Mutamento della destinazione della cosa locata

Roberta Nardone
02 Gennaio 2018

L'istituto viene esaminato partendo dal rispetto della destinazione d'uso del bene come uno degli obblighi del conduttore. La ratio della norma è quella di applicare agli immobili locati il regime giuridico corrispondente al loro uso effettivo onde evitare che il locatore venga a subire, per iniziativa del conduttore, una disciplina del rapporto diversa da quella convenzionalmente pattuita.
Inquadramento

Il rispetto della destinazione d'uso del bene costituisce uno degli obblighi del conduttore. L'art.1587, n. 1), c.c. prescrive, infatti, che il godimento del bene abbia luogo nell'ambito dell'uso determinato nel contratto o per l'uso che può altrimenti presumersi dalle circostanze. La destinazione del bene rappresenta quindi una specificazione del godimento o, meglio, il confine entro cui questo deve attuarsi. L'art.80 della l. 392/1978, norma non abrogata espressamente dalla l. n.431/1998, stabilisce che se il conduttore adibisce l'immobile ad uso diverso da quello pattuito, il locatore può chiedere la risoluzione del contratto entro tre mesi dal momento in cui ha avuto conoscenza del mutamento di destinazione. La disposizione, pertanto, predetermina la gravità dell'inadempimento a fini risolutori, individuando, quale unico criterio rilevante a tal fine, il semplice cambio di destinazione. Decorso il termine trimestrale senza che la risoluzione sia stata chiesta, al contratto si applica il regime giuridico corrispondente all'uso effettivo dell'immobile. Qualora la destinazione ad uso diverso da quello pattuito sia parziale, al contratto si applica il regime giuridico corrispondente all'uso prevalente. La ratio della norma è quella di applicare agli immobili locati il regime giuridico corrispondente al loro uso effettivo onde evitare che il locatore venga a subire, per iniziativa del conduttore, una disciplina del rapporto diversa da quella convenzionalmente pattuita.

In evidenza

Il concetto di «uso diverso da quello contrattuale», che legittima il locatore a chiedere la risoluzione del contratto con la specifica azione di cui all'art. 80 cit., nei limiti temporali ivi fissati e a pena di decadenza, non si identifica con qualsiasi mutamento di destinazione, bensì solo con quello che comporti un corrispondente mutamento di regime giuridico, ferma restando l'esperibilità della comune azione di risoluzione per inadempimento per le diverse ipotesi di cambiamento della destinazione della res locata.

L'inosservanza dell'obbligo di destinare la cosa all'uso pattuito dà titolo alla risoluzione del contratto ove determini una rilevante alterazione dell'equilibrio sinallagmatico, ove si tratti cioè di un inadempimento di non scarsa importanza a norma dell'art.1455 c.c. all'uopo il giudice potrebbe essere chiamato a valutare la rispondenza sinallagmatica tra canone e attività consentita. Di certo la risoluzione del contratto potrebbe essere pronunciata solo ove la nuova destinazione si sostituisca all'originaria prevalendo definitivamente su di essa, non potendo rilevare una situazione temporanea e precaria.

Se la violazione degli obblighi contrattuali da parte del conduttore importa sì una variazione della destinazione d'uso, tale però da non comportare anche un «mutamento di regime giuridico», non si applica l'art.80 della l. 392/1978 la Suprema Corte è decisamente meno rigorosa nel ravvisare nella condotta del locatore gli estremi utili a convalidare la condotta illegittima della controparte (Cass. civ., sez.III, 26 luglio 2002, n.11055).

Ad ogni altra ipotesi di uso arbitrario dell'immobile resta, infatti, applicabile l'ordinaria disciplina prevista dal codice civile in tema di risoluzione del contratto per inadempimento di una delle obbligazioni principali del conduttore - il servirsi, cioè, della cosa per l'uso convenuto - da valutarsi alla stregua dell'ordinaria disciplina del codice civile, salvo che il locatore non si avvalga, ai sensi dell'art. 1456 c.c., della clausola risolutiva espressa, nel quale ultimo caso il giudice non è tenuto ad effettuare alcuna indagine sulla gravità dell'inadempimento, avendo le parti preventivamente valutato che l'uso diverso dell'immobile locato determina l'alterazione dell'equilibrio giuridico-economico del contratto (Cass. civ., sez.III, 14 ottobre 2008, n. 25141).

Mutamento di destinazione e mutamento di regime giuridico

L'azione di cui all'art.80 l. equo canone presuppone, invece, il «mutamento di regime giuridico», che il rapporto subisca per effetto del diverso uso dei locali fatto dal conduttore rispetto a quanto pattuito. La Cassazione si è divisa tra due orientamenti.

