Fatto di lieve entità e detenzione di sostanze stupefacenti di natura diversa
22 Febbraio 2018
Abstract
La riformulazione dell'art. 73, comma 5, del d.P.R. 10 ottobre 1990, n. 309, ad opera del d.l. 23 dicembre 2013 n.146, conv. con l. 21 febbraio 2014, n. 10, in termini di fattispecie autonoma di reato per il fatto di lieve entità in tema di violazione delle norme sugli stupefacenti, ha reso indifferente sul piano retributivo le tipologie di sostanza stupefacente detenuta o ceduta, con la conseguenza che il quadro edittale, previsto in modo indifferenziato per le droghe tabellarmente classificate come “leggere” e per quelle “pesanti”, non può essere eliso, soprattutto nel caso, assai frequente, di concorso con l'aggravante della recidiva. La rigidità del trattamento sanzionatorio derivante dalle modifiche normative attuate e la indifferenza del compasso edittale alla tipologia di sostanze stupefacenti oggetto della condotta illecita di detenzione o cessione, ha spinto la giurisprudenza di legittimità ad ampliare i margini applicativi del fatto lieve entità nel tentativo di rimettere al giudice la valutazione del grado di offensività del fatto e la determinazione della risposta retributiva più adeguata al caso concreto. Il contrasto giurisprudenziale, di recente insorto, in ordine al criterio valutativo della pluralità di sostanze stupefacenti oggetto della condotta illecita, consente di individuare, attraverso l'analisi della casistica giurisprudenziale, una nuova chiave interpretativa dei criteri indicati dalla norma, che assumono rilevanza in termini ostativi alla configurabilità della fattispecie lieve solo se si presentino inconciliabili con una condotta di minima offensività penale. Premessa
Il d.l. 23 dicembre 2013 n.146, conv. con l. 21 febbraio 2014, n. 10, ha riformulato l'art. 73, comma 5, del d.P.R. 10 ottobre 1990, n. 309, che, in materia di stupefacenti, disciplina il fatto di lieve entità, secondo una duplice direttrice: da un lato, è stato ridotto il massimo edittale della pena detentiva (la reclusione è stata ricompresa nel compasso da uno a cinque anni), unica per tutte le tipologie di sostanza stupefacente; dall'altro, effetto speciale la fattispecie è stata configurata – da circostanza attenuante – come ipotesi autonoma di reato, che si pone in rapporto di specialità con quella prevista al primo comma della medesima disposizione. La novella della norma ha conosciuto veste ultima con l'intervento legislativo dovuto al d.l. 20 marzo 2014, n. 36, che ha confermato la scelta di configurare la fattispecie di lieve entità in termini di reato autonomo e della omogeneità di sanzione per condotte riferibili a droghe “pesanti” e “droghe leggere”, scelta fatta salva dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 32 del 2014, pur rimodulando il quadro edittale di riferimento, con una contrazione dei limiti edittali, passati dalla pena della reclusione da uno a cinque anni (e della multa da 3.000 a 26.000 euro) a quella della reclusione da sei mesi a quattro anni (e della multa da 1.032 a 10.329 euro). La giurisprudenza della Corte ha ritenuto non irragionevole il trattamento sanzionatorio derivante dalle modifiche normative attuate con i due decreti legge successivi del 2013 e del 2014, alla luce della duttilità del quadro normativo complessivo che consente al giudice di merito di adeguare la soluzione sanzionatoria al caso concreto (Cass. pen., Sez. IV, 28 febbraio 2014, n. 10514, Verderamo; Cass. pen., Sez. IV, 24 aprile 2014, n. 20225, De Pane e altro). Tuttavia, l'estrema rigidità del compasso edittale, acuito dalla indifferenza alla tipologia dello stupefacente oggetto delle condotte illecite, ha portato la giurisprudenza della Suprema Corte ha ampliare, non senza l'emergere di stridenti contrasti interpretativi in ipotesi di detenzione di sostanze di specie diversa, i margini applicativi del fatto di lieve entità di cui all'art. 73, comma 5, del d.P.R. 309 del 1990. Il contrasto intepretativo in tema di detenzione di sostanze di specie diversa
