Notificazioni telematiche e soggetti privati: limiti e nuovi orizzonti

Valeria Bove
21 Dicembre 2017

Sulle notificazioni telematiche richieste dalle parti private la Suprema Corte mostra ancora segni di chiusura, intermezzati da alcune aperture, come nel caso in cui la notifica a mezzo PEC venga effettuata dal difensore dell'imputato a quello della persona offesa. E se invece già nei principi espressi dalla Suprema Corte vi fossero in nuce i segni di un ampliamento nel ricorso al telematico? È su questo che si interroga l'autrice, che propone una nuova lettura dei principi ed anche una serie di accorgimenti da adottare.
Le notificazioni telematiche effettuate dagli uffici giudiziari

Ai sensi dell'art. 16, d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla l. 17 novembre 2012, n. 221 le notificazioni penali a persona diversa dall'imputato, a norma degli artt. 148, comma 2-bis, 149, 150 e 151, comma 2, c.p.p., si effettuano dal 15 dicembre 2014 per via telematica, in concreto attraverso la PEC. Ne deriva che gli uffici giudiziari quando devono notificare un atto il cui destinatario non sia l'imputato persona fisica vi provvedono attraverso la Pec: ciò accade sicuramente per i difensori (nei cui confronti ci si interroga se le notificazioni debbano necessariamente ed esclusivamente avvenire per via telematica; si veda sul punto V. Bove, La Pec a soggetti diversi dall'imputato è la forma esclusiva di notificazione o un'alternativa privilegiata?, in ilPenalista.it) e, con alcune opportune cautele, nei confronti delle altre parti diverse dall'imputato, persona fisica.

Gli uffici giudiziari, salva dunque la notifica effettuata direttamente all'imputato persona fisica (Cass. pen., sez. IV, 22 dicembre 2016, n. 3336; Cass. pen., sez. IV, 19 settembre 2016, n. 40907; Cass. pen., sez. IV, 31 marzo 2016, n. 16622), non incontrano limiti nel procedere alle notificazioni degli atti attraverso la Pec: possono farlo o, accogliendo una certa interpretazione, devono farlo.

Le notificazioni telematiche effettuate dai privati ed indirizzate agli uffici giudiziari

Non

sembra invece allo stato

possibile, alla luce dell'attuale assetto normativo,

e del mancato richiamo all'

art. 152 c.p.p.

che regola le notifiche richieste dalle parti private, che il

difensore, o comunque una parte privata, possa effettuare comunicazioni e notificazioni a mezzo PEC

o trasmettere, sempre a mezzo PEC, alla A.G. ricorsi, copia di atti, richieste o comunicazioni.

Ed in questo senso sembra orientarsi attualmente la Suprema Corte, che sul punto adotta un'interpretazione rigorosa, soprattutto nei casi in cui, come si vedrà, il Legislatore, con una normativa specifica, fissa le forme e le modalità di trasmissione dell'atto.

Sicuramente

ciò non è possibile nel caso delle impugnazioni

(tanto quelle elencate dagli artt. 582 e 583 c.p.p., quanto le impugnazioni cautelari, cui si estende l'indicato regime in virtù del richiamo operato alle norme generali dall'art. 309, comma 4, c.p.p. e 310 c.p.p.), in cui si applica una normativa specifica, a nulla rilevando la garanzia della riferibilità dell'atto al suo apparente estensore, assicurata dall'utilizzo della posta elettronica certificata.

La Suprema Corte ha espresso a tal proposito il seguente principio di diritto: «È inammissibile

l'impugnazione cautelare proposta dal P.M. mediante l'uso della posta elettronica certificata (c.d. Pec

), in quanto le modalità di presentazione e di spedizione dell'impugnazione, disciplinate dall'art. 583 c.p.p. - esplicitamente indicato dall'art. 309, comma 4, c.p.p., a sua volta richiamato dall'art. 310, comma 2, c.p.p. - e applicabili anche al pubblico ministero sono tassative e non ammettono equipollenti, stabilendo soltanto la possibilità di spedizione dell'atto mediante lettera raccomandata o telegramma, al fine di garantire l'autenticità della provenienza e la ricezione dell'atto, mentre nessuna norma prevede la trasmissione mediante l'uso della PEC». (Cass. pen., sez. V, 5 marzo 2015, n. 24332, Pmt in proc. Alamaru e altri)

Si è quindi affermato, più di recente (Cass. pen., sez. II, 3 dicembre 2015, n. 12878), che le uniche alternative alla presentazione personale dell'atto di impugnazione consistono, secondo l'attuale regime normativo, nella spedizione con telegramma o con raccomandata, in quest'ultimo caso con la necessaria autentica della sottoscrizione della parte privata, e si è sostenuto che nessuna norma prevede la trasmissione mediante l'uso della Pec.

