Il raddoppio del contributo unificato non si applica nel processo tributario d'appello
07 Febbraio 2018
Premessa
La Commissione tributaria regionale di Catanzaro ha investito la Corte costituzionale della questione di legittimità costituzionale dell'art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115/2002 in riferimento all'art. 111, secondo comma, Cost. Il rimettente ritiene che l'integrale reiezione dell'appello, anche incidentale, dovrebbe comportare l'applicazione della norma che impone il raddoppio del contributo unificato anche nel caso in cui soccombente sia un'amministrazione dello Stato, esonerata, in quanto tale, dal pagamento del contributo unificato per effetto della prenotazione a debito e, quindi, non assoggettata all'obbligo del versamento di un ulteriore importo a detto titolo, pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, così come ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità. Tale limitazione violerebbe il principio della parità delle armi espresso dall'art. 111, secondo comma, Cost., in quanto la misura, volta a scoraggiare le impugnazioni dilatorie e pretestuose, dovrebbe poter colpire indifferentemente tutte le parti, anche nel processo tributario, in cui una di esse è pubblica.
La premessa da cui muove il rimettente nel sollevare la descritta questione è che la norma che prevede il raddoppio del contributo unificato in caso di integrale soccombenza, in rito o nel merito, si applichi anche nel processo tributario d'appello, onde la ritenuta rilevanza. Con la sentenza n. 18 del 2018 la Corte costituzionale, senza negare esplicitamente l'operatività della misura in detto ambito processuale, ha giudicato la questione inammissibile, in quanto il giudice a quo, in mancanza di un “diritto vivente”che confortasse tale premessa, non ha indicato le ragioni a sostegno dell'assunto, non corroborato dal dato normativo testuale.
Plurimi e univoci sono gli argomenti che depongono nel senso dell'inapplicabilità del raddoppio del contributo unificato nel processo tributario d'appello. Il denunciato art. 13, comma 1-quater, prevede che «[q]uando l'impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l'ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1-bis. Il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l'obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso».
Dal dato letterale si evince che l'ulteriore somma a titolo di contributo unificato è commisurata agli importi dovuti ai sensi del comma 1-bis del medesimo art. 13, il quale, disponendo che «[i]l contributo di cui al comma 1 è aumentato della metà per i giudizi di impugnazione ed è raddoppiato per i processi dinanzi alla Corte di cassazione», a sua volta rinvia al precedente comma 1. Quest'ultimo, tuttavia, fa riferimento esclusivamente a quanto dovuto a titolo di contributo unificato nel processo civile, mentre di quello nel giudizio tributario si occupa il successivo comma 6-quater, non richiamato.
Come rilevato dalla Corte costituzionale, dunque, l'interpretazione letterale non conforta l'applicabilità della norma sul raddoppio del contributo unificato nel processo tributario – d'altra parte, sia la stessa Corte (Corte cost. n. 78/2016) che, successivamente, la Cassazione (Cass. civ. n. 29681/2017) hanno già avuto modo di rilevare come i primi sei commi dell'art. 13, incluso quindi il comma 1-quater, riguardino quello civile – e la circostanza che essa rivesta natura sanzionatoria ed eccezionale ne impone una stretta interpretazione e la rende insuscettibile di applicazione estensiva o analogica (Cass. civ. n. 23175/2015, n. 19562/2015 e n. 19560/2015), impedendo così di ovviare altrimenti alla mancata previsione testuale (in tal senso si è espresso anche il Ministero dell'economia e delle finanze in occasione dei chiarimenti di Telefisco 2016). La conclusione è altresì coerente con l'autonomia dei singoli ambiti processuali (Corte Cost. n. 165/2000 e n. 53/1998), che la Corte non ha mancato di rilevare quando si è occupata della disciplina di quantificazione del contributo unificato (Corte Cost. n. 78/2016, cit.), così come evidenziato pure in dottrina.
L'inapplicabilità trova conforto anche sul piano sistematico, atteso che l'art. 2, comma 1, d.P.R. n. 115/2002 prevede che «Le norme del presente testo unico si applicano al processo penale, civile, amministrativo, contabile e tributario, con l'eccezione di quelle espressamente riferite dal presente testo unico ad uno o più degli stessi processi» e la norma censurata si riferisce espressamente solo al processo civile, richiamando esclusivamente i commi a esso attinenti. Si noti che l'art. 9 del citato d.P.R., rubricato «Contributo unificato», lo prevede indifferentemente in riferimento ai tre tipi di giudizio (civile, amministrativo e tributario), ma non ne contempla il raddoppio. Quest'ultimo è stato inserito nel successivo art. 13 (Importi) – i cui vari commi riguardano le singole tipologie processuali – quando il contributo unificato nel giudizio tributario era già stato introdotto dall'art. 37, comma 6, D.L. n. 98/2011 e, dunque, la norma sul raddoppio avrebbe potuto farvi riferimento.
La coerenza sistematica non risulta alterata dall'applicabilità della norma censurata nel giudizio in Cassazione, considerato che l'art. 261 (Spese processuali nel processo tributario dinanzi alla Corte di Cassazione) d.P.R. n. 115/2002 esplicitamente dispone che «[a]l ricorso per Cassazione e al relativo processo si applica la disciplina prevista dal presente testo unico per il processo civile». Sebbene non idonea a supportare il ragionamento per cui ubi lex voluit, dixit; ubi noluit, tacuit – atteso che la disposizione preesisteva all'introduzione del contributo unificato nel processo tributario, avvenuta solamente nel 2011 – la norma spiega, tuttavia, la ragione per la quale il raddoppio operi in detta sede (per una sua recente applicazione, Cass. civ. n. 23626/2017), trovando nella fattispecie specifica base normativa (ciò a prescindere da quella dottrina che identifica il “processo tributario” con i soli gradi di merito).
