Violenza sessuale, molestie e atti persecutori. Gli strumenti per valutare quando una condotta è reato

22 Gennaio 2018

Violenza sessuale, molestie e atti persecutori: quando sono considerabili fattispecie di reato? L'Autrice svolge una disamina degli elementi costitutivi dei reati indicati per riuscire a districarsi nella congerie di notizie giornalistiche.
Abstract

Violenza sessuale, molestie e atti persecutori: quando sono considerabili fattispecie di reato? L'Autrice svolge una disamina degli elementi costitutivi dei reati sopra indicati per riuscire a districarsi nella congerie di notizie giornalistiche.

La violenza sessuale e la violenza di genere tra riforme e difficoltà

Come noto, la legge 66 del 15 febbraio 1996 riformò il quadro normativo e culturale dei reati sessuali collocandoli tra quelli contro la libertà sessuale, a loro volta ricomprendendoli nella più ampia categoria dei delitti contro la libertà individuale; inoltre, si abrogarono quelle fattispecie di reato rappresentative della concezione sociale di dominio sulle donne, come il ratto a fine di matrimonio, il ratto a fine di libidine e il ratto di persona minore degli anni quattordici o inferma a fine di libidine o matrimonio e seduzione con promessa di matrimonio commessa da persona coniugata.

Si passò, dunque, dal valutare la violazione della libertà sessuale quale mero aspetto di etica pubblica a una visione individuale, con un'evidente modernizzazione del concetto di autodeterminazione sessuale.

Alcuna distinzione, nella riforma, si volle indicare con riferimento ai soggetti del reato, aprendo così il sintagma normativo ad eventuali condotte di persone L.G.B.T., sia quali autore sia quale vittima dei reati.

L'elemento tipizzante del più moderno delitto di violenza sessuale divenne, dunque, il dissenso. Tuttavia, a fronte dell'assetto moderno della riforma del 1996 che impostò il reato e i presupposti della violenza sessuale quale violenza contro l'individuo, negli anni più recenti si è assistito – e si assiste tutt'oggi – a una crescente attenzione sociale e legislativa verso la femminilizzazione del medesimo reato, sconfiggendo così l'obiettivo del Legislatore che intendeva tutelare la libertà di autodeterminazione individuale di chiunque, senza distinzione di genere e di identità sessuale; così, ad esempio, mentre la donna è stata manifestatamente oggetto di novità riformiste (legge sul femminicidio, il d.l. 14 agosto 2013, n. 93, convertito con modifiche con la legge 15 ottobre 2013, n. 119), nulla di incisivo, in ambito nazionale, è stato deciso per tutelare le persone appartenenti al mondo L.G.B.T., per quanto, ad avviso di chi scrive, l'applicazione tout court della legge 66 del 1996 gioverebbe in termini di chiarezza legislativa e successiva certezza processuale (mentre in ambito europeo e internazionale si lavora verso una parità dei generi in ogni settore normativo).

Al di là, comunque, delle speranze di maggiore sensibilità per l'affermazione dell'uguaglianza di genere, in tema di violenza sessuale s'incappa soventemente con la difficoltà d'inquadramento normativo nei casi in cui non vi sia stato contatto fisico con la vittima.

È molto recente il caso di un uomo, a Torino, che si masturbava in prossimità delle persone offese, eiaculando sulle stesse, tuttavia senza mai venirne a contattato: in fase preliminare, il Gip aveva emesso un'ordinanza di rigetto della misura cautelare della custodia in carcere motivando sull'assenza dello «[…] sfregamento masturbatorio ipotizzato in appoggio sulla gamba della donna» (Gip di Torino, ord. del 20 luglio 2017, depositata il 20 luglio 2017).

Tuttavia, a seguito dell'appello proposto dal P.M., il tribunale di Torino in composizione di Sezione del riesame ha accolto la tesi del P.M. – e della giurisprudenza di legittimità – riformando l'ordinanza appellata e applicando la misura della custodia in carcere all'indagato, con la motivazione per cui il contatto fisico tra agente e la vittima non è un requisito necessario ai fini dell'integrazione del reato e il giudice «[…] non deve fare riferimento alle parti anatomiche aggredite ma deve tenere conto, con un approccio interpretativo di tipo sintetico, dell'intero contesto in cui il contato si è realizzato e della dinamica intersoggettiva» (trib. riesame Torino, ord. del 16 novembre 2017 che richiama Cass. pen., Sez. III,5 giugno 2015, n. 37364 e Cass. pen., Sez. III, 17 febbraio 2015, n. 24683).

Le molestie e gli strumenti

Il reato di molestie, inserito nel Libro III Delle contravvenzioni concernenti la polizia di sicurezza, riguarda la lesione dell'ordine pubblico e della pubblica tranquillità e, solo di riflesso, della libertà della persona offesa.

