Le Sezioni Unite e il diritto di accessione: da adesso si fa così

20 Febbraio 2018

La disciplina dell'accessione ex art. 934 c.c. si applica anche al caso di costruzione eseguita da uno dei comproprietari sul fondo comune.

Questo il chiaro principio di diritto espresso dalla Cassazione a Sezioni Unite a comporre un precedente contrasto di orientamenti. Il caso che ha dato origine alla decisione della Corte veniva introdotto avanti al Tribunale di Venezia da un attore, il quale, premettendo di essere proprietario pro indiviso di un terreno, chiedeva lo scioglimento della comunione con attribuzione delle proprie quote di spettanza in relazione ai fabbricati edificati al piano interrato e seminterrato dal solo altro comproprietario. Costituendosi in giudizio, la società proprietaria in comunione del terreno chiedeva dichiararsi, in proprio favore, la proprietà esclusiva del corpo edilizio interrato. Provvedendo in merito, il Tribunale accoglieva tale ultima richiesta dichiarando, appunto, di proprietà esclusiva della società convenuta il fabbricato posto al piano interrato.
La Corte d'appello veneziana confermava tale pronuncia con sentenza contro la quale il ricorrente proponeva ricorso in Cassazione.

Diritto di accessione: è necessaria o no la terzietà del costruttore rispetto alla proprietà del bene? Dando atto di un contrasto tra i Giudici di legittimità, come detto, la decisione veniva demandata alle Sezioni Unite della Corte Suprema. Tale differenti orientamenti erano, anzitutto, riassunti dal Collegio nel modo che segue:
- Sussiste un primo orientamento, risalente, che ritiene applicarsi l'istituto dell'accessione anche nei casi, come quello oggetto di causa, in cui il costruttore non sia soggetto terzo rispetto al proprietario (o ai proprietari) del fondo ove sorge la costruzione.
- Secondo un differente, più recente, orientamento al quale hanno aderito i giudici veneziani, viceversa, l'accessione si può appunto applicare, nel dirimere i contrasti, solo e soltanto qualora chi costruisce sia terzo rispetto alla proprietà del bene.
Tale secondo orientamento, come è agevole osservare, ha portato alla decisione poi impugnata avanti alla cassazione: questo in quanto essendo il costruttore (uno dei) proprietari (in comunione) del bene, si è ritenuto di riconoscere in capo soltanto a lui la proprietà esclusiva del fabbricato.
Nel dirimere il predetto contrasto, le sezioni unite ritengono di allontanarsi da tale ultimo orientamento e di aderire, viceversa, a quello precedente. Questo sia per ragioni di diritto sia per la sostanziale iniquità e ingiustizia che il più recente orientamento portava con se.
La Cassazione, nel revocare le decisioni di merito ed accogliere il ricorso, faceva anzitutto proprio il principio di diritto in base al quale l'istituto dell'accessione si applica senza alcuna limitazione o differenza relativa al soggetto che ha eseguito l'opera. In sostanza, non rileva se il costruttore sia terzo o meno rispetto alla proprietà del fondo.

Il diritto di accessione costituisce espressione del carattere assoluto del diritto di proprietà. Per giungere a tale condivisibile decisione, la Cassazione parte da un analisi della stessa origine storica dell'istituto di diritto privato dell'accessione. La Corte, in tale disamina, ricorda anzitutto che l'accessione costituisce espressione del carattere assoluto del diritto di proprietà, come è noto definito dall'art. 832 c.c. come «il diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo».

Nel diritto di accessione non rileva come sia avvenuta l'incorporazione del bene.L'istituto dell'accessione è una applicazione di tale carattere fondamentale del diritto di proprietà, poiché prevede che il dominium su una determinata cosa non consente un concorrente dominio altrui su una cosa che sia divenuta parte della stessa res. Ricordate le origini risalenti al diritto romano dell'istituto dell'accessione, nonché le successive elaborazioni del predetto istituto di acquisto della proprietà compiute dai glossatori nel periodo medioevale, ed infine la sua configurazione quale figura giuridica unitaria recepita dal codice napoleonico e poi fatta propria dal primo codice civile dell' Italia unita, la cassazione termina il proprio breve escursus storico con un riferimento al codice civile del 1942, ove viceversa il legislatore non ha voluto dare una definizione unitaria dell'accessione, ma piuttosto dettare una disciplina più agile dell'istituto. Anche in assenza di una definizione unitaria dell'istituto, osserva comunque la cassazione come l'elemento caratterizzante dell'accessione consista certamente nel fatto che l'acquisto del diritto di proprietà sia legato alla sola materiale ed obbiettiva incorporazione, non rilevando come tale incorporazione sia avvenuta.
A questo punto, la Corte, ricordati origine storica e carattere fondamentale dell'istituto in questione, prima di passare alla soluzione del caso ricorda nuovamente i 2 orientamenti sino ad oggi contrappostisi in materia di costruzione sul fondo comune posta in essere da uno solo dei comproprietari: 1) in un caso, più risalente, si riteneva che il principio dell'accessione operi anche nel caso di comunione, il che significa che il fabbricato costruito da uno solo dei comproprietari sul fondo comune sarà di proprietà pro indivisa (Cass. n. 3479/1978, Cass. n. 11120/1997). 2) Secondo l'orientamento più recente, viceversa, qualora il costruttore non sia terzo rispetto al fondo comune, non si applica il diritto di accessione ma bensì si fa riferimento alla disciplina della comunione.
Per questo secondo orientamento, quindi, la nuova costruzione sarebbe di proprietà comune a tutti i comunisti solo se eseguita in conformità alle regole del condominio, e cioè con il rispetto delle norme sui limiti del comproprietario all' uso delle cose comuni. Il fabbricato diverrebbe viceversa di proprietà solo di chi lo ha edificato qualora lo stesso sia stato costruito in violazione della disciplina condominiale (Cass. n. 7923/2007, Cass. n. 3675/1996).

