Negato l’assegno richiesto trent’anni dopo il divorzio
23 Gennaio 2018
Massima
Il giudice richiesto della determinazione dell'assegno divorzile che incida sulla stessa spettanza del relativo diritto (non richiesto al momento del divorzio) in ragione della sopravvenienza di giustificati motivi dopo la sentenza che abbia pronunciato lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, deve verificare se tali motivi giustifichino, o meno, la negazione del diritto all'assegno a causa della sopraggiunta indipendenza o autosufficienza economica dell'ex coniuge beneficiario, senza tenere conto del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio; il tutto sulla base di pertinenti allegazioni, deduzioni e prove offerte dall'ex coniuge obbligato, sul quale incombe il corrispondente onere probatorio, fermo il diritto all'eccezione ed alla prova contraria dell'ex coniuge. Il caso
La Corte di Appello di Firenze, con decreto del 5 febbraio 2015, accogliendo il reclamo proposto da C.S., rigettava la domanda con cui M.R.P. aveva chiesto, a modifica delle condizioni della sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio, il riconoscimento dell'assegno divorzile. La ricorrente al momento del divorzio non aveva ritenuto di fare alcuna richiesta di assegno. I Giudici di appello avevano considerato non ammissibile la richiesta di riconoscimento dell'assegno divorzile proposto dopo circa trent'anni posto che il matrimonio era durato solo due anni e che in epoca successiva le parti avevano avuto autonome vicende economiche e sentimentali. Avverso questa decisione M.R.P. ricorre per cassazione sulla base di tre motivi, denunciando vizio di violazione di legge e di motivazione della sentenza impugnata, atteso che in base all'art. 5, l. n. 898/1970, la Corte territoriale avrebbe dovuto accertare l'inadeguatezza dei mezzi a sua disposizione a mantenere il tenore di vita, proprio di una famiglia benestante, goduto durante il matrimonio, mentre aveva erroneamente concentrato la propria attenzione sulle successive vicende sentimentali ed economiche, che, peraltro, erano coerenti con le premesse poste durante la vita coniugale. Lamenta, inoltre, che il rilievo dato alla breve durata della vita coniugale era erroneo, essendo tale dato rilevante ai fini della determinazione del quantum dell'assegno, ma non per la valutazione della relativa spettanza. La Corte rigetta il ricorso, sostenendo che il diritto all'assegno di divorzio, di cui all'art. 5, comma 6, l. n. 898/1970, come sostituito dall'art. 10, l. n. 74/1987, è condizionato dal suo previo riconoscimento in base ad una verifica giudiziale che si articola necessariamente in due fasi, di cui una prima fase, concernente l'an debeatur è informata al principio di autoresponsabilità economica di ciascuno dei coniugi quali persone singole, ed il cui accertamento è volto al riconoscimento, o meno, del diritto all'assegno divorzile; la seconda fase, riguardante il quantum debeatur investe solo la determinazione dell'assegno. La questione
Alla luce dei nuovi indici individuati dalla giurisprudenza di legittimità con la sentenza Cass. civ., n. 11504/2017, il Giudice può accogliere la richiesta di assegno divorzile proveniente dall'ex coniuge dopo molti anni dal divorzio, posto che nell'immediatezza la parte non aveva ritenuto di avanzare alcuna richiesta? Le soluzioni giuridiche
La decisione in commento è in linea con il recente indirizzo della giurisprudenza di legittimità, espresso da Cass. civ., 10 maggio 2017, n. 11504, che ha offerto una nuova interpretazione dell'art. 5, comma 6, l. div., in tema di diritto all'assegno divorzile. Fino a questo momento l'indirizzo consolidato della giurisprudenza di legittimità e di merito riteneva che «l'assegno periodico di divorzio, nella disciplina introdotta dall'art. 10 della legge 6 marzo 1987, n. 74, modificativo dell'art. 5 della legge 1 dicembre 1970 n. 898, ha carattere esclusivamente assistenziale (…) atteso che la sua concessione trova presupposto nell'inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante, da intendersi come insufficienza dei medesimi, comprensivi di redditi, cespiti patrimoniali ed altre utilità di cui possa disporre, a conservargli un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, senza cioè che sia necessario uno stato di bisogno, e rilevando invece l'apprezzabile deterioramento, in dipendenza del divorzio, delle precedenti condizioni economiche, le quali devono essere tendenzialmente ripristinate, per ristabilire un certo equilibrio» (Cass. civ., S.U., n. 11490/1990). In particolare si è ribadito il principio secondo il quale il diritto all'assegno, secondo l'art. 5, comma 6, l. n. 898/1970, come sostituito dall'art. 10 della l. n. 74 del 1987, è subordinato alla previa verifica giudiziale che si articola in due fasi, tra loro nettamente distinte e poste in ordine progressivo dalla norma (nel senso che alla seconda può accedersi solo all'esito della prima, ove conclusasi con il riconoscimento del diritto); la prima fase, concernente l'an debeatur, informata al principio della autoresponsabilità economica di ciascuno dei coniugi quali “persone singole” ed il cui oggetto è costituito esclusivamente dall'accertamento volto al riconoscimento, o meno, del diritto all'assegno divorzile fatto valere dall'ex coniuge richiedente; la seconda fase, riguardante il quantum debeatur, improntata al principio della solidarietà economica dell'ex coniuge obbligato alla prestazione dell'assegno nei confronti dell'altro quale persona economicamente più debole (artt. 2 e 23 Cost.), che investe soltanto la determinazione dell'importo dell'assegno stesso. Seguendo l'orientamento stabilito dalla Corte nella sentenza Cass. civ., n. 11504/2017, il principio di