L'art. 660 c.p. indica, come requisito necessario, la pubblicità del luogo, aspetto decisamente interessante, da valutarsi in relazione alla moderna estensione dei mezzi di comunicazione telefonici (messaggistica istantanea e posta elettronica sempre consultabile tramite le nuove generazioni di telefoni portatili) e web (i c.d. social).

In effetti, il rapido avvento delle nuove tecnologie ha posto, all'attenzione dell'A.G. nuovi strumenti: sono stati ritenuti giuridicamente molesti alcuni messaggi scritti sugli spazi del social Facebook, valutandoli luoghi assimilabili a quello pubblico nel quale, quindi, sussiste il criterio della pubblicità della molestia (Cass. pen., Sez. I, 11 luglio 2014, n. 37596); ancora, sono state ritenute moleste le email inviate e ricevute con la posta elettronica quando consultabili, in invio e in ricezione, tramite il telefono portatile.

Ai fini della sussistenza dell'elemento soggettivo, è sufficiente che l'autore abbia la coscienza e volontà accompagnata dalla consapevolezza dell'oggettiva idoneità a molestare o disturbare senza valida ragione la persona offesa (Cass. pen., Sez. I, 17 gennaio 2013, n. 2597): la petulanza è intesa, dalla giurisprudenza maggioritaria, come l'atteggiamento di arrogante invadenza e di intromissione continua e inopportuna nell'altrui sfera di libertà con la conseguenza che la pluralità di azioni di disturbo integra l'elementomateriale costitutivo della contravvenzione (Cass. pen., Sez I, 24 novembre 2011, n. 6908), mentre, il biasimevole motivo è da individuarsi in ogni altro movente riprovevole in se stesso o riguardo le qualità o le condizioni della persona molestata.

Proprio sulla sussistenza di questi ultimi due criteri, si segnala il caso dell'uomo condannato, in fase di appello, per molestie telefoniche per avere contattato ripetutamente l'ex moglie al fine di avere notizie e poter incontrare il figlio minorenne: la Cassazione ha annullato la sentenza di merito specificando che la ratio di queste telefonate non può essere ritenuta biasimevole e che la loro insistenza non può considerarsi petulanza (Cass. pen., Sez. I, 27 maggio 2015, n 22152).

Gli atti persecutori e gli abusi nel processo

Il reato di atti persecutori, più noto con la denominazione stalking (dall'inglese to stalk, letteralmente fare la posta), consiste in un insieme di condotte persecutorie, ripetute nel tempo (come le telefonate moleste, i pedinamenti, le minacce) che provocano un danno oggettivo alla vittima poiché lesive delle abitudini di vita e/o della serenità quando generino un grave stato di ansia o di paura per la propria incolumità o per quella di una persona cara.

L'art. 612-bis c.p., inserito con il d.l. 11/2009 convertito dalla l. 38/2009, tutela la libertà della persona offesa, dei suoi prossimi congiunti o della persona legata a questa da una relazione affettiva ma tutela anche l'incolumità individuale, la salute, la tranquillità psichica e la riservatezza dell'individuo.

Se, per la giurisprudenza costante di legittimità, la sussistenza del reato si ritiene verificabile con solo uno degli eventi dannosi indicati nella norma, giova segnalare che nella prassi giudiziaria di merito spesso si predilige l'accertamento dibattimentale sulla co-esistenza delle tre diverse tipologie di danno, con l'obiettivo – forse – di voler distinguere con maggiore chiarezza processuale questa fattispecie dalle altre che la compongono (molestie, violenza privata, minacce, lesioni) e che possono essere ritenute valide derubricazioni delle contestate imputazioni.

Per quanto riguarda il perdurante e grave stato di ansia o di paura sofferto dalla persona offesa, l'orientamento della giurisprudenza italiana, in linea con l'evoluzione della Corte Edu sui diritti della persona offesa, ritiene non necessario l'accertamento di uno stato patologico, essendo sufficiente che gli atti persecutori abbiano avuto un oggettivo effetto destabilizzante della serenità e dell'equilibrio psicologico della vittima, ne abbiano alterato le abitudini di vita (intesa quale il complesso di comportamenti che una persona pone in essere nell'ambito familiare, sociale e lavorativo, e che a seguito delle condotte dell'autore, è costretta a mutare) (Corte cost. 11 giugno 2014, n. 172 sull'interpretazione costituzionalmente conforme del reato di c.d. stalking).

