatività di tale revocabilità e dei suoi effetti rispetto ad una intrapresa esecuzione, rispetto alla disciplina di cui all'art. 282 c.p.c., che sancisce la esecutività delle sole sentenze di condanna.

L'art. 186-bis c.p.c., introdotto dal legislatore del 1990 al fine di individuare istituti alternativi alla sentenza che fossero idonei, in tempi celeri, a costituire titolo esecutivo, prevede che il giudice, su istanza di parte e fino al momento della precisazione delle conclusioni, possa disporre, con ordinanza, il pagamento delle somme non contestate dalle parti costituite.

L'istanza può essere proposta anche fuori udienza; in tal caso il giudice deve instaurare il contraddittorio disponendo la comparizione delle parti ed assegnando un termine per la notificazione.

La domanda deve avere ad oggetto una somma di denaro; il richiamo esplicito alle parti costituiteimpone di ritenere che tale ordinanza non possa mai essere concessa in danno del contumace.

Più complesso è l'esame dell'ambito della non contestazione.

É evidente che deve trattarsi di una non contestazione che, sia pur implicitamente, sia desumibile dal complesso delle difese; non è sufficiente un comportamento meramente omissivo.

Oggetto della non contestazione devono essere, dunque, i fatti costitutivi della domanda, ma la non contestazione necessaria ai fini della emanazione della ordinanza in questione non deve essere accompagnata dalla proposizione di eccezioni di rito o di merito idonee in astratto a paralizzare una domanda, seppur fondata su fatti di per sé non contestati, potendo sempre il giudice negare l'emissione della ordinanza nel momento in cui rilevi una ragione processuale ovvero un fatto impeditivo, estintivo o modificativo del diritto.

Si tratta di un provvedimento non impugnabile, ma revocabile e modificabile nel corso del giudizio. L'ultimo comma dell'art. 186-bis c.p.c. prevede, infatti, che il provvedimento in questione è soggetto alla disciplina delle ordinanze revocabili di cui agli artt. 177, commi 1 e 2, e dell'art. 178, comma 1 c.p.c..

L'ordinanza costituisce titolo esecutivo e conserva la sua efficacia in caso di estinzione del processo.

L'ordinanza non è tuttavia vincolante in ordine alla debenza delle somme delle quali viene ordinato il pagamento, perché solo la sentenza che definisce il giudizio determina l'ammontare del debito; il debitore potrà agire in restituzione ex art. 2033 c.c. per le maggiori somme eventualmente corrisposte (Cass. civ., sez. I, 25 maggio 2005, n. 11023).

Nel caso esaminato è stata emessa l'ordinanza esecutiva anticipatoria nel corso del giudizio di cognizione; con sentenza è stato però dichiarato il difetto di giurisdizione, conseguentemente l'ordinanza anticipatoria è stata revocata.

Tale revoca secca non può che fa venir meno il diritto di procedere in executivis nonché l'efficacia esecutiva degli atti di esecuzione già compiuti.

Emerge allora l'inconferenza del richiamo che fa il ricorrente all'art. 282 c.p.c. ed alla efficacia esecutiva delle sole sentenze di condanna e non anche di quelle costitutive, quali quelle che dichiarano il difetto di giurisdizione, che hanno efficacia solo con il passaggio in giudicato: la questione non è l'efficacia della sentenza dichiarativa del difetto di giurisdizione sulla esecuzione in corso, ma quella della intervenuta revoca del titolo esecutivo che tale esecuzione sosteneva.

Il rilievo della Corte offre però lo spunto per segnare il passo sullo stato della giurisprudenza in punto di interpretazione dell'art. 282 c.p.c..

L'art. 282 c.p.c., nella formulazione decorrente dall'1.1.93 per effetto dell'art. 33 l. n. 353/1990, prevede che «la sentenza di primo grado è provvisoriamente esecutiva tra le parti».

La norma non fa distinzione tra le tipologie di sentenza ma la soluzione restrittiva, che limita l'efficacia esecutiva alle sentenze di condanna, è prevalsa nella giurisprudenza di legittimità tradizionale. É stato sostenuto che affinchè vi sia un'anticipazione dell'efficacia di accertamento e/o costitutiva della sentenza, rispetto al momento della formazione del giudicato formale è necessario che vi sia una specifica previsione normativa (si pensi all'art. 421 c.c. quanto all'efficacia delle sentenze costitutive di interdizione e di inabilitazione sin dalla loro pubblicazione).