Secondo la Corte

le forme in materia di impugnazione e dunque le modalità di presentazione e di spedizione dell'impugnazione, applicabili anche al pubblico ministero, sono tassative

, non ammettono equipollenti e non sono superabili alla luce del disposto del d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 48 (che sancisce l'equiparazione della trasmissione di un documento informatico con la posta elettronica certificata, alla notificazione a mezzo posta), trattandosi di una norma che fa salva comunque la specialità delle normative di settore e che inoltre equipara i due sistemi come altrettanti mezzi di notificazione, attribuendovi quindi il valore di un meccanismo di conoscenza legale dell'atto notificato da parte dei destinatario, ma non anche l'effetto legale della certezza dell'identificazione dell'autore.

Questo orientamento, in tema di impugnazioni, è stato di recente ulteriormente ribadito.

Con ordinanza della sez. V, 27 ottobre 2016, n. 51961, F., è stato infatti demandato al Primo Presidente di valutare l'eventuale rimessione alle Sezioni unite della questione relativa all'utilizzabilità della posta elettronica certificata ad iniziativa di parte per proporre impugnazioni ed opposizioni, e tale questione è stata da questi respinta con provvedimento del 3 gennaio 2017, in quanto mancante di un'esplicita presa di posizione alternativa rispetto all'orientamento concorde della giurisprudenza nel senso dell'inammissibilità di una simile forma di spedizione dell'atto d'impugnazione, non contemplata dalle tassative forme indicate nell'art. 583 c.p..

Si tratta di un principio di diritto che non riguarda solo le impugnazioni: esso è stato affermato anche con riferimento al

deposito della lista testi

(cfr. Cass. pen., sez. III, 26 ottobre 2016, n. 6883) allorché si è precisato che «È inammissibile il deposito della lista testimoniale, mediante l'uso della posta elettronica certificata (PEC)» in quanto, in assenza di una espressa norma derogatoria - prevista invece per il giudizio civile dall'art. 16-bis, d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modifiche in legge n. 221/2012 - il deposito della lista testimoniale non può essere effettuato con modalità diverse da quelle prescritte dall'art. 468, comma 1, c.p.p. a pena di inammissibilità.

Nuovi possibili orizzonti

Se quindi tuttora la Cassazione continua, per le ragioni anzidette, ad escludere che le impugnazioni (o il deposito della lista testi) possano essere proposte con Pec, e ciò perché in queste ipotesi sussiste una normativa specifica che fissa forme e modalità di trasmissione,

non si può non riflettere sulla portata del principio espresso dalla Suprema Corte

, allorché afferma, da un lato, che la Pec garantisce la riferibilità della provenienza del file dal servizio amministrativo che lo spedisce, ne' più e ne' meno del fax e, dall'altro e più in generale, che il ricorso agli strumenti tecnici idonei può ritenersi ammissibile,

nei casi in cui le modalità di trasmissione non siano individuate in modo tassativo

, pur se in tali casi si onera la parte di accertarsi del regolare arrivo ed inoltro al giudice.

Sulla validità della Pec e sul fatto che la stessa

rientri a pieno titolo tra gli strumenti tecnici idonei

, la Corte esprime un orientamento ormai costante ed uniforme (in questo senso: Cass. pen., sez. V, 9 giugno 2016, n. 45000; Cass.pen., n. 45403/2015 e Cass pen., n. 11047/2016) e sotto questo profilo, l'assimilazione della Pec ai mezzi tecnici idonei è oggi vieppiù rafforzato dall'art. 2 del Cad (nella parte in cui prevede che «le disposizioni del presente Codice si applicano altresì al processo civile, penale, amministrativo, contabile e tributario, in quanto compatibili e salvo che non sia diversamente disposto dalle disposizioni in materia di processo telematico»), che sostiene quell'ampliamento del ricorso alla PEC previsto dall'art. 48, comma 2, Cad..

Ebbene

se questi principi vengono letti con un occhio al passato

, guardando a quanto accaduto con altri strumenti tecnici – nello specifico con il fax – quando, dopo un iniziale orientamento assolutamente restrittivo (espresso da Cass. pen., sez. V, 11 ottobre 2005, n. 38968; Cass. pen., sez. V, 12 dicembre 2005, n. 6696; Cass. pen., sez. V, 14 ottobre 2009, n. 46954; Cass. pen., sez. V, 19 novembre 2010, n. 11787; Cass. pen., sez. IV, 23 gennaio 2013, n. 21602; Cass. pen., sez. VI, 30 gennaio 2013, n. 28244) la Suprema Corte ha mostrato segni di apertura alle nuove tecnologie affermando che

la richiesta di rinvio per legittimo impedimento dell'imputato o del difensore (o il deposito di memorie o richieste delle parti ex

art. 121 c.p.p

.

