Cooperazione colposa. Le problematiche ancora aperte e le soluzioni della giurisprudenza

10 Gennaio 2018

La previsione espressa del concorso nel delitto colposo non ha ovviamente risolto tutti i problemi ermeneutici esistenti in subiecta materia. Uno degli aspetti più dibattuti consiste nella individuazione della linea di confine tra il concorso nel delitto colposo – o cooperazione colposa, usando le parole dell'art. 113 c.p. – e il concorso di cause colpose indipendenti, previsto dall'art. 41, comma 3, c.p.
Abstract

Il tema della compatibilità tra concorso di persone e reato colposo diede luogo ad ampi dibattiti tra gli studiosi del diritto penale già durante la vigenza del codice penale del 1889.

Tenendo a mente le dispute, presenti nella letteratura penalistica al momento della codificazione, ben si comprende la scelta del Legislatore del 1930 di disciplinare un'autonoma figura di concorso colposo all'art. 113 c.p. (rectius, di cooperazione colposa)

Inquadramento dell'istituto

Nonostante la previsione di una norma ad hoc, ancora oggi, si riscontrano nel panorama dottrinale voci che ravvisano nella cooperazione colposa, anziché una vera e propria figura di concorso di persone, una forma c.d. impropria di concorso eventuale. Si afferma, in particolare, che se è vero che il concorso di persone nel reato è connotato, fra l'altro, dalla volontà di cooperare nella realizzazione di un dato reato, la cooperazione nel delitto colposo non può essere qualificata come vera e propria ipotesi di compartecipazione criminosa, poiché in essa la convergenza della volontà riguarderebbe una parte soltanto del fatto che costituisce reato (id est, la condotta esteriore, giammai l'evento che, per definizione, in caso di colpa è non voluto) (ANTOLISEI; PATERNITI).

Parte degli Autori dubita, inoltre, dell'ammissibilità di un concorso colposo nelle contravvenzioni colpose, argomentando dal tenore letterale dell'art. 113 c.p., nel quale si fa riferimento alla cooperazione nel solo delitto colposo (ALICE; ANGIONI; BOSCARELLI; MARINI).

È d'uopo comunque rilevare come la posizione prevalente sia in letteratura che in giurisprudenza (ex plurimis, Cass. pen., Sez. III, 7 novembre 1990, Polimeno, in Cass. Pen. 1992, 1209 ss.) ritenga il concorso colposo nelle contravvenzioni ammissibile.

In tal senso si osserva anzitutto che la norma di cui all'art. 113 c.p. è una disposizione necessaria per dare rilievo al concorso colposo per i delitti colposi, posto che la responsabilità per colpa per i delitti – ai sensi dell'art. 42, comma, 2 c.p. – esige una previsione espressa.

Oltre a ciò, si ricorda giustamente che la rilevanza del concorso colposo nelle contravvenzioni discende dall'art. 110 c.p., che – come noto – parla di concorso nel reato, abbracciando di conseguenza anche le contravvenzioni necessariamente colpose o in concreto commesse per colpa (DOLCINI-MARINUCCI).

Struttura dell'illecito colposo

Sotto il profilo sistematico, tre elementi contribuiscono ad integrare la struttura della cooperazione colposa:

a) la non-volontà di concorrere alla realizzazione del fatto criminoso (elemento negativo che distingue la cooperazione colposa dal concorso doloso);

b) la volontà di concorrere (materialmente o psicologicamente) alla realizzazione della condotta (comune o altrui), contraria a regole cautelari e causa dell'evento non voluto: se soltanto uno dei soggetti agenti è consapevole di cooperare con l'altrui condotta, il regime delineato dall'art. 113 c.p. andrà applicato soltanto a lui, non anche al soggetto ignaro (si parla in tal caso di cooperazione unilaterale; si all'esempio di scuola, in cui Tizio istighi Caio, daltonico, a passare con il semaforo rosso); nel caso in cui manchi tale liaison di tipo psicologico tra le rispettive condotte, ciascuno risponderà della fattispecie monosoggettiva tipica, se la propria condotta ne avrà integrato gli estremi; non occorre, invece, la sussistenza di un eventuale accordo preventivo tra i soggetti impegnati nelle condotte criminose.