La configurabilità dell'ipotesi lieve. Con la recente sentenza Cass. pen., Sez. VI, 19 settembre 2017, n. 46495, P.M. in proc. Rachadi e altrisi è acuito il contrasto maturato nella giurisprudenza di legittimità sulla ostatività della detenzione di sostanze stupefacenti di natura diversa al riconoscimento del fatto di lieve entità. Con la citata sentenza n. 46495/2017, Rachadi e altri, si afferma che, «in caso di detenzione di quantità non rilevanti di sostanza stupefacente», la diversa tipologia della sostanza non può di per sé costituire ragione sufficiente a escludere l'ipotesi di lieve entità di cui all'art. 73, comma 5, d.P.R. 309 del 1990, qualora le peculiarità del caso concreto siano indicative di una complessiva minore portata dell'attività svolta dallo spacciatore. La pronuncia si pone in “consapevole continuità” con precedenti arresti della Corte, di seguito esaminati e in dissonanza con il contrario orientamento che riconduce all'elemento fattuale della detenzione di stupefacenti di diversa tipologia un valore assorbente negativo del riconoscimento del fatto di lieve entità. Segue, inoltre, la coeva Cass. pen., Sez. IV, 13 luglio 2017, n. 49153, P.G. in proc. Amorello, che ha escluso che la diversa tipologia della sostanza possa negare la configurabilità dell'ipotesi di lieve entità «qualora le peculiarità del caso concreto siano indicative di una complessiva minore portata dell'attività svolta dallo spacciatore» (nel caso di specie, nel giudizio di merito era stata riconosciuta la sussistenza dell'ipotesi della lieve entità nella condotta di cessione al minuto di modesti quantitativi di stupefacente, pur se di diversa qualità, in un arco temporale circoscritto, di circa tre mesi). Facendo ricorso ai medesimi criteri normativi di valutazione, Cass. pen., Sez. IV, 4 aprile 2017, n. 22655, Ben Alì, ha escluso la configurabilità del fatto di lieve entità con riferimento ad una attività di cessione caratterizzata da elementi indicativi di un'elevata professionalità, quali il numero degli episodi, la protrazione nel tempo, i contatti con ambienti criminali di maggior spessore e la quantità di stupefacente "trattato" (in senso conforme, Cass. pen., Sez. IV, 15 giugno 2017, n. 40776, Pugliese; Cass. pen., Sez. IV, 22 giugno 2017, n. 36069, Magazzù; Cass. pen., Sez. IV, 22 giugno 2017, n. 37533, Saadaoui). Nella sentenza n. 22655 del 2017, Ben Alì, si osserva che «la mancanza di prova della pluralità di stupefacenti […] può, ma non necessariamente deve, condurre all'esclusione dell'ipotesi attenuata, occorrendo sempre operare una prudente valutazione di tutte le circostanze concrete. Nessun automatismo applicativo, infatti, può aversi in un giudizio raziocinante e rispettoso dei precetti costituzionali pur in presenza di una pluralità di tipologia di stupefacenti, ben potendosi, in linea astratta, ipotizzare la sussistenza di un "piccolo spaccio" da parte di agente estremamente disorganizzato che detenga per la cessione a terzi minime quantità di droghe di diverso genere». L'interpretazione si fonda sul dato normativo e sull'analisi sistematica. L'ipotesi di cui all'art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990 che costituisce, non più una circostanza attenuante, bensì una fattispecie autonoma di reato connotata da specifici elementi costitutivi e da un grado di offensività "tipico", declinato in termini di lieve entità. Tra gli elementi da valutare ai fini dell'applicazione della fattispecie lieve vi è, infatti, la qualità delle sostanze, locuzione che, declinata al plurale, lascia – in tutta evidenza – aperta la riferibilità applicativa della disposizione anche ai casi in cui la condotta concerna tipologie diverse di droga. Inoltre, la previsione di un'identica forbice sanzionatoria, tanto in caso di droghe leggere, quanto in quello di droghe pesanti, porterebbe al risultato, del tutto irrazionale – oltre che contrario al principio di legalità, attribuendo alla norma elementi precettivi che non contiene – di ritenere la disposizione applicabile soltanto in presenza di condotte lievi aventi ad oggetto sostanze droganti fra loro omogenee. Infine, ragioni logico-applicative consentono di ritenere come non corrisponda a una comune massima d'esperienza che la contestuale detenzione o cessione di stupefacente di differente natura costituisca, di per sé, un indice significativo di una più accentuata