La competenza giurisdizionale nel caso di minore bipolide residente all'estero

18 Dicembre 2017

Alla luce del criterio dell'interesse superiore del minore ed, in particolare, del principio della vicinanza, la giurisdizione sulle domande relative all'affidamento dei figli ed al loro mantenimento va devoluta al Giudice del luogo di residenza abituale del minore al momento della domanda, anche nel caso in cui tali istanze siano state proposte congiuntamente alla domanda di separazione giudiziale.
Massima

Deve escludersi che l'accettazione della giurisdizione italiana da parte della moglie nel giudizio di separazione personale abbia efficacia nel giudizio di revisione delle condizioni di separazione in relazione all'affidamento del figlio minore. Anche alla luce dell'art. 12, par. 2, lett. a, Reg. CE n. 2201/2003, i giudizi di separazione e di revisione delle relative condizioni sono autonomi. Il criterio di giurisdizione della residenza abituale, fondato sulla “vicinanza”, essendo volto a tutelare l'interesse superiore del minore, comporta l'esclusione della validità del consenso del genitore alla proroga della giurisdizione.

Il caso

La Corte di Cassazione, con ordinanza del 5 giugno 2017, si è pronunciata sul ricorso ex art. 41 c.p.c. per la modifica delle condizioni di separazione. In particolare, con decreto del 28 ottobre 2015, il presidente del competente Tribunale non aveva condiviso l'eccezione della resistente che, essendosi trasferita negli Stati Uniti con la figlia, aveva sollevato il difetto di giurisdizione del Giudice italiano. In base alla decisione, il provvedimento di modifica delle condizioni della separazione ha natura integrativa rispetto a quello di separazione, in relazione al quale la signora ha accettato la giurisdizione del Giudice italiano. Conseguentemente, l'ex moglie ha presentato un ricorso ex art 41 c.p.c. alla Suprema Corte.

La questione

Invocando la violazione dell'art.12, Reg. CE n. 2201/2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, la ricorrente sostiene che l'accettazione della giurisdizione del Giudice italiano nel procedimento di separazione sarebbe stato erroneamente riferito anche al successivo procedimento di revisione, quando invece l'art. 12, par. 2, lett. a, Reg. CE n. 2201/2003, prevede che la competenza, esercitata ai sensi del par. 1, «cessa non appena la decisione che accoglie o respinge la domanda di divorzio, separazione personale o annullamento del matrimonio sia passata in giudicato».

Viene sollevato altresì che il padre della minore, indipendentemente dal dato anagrafico, si è trasferito in un altro luogo dove ha avviato un'attività commerciale.

Rileva, infine, l'art. 37, l. n. 218 /1995, di riforma del diritto internazionale privato secondo cui la giurisdizione italiana sussiste anche quando uno dei genitori o il figlio è cittadino italiano o risiede in Italia. Tale norma sarebbe censurabile – per contrasto con gli artt. 10 e 25 Cost. – nella parte in cui non riconosce la primazia, affermata dalle fonti internazionali, della residenza abituale del minore.

Le soluzioni giuridiche

In via preliminare, la Corte ribadisce l'autonomia esistente tra il giudizio di separazione e il giudizio volto alla modifica delle condizioni ivi determinate. In particolare non è assolutamente condivisibile la tesi in forza della quale l'accettazione della giurisdizione italiana da parte della ricorrente nel giudizio di separazione personale riverbererebbe la sua efficacia anche nel giudizio di revisione. Tale dato trova riscontro nell'art. 12, par. 2, lett. a, Reg. CE n. 2201/2003. Inoltre alla luce della sentenza Corte di giustizia UE, 5 ottobre 2010, C-296/10, il criterio di attribuzione della giurisdizione fondato sulla vicinanza, dettato nell'interesse superiore del minore assume un rilievo tale da comportare anche l'esclusione della validità del consenso del genitore alla proroga della giurisdizione (Cass., S.U., 30 dicembre 2011, n. 30646).

La Corte sottolinea che l'azione, pure prospettata come modifica delle condizioni della separazione, è rivolta invero all'affidamento esclusivo della figlia al padre. Si tratta, dunque, di un caso qualificabile tra le questioni di responsabilità genitoriale, in cui la figlia minore, che possiede sia la cittadinanza italiana che quella americana, risiede abitualmente in uno Stato non membro dell'Unione europea.