Il diritto di accessione si applica a prescindere dal fatto che il costruttore sia proprietario o meno del fondo. Una volta chiarito tutto ciò: natura dell'istituto, origine storica dell'istituto e differenti precedenti orientamenti giurisprudenziali, la Corte passa finalmente alla soluzione del caso privilegiando “l'antico sentire” rispetto a quello più recente. Osserva, anzitutto, la Cassazione come in nessuna norma del codice civile si trovi scritto che l'accessione si applichi solo se chi costruisce sia terzo, (e quindi non il comproprietario) rispetto al bene originario. L'art. 934 c.c., in particolare, non contiene alcun riferimento soggettivo al costruttore. La norma, anzi, fornisce una nozione ampia di accessione che prescinde del tutto da chi sia il costruttore del bene. Conferme in tal senso, secondo le Sezioni Unite, si ricavano anche dalla giurisprudenza elaborata dalla Corte in tema di comunione legale tra i coniugi, ove si sempre detto che la costruzione realizzata durante il matrimonio da entrambi i coniugi sul suolo di proprietà esclusiva di uno solo di essi appartenga a quest'ultimo, in forza appunto del diritto di accessione che non necessita, pertanto, della terzietà di chi costruisce (Cass., Sezioni Unite, n. 651/1996). Una volta quindi ribadito che l'accessione non presuppone affatto che il costruttore sia terzo rispetto alla proprietà del suolo, la Cassazione conclude precisando che l'art. 934 c.c. in materia di accessione detta la regola generale alla quale ci si deve attenere in tutti i casi in cui l'incorporazione di piantagioni e materiali al suolo non trovi specifica disciplina in differenti e specifiche disposizioni di legge.
Deve quindi concludersi, osservano le sezioni unite, che «l'interpretazione letterale quanto l'interpretazione sistematica delle norme codicistiche relative alla accessione depongono nel senso che la regola generale dell'accessione di cui all'art. 934 c.c. prescinde dal riferimento soggettivo all'autore della costruzione e che non vi sono ragioni per escludere che essa operi anche nel caso di costruzione realizzata dal singolo comproprietario sul suolo comune».