pericolosità, tale da rappresentare ex se una condizione ostativa all'applicazione della fattispecie attenuata. La Corte esclude, dunque, qualsivoglia “illogico automatismo sanzionatorio” che riconduca la detenzione di plurime sostanze stupefacenti alla fattispecie incriminatrice più grave, per ribadire, in coerenza con i principi di offensività, di proporzionalità e di individualizzazione e finalità rieducativa della pena costituzionalmente presidiati, la necessità che la valutazione del giudice debba determinare un trattamento sanzionatorio adeguato alle particolari modalità e circostanze della situazione sub iudice (cfr. anche Cass. pen., Sez. VI, 25 gennaio 2017, n. 14882, Fonzo ed altri che individua la disponibilità di tipologie eterogenee di sostanze droganti solo come uno dei dati sintomatici della non lieve entità del fatto, che il giudice di merito dovrà comunque valutare nel contesto delle ulteriori specifiche circostanze e peculiarità (modali, temporali, funzionali e personali) del caso; conf., da ultimo, Cass. pen., Sez. VI, 9 maggio 2017, n. 29132, Merli; Cass. pen.,Sez. IV, 4 aprile 2017, n. 22654, Rhimi). In tal senso, Cass. pen., Sez. IV, 6 luglio 2017, n. 36078, Dubini, con riferimento alla ipotesi di detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti di diverso tipo (hashish e MDMA) in un identico contesto, ha ritenuto illegittima la determinazione della pena operata applicando l'aumento della continuazione in quanto frutto della erronea qualificazione del fatto da unico reato in due distinti reati.
Il valore ostativo assorbente della pluralità di sostanze. Un contrario orientamento – espresso, da ultimo, da Cass. pen., Sez. IV, 15 dicembre 2016, n. 6624, Bevilacqua – ritiene che l'attenuante del fatto di lieve entità, di cui all'art. 73, comma 5, del d.P.R. 309 del 1990 «non è configurabile nel caso di detenzione di sostanze di differente tipologia, a prescindere dal dato quantitativo, trattandosi di condotta indicativa della capacità dell'agente di procurarsi sostanze tra loro eterogenee e, per ciò stesso, di rifornire assuntori di stupefacenti di diversa natura, così da recare un danno non tenue al bene della salute pubblica tutelato dalla norma incriminatrice». Tale principio, elaborato in relazione alla fattispecie attenuata di cui all'art. 73, comma 5, nel testo vigente prima dell'entrata in vigore della legge 16 maggio 2014, n. 79, è espresso anche nella nuova ipotesi autonoma di reato (Cass. pen., Sez. III, 5 giugno 2015, n. 26205, P.M. in proc. Khalfi, in relazione alla «fattispecie di detenzione di 20,875 grammi di eroina, di 5,176 grammi di cocaina e di 1,401 grammi di hashish»; in senso conforme, Cass. pen., Sez. III, 19 marzo 2014, n. 27064, P.G. in proc. Fontana). In senso conforme, Cass. pen., Sez. III, 9 ottobre 2014, n. 47671, Cichetti ha ritenuto che la detenzione di sostanze di differente tipologia (nella specie, grammi 91 di hashish e di 181 pasticche di ecstasy), esprime una circostanza dell'azione non compatibile con una valutazione del fatto in termini di lieve entità, posto che, anche a prescindere dal dato quantitativo, la differente natura dello stupefacente detenuto è significativo indice di una più accentuata pericolosità. Del resto costituisce circostanza comunque irrilevante, immutato l'impianto strutturale della fattispecie, che il valore negativo assorbente della detenzione di differenti tipologie di stupefacente venga affermato con riferimento alla pregressa o alla nuova formulazione della norma. Nelle pronunce si pone l'accento sul fatto che la fattispecie di cui all'art. 73, comma 5, «può essere riconosciuta solo in ipotesi di minima offensività penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizione (mezzi, modalità, circostanze dell'azione)», come il dato ponderale e l'eventuale possesso di strumenti idonei al confezionamento. In tale contesto l'ipotesi lieve viene esclusa ove anche quando uno solo degli indici previsti dalla legge consenta di escludere una minima offensività della fattispecie, restando ogni altra considerazione priva di incidenza sul giudizio. La detenzione di sostanze di diverso tipo rappresenta circostanza inconciliabile con il riconoscimento della minima offensività della condotta e rende vana la ponderazione, anche in termini comparativi, degli altri parametri relativi all'oggetto materiale del reato, quale il dato ponderale della sostanza o il numero di dosi detenute o ricavabili, ovvero attinenti alla condotta illecita (intensità dell'attività di spaccio, numero degli episodi di reato, estensione e/o concentrazione temporale della condotta illecita, ruolo partecipativo dell'agente). Il dato ponderale. Il richiamo ad una unitaria valutazione dei criteri normativi
