Gratuito patrocinio: se il ricorso è inammissibile è legittimo non liquidare il compenso all'avvocato
01 Febbraio 2018
La questione di legittimità. La Corte d'appello di Salerno sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 106 d.P.R. n. 115/2002, nella parte in cui prevede che «il compenso al difensore di parte ammessa al beneficio del patrocinio a spese dello Stato non viene liquidato qualora l'impugnazione venga dichiarata inammissibile, senza distinzione alcuna in merito alla causa d'inammissbilità». A parere dei giudici territoriali la disposizione in esame, non consentendo di distinguere le diverse cause che hanno condotto alla dichiarazione d'inammissibilità, si porrebbe in contrasto con gli artt. 3, comma 2, e 24, comma 2 e 3, Cost. perchè finirebbe per trattare irragionevolmente allo stesso modo situazioni diverse, compromettendo il diritto di difesa dei soli soggetti ammessi al gratuito patrocinio. Sarebbe violato, altresì, l'art. 36 Cost. e, quindi, il diritto del difensore a una equa retribuzione.
Tra garanzia del diritto di difesa per i non abbienti e contenimento della spesa pubblica. In primis, la Corte costituzionale ritiene di dover affermare che la disposizione censurata «non limita irragionevolmente il diritto di difesa, ma sollecita una particolare attenzione in capo al difensore di persona ammessa al patrocinio a spese dello Stato». Infatti, la mancata liquidazione del compenso, se le impugnazioni siano dichiate inammissibili, è giustificata, per le ipotesi in cui la declaratoria di inammissibilità risulti ex ante prevedibile, proprio perché altrimenti i costi delle attività difensive superflue sarebbero a carico della collettività.
Le questioni di legittimità sollevate, dunque, non sono fondate in ragione dell'erronea premessa interpretativa dalla quale muove il giudice a quo che, se correttamente riconosce che la ratio della disposizione è diretta ad impedire che vengano posti a carico della collettività i costi dei compensi per attività difensive superflue o irrilevanti, non trae da tale riferimento le dovute conseguenze.
La norma consente di distingue tra le cause che determinano l'inammissibilità. Infatti, contrariamente da quanto sostenuto dal rimettente, il tenore letterale dell'art. 106, comma 1, d.P.R. n. 115/2002 non preclude affatto un'interpretazione che consenta di distinguere tra le cause che determinano l'inammissibilità dell'impugnazione. Tale interpretazione conduce proprio ad affermare che la norma in questione non ricomprende i casi in cui, come nel caso di specie, la ragione dell'inammissibilità risiede in una carenza d'interesse a ricorrere, sopravvenuta per ragioni del tutto imprevedibili al momento della proposizione del ricorso.
In definitiva, dunque, «il risultato che il rimettente chiede alla Corte di raggiungere attraverso una sentenza di accoglimento, è già consentito dalla disposizione censurata». L'erroneità del presupposto interpretativo dal quale muove la Corte rimettente comporta la non fondatezza anche della lesione dell'art. 36 Cost..
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