Il principio de quo è stato affermato in una recente pronuncia relativa ad una gara di velocità posta in essere tra due automobilisti: nel caso di specie, la decisione di gareggiare ha assunto rilevanza penale (con la conseguenza di poter imputare a ciascuno dei soggetti dei soggetti in gara le conseguenze degli incidenti stradali provocati – nel corso della gara – dagli altri concorrenti, e non soltanto in prima persona) anche se presa estemporaneamente – in strada –, da persone che prima non si conoscevano, ma che (per iattanza, vanteria, reazione ad un sorpasso ma digerito) abbiano improvvisamente deciso di sfidarsi (Cass. pen., Sez. IV, 9 luglio 2004, n. 40205). Appare importante ricordare inoltre una recentissimo arrêt della Corte di legittimità che – sempre con riferimento ad una fattispecie di colpa stradale – ha insegnato che per aversi cooperazione nel delitto colposo, non è necessaria la consapevolezza dell'altrui condotta, né la conoscenza dell'identità delle persone che cooperano, essendo sufficiente la coscienza dell'altrui partecipazione nello stesso reato, intesa come consapevolezza, da parte dell'agente, del fatto che altri soggetti – in virtù di un obbligo di legge, di esigenze organizzative correlate alla gestione del rischio, o anche solo in virtù di una contingenza oggettiva e pienamente condivisa – sono investiti di una determinata attività, con una conseguente interazione rilevante anche sul piano cautelare, nel senso che ciascuno è tenuto a rapportare prudentemente la propria condotta a quella degli altri soggetti (Cass. pen., Sez. IV, 13 aprile 2016, n. 15324). In subiecta materia non si può inoltre non rammentare la nota pronuncia delle Sezioni unite nel caso Thyssen Krupp che ha ravvisato l'ubi consistam della cooperazione colposa in «un legame ed un'integrazione tra le condotte che opera non solo sul piano dell'azione, ma anche sul regime cautelare, richiedendo a ciascuno di rapportarsi, preoccupandosene, pure alla condotta degli altri soggetti coinvolti nel contesto. Tale pretesa d'interazione prudente individua il canone per definire il fondamento ed i limiti della colpa di cooperazione. La stessa pretesa giustifica la deviazione rispetto al principio di affidamento e di autoresponsabilità, insita nell'idea di cooperazione colposa» (Cass. pen., Sez. unite, 18 settembre 2014, n. 38343).

c) La previsione, o la prevedibilità ed evitabilità, dell'evento criminoso non voluto (sul punto occorre trasporre gli insegnamenti della penalistica con riferimento alla realizzazione monosoggettiva del reato).

Le questioni attualmente sul tappetto: il discrimen tra cooperazione colposa e concorso di cause indipendenti

La previsione espressa del concorso nel delitto colposo non ha ovviamente risolto tutti i problemi ermeneutici esistenti in subiecta materia.

Uno degli aspetti più dibattuti consiste nella individuazione della linea di confine tra il concorso nel delitto colposo – o cooperazione colposa, usando le parole dell'art. 113 c.p.e il concorso di cause colpose indipendenti, previsto dall'art. 41, comma 3, c.p.

Tale distinzione ha, a ben vedere, importanti ricadute in termini di disciplina, giacché solo alle ipotesi di cooperazione colposa sono applicabili le norme di cui agli artt. 113 comma 2, 114, 118, 119, 123, 155 comma 2, 187 co. 2 c.p. (sul punto si rinvia a BORGHI).