APPLICAZIONE DELL' ART. 80 L. 392/1978: ORIENTAMENTI A CONFRONTO

Passaggio di regime

Solo nel caso di passaggio dalla disciplina per le locazioni abitative a quella delle locazioni ad uso diverso da abitazione e viceversa si applica l'art. 80 l. eq. can. (Cass. civ., sez. III, 16 novembre 1994, n. 9689).

Qualsiasi mutamento

Qualsiasi “mutamento” è rilevante, e dunque anche quando ciò avviene all'interno di una specifica tipologia di locazione. In base a questa tesi l'art.80 citato è applicabile quando il diverso uso dei locali praticato dal locatore comporta il passaggio da un'attività da cui non scaturisce l'indennità per la perdita dell'avviamento ad un'altra attività che invece la prevede (Cass. civ., sez. III, 15 febbraio 2005, n. 2976).

L'orientamento più recente è stato ribadito dalla Corte Suprema (Cass. civ., sez.III, 17 gennaio 2017,n.969) che ha precisato che la norma contenuta nell'art. 80 si applica anche al mutamento che trasforma l'uso di immobile, previsto per le esigenze abitative transitorie del conduttore, in quello diverso di abitazione utilizzata per destinazione abitativa stabile e viceversa. Si è ritenuto che tale norma tuteli un interesse assolutamente estraneo a quello del locatore, identificabile con l'esigenza di assicurare l'effettivo rispetto delle tipologie normative. Cosicché il mutamento di destinazione dell'immobile, da un uso protetto dalla l. 392/1978 a un uso per così dire «neutro» e viceversa, rientra nella previsione del suddetto art. 80. L'aggiunta di una diversa attività a quella originariamente pattuita non comporta l'applicabilità della citata norma, ma va riguardata sotto il profilo dell'inadempimento del conduttore da valutarsi alla stregua dell'ordinaria disciplina del codice civile, con la conseguenza che ha carattere di gravità solo ove si traduce in una rilevante violazione del contratto in relazione alla volontà dei contraenti, alla natura e alle finalità del rapporto nonché all'interesse del locatore.

Anche recentemente, i giudici di legittimità (Cass.civ., sez. III, 10 marzo 2010, n. 5767) hanno, infatti, ribadito, in tema di locazioni abitative, che la norma dell'art. 80 della l. n.392/1978 essendo diretta ad evitare che venga elusa la disciplina fissata per le diverse tipologie locative, va riferita a tutti i casi in cui la variazione comporti l'applicazione di una diversa disciplina e, quindi, anche nel caso di mutamento dall'uno all'altro sottotipo di locazione abitativa di cui all'art. 26, lett. a), l. n. 392/1978 e finanche in quello in cui il mutamento di destinazione produca effetti più sfavorevoli per il conduttore, restando estranei alla norma in questione solo quei cambiamenti d'uso dai quali non derivi innovazione nella disciplina giuridica del rapporto ed in relazione ai quali è configurabile solo un inadempimento contrattuale legittimante il ricorso alla ordinaria azione di risoluzione prevista dall'art. 1453 c.c.

L'azione di risoluzione

La risoluzione del contratto è collegata al semplice mutamento di destinazione, considerato inadempimento grave per presunzione di legge e non più per valutazione del giudice. All'inerzia del locatore il quale non richieda la risoluzione del contratto nel termine di tre mesi, è attribuita efficacia sanante dell'inadempimento, con conseguente assoggettamento del contratto alla disciplina normativa conforme all'effettiva utilizzazione dell'immobile (Cass.civ., sez.III, 15 febbraio 2005, n. 2976). Poiché la diversa destinazione dell'immobile è quella che si realizza in concreto con l'effettivo diverso uso della cosa locata, è solo da tale momento che comincia a decorrere il termine perentorio per chiedere la risoluzione del contratto, non potendo venire in rilievo, a tal fine, una situazione di semplice conoscenza della sola intenzione del conduttore.

Tale interpretazione è conforme all'impianto complessivo della suddetta norma che esige l'effettiva conoscenza da parte del locatore (Cass.civ., sez.III, 10 marzo 2010, n. 5767) e si configura necessariamente in rapporto a una situazione concreta e attuale di uso diverso, e non a un progetto di mutamento di destinazione che il conduttore potrebbe anche non attuare (Cass.civ., sez.III, 21 febbraio 2006 n. 3683).