Costituisce, di contro, principio comune ed approdo consolidato l'obbligo del giudice di valutare, ai fini della configurabilità della fattispecie lieve in esame, tutti gli elementi normativamente indicati, concernenti l'azione (mezzi, modalità e circostanze della stessa), ovvero l'oggetto materiale del reato (quantità e qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa). In tal senso, Cass. pen., Sez. unite, 24 giugno 2010, n. 35737, P.G. in proc. Rico, richiede, ai fini della configurabilità dell'ipotesi attenuata, che la condotta abbia minima offensività penale, desumibile dalla valutazione dei parametri richiamati dalla disposizione, salvo uno di essi non sia di per sé suscettibile di arrecare un'offesa e/o di realizzare una messa in pericolo del bene tutelato così significative da renderlo assorbente. Il dato ponderale dello stupefacente costituisce, in tal senso, l'elemento di maggiore impatto nella valutazione della offensività della condotta. Tuttavia, tale dato deve essere ritenuto elemento in via astratta non inconciliabile con la configurabilità della fattispecie autonoma del fatto di lieve entità. In tal senso, Cass. pen., Sez. VI, 28 settembre 2016, n. 45694, Zuccaro, evidenzia come spetti al giudice specificare in motivazione quali altri elementi consentano di qualificare il fatto nell'una o nell'altra ipotesi di reato, quando la detenzione di stupefacente riguardi una quantità che sia in sé compatibile con le due diverse ipotesi di reato, facendo salvi i casi in cui ci si trovi di fronte a quantità e/o modalità della condotta che riportino immediatamente il fatto in uno delle due ipotesi di reato. In termini sostanzialmente analoghi, Cass. pen., Sez. III, 22 settembre 2016, n. 47301, P.G. in proc. Singh, richiama uno specifico obbligo di motivazione della sentenza di patteggiamento per reati in materia di stupefacenti, qualora né le modalità dell'azione, né la quantità rinvenuta siano tali da giustificare, in assenza di altri elementi significativi, la qualificazione del fatto come di lieve entità. Nella specie, la Corte ha annullato senza rinvio la sentenza che, a fronte di una contestata detenzione di 16 Kg. di bulbi essiccati di papavero contenenti 153,12 grammi di morfina, pari a 6.125 dosi medie giornaliere, si era limitata a dare atto della corretta qualificazione giuridica del fatto, ricondotto alla ipotesi di cui all'art. 73, comma 5, d.P.R. 309 del 1990. Il principio è espresso anche nell'ipotesi di coltivazione non autorizzata di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti (Cass. pen., Sez. IV, 5 luglio 2017, n. 50970, Markezic,), dovendo aversi riguardo, ai fini della configurabilità della fattispecie del fatto di lieve entità di cui all'art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990 «sia al principio attivo ricavato nell'immediato, sia a quello ricavabile all'esito del ciclo biologico delle piante, sia ad una apparente destinazione per uso non esclusivamente personale, per tipo, qualità, quantità e livello di produzione, tenuto conto del fabbisogno medio dell'agente». Spaccio non occasionale e continuativo