Una prima posizione che può scorgersi in dottrina ritiene tale distinzione in realtà solo apparente, sostenendo segnatamente che gli artt. 113 e 41, comma 3, c.p. individuerebbero istituti tra loro sostanzialmente omogenei e sovrapponibili e che il preteso elemento distintivo – id est, la consapevolezza di cooperare – non troverebbe fondamento né nel diritto positivo, né in ragioni di principio (BOSCARELLI).

L'orientamento prevalente in dottrina e in giurisprudenza non condivide però tale assunto, sottolineando in particolare che la consapevolezza – anche solo unilaterale – di cooperare al fatto materiale altrui, ben può costituire l'elemento che consente di operare la distinzione suddetta, senza peraltro che tale elemento debba estendersi fino a richiedere la consapevolezza del carattere colposo dell'altrui condotta (ex multis, MANTOVANI; GRASSO).

È stato altresì evidenziato che la necessità della consapevolezza di cooperare con altri sembra imposta proprio da alcune norme relative al concorso di persone nel reato, con il pensiero che va anzitutto alle norme che prevedono le circostanze aggravanti e attenuanti, nonché – secondo alcuni Autori – agli artt. 116, 117, 118 (prima della modifica del 1990) e 119 c.p. – che possono avere un senso, si osserva, solo nel caso in cui si accerti il predetto elemento soggettivo (GALLO).

Anche il formante giurisprudenziale sottolinea che la cooperazione colposa si distingue dal concorso di cause colpose indipendenti per la consapevolezza, presente in capo al concorrente, di cooperare all'altrui condotta. A tale requisito la giurisprudenza fa riferimento utilizzando solitamente la seguente formula: «consapevolezza della convergenza del proprio e dell'altrui comportamento alla realizzazione di una condotta unitaria e comune» (ex multis, Cass. pen., Sez. IV, 8 febbraio 2007, n. 5277; Cass. pen., Sez. V, 11 gennaio 2008, n. 15872; Cass. pen., Sez. IV, 12 novembre 2009, n. 48318).

Si ritiene utile, al fine di individuare in modo più nitido il discrimen esistente tra queste due figure giuridiche, fare cenno alla recente pronuncia con cui il Gup presso il tribunale di Torino – ad esito del giudizio abbreviato – ha condannato, tra l'altro, per cooperazione colposa in omicidio ex artt. 113 e 589, commi 1, 2, 3 n. 2, e 4 c.p., due giovani tossicodipendenti che il 3 dicembre 2011, a bordo di un'auto guidata da uno di essi, in stato di alterazione dovuta all'assunzione di eroina, procedendo oltre il limite di velocità, investivano una famiglia intenta ad attraversare la strada sulle strisce pedonali.

La vettura, dopo aver superato sulla destra due veicoli che si erano invece regolarmente fermati per consentire l'attraversamento dei pedoni, procurava in particolare lesioni alla madre, lesioni gravissime al padre e cagionava la morte del loro piccolo bimbo di sette anni (trib. Torino, ufficio Gup, 12 luglio 2012 – 9 ottobre 2012).

Orbene, il giudice, evidenziando la rilevanza dell'elemento della consapevolezza di cooperare, ha affermato la responsabilità penale non solo del soggetto che era alla guida del mezzo, ma anche del passeggero che, proprietario del veicolo, l'aveva affidato al guidatore pur essendosi reso conto del suo stato di alterazione e senza accertarne la capacità di guida in quel momento (in violazione, quindi, della regola cautelare prevista dagli artt. 115 e 116 cod. strada); non solo, costui, trovandosi a bordo dell'auto, non faceva alcunché per dissociarsi dalla guida incauta del conducente chiedendogli di non guidare più e sostituendolo alla guida della propria auto.

Quale funzione per l'art. 113 c.p.: di disciplina o incriminatrice?

Un'ulteriore questione che occorre scandagliare – anche se solo en passant – è quella dell'individuazione della funzione dell'art. 113 c.p. Con maggior impegno esplicativo, è dibattuto se la norma suddetta si limiti a disciplinare fatti già punibili ovvero ne incrimini di nuovi.