Nelle ipotesi di doppia cittadinanza, ai fini delle questioni di giurisdizione e legge applicabile, i provvedimenti in materia di minori devono essere valutati in relazione alla funzione svolta (Cass., S.U., 9 gennaio 2001, n. 1). Essi rientrano nell'àmbito di applicazione dell'art. 42, l. 31 maggio 1995, n. 218, il quale rinvia alla Convenzione de L'Aja del 5 ottobre 1961.

In forza dell'articolo 4 di tale Convenzione, le misure adottate dal giudice dello Stato di cui il minore è cittadino prevalgono rispetto a quelle del luogo in cui abitualmente risiede. Tuttavia, la Corte di Cassazione ha avuto già occasione di precisare che non può applicarsi l'art. 4 della Convenzione nel caso di minore con doppia cittadinanza. In questi casi, deve prevalere il criterio della residenza abituale del minore anche con riguardo alla ipotesi in cui la stessa sia in uno Stato terzo (Cass., S.U., 19 gennaio 2017, n. 1310), poiché garantisce la preminenza dell'interesse del minore (Cass., 22 luglio 2014, n. 16648).

Alla luce dei suddetti principi, la Corte conclude affermando il difetto di giurisdizione del Giudice italiano in favore del giudice della residenza abituale della minore.

Osservazioni

La Corte interviene nel caso all'esame, statuendo, ai fini della giurisdizione, che il criterio prevalente in tema di «responsabilità genitoriale» sia quello della residenza abituale del minore. La preferenza verso tale criterio è legata all'interesse superiore dello stesso ed, in particolare, al principio della vicinanza, per cui sulle domande relative all'affidamento dei figli ed al loro mantenimento, malgrado siano proposte congiuntamente a quella di separazione giudiziale, la giurisdizione va devoluta al Giudice del luogo di residenza abituale del minore al momento della domanda (Cass., S.U., 7 settembre 2016, n. 17676).

L'affermazione che l'interesse del minore sia un principio di natura generale delinea un criterio che permette di valutare concretamente la peculiarità della situazione in cui il fanciullo versa, eventualmente anche derogando alle garanzie ritenute dal legislatore come astrattamente conformi allo stesso interesse.

Ad esempio, nel Reg. CE n. 2201/2003, in forza del più volte richiamato art. 12, Reg. 2003/2201/CE, la clausola generale dell'interesse del minore costituisce il requisito per la proroga della competenza. Ed, infatti, in deroga al criterio generale della residenza abituale del minore, le autorità giurisdizionali dello Stato membro in cui viene esercitata la competenza a decidere sulle domande di separazione, divorzio e annullamento, sono competenti anche per le domande relative alla responsabilità genitoriale che siano ricollegabili alle prime qualora almeno uno dei coniugi eserciti la responsabilità genitoriale sul figlio, la competenza sia stata accettata dai coniugi e dai titolari della responsabilità genitoriale e la proroga sia conforme all'interesse superiore del minore.

D'altro canto, ai sensi dell'art. 15, Reg. 2003/2201/CE, l'interesse del minore è uno dei requisiti per il trasferimento di competenza alle autorità di un altro Stato membro con il quale egli abbia un legame particolare e che siano più adatte a trattare il caso ed è sempre l'interesse del minore a restringere l'operatività dell'ordine pubblico come limite al riconoscimento delle decisioni straniere relative alla responsabilità genitoriale.

Parimenti, nella Convenzione de L'Aja del 5 ottobre 1961, sulla competenza delle autorità e sulla legge applicabile in materia di protezione dei minori, in Italia dichiarata applicabile in ogni caso dall'art. 42, l. n. 218/1995, è lo stesso interesse ad ispirare la scelta della residenza abituale quale criterio generale di giurisdizione, consentendo peraltro la deroga a tale criterio, qualora la sua applicazione determini in concreto un pregiudizio per il minore (art. 4, par. 1).

Come chiarisce l'ordinanza in commento, indipendentemente dall'autonomia esistente tra il giudizio di separazione e il giudizio volto alla modifica delle condizioni ivi determinate (nel caso all'esame trattasi più esattamente di un giudizio attinente alla responsabilità genitoriale), se l'interesse del minore è il criterio guida, rispetto ad esso cedono anche eventuali accordi fra i genitori (Cass., S.U., 30 dicembre 2011, n. 30646).