autoresponsabilità non è il fondamento del diritto all'assegno, ma il criterio orientativo nella verifica della sussistenza del presupposto dell'assegno. Secondo un indirizzo della dottrina (G. Luccioli, La sentenza sull'assegno di divorzio. Il nuovo che sa tanto di vecchio, in giudicedonna.it) questo richiamo all'autoresponsabilità è frutto della stessa «ideologia promozionale» dell'indirizzo tradizionale della giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., n. 1652/1990), per il quale la donna doveva essere incoraggiata ad uscire fuori dalle pareti domestiche alla ricerca di una realizzazione esterna. All'epoca fu osservato che quella ideologia non considerava che tale ricerca poteva essere vanificata dai condizionamenti che la donna – specie se non più giovane e priva di adeguate esperienze lavorative – continuava a subire nella società. La Corte precisa che il Giudice del divorzio, richiesto dell'assegno di cui all'art. 5, l. n. 898/1970, deve verificare, con riferimento alla fase dell'an debeatur, se la domanda dell'ex coniuge richiedente soddisfi le relative condizioni di legge, ossia la mancanza di mezzi adeguati o comunque l'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive. Mentre in passato la locuzione “mezzi adeguati” è stata letta nel senso che l'adeguatezza dovesse essere rapportata al tenore di vita matrimoniale, secondo l'indirizzo espresso nella motivazione della sentenza impugnata l'adeguatezza deve essere rapportata a quanto necessario perché l'ex coniuge sia economicamente indipendente: l'assegno spetta dunque a chi non abbia, né possa procurarsi, mezzi adeguati per essere autosufficiente. Nella specie, la ricorrente non aveva richiesto l'assegno divorzile al momento della cessazione del rapporto coniugale, per cui, in applicazione dei nuovi criteri, l'accertamento giudiziale va compiuto non già con riguardo al tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio o a quello che, sulle basi poste durante il rapporto dei coniugi, si sarebbe avuto ove il matrimonio fosse proseguito, ma alla luce del principio dell'indipendenza o autosufficienza economica. Tale principio, secondo la Corte, si fonda sulla considerazione secondo cui una volta sciolto il matrimonio civile o cessati gli effetti civili conseguenti alla trascrizione di quello religioso, il rapporto matrimoniale si estingue definitivamente, non solo sul piano dello status personale dei coniugi, ormai da considerare persone singole, ma, anche, «nei loro rapporti economico- patrimoniali ed, in particolare, nel reciproco dovere di assistenza morale e materiale, residuando solo una responsabilità economica post coniugale di matrice esclusivamente assistenziale». I Giudici di legittimità hanno condiviso l'indirizzo espresso dalla Corte territoriale affermando che «la breve durata del matrimonio (due anni circa) ed il lasso di tempo trascorso rispetto alla data di presentazione del ricorso ex art. 9, l. n. 898/1970 denunciavano e dimostravano la totale autonomia della situazione economica della ricorrente rispetto a quella determinata e maturata in costanza di matrimonio». Osservazioni
In passato un orientamento della dottrina si era espresso per un ripensamento dell'indirizzo tradizionale (F. Alcaro, Note in tema di assegno divorzile: il tenore di vita in costanza di matrimonio, un'aporia interpretativa? Osservazioni a Cass. 3 luglio 2013, n. 16597, in Fam. e dir., 2013, 1081; M. Palazzo, Il diritto della crisi coniugale, Antichi dogmi e prospettive evolutive, Padova, 2015, 575). In particolare, da parte di alcuni si riteneva necessario sostituire il riferimento al tenore di vita avuto in costanza di rapporto con il riferimento alla indipendenza economica, nell'ipotesi di ex coniugi rimasti sposati per breve tempo, ancora giovani e senza obblighi di cura per i figli (E. Bargelli, Assegno di divorzio e tenore di vita matrimoniale, Torino, 2017, 219). Il nuovo orientamento della Corte è stato determinato dal fatto che con il divorzio il matrimonio si estingue senza che ne residui alcun effetto, personale o economico, ed i coniugi debbono essere considerati come persone singole. Per la Corte non è più condivisibile la vecchia concezione del matrimonio come “sistemazione definitiva”. Non sarebbe più sostenibile, in questa epoca storica, l'esigenza di non sconvolgere un costume sociale ancora caratterizzato da modelli di matrimonio più tradizionali e da un incerto recepimento dell'istituto del divorzio, perché tale opinione, legando il diritto all'assegno all'incapacità di avere un tenore di vita analogo al precedente, «produce l'effetto di procrastinare a tempo indeterminato il momento della recisione degli effetti economici patrimoniali del vincolo coniugale» (v. Cass. civ., n. 11504/2017). Il fondamento costituzionale del diritto all'assegno si basa sul disposto degli artt. 2 e 23 Cost., che sancisce il principio di solidarietà tra i cittadini, e non sugli artt. 2 e 29 Cost., nel quale si radica, nel contesto della tutela della famiglia e della parità tra i coniugi, il principio di solidarietà post-coniugale. Con la sentenza del maggio di quest'anno, la Corte precisa che l'assegno deve essere versato non in ragione del pregresso vincolo matrimoniale, ma in virtù del fatto che il beneficiario è una persona (singola) alla quale è dovuta assistenza in quanto incapace di procurarsi le condizioni per una esistenza libera e dignitosa. -E. Al Mureden, La solidarietà post coniugale a quarant'anni dalla riforma del 75, in Fam. e Dir., 2015, 991; -A. Lamorgese, L'assegno divorzile ed il dogma della conservazione del tenore di vita matrimoniale, in questionegiustizia.it; -A. Simeone, Il "nuovo" assegno di divorzio secondo la Cassazione: modernità o arretramento?, in IlFamiliarista.it. |