Nel panorama dottrinario si contrappongono due distinti orientamenti, che possono essere compendiati in tal modo:

a) una posizione tradizionale ritiene che la norma di cui all'art. 113 c.p. abbia esclusivamente una funzione di disciplina, posto che ciascuna delle condotte colpose incriminabili a titolo di cooperazione colposa avrebbe già rilevanza penale a titolo di delitto monosoggettivo colposo; la disposizione suddetta avrebbe in conseguenza l'unico effetto di consentire l'applicazione ad esse di alcune circostanza aggravanti (con in pensiero che va al capoverso dell'art. 113 c.p.);

b) un secondo orientamento – maggioritario sia in letteratura che in giurisprudenza – ritiene che la consapevolezza di collaborare ad una condotta colposa altrui consenta, in forza della disposizione delineata dall'art. 113 c.p., anche l'incriminazione di condotte che, di per sé stesse, potrebbero non essere in contrasto con alcuna regola cautelare, ma che, per il riflesso dell'altrui condotta negligente, imprudente ecc. diverrebbero penalmente rilevanti; tale impostazione riconosce, pertanto, alla disposizione in questione sia una funzione di disciplina (nei casi in cui assoggetta ad un diverso regime giuridico fatti già autonomamente incriminabili quali fattispecie monosoggettive di parte speciale) che incriminatrice (nelle ipotesi in cui attribuisce rilevanza penale a comportamenti colposi atipici rispetto alle fattispecie monosoggettive di parte speciale).

Sul punto si osserva, inoltre, che occorre compiere una summa divisio tra reati a forma libera e reati a forma vincolata.

Mentre nei primi è assente una tipizzazione normativa delle specifiche modalità attraverso le quali deve verificarsi l'evento lesivo e, di conseguenza, appare dubbio che l'art. 113 c.p. possa assumere una funzione incriminatrice, nei secondi la materialità è descritta nel dettaglio dalla fattispecie e, perciò, l'orientamento prevalente ritiene che la norma in questione svolga una vera e propria funzione incriminatrice.

Con riferimento alle fattispecie colpose c.d. a forma vincolata, un semplice comportamento di collaborazione, che non giunga ad integrare gli estremi del fatto così come precipuamente disegnato dal legislatore, risulterebbe penalmente irrilevante: diventa invece rilevante – ove sussistano i requisiti necessari – alla luce della previsione dell'art. 113 c.p.

Per i reati a forma vincolata la disposizione suddetta svolge, perciò, oltre ad una funzione di disciplina, una funzione incriminatrice, estendendo la punibilità di condotte altrimenti non punibili.

In conclusione

Last but not least, giova riferire – alla luce della chiarezza degli insegnamenti ivi contenuti – di un recente approdo della giurisprudenza di legittimità relativo – ça va sans dire a un caso di cooperazione colposa in ambito medico-chirurgico.

La vicenda in esame ha visto come persona offesa un tredicenne che, a seguito di frattura del radio e dell'ulna avvenuta in ambito scolastico, veniva sottoposto a plurimi interventi chirurgici effettuati in strutture ospedaliere diverse, all'esito dei quali, per negligenza, imprudenza e imperizia, si verificava un indebolimento permanente delle funzioni dell'arto superiore destro.

Nel caso di specie, la Cassazione ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata nella parte in cui era stata riconosciuta la penale responsabilità dell'équipe medica intervenuta successivamente, non sussistendo alcuna cooperazione colposa tra l'operato di quest'ultima e quello dei medici intervenuti per primi, bensì un concorso di azioni colpose costituenti cause indipendenti nella produzione dell'evento(Cass. pen., Sez. IV, 21 gennaio 2016, n. 50138, v. nota di PALMIERI).