)

, inviata a mezzo telefax non è irricevibile ne' inammissibile, trattandosi di una irregolare modalità di trasmissione, non può escludersi che una tale apertura si possa registrare anche

nel caso di trasmissione a mezzo posta elettronica.

Le situazioni infatti (utilizzazione del fax o della PEC) sono simili

, vertendo esse su modalità di invio dell'atto, di deposito dell'istanza – per esempio di rinvio - o di memorie e richieste ex

art. 121 c.p.p.

realizzate con strumenti tecnici che sono ritenuti idonei allo scopo.

Va da sé in ogni caso che se la Corte finisse con l'applicare i principi di diritto espressi a suo tempo per il fax anche alla PEC, ciò comporterebbe – come nel caso del fax –

l'onere, per la parte che intenda dolersi in sede di impugnazione dell'omesso esame della sua istanza, di accertarsi del regolare arrivo del fax o dell'email e del suo tempestivo inoltro

al giudice procedente e

lo esporrebbe quindi al rischio dell'intempestività,

nell'ipotesi in cui essa non venisse portata a conoscenza del giudice procedente (In questo senso, Cass. pen., sez. II, 5 novembre 2013, n. 9030; per la posta elettronica Cass. pen., sez. II, 7 novembre 2014, n. 47427; Cass. pen., sez. V, 16 ottobre 2014, n. 7706).

In altri termini, nei casi in cui le modalità di comunicazioni siano individuate in modo tassativo, come nell'ipotesi della specifica materia delle impugnazioni, tale tassatività non può ritenersi in alcun modo superabile; negli altri casi, laddove le forme e le modalità di trasmissione non siano oggetto di una normativa specifica, non sembra vi siano ostacoli ad ammettere che anche il privato possa notificare o comunicare con gli uffici giudiziari utilizzando la PEC, così come avviene con il fax, assumendo tuttavia su di se l'onore di accertarsi della regolarità della notifica e del suo tempestivo inoltro all'A.G. competente.

Quali accorgimenti adottare

Se prendesse corpo un'interpretazione nei termini appena descritti, essa, oltre a discostarsi dalla lettura testuale del dettato normativo (che sul punto è rimasto inalterato dalla data di entrata in vigore della normativa sulle notificazioni telematiche, valendo ancora per le comunicazioni e le notificazioni dei privati e dei difensori la previsione di cui all'art. 121 c.p.p., per la quale le memorie e le richieste delle parti devono essere presentate al giudice per iscritto mediante deposito in cancelleria) porrebbe non pochi e rilevanti problemi sul piano organizzativo:

si finisce infatti col richiedere, per evitare rischi di intempestività (che allo stato sono a carico di chi invia, ma non può escludersi, in un'ottica di efficienza del sistema, che essi ricadano su chi riceve l'atto), un'organizzazione da parte degli uffici giudiziari – soprattutto se di grosse dimensioni – tale per cui l'istanza trasmessa dalla parte privata venga tempestivamente smistata e quindi prontamente portata all'attenzione del giudice che procede

(In questo senso, Cass. pen., S.U., 27 marzo 2014, n. 40187).

In altri termini, è auspicabile che gli uffici giudiziari si organizzino per prevedere che l'atto inviato con Pec venga immediatamente protocollato e trasmesso direttamente al giudice che procede, non diversamente da quanto accade in caso di deposito di quell'atto in cancelleria.

Le notificazioni telematiche effettuate tra privati

Il discorso fin qui condotto investe prevalentemente le notificazioni o comunque le notificazioni che il privato effettua all'autorità giudiziaria.

Diverso è il caso in cui le parti private procedano ad utilizzare per le notifiche tra loro la trasmissione telematica.

In questo ambito,

l'

art. 48

, comma

2

,

del C

ad

è alla base di due significative decisioni adottate dalla

Suprema Corte (

Cass

.

pen

.,

sez. II

,

11 gennaio 2017

,

n. 6320

e

Cass

.

pen

., s

e

z. III

,

26 ottobre 2016 n. 6883

).

La Corte ha infatti affermato, con la prima decisione, che «È valida la notifica a mezzo pec che il difensore dell'imputato ha effettuato in favore del difensore della persona offesa, quando questa è richiesta a pena di inammissibilità dall'art. 299, comma 3, c.p.p., posto che la lettera raccomandata di cui può avvalersi il difensore ai sensi dell'art. 152 c.p.p., può essere sostituita dalla comunicazione a mezzo pec» e, più in generale con la seconda decisione, che «É valida la notifica effettuata, ai sensi dell'art. 152 c.p.p., mediante invio dell'atto da parte del difensore dell'imputato a quello della persona offesa tramite posta elettronica certificata (c.d. Pec), in quanto, in base all'art. 48, d.lgs. n. 82/2005, la trasmissione del documento informatico per via telematica equivale, salvo che la legge disponga diversamente, alla notificazione per mezzo della posta»

I principi espressi attengono all'

art. 152 c.p.p.

e, nello specifico, alla possibilità per le parti private di procedere alle notifiche telematiche tra loro.