Per effetto dell'intervento della Corte Costituzionale (18 febbraio 1988, n.185), il termine trimestrale - entro cui il locatore deve reagire alla condotta del conduttore - scatta solo quando il primo ha avuto effettiva conoscenza di quanto il secondo ha posto in essere.

Ciò impone allora di distinguere se, in pendenza del rapporto, il locatore ha o meno appreso del mutamento di destinazione. Solo quando tale consapevolezza sia venuta in essere, si applica il disposto dell'art.80 cit.

Il decorso del termine di decadenza di cui all'art. 80 della l. 27 luglio 1998, n. 392, per mancato esercizio da parte del locatore dell'azione di risoluzione del contratto entro tre mesi dall'avvenuta conoscenza, non è rilevabile d'ufficio dal giudice, dovendo la parte interessata, nel sollevare l'eccezione, manifestare chiaramente la volontà di avvalersi dell'effetto estintivo dell'altrui pretesa, ricollegato dalla legge al decorso di un certo termine (Cass. civ., sez.VI, 4 agosto 2011, n.17005). Se il conduttore muta l'uso pattuito dell'immobile e il locatore non esercita l'azione di risoluzione entro tre mesi da quando ne è venuto a conoscenza, il silenzio del locatore viene interpretato come implicito consenso al mutamento d'uso, con effetti novativi del precedente rapporto e applicazione ad esso del regime giuridico corrispondente all'uso effettivo, con decorrenza dalla scadenza del termine per proporre l'azione di risoluzione (Cass. civ., sez. III, 27 giugno 2002, n. 9356). Per aversi una manifestazione di volontà, sia pure tacita, del locatore, diretta a convalidare l'illegittima situazione posta in essere dal conduttore con il mutamento della destinazione dell'immobile locato, è necessario che sussistano elementi concreti ed atti inequivoci tali che, nel comportamento delle parti, possa individuarsi la volontà derogatrice della clausola circa l'uso contrattuale convenuto. A tal fine, la semplice tolleranza, ed anche la stessa scienza ed inerzia, del locatore non costituisce acquiescenza del medesimo in ordine al mutamento di fatto nella destinazione dell'immobile, posto arbitrariamente in essere dal conduttore, in contrasto con i patti contrattuali.

Pertanto, ove il proprietario non abbia tempestivamente esperito a norma dell'art. 80 della l. n. 392/1978 l'azione di risoluzione del contratto a seguito del mutamento di uso da parte del conduttore, posto che il mancato esercizio di detta azione di risoluzione deve essere interpretato come implicito consenso al mutamento d'uso , ai fini del riconoscimento del diritto di prelazione di cui all'art. 38 della citata legge rileva la destinazione effettiva dell'immobile locato, ove lo stesso venga successivamente utilizzato per lo svolgimento di attività comportanti contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori, e non quella diversa originariamente pattuita. Ne consegue che il conduttore che si voglia avvalere della facoltà di prelazione è tenuto a provare, oltre all'intervenuto mutamento della destinazione, l'avvenuta decorrenza del termine a disposizione del locatore per proporre l'azione di risoluzione (Cass. civ., sez.III, 19 gennaio 2010, n.699).

Uso prevalente e regime giuridico applicabile

Nel contratto di locazione le parti possono stabilire che l'immobile locato sia destinato a più usi; in tal caso, ai fini dell'individuazione del regime giuridico applicabile, il giudice dovrà accertare l'uso prevalente con riguardo alla volontà delle parti, a meno che, avendo il conduttore per propria arbitraria iniziativa adibito l'immobile a un uso diverso, non debba assumere rilievo l'uso effettivo (Cass. civ., sez.III, 16 giugno 2003, n.9612). Anche per le locazioni non rientranti nell'ambito della l. n. 392/1978 il mutamento dell'uso pattuito in uno di quelli da essa previsti, determina, nell'inerzia del locatore, il passaggio di regime giuridico di cui all'art. 80, comma 2 della legge cit.

Le pattuizioni circa la destinazione dell'immobile

La Suprema Corte ha ribadito ripetutamente (Cass.civ., sez.III, 20 settembre 2006, n.20331) che rientra nella disponibilità delle parti - e non incorre nella nullità assoluta di cui all'art. 79 della l. n. 392/1978 - stabilire quale debba essere in concreto la destinazione da dare all'immobile locato sicché, come nell'uso abitativo non contrasta con la suddetta norma l'espressa previsione che l'immobile debba servire non a dimora stabile del conduttore ma a realizzare altre sue esigenze di natura transitoria o turistica, così nell'uso non abitativo è concesso ai contraenti di escludere la possibilità di usare l'immobile locato come luogo aperto al pubblico degli utenti e dei consumatori..