La definizione di accessione non è in contrasto con la disciplina della comunione. Il Collegio, fornita la soluzione al caso e composto il precedente contrasto di orientamenti, chiarisce poi come non vi sia alcuna ragione per ritenere che tale applicazione (anche ai casi di comproprietà del bene) dell'istituto della accessione sarebbe derogata dalla disciplina della comunione. Le norme in materia di comunione, infatti, secondo la Corte regolano i rapporti tra comproprietari nell'uso e nel godimento della cosa comune e fissano i limiti entro cui e consentito il compimento di atti eccedenti l'ordinaria amministrazione del bene comune: ma nessuna disposizione che regola la comunione è atta a incidere sui modi di acquisto della proprietà o a mutare l'assetto della proprietà comune in modo tale da potersi considerare derogativa rispetto al principio di accessione. Le norme in materia di comunione, anzi, conclude la corte, coerentemente con la corretta interpretazione del principio di accessione escludono che uno solo dei comproprietari possa divenire proprietario esclusivo dell'opera e del suolo comune su cui essa insiste.
Le Sezioni Unite, successivamente, passano a criticare un altro punto della sentenza della Corte di Appello di Venezia esaminata; esattamente quello in cui si ritiene - una volta deciso che si debba far riferimento al regime della comunione (e non dell'accessione) per quanto riguarda le costruzioni del comproprietario sul terreno comune - che il bene diverrebbe di proprietà comune soltanto qualora venga eseguito in conformità alle regole che disciplinano la comunione cioè nel rispetto dei limiti posti al comproprietario nell' uso della cosa comune. In altre parole, secondo l'orientamento che appunto il Collegio ritiene debba essere abbandonato, se il proprietario in comunione del bene edifica sul fondo comune violando i diritti dell'altro proprietario, il bene edificato diverrebbe di proprietà non in comunione ma del solo costruttore.
La Corte rileva come tale ragionamento, oltre a portare di fatto a risultati non condivisibili finendo per premiare chi violi la disciplina della comunione, avrebbe come conseguenza di costituire una potente violazione della “riserva di legge” relativa ai modi di acquisto della proprietà. In sostanza, conclude la corte, la soluzione prospettata dalla Corte di Appello di Venezia nello stabilire che il comproprietario non costruttore possa perdere la proprietà della cosa comune per il semplice fatto della iniziativa dell'altro comproprietario, pone in essere una soluzione «contraria ad ogni logica e al comune senso di giustizia perché finisce per premiare, piuttosto che sanzionare, il comproprietario che commette un abuso in danno degli altri comproprietari».
Anche per le conseguenze inique alle quali porta il più recente orientamento in tema di accessione, pertanto, la cassazione ribadisce che la disciplina della comunione non costituisce affatto una deroga legale al principio di accessione, e che pertanto quest'ultimo si applica anche qualora uno solo dei comproprietari costruisca sul suolo comune.

Il regime giuridico che si applica al bene edificato da uno solo dei comproprietari è quello della comunione. Una volta stabilito ciò, alla Corte non resta che definire quale debba essere il regime giuridico che regoli i rapporti tra costruttore e proprietario del suolo. Il Collegio a tal proposito ritiene che si debba far riferimento, in assenza di indicazioni negli articoli del codice dedicati all'accessione, alle norme che regolano la comunione: con particolare riferimento a quelle che regolano l'utilizzo della cosa comune e le innovazioni. In applicazione di tali regole, il comproprietario che ha patito pregiudizio dalla costruzione edificata senza la preventiva autorizzazione della maggioranza dei condomini ovvero comunque in pregiudizio di questi, potrà valersi delle normali azioni possessorie e pretendere, nel caso, la demolizione dell'opera lesiva del suo diritto.

Lo ius tollendi deve essere coniugato con il principio della tolleranza. La Corte, tuttavia, precisa ancora come l'esercizio dello ius tollendi debba comunque essere coniugato con il principio di tolleranza, e che si debba pertanto distinguere il caso in cui il costruttore abbia agito contro l'esplicito divieto del comproprietario, da quello in cui egli abbia agito se non con il consenso quantomeno a scienza e senza opposizioni dell'altro comproprietario. Nel caso di costruzione eseguita a sua insaputa, quindi, secondo la cassazione il condomino ignaro del fatto potrà chiedere il ripristino dello status quo ante, mentre il proprietario che non si sia opposto esplicitamente all'edificazione della quale era a conoscenza non potrà avvalersi di tale rimedio giuridico. Va aggiunto, infine, nel disciplinare la fattispecie seguendo i dettami forniti dalla decisione in oggetto, che ove lo ius tollendi non venga esercitato, e quindi non venga chiesta la demolizione dell'opera, sorgerà un diritto di credito in favore del comproprietario costruttore in forza del quale gli altri comproprietari dovranno risarcirgli le spese sopportate per l'edificazione dell'opera.
Alle Sezioni Unite, pertanto, cassata la sentenza sottoposta al suo vaglio per non essersi attenuta ai principi di legge, non resta che concludere il proprio cospicuo elaborato con l'elencazione dei principi ai quali d'ora in avanti ci si dovrà attenere nel giudicare casi di costruzione sul fondo comune da parte di uno dei comproprietari.

Ecco le regole:
- «La costruzione eseguita dal comproprietario sul suolo comune diviene per accessione, ai sensi dell'art. 934 c.c., di proprietà comune degli altri comproprietari del suolo, salvo contrario accordo, traslativo della proprietà del suolo o costitutivo di un diritto reale su di esso, che deve rivestire la forma scritta ad substantiam»;
- «il consenso alla costruzione manifestato dal comproprietario non costruttore, pur non essendo idoneo a costituire un diritto di superficie o altro diritto reale, vale a precludergli l'esercizio dello ius tollendi»;
- «Ove lo ius tollendi non venga o non possa essere esercitato, i comproprietari del suolo sono tenuti a rimborsare al comproprietario costruttore, in proporzione alle rispettive quote di proprietà, le spese sopportate per l'edificazione dell'opera».

Fonte: dirittoegiustizia.it

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