È dunque evidente che, in relazione a questo ambito di notificazioni ex art. 152 c.p.p.,

inizia a profilarsi un orientamento giurisprudenziale nuovo

, che fa leva su quell'inciso «salvo che la legge disponga diversamente» contenuto all'art. 152 c.p.p. ed all'art. 48, comma 2, Cad, introdotto dall'art. 33, d.lgs. 30 dicembre 2010, n. 235 in luogo del precedente «nei casi consentiti dalla legge» ed esso riceve oggi ulteriore rafforzamento con la modifica introdotta all'art. 2 del Cad dal d.lgs., 26 agosto 2016, n. 179, nella parte in cui prevede che «le disposizioni del presente Codice si applicano altresì al processo civile, penale, amministrativo, contabile e tributario, in quanto compatibili e salvo che non sia diversamente disposto dalle disposizioni in materia di processo telematico».

È un orientamento, questo, che nei fatti “apre” molto al telematico

, anche se sembra necessario operare alcuni distinguo per evitare l'uso indeterminato e generalizzato della Pec, eventualmente anche nei casi in cui non vi sia un obbligo, per chi la riceve, di munirsi e di controllare la Pec.

In altri termini, l'orientamento espresso rappresenta una novità da guardare in termini positivi se la notificazione per via telematica avviene tra parti che hanno l'obbligo di munirsi di Pec (e di controllarle) ed è questo per esempio il caso esaminato dalla Suprema Corte, in cui veniva in rilievo la notifica effettuata dal difensore dell'imputato al difensore della persona offesa. Diversamente,

se un obbligo di tal fatta per la parte privata non è previsto

, non appare possibile ritenere comunque valida la notificazione con Pec,

ma sembra più appropriato condizionare la validità della notificazione al criterio del raggiungimento dello scopo

. Potrà allora ritenersi valida solo quella notificazione che sia stata, nei fatti ed in concreto, conosciuta e solo quando la conoscenza dell'atto ha messo la parte destinataria nelle condizioni di poter tempestivamente esercitare i suoi diritti e le sue facoltà; diversamente, se ciò non si è verificato, la parte si assume il rischio di vedersi dichiarare non valida la notificazione da lui effettuata, con tutti gli effetti che ne discendono.

In conclusione

L'ambito di applicazione delle modalità di trasmissione telematica delle notificazioni è dunque in continuo divenire

.

Se non sorgono dubbi sul fatto che le notificazioni da parte degli uffici giudiziari, dirette ai difensori, debbano avvenire con PEC e se nulla impedisce che si ricorra alla PEC anche nei casi di notificazioni (da parte degli uffici giudiziari) agli altri soggetti privati diversi dall'imputato persona fisica, gli scenari che si aprono e che si potranno aprire con riferimento alle notificazioni richieste dalle parti privati dipenderanno dalla lettura che della normativa di riferimento farà la Corte e dall'apertura (o meno) che deciderà di adottare.

In ogni caso, sia se si arriverà a ritenere ammissibili le notificazioni trasmesse dalle parti private agli uffici giudiziari, sia se si amplierà il ricorso al telematico nei casi di notificazioni tra parti private, sarà necessario o onerare la parte che invia del controllo sul buon esito della trasmissione, apprestando, contestualmente, una serie di accorgimenti organizzativi (nel primo caso) o applicare i principi generali del raggiungimento dello scopo (nel secondo caso).

In altri termini non basterà, in questi casi, inviare l'atto con modalità telematiche, ma sembra auspicabile contemperare queste nuove modalità con l'esigenza di assicurare l'effettiva conoscenza da parte del destinatario dell'atto trasmesso.

Guida all'approfondimento

R. Carrelli Palombi, Inammissibile l'utilizzo della Pec per le parti private, in ilpenalista.it;

L. Giordano, È valida la notifica a mezzo PEC effettuata dal difensore dell'imputato a quello della persona offesa? in ilprocessotelematico.it;

V. Rossi, La pec nel processo penale: un cammino tortuoso, in Osservatorio sulla Corte di cassazione, Archivio Penale 2017, n. 2;

A. A. Salemme, Le ultime della Suprema Corte sull'impiego della PEC per proporre impugnazioni ed opposizioni;

A. A. Salemme, Nuovi orizzonti per l'impiego della Pec nel procedimento penale.

*Fonte: www.ilpenalista.it.

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