L'esecuzione provvisoria ex art. 282 c.p.c. troverebbe attuazione solo in riferimento alle sentenze di condanna perché il concetto stesso di esecuzione postula un esigenza di adeguamento alla realtà del decisum che manca sia nelle pronunce di natura costitutiva che in quelle di accertamento (tra le tante Cass. civ., 24 marzo 1998, n. 3090).

Le aperture ad un indirizzo estensivo iniziano con la sentenza della Cass. civ., 26 gennaio 2005, n. 1619, secondo cui la disciplina dell'esecuzione provvisoria di cui all'art. 282 c.p.c. trova legittima attuazione anche con riferimento alle sentenze di condanna implicita, nelle quali l'esigenza di esecuzione della sentenza scaturisce dalla stessa funzione che il titolo è destinato a svolgere. Ne consegue, aggiunge la Corte, che è suscettibile di provvisoria esecuzione una sentenza costitutiva di una servitù ex art. 1051 (o 1052) c.c., allorché contenga tutti gli elementi identificativi in concreto della servitù.

Il medesimo principio è stato applicato anche con riguardo alle pronunce accessorie di condanna alle spese (cfr. Cass. civ., 3 agosto 2005, nn. 16262 e 16263; Cass. civ., 10 novembre 2004, n. 21367; conferma più recente dell'indirizzo è contenuta nella Cass. civ., sez. III, n. 1283/2010: «Ai sensi dell'art. 282 c.p.c., così come novellato dall'art. 33 l. n. 353/1990, la condanna alle spese del giudizio contenuta nella sentenza di primo grado comporta, in quanto tale ed in linea con la tendenza resa manifesta dal disposto dell'art. 669-septies, comma 3, c.p.c. (introdotto dalla stessa l. n. 353/1990), la provvisoria esecutività del relativo capo della sentenza, indipendentemente dalla natura - se di condanna, costitutiva o di mero accertamento - e dal contenuto (se di accoglimento, di rigetto o di altro tenore della domanda principale o riconvenzionale o del terzo) della decisione principale, cui la statuizione sulle spese accede»).

Si è poi lentamente giunti ad un cambio radicale di posizione, nel senso di ritenere che anche i capi delle sentenze di natura dichiarativa e costitutiva hanno efficacia in senso lato immediata e che non ha senso la distinzione tra pronunce di condanna pure e consequenziali poiché tutte le condanne presuppongono un accertamento, quand'anche implicito, con la sentenza della Cass. civ., 30 settembre 2007, n. 18512, nella quale viene, invece, stabilito che, nel caso di pronuncia di sentenza costitutiva ai sensi dell'art. 2932 c.c., le statuizioni di condanna consequenziali, dispositive dell'adempimento delle prestazioni a carico delle parti tra le quali la sentenza determina la conclusione del contratto, sono da ritenere immediatamente esecutive, ai sensi dell'art. 282 c.p.c., di modo che, qualora l'azione ex art. 2932 c.c. sia stata proposta dal promittente venditore, la statuizione di condanna del promissario acquirente al pagamento del prezzo è da considerare provvisoriamente esecutiva.

Secondo la dottrina, la sentenza ha sancito, dunque, l'estensione degli effetti dell'art. 282 c.p.c. a tutte le statuizioni condannatorie di primo grado, siano esse principali o strumentali a pronunce dichiarative o costitutive, ad eccezione dei casi in cui la legge preveda espressamente che l'effetto dichiarativo o costitutivo si produca successivamente al passaggio in giudicato (vedi accertamento o costituzione di status sopra richiamato), così facendo venir meno la distinzione tra pronunce condannatorie pure e consequenziali.

Da ultimo desta interesse la sentenza della Cass. civ., sez. III, 20 gennaio 2017, n. 1423 che, in parte motiva, ridimensiona la portata della sentenza del 2007 sopra citata argomentando che l'articolo 282 c.p.c., nello stabilire che la sentenza di primo grado «è provvisoriamente esecutiva», fa evidente riferimento, su un piano logico-semantico, «non a quel che si accerta, bensì a quel che può essere oggetto di una esecuzione forzata». Continua la Corte sostenendo che la giurisprudenza della Cassazione non ha affatto esteso quel che è proprio delle pronunce di condanna alle pronunce dichiarative e che la sentenza della Cass. civ., sez. III, 3 settembre 2007, n. 18512, sopra citata e ritenuta innovativa, in realtà non depone affatto in tal senso, concernendo comunque statuizioni di condanna; infatti, la indicata sentenza, laddove afferma che in caso di pronuncia di sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c., «le statuizioni di condanna consequenziali, dispositive dell'adempimento delle prestazioni a carico delle parti fra le quali la sentenza determina la conclusione del contratto, sono da ritenere immediatamente esecutive ai sensi dell'art. 282 c.p.c.», non fa altro che limitare l'esecutività antecedente al giudicato ai soli capi condannatori (vedi p. es. Cass. civ., sez. II, 26 marzo 2009, n. 7369 - per cui appunto le sentenze di accertamento non traggono dall'art. 282 c.p.c. efficacia anticipata rispetto al momento del passaggio in giudicato, poiché lo stesso art. 282 «nel prevedere la provvisoria esecuzione delle sentenze di primo grado, intende necessariamente riferirsi soltanto alle pronunce di condanna suscettibili secondo i procedimenti di esecuzione»).