Altro profilo di grande interesse riguarda la situazione di doppia cittadinanza in capo alla minore che vive con la madre negli Stati Uniti.

La Convenzione de L'Aja del 1961 nulla dispone circa il funzionamento del criterio della legge nazionale del minore nelle ipotesi di doppia o plurima cittadinanza di quest'ultimo. Ed infatti, all'epoca in cui fu firmata la Convenzione, i casi di doppia cittadinanza, apparivano ipotesi di scuola atteso che il più delle volte la moglie acquisiva la cittadinanza del marito e, comunque, non la trasmetteva ai figli. Con l'affermarsi del principio di uguaglianza tra i sessi, oggi alla donna è consentito mantenere la propria cittadinanza e conseguentemente le coppie di diversa nazionalità trasmettono entrambe le cittadinanze ai figli. In Italia, prescindendo per ora dalle modifiche normative in corso di approvazione, è applicabile la legge n. 91/1992 che delinea diversi casi in cui è consentito avere più cittadinanze.

Richiamando precedenti giurisprudenziali (Cass., S.U., 19 gennaio 2017, n. 1310), la Corte dichiara che, nelle ipotesi di doppia cittadinanza, non può applicarsi l'art. 4 della Convenzione. Risulta pertanto applicabile l'art. 1 della stessa Convenzione, in forza del quale le autorità, sia giudiziarie che amministrative, dello Stato di residenza abituale di un minore sono competenti ad adottare misure tendenti alla protezione della sua persona o dei suoi beni. Sostanzialmente il criterio di giurisdizione della cittadinanza non appare soddisfacente nei casi di doppia cittadinanza e cede il passo ad un criterio di maggiore prossimità ovvero a quello di residenza effettiva ed abituale del minore.

Con riferimento ai profili di legge applicabile, è utile rimarcare che per la determinazione della cittadinanza, così come per i problemi posti dalla doppia cittadinanza, è necessario rinviare, ai fini della qualificazione, alle norme interne del foro di volta in volta competente. In particolare, il funzionamento del criterio in parola è regolato in Italia dall'art. 19, comma 2, l. n. 218/1995, secondo il quale se un soggetto ha più cittadinanze, si applica la legge dello Stato con cui è presente il collegamento più stretto, ma se tra le due cittadinanze vi è quella italiana, sarà quest'ultima a prevalere.

In altri termini, l'applicazione del collegamento più stretto consente di rendere applicabile la legislazione con cui il minore ha il legame più significativo. In tal senso è possibile affermare che la cittadinanza effettiva finisca con il coincidere con la localizzazione oggettiva, risultante dall'insieme dei legami tra il minore ed uno dei due Stati di cui è cittadino. E alla fine si ricade comunque nel giuoco della residenza abituale di cui in ordinanza.

Anche in queste ipotesi di doppia cittadinanza tuttavia è necessario applicare il più volte richiamato superiore interesse per bilanciare ed operare scelte opportune. Una simile valutazione, discrezionale e connessa, spesso, con elementi non giuridici, è sicuramente pacifica nell'applicazione uniforme delle convenzioni internazionali in materia di minori e per l'individuazione del giudice competente nelle controversie in materia di responsabilità genitoriale. Essa va estesa ai casi in cui rileva il criterio della cittadinanza del minore e quest'ultima sia di difficile individuazione poiché il fanciullo è bipolide, apolide o rifugiato.

Appare, infine, utile sottolineare che se l'applicazione dei titoli giurisdizionali contenuti nella parte matrimoniale del Regolamento 2003/2201/CE mostra la necessità di fornire risposte ai bisogni connessi alla libera circolazione e alla mobilità dei soggetti nello spazio europeo, la situazione cambia con riguardo alla parte relativa alla responsabilità genitoriale. In tale contesto il legislatore europeo ha ritenuto di porre in primissimo rilievo le esigenze connesse al minore. Pertanto i nodi interpretativi riguardanti questo àmbito vanno sciolti attraverso un'interpretazione che tenga conto di tali esigenze in chiave funzionalistica.

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