I giudici di legittimità, ritenendo che i contributi sanitari, non conformi alle leges artis, siano stati condizioni necessarie della lesione prodotta, ai sensi dell'art. 41, comma 3, c.p., hanno aderito all'orientamento prevalente – cui si è fatto cenno nel terzo paragrafo – che vede la cooperazione colposa ed il concorso di cause colpose indipendenti come istituti il cui discrimen va ravvisato nella consapevolezza di cooperare all'altrui condotta, che caratterizza soltanto il primo istituto. Si precisa che, nella vicenda in questione, alla condotta successivamente operata dai sanitari del secondo ospedale non è stata attribuita efficacia interruttiva del nesso causale poiché, sebbene penalmente rilevante, non le sono state riconosciute caratteristiche di eccezionalità tali da determinare una situazione di pericolo del tutto nuova rispetto a quella originata dalla condotta dei sanitari intervenuti per primi.

La Corte della nomofilachia, riprendendo i dicta ormai tralatici della giurisprudenza di legittimità (v. Cass. pen., Sez. IV, 12 febbraio 2013, n. 16978), ha poi ricordato che la cooperazione nel delitto colposo si verifica quando più persone pongono in essere «un'autonoma condotta, nella reciproca consapevolezza di contribuire, con l'azione od omissione altrui, alla produzione dell'evento non voluto» ma prevedibile. Secondo il Supremo Collegio, in particolare, è mancato il legame psicologico tra le condotte delle due équipe, la finalità condivisa dell'azione sanitaria, sicché ogni azione od omissione resta imputabile come fatto a sé stante, importando responsabilità per distinti reati.

Il giudice di legittimità ha quindi proseguito specificando che la consapevolezza di cooperare altro non è se non «la coscienza dell'altrui partecipazione nello stesso reato, intesa quale consapevolezza del coinvolgimento di altri soggetti in una determinata attività, fermo restando che la condotta cooperativa dell'agente deve, in ogni caso, fornire un contributo causale giuridicamente apprezzabile alla realizzazione dell'evento non voluto» (Cass. pen., Sez. IV, 10 dicembre 2009, n. 6215, v. nota di SIMBARI).

Da ultimo, il Supremo Collegio ha precisato, avallando in tal modo la posizione maggioritaria anche nella letteratura penalistica, che ai fini del riconoscimento della cooperazione nel reato colposo non è necessaria la consapevolezza della natura colposa dell'altrui condotta, né la conoscenza dell'identità delle persone che cooperano.

Guida all'approfondimento

ALICE, Il concorso colposo in fatti contravvenzionali, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 1983, 1037;

ANGIONI, Il concorso colposo e la riforma del diritto penale, in Studi in memoria di G. Delitala, I, Milano, 1984, 67;

ANTOLISEI, Manuale di diritto penale. Parte generale, Milano, 2003, 588;

BORGHI, Nodi problematici e incertezze applicative dell'art. 113 c.p., in Dir. pen. cont.;

BOSCARELLI, Compendio di diritto penale. Parte generale, Milano, 1985, 167 ss.;

BOSCARELLI, Contributo alla teoria del concorso di persone nel reato, Padova, 1958, 98;

DOLCINI-MARINUCCI, Manuale di diritto penale. Parte generale, Milano, 2004, 288;

GALLO, Lineamenti di una teoria sul concorso di persone nel reato,Milano, 1957, 123;

GRASSO, Commento all'art. 113, in Romano- Grasso (a cura di), Commentario sistematico del codice penale, vol. II, Milano, 2012, 240;

MANTOVANI, Diritto penale, Parte generale, Padova, 2015, 538;

MARINI, Elementi di diritto penale. Parte generale, Vol. II, Torino, 1979, 41.

PALMIERI, La distinzione tra cooperazione colposa e concorso di cause colpose indipendenti, e la sua rilevanza, in un caso di lesioni in ambito sanitario, in Dir. pen. cont., 6/2017, 286 ss.

PATERNITI, Concorso di persone nel reato, in Enc. Giur. Treccani, VII, Roma, 1988, 6, che definisce la cooperazione colposa come una “falsa ipotesi di concorso”;

SIMBARI, Responsabilità professionale medica, in Riv. it. med. leg., 2011, 526.

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