Osservazioni

Ha chiarito la Corte di cassazione che il creditore, nel momento in cui inizia l'esecuzione sulla base di un titolo esecutivo non definitivo, evidentemente si accolla tutti i rischi connessi con la possibile successiva revoca dello stesso e quindi con l'intervenuta caducazione del titolo (arg. Cass. civ. n. 379/2010).

In applicazione del principio nulla executio sine titulo, è chiaro che il titolo deve esistere nel momento in cui l'esecuzione inizia e perdurare sino alla sua definitiva conclusione; l'eventuale sopravvenienza del titolo non sana la sua mancanza ab initio.

Il venire meno degli atti di esecuzione è fenomeno che non si ravvisa solo nella ipotesi di revoca della ordinanza anticipatoria di condanna in commento, ma anche nella ipotesi di accoglimento totale della opposizione a decreto ingiuntivo e di definitiva revoca del decreto stesso (sul punto da ultimo Cass. civ., sez. III, 2 febbraio 2017, n. 2727), salvi i limiti dettati, solo per questa ultima materia, dalla norma speciale di cui all'art. 653, comma 2 c.p.c., la quale dispone che «il titolo esecutivo è costituito esclusivamente dalla sentenza, ma gli atti di esecuzione già compiuti in base al decreto conservano i loro effetti nei limiti della somma o della quantità ridotta», di cui più avanti meglio si dirà.

Si ricorda che nel caso opposto di rigetto della opposizione del decreto ingiuntivo con conferma del decreto, come chiarito da concorde giurisprudenza di legittimità, il creditore non può agire, in esecuzione forzata contro il debitore, utilizzando, quale titolo esecutivo, la sentenza stessa di rigetto dell'opposizione al provvedimento monitorio. Tale provvedimento, infatti, non può essere considerato un titolo esecutivo, salvo che per ulteriori ed eventuali voci di condanna contenute. Solo per queste ultime la sentenza di rigetto vale quale titolo (Cass. civ. n. 19595/2013). Secondo la Suprema Corte, la sentenza di rigetto di un'opposizione a decreto ingiuntivo, di questo, dunque, confermativa, non ha natura e contenuto di condanna e non ha natura di titolo esecutivo; conseguentemente, non potendo integrare valido titolo esecutivo, essa non legittima un'esecuzione forzata contro il debitore. Il titolo da porre a base della esecuzione non potrà che essere lo stesso decreto ingiuntivo originariamente emesso.

Dunque, nell'ipotesi in cui sia stata integralmente respinta l'opposizione a decreto ingiuntivo non esecutivo, il titolo sul quale si fonda l'esecuzione non è la menzionata sentenza, bensì il decreto ingiuntivo stesso, la cui esecutorietà è collegata, appunto, alla sentenza. È quest'ultima, infatti, che sancisce indirettamente, con attitudine al giudicato successivo, la piena sussistenza del diritto azionato, nell'esatta misura e negli specifici modi in cui esso è stato posto in azione nel titolo. Al più, la sentenza potrà costituire titolo esecutivo soltanto per quelle eventuali voci di condanna in essa contenute che hanno formato oggetto di ulteriore accertamento nel corso del giudizio di merito.

In generale, poi, anche in caso di riforma o cassazione della sentenza vi è immediata caducazione degli atti esecutivi compiuti sulla base della sentenza riformata senza necessità di attendere il giudicato.