Si deve segnalare che nel corso degli ultimi mesi dell'anno appena concluso, si è assistito ad un rapidissimo mutamento normativo: infatti, la legge 103/2017 aveva inserito l'art. 163-ter c.p.p., che prevedeva l'estinzione del reato per condotte riparatorie, disapplicata poi con il decreto fiscale del 2017, il d.l. 148/2017, convertito in l. 172/2017, che ha previsto l'esclusione dell'applicabilità dell'articolo 163-ter c.p.p. ad ogni manifestazione del reato di atti persecutori.

Nella disamina della norma penale, comunque, pare di estremo interesse la previsione dell'istituto extra procedimentale dell'ammonimento, troppo spesso ignorato dalle parti lese anche a causa della scarsa informazione pubblica e privata ma che, tuttavia, se maggiormente valorizzato, potrebbe essere di valido ausilio in tutti quei casi di minore gravità.

Con l'ammonimento, le autorità di pubblica sicurezza mirano a far desistere lo stalker dalle attività persecutorie attraverso un invito orale (verbalizzato e impugnabile per via amministrativa) a desistere dalle attività persecutorie e ad interrompere ogni interferenza perpetrata nella vita del richiedente. La procedura si articola in tre fasi: la vittima deve esporre i fatti alle autorità e avanzare richiesta al questore; il questore, ricevuta la richiesta, assume le necessarie informazioni, anche previa convocazione del presunto stalker e delle persone informate dei fatti; infine, il Questore può decidere per il rigetto, se gli elementi raccolti per procedere sono insufficienti o se è sopraggiunta la querela, oppure può scegliere l'accoglimento dell'istanza, emettendo l'ammonimento e diffidando l'autore delle condotte a proseguire nelle stesse e invitandolo ad adottare comportamenti conformi alla legge. L'ammonimento, reso oralmente, deve essere motivato a pena d'illegittimità e di ogni passaggio della procedura deve essere redatto processo verbale, con copie rilasciate sia al richiedente sia all'ammonito.

Da questa procedura, infine, derivano conseguenze importanti a tutela delle vittime: anzitutto, sono possibili le sospensioni delle autorizzazioni per la detenzione di armi e munizioni; inoltre, se il soggetto non ottempera all'invito formulato dall'autorità e insiste nel perpetrare le proprie condotte persecutorie, in caso di successivo processo per il reato di atti persecutori la procedibilità sarà d'ufficio e l'eventuale condanna subirà l'aumento della pena.

In conclusione

Le fattispecie di reato analizzate, con i loro aspetti culturali e sociali, non possono che indurre una seria riflessione su come l'opinione pubblica sia, troppo spesso, distorta dalla congerie di notizie giornalistiche su fatti di reato da accertare e valutare in base ai criteri normativi, che, invece, inneggiano al linciaggio e alla vendetta.

Così, se già gli operatori del diritto non concordano – e non possono concordare – con la produzione oceanica di norme penali e riforme che ogni legislazione emana, quando si apre il dibattito sul c.d. sentire comune si giunge a combattere delle guerre impari, da un lato il mondo accademico e/o professionale, dall'altro, la cronaca giudiziaria dei mass media italiani.

A questa difficoltà degli operatori del diritto (avvocati, magistrati, docenti) a generare una forte cultura sociale sui diritti e sul rispetto delle norme, soccorre spesso la giurisprudenza di legittimità, oramai deputata a organo para-legislativo e para-educativo.

A chi si chiede quando si è dinanzi a semplici avances e quando a molestie, risponde la Corte di Cassazione chiarendo che il corteggiamento e la semplice avance cessano di essere tali quando si è «[…] in presenza di espressioni volgari a sfondo sessuale ovvero di atti di corteggiamento invasivo e insistito» (Cass. pen.,n. 2742/2010).

A chi si chiede, poi, quando ci sia violenza, risponde la Suprema Corte con la sentenza n. 38719 del 2012, che spiega che «[…] pur in mancanza del contatto fisico tra imputato e persona offesa, se la condotta tenuta dal primo denota il requisito soggettivo dell'intenzione di raggiungere l'appagamento dei propri istinti sessuali e quello oggettivo dell'idoneità a violare la libertà di autodeterminazione della vittima nella sfera sessuale» sussiste il tentativo di violenza sessuale.

Guida all'approfondimento

Sulla necessità di parità dei generi in ogni settore normativo:

Risoluzione del Parlamento Europeo sull'omofobia in Europa P6_TA(2006)0018.

Risoluzione del Parlamento Europeo del 24 maggio 2012 sulla lotta all'omofobia in Europa P6_TA(2012)0222.

Raccomandazione CM/Rec(2010)5 del Comitato dei Ministri agli Stati membri sulle misure volte a combattere la discriminazione fondata sull'orientamento sessuale o sull'identità di genere adottata dal Comitato dei Ministri il 31 marzo 2010 in occasione della 1081ª riunione dei Delegati dei Ministri.

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