La giurisprudenza di legittimità su questo punto è del tutto univoca nello stabilire che, qualora sia contrattualmente stabilita una destinazione dell'immobile locato ad attività che non comporti il contatto diretto con il pubblico degli utenti e dei consumatori, e il conduttore reclama il riconoscimento della propria tutela privilegiata consistente nel diritto all'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale, o il diritto di prelazione e di riscatto in caso di alienazione dell'immobile locato, affinché la non corrispondenza tra la realtà effettiva e il contenuto pattizio del contratto possa assumere rilevanza occorre che il conduttore faccia valere la simulazione relativa, configurabile nel caso in cui risulti simulata la volontà delle parti di destinare l'immobile locato ad attività che non comportino il contatto diretto con il pubblico degli utenti e dei consumatori, e risulti dissimulata la volontà contraria.

Uso promiscuo

Sul piano pratico, si pone qualche difficoltà in una peculiare ipotesi, e cioè quando l'immobile viene adibito ad uso promiscuo. Con tale terminologia non si intende l'ipotesi del proprietario di due ben separate unità immobiliari site nel medesimo palazzo, entrambe locate allo stesso soggetto ma di cui una sia ad uso abitativo e l'altra no. Trattasi, infatti, di due distinti rapporti, ciascuno soggetto alla sua peculiare disciplina. Il concetto di uso promiscuo si riferisce al medesimo immobile di cui una porzione utilizzata per finalità abitative e la rimante ad uso diverso, senza tuttavia la possibilità di scinderle materialmente. Oppure si pensi al caso del conduttore che lavora nel medesimo alloggio dove vive.

In tali circostanze, secondo la giurisprudenza si deve avere riguardo all'uso prevalente, che va a regolamentare l'intero rapporto. Il problema si sposta allora nel determinare quale esso sia, attraverso una indagine sul caso specifico ed un conseguente apposito giudizio di merito (Cass. civ., sez.III,18 maggio 1993, n.5632).

La pattuizione di un uso promiscuo non deve essere un modo per aggirare le norme di legge imperative, prospettando come promiscuo un rapporto che tale non è ovvero attribuendo convenzionalmente prevalenza a quanto non è nella realtà (Cass. civ., sez.III, 16 giugno 2003, n. 9612).

In effetti, anche per rapporti di uso promiscuo si pongono gli stessi problemi circa l'eventuale simulazione originaria ovvero del mutamento d'uso durante il corso del rapporto, come evidenziato dalla Cass. civ., sez.III, 9 giugno 2005, n.12120.

Costituisce, difatti, ius receptum della Suprema Corte il principio secondo il quale l'applicabilità in via analogica della disposizione di cui all'art.80 della l. sul c.d. sull'equo canone va estesa alle ipotesi di uso promiscuo contrattualmente convenuto dalle parti (ex multis, v. Cass. civ., sez.III, 14 novembre 1997, n. 11266; Cass. civ., sez.III, 3 giugno 1993, n. 6223), di talché nel caso in cui l'uso promiscuo dell'immobile locato sia previsto dal contratto, il rapporto, per applicazione analogica del criterio indicato dall'art. 80, ultimo comma, della l. 21 luglio 1978, n.392, deve considerarsi regolato dall'uso prevalente voluto dalle parti a meno che, avendo il conduttore adibito l'immobile per un uso diverso, non debba assumere rilievo l'uso effettivo, secondo là previsione del richiamato art. 80. Pertanto, quando l'uso promiscuo è stato previsto dalle parti, il giudice, per stabilire quale regime giuridico debba essere applicato al contratto, deve anzitutto accertare la volontà delle parti in ordine all'uso e solo nel caso in cui sia dedotta una utilizzazione effettiva secondo un rapporto di prevalenza diverso, può procedere all'accertamento di quest'uso per determinare, secondo le disposizioni dell'art. 80 della legge sull'equo canone, il diverso regime giuridico eventualmente applicabile.

Guida all'approfondimento

De Tilla, Mutamento d'uso e locazione abitativa, in Arch. loc. e cond., 2010, fasc. 6, 620;

Di Marzio - Falabella, La locazione, Torino, 2001;

Carrato - Scarpa, Le locazioni nella pratica del contratto e del processo, Milano, 2016;

Di Marzio, L'oggetto del godimento e gli statuti locatizi, in La locazione, ne Il diritto privato nella giurisprudenza, a cura di Cendon, Milano, 2005.

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