L'art. 336 c.p.c., disponendo che la riforma o la cassazione estende i suoi effetti agli atti ed ai provvedimenti dipendenti dalla sentenza riformata o cassata, comporta che, appena pubblicata ad es. la sentenza di appello, viene meno l'efficacia esecutiva della sentenza di primo grado nonché tutti gli atti di esecuzione, spontanei o coattivi, che divengono privi di giustificazione, legittimando la richiesta di restituzione o il ripristino dello status quo ante (Cass. civ., n. 2010/2002; Cass. civ., n. 2617/2006; Cass. civ., 12622/2010); dopo la riforma, il titolo è sempre la sentenza di appello che si sostituisce a quella di primo grado. Allora, dopo la riforma o cassazione della sentenza, l'esecuzione non può essere iniziata o continuata sulla base del titolo riformato o cassato, perché è venuto meno il titolo.

Non sempre però il venir meno del titolo comporta il venir meno di tutti gli atti di esecuzione già compiuti; vi sono rilevanti eccezioni.

La permanenza in vita degli atti di esecuzione già posti in essere, come già accennato, è espressamente prevista in materia di opposizione a decreto ingiuntivo dall'art. 653, comma 2 c.p.c., dettato in materia di accoglimento parziale dell'opposizione, il quale dispone che «il titolo esecutivo è costituito esclusivamente dalla sentenza, ma gli atti di esecuzione già compiuti in base al decreto conservano i loro effetti nei limiti della somma o della quantità ridotta».

A parte tale disposizione, nessuna norma regola espressamente l'ipotesi di successione o trasformazione dei titoli esecutivi giudiziali.

Ma una estensione della disciplina dettata dall'art. 653, comma 2, c.p.c. si legge nella sentenza della Cass. civ., sez. III, 18 aprile 2012, n. 6072; la Corte ha sancito che la disposizione di cui all'art. 653, comma 2 c.p.c., dettata in materia di opposizione a decreto ingiuntivo, costituisce espressione di un principio generale valido in tutti i casi in cui un provvedimento giurisdizionale provvisoriamente esecutivo, posto in esecuzione, venga modificato solo quantitativamente da un successivo provvedimento anch'esso esecutivo. Con la conseguenza che ove sopravvenga sentenza di appello che riformi la decisione di primo grado in senso solo quantitativo, il processo esecutivo non resta caducato ma prosegue senza soluzione di continuità.

Si parla, dunque, di effetto sostitutivo per cui ad un titolo, sempre laddove lo stesso sia stato almeno in parte confermato quantitativamente, succede un altro titolo e non viene meno l'efficacia esecutiva a sostegno del procedimento di esecuzione. Si legge nella sentenza cit. in parte motiva che «il conclamato effetto sostitutivo ex tunc della sentenza di secondo grado rispetto a quello di primo grado, a sua volta, tranne il caso di riforma integrale, non comporta affatto l'eliminazione dal mondo del diritto delle statuizioni contenute nella precedente, ma semplicemente la conferma delle stesse, che trovano però ora fonte nella successiva, con i medesimi presupposti e, in caso di mutamento solo quantitativo, solo con la modifica dell'entità del diritto effettivamente riconosciuto.

É allora nel regime dei rapporti tra titoli esecutivi successivi resi nello stesso processo e nel tendenziale effetto pienamente sostitutivo di quelli resi a cognizione piena rispetto a quelli anticipatori e di quelli di merito di secondo grado rispetto a quelli di primo che può rinvenirsi la giustificazione della persistenza, con effetto ex tunc, di un valido titolo esecutivo a favore del creditore, quando quello originario sia modificato solo quantitativamente. La sostituzione - o, secondo altre definizioni dottrinali, la consentita modifica o la trasformazione - del titolo esecutivo deve, beninteso, essere portata a conoscenza del giudice dell'esecuzione, al fine di parametrare l'oggetto di quest'ultima alla concreta entità del credito».

In conclusione, l'attuale sistema deve confrontarsi, nel regolare l'esecuzione e l'efficacia degli atti esecutivi, non solo con la efficacia esecutiva delle sentenze di primo grado, ma anche di provvedimenti condannatori di tipo diverso, aventi generalmente la forma dell'ordinanza, che vengono emessi prima della definizione del giudizio; la scelta legislativa di facilitare l'emissione di titoli esecutivi prima della decisione definitiva in un'ottica di tutela del credito e di velocità della soddisfazione effettiva, sconta però la minore stabilità degli effetti di una esecuzione intrapresa sulla base di titoli esecutivi non definitivi aventi forme variabili.

Sarà allora il creditore a decidere se accollarsi tutti i rischi di una revoca del titolo, nel momento in cui inizia l'esecuzione sulla base di un titolo esecutivo non definitivo.

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