La contabilità tenuta regolarmente non evita l'accertamento

La Redazione
02 Febbraio 2018

La contabilità regolarmente tenuta non “salva” il contribuente dall'accertamento con metodo analitico-induttivo. Questo l'esito della sentenza della Corte di Cassazione depositata il 31 gennaio 2018 n. 2391, con la quale i giudici della Suprema Corte hanno accolto il ricorso presentato dai legali del Fisco.

La contabilità regolarmente tenuta non “salva” il contribuente dall'accertamento con metodo analitico-induttivo. Questo l'esito della sentenza della Corte di Cassazione depositata il 31 gennaio 2018 n. 2391, con la quale i giudici della Suprema Corte hanno accolto il ricorso presentato dai legali del Fisco.

Nel caso in esame, l'Agenzia delle Entrate aveva impugnato la sentenza della Commissione Tributaria Regionale; secondo i Giudici d'appello, infatti, gli avvisi di accertamento emessi dalle Entrate per l'anno 2001 in tema IVA, IRPEG ed IRAP nei confronti di un contribuente erano illegittimi. Il destinatario, esercente attività commerciale di rivendita di prodotti per l'edilizia, avrebbe dunque avuto ragione nel ritenere che le contestazioni dell'Ufficio non fossero legittime, poiché aveva sempre tenuto una contabilità regolare.

Non così per la Cassazione, che ha accolto il ricorso delle Entrate. «L'accertamento con metodo analitico-induttivo– si legge infatti in sentenza – con cui il Fisco procede alla rettifica di singoli componenti reddituali, ancorché di rilevante importo, è consentito, ai sensi dell'art. 39, c. 1, lett. d) del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, pure in presenza di contabilità formalmente tenuta, giacché la disposizione presuppone, appunto, scritture regolarmente tenute e, tuttavia, contestabili in forza di valutazioni condotte sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti che facciano seriamente dubitare della completezza e fedeltà della contabilità esaminata».

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