Tale ultima considerazione, peraltro, non concorre, unitamente alla pretesa pari esigenza deflattiva soddisfatta dalla sanzione del raddoppio, a fondare un'interpretazione costituzionalmente orientata volta a ovviare all'irragionevole discriminazione cui sarebbe esposto il processo tributario in appello rispetto a quello di legittimità e a quello civile. Simile approccio ermeneutico sarebbe infatti possibile solo ove la lettera della disposizione lo consentisse (Corte cost. n. 82/2017, n. 241/2016, n. 204/2016 e n. 203/2016) e nella fattispecie ciò non si verifica, alla luce di quanto precedentemente evidenziato.
Infine, a voler considerare praticabile il raddoppio del contributo unificato nel processo tributario d'appello, si dovrebbe poi ritenere che la relativa base di calcolo non sia costituita dagli importi previsti dal comma 6-quater – afferente, si ribadisce, al contributo unificato nel giudizio tributario – ma da quelli previsti per il processo civile – atteso il richiamo della norma censurata al comma 1-bis e, suo tramite, al comma 1 dell'art. 13 – conclusione del tutto illogica. Ciò a maggior ragione se si considera che, secondo la Corte Costituzionale – in uno con la giurisprudenza di legittimità – «il raddoppio del contributo unificato è previsto a parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell'apparato giudiziario o della vana erogazione delle limitate risorse a sua disposizione (Corte di cassazione, sesta sezione civile, sentenza 27 marzo 2015, n. 6280, e ordinanza 13 maggio 2014, n. 10306, nonché Corte di Cassazione, terza sezione civile, sentenza 14 marzo 2014, n. 5955)» (Corte cost. n. 120/2016, cit.; nello stesso senso, successivamente, Cass. civ., sez. lav. n. 13935/2017), ristoro che, per il processo tributario, verrebbe commisurato ai costi di quello civile e del funzionamento del relativo apparato giudiziario. La posizione della giurisprudenza
Se le considerazioni svolte in punto di ermeneutica (criterio letterale, sistematico e logico) depongono nel senso dell'inapplicabilità del raddoppio del contributo unificato nel processo tributario d'appello – così come si rileva in dottrina – in seno alle Commissioni tributarie regionali non si rinviene un orientamento univoco, considerato che alcune di esse applicano il raddoppio (CTR Lazio, sentenza n. 5422 del 21 settembre 2017; CTR Toscana, sentenza n. 1890 dell'11 settembre 2017; CTR Calabria, sentenza n. 699 del 24 marzo 2017; Commissione Tributaria di secondo grado di Trento, sentenza n. 25 del 6 marzo 2017), spesso senza offrire un'approfondita motivazione di supporto a tale soluzione; altre lo escludono (CTR Liguria, verbale della riunione dei Presidenti di sezione del 27 ottobre 2017); altre ancora evidenziano il contrasto al loro interno (CTR Campania, sentenze n. 11339 del 14 dicembre 2016 e n. 5198 del 6 giugno 2017; CTR Lombardia, sentenze n. 3195 del 14 luglio 2017 e n. 2710 del 16 giugno 2017). Dal canto suo, la Corte di cassazione non risulta essersi espressa al riguardo, al suo interno registrandosi, peraltro, un contrasto circa la possibilità di impugnare le statuizioni della sentenza d'appello in ordine alla sussistenza o meno degli estremi per il raddoppio del contributo unificato (a favore: Cass. civ. n. 23281/2017 e Cass. lav. n. 13935/2017; contro: Cass. civ. n. 22867/2016). Per quanto riguarda il processo amministrativo – per il quale il contributo unificato è contemplato dall'art. 13, comma 6-bis,d.P.R. n. 115/2002 e varrebbero le considerazioni precedentemente svolte a proposito di quello tributario – il Consiglio di Stato dimostra di non ritenere applicabile la disciplina sul raddoppio (a titolo esemplificativo, si citano le seguenti sentenze, promananti dalle diverse sezioni: sez. III, n. 5042/2017; sez. IV, n. 3093/2017; sez. V, n. 4304/2017; sez. VI, n. 4369/2017). In conclusione
È dunque in un panorama ancora non consolidato che è intervenuta la pronuncia della Corte costituzionale. Come accennato, la Corte non ha espressamente smentito la premessa interpretativa da cui ha preso le mosse il rimettente. Ciononostante, non sembra revocabile in dubbio che, stigmatizzando la mancata indicazione delle ragioni a sostegno della stessa e, soprattutto, condividendo uno degli argomenti che vi ostano – senza che fosse strettamente necessario per pronunciare l'inammissibilità – la Corte abbia apertamente dimostrato di non condividerla, avvalorando la tesi, in questa sede sostenuta, dell'inapplicabilità del raddoppio del contributo unificato nel processo tributario d'appello.
A. Marcheselli, Spese del giudizio e contributo unificato: tra stalking giudiziario e Leviatani affamati, Milano, 13 febbraio 2016; A. Marcheselli, Contributo unificato “diseguale” e giurisprudenza tributaria “asimmetrica”, Milano, 2016; A. M. Perrino, Roma, 2016; L. Peverini, Recenti modifiche all'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., limiti di impugnazione in caso di “doppia conforme” e nozione di “processo tributario”, Milano, 2013. |