La giurisprudenza, in termini sostanzialmente univoci, desume la necessità di una valutazione unitaria e complessiva degli elementi che caratterizzano la condotta, al fine di rilevare la minima offensività rispetto al bene interesse tutelato. Un chiaro argomento in tal senso di trae dall'art. 74, comma 6, d.P.R. 309 del 1990, che ha previsto un'ipotesi di associazione finalizzata a commettere fatti descritti dal quinto comma dell'art. 73 d.P.R. 309/1990, così rendendo configurabili come lievi anche gli episodi che costituiscono attuazione del programma criminoso associativo. Sul tema, da ultimo, Cass. pen., Sez. VI, 3 luglio 2017, n. 39374, El Batouchi, ha ritenuto “non condivisibili” e “distoniche dal dato normativo” le considerazioni svolte in via astratta dal giudice cautelare che aveva escluso la configurabilità del fatto di lieve entità con riferimento alla attività di spaccio non episodica né occasionale desunta dalla detenzione di un quantitativo non minimo di hashish, unitamente al possesso della somma suddivisa in banconote di vario taglio, nonché di un telefono cellulare). I caratteri della c.d. associazione minore di cui all'art. 74, comma 6, d.P.R. 309/1990 si identificano nel fatto che i sodali abbiano programmato esclusivamente la commissione di fatti di lieve entità, predisponendo modalità strutturali e operative incompatibili con fatti di maggiore gravità e che, in concreto, l'attività associativa si sia manifestata con condotte tutte rientranti nella previsione dell'art. 73, comma 5, d.P.R. 309 del 1990 (Cass. pen., Sez. IV, 14 giugno 2017, n. 34920, B.; Cass. pen.,Sez. VI, 19 gennaio 2016, n. 12537, Biondi e altri, arresti in cui la Corte ha escluso la sussistenza della ipotesi associativa minore in ragione del numero di condotte di spaccio, della differente tipologia di sostanze stupefacenti, del quantitativo oggetto delle cessioni, nonché per l'intensità degli episodi di spaccio, reiterati in un lungo arco di tempo). La giurisprudenza richiamata ha elaborato, dunque, le seguenti regole di orientamento:
L'interprete deve verificare se la condotta, pur connotata dalla predisposizione dei mezzi e dalla programmazione delle modalità esecutive, cioè da un'organizzazione, presenti contorni che consentano di ritenere minima l'offesa al bene giuridico protetto, connesso al rischio di diffusività delle sostanze stupefacenti, come nel caso del ristretto ambito temporale di operatività, dello scarno numero di clienti ovvero della scarsa professionalità. Allo stesso modo, l'occasionalità della condotta non può da sola comportare il riconoscimento della fattispecie della lieve entità, qualora la singola cessione di una quantità modica, o non accertata, di droga costituisca manifestazione effettiva di una più ampia e comprovata capacità dell'autore di diffondere in modo non episodico, nè occasionale, sostanza stupefacente (Cass. pen., Sez. IV, 26 aprile 2017, n. 40720, Nafia ed altri, che ha ricondotto la non minima offensività della condotta alla intensità del traffico, alla pluralità di sostanze vendute, alla sussistenza di una rudimentale organizzazione dell'attività criminale con una numerosa e fedele clientela acquisita ed incassi ingenti). In conclusione
Lo sforzo giurisprudenziale verso il recupero di un più ampio ambito applicativo della fattispecie del fatto di lieve entità di cui all'art. 73, comma 5, trova fondamento nei principi di offensività, proporzionalità, individualizzazione e finalità rieducativa della pena costituzionalmente presidiati, che, rimettendo al giudice la valutazione del caso concreto, gli consentono di determinare un trattamento retributivo adeguato alle specifiche modalità e circostanze della situazione, rifuggendo da automatismi sanzionatori. Tale esigenza consento di ritenere in astratto compatibile la nuova fattispecie attenuata con circostanze che potrebbero apparire ad essa oggettivamente ostative, come la detenzione di plurime sostanze, il dato ponderale ovvero lo svolgimento di attività di spaccio di stupefacenti non occasionale ma continuativo. In concreto, si sottolinea che i parametri normativi ("mezzi, modalità o circostanze dell'azione"), di pari rilevanza, impongono una valutazione non atomistica della singola condotta, che deve invece essere contestualizzata e considerata, appunto, nel suo concreto divenire e non quale fotogramma estraneo alla realtà viva. Ne consegue che la valutazione della offensività non può essere ancorata al solo dato (statico) della quantità di volta in volta ceduta, ma deve essere frutto di un giudizio più ampio che coinvolga, appunto, ogni aspetto del fatto nella sua dimensione oggettiva (ex multis, Cass. pen., Sez. III, 8 luglio 2016, n. 6871, Bandera e altri). M. TORIELLO, Produzione e traffico illecito di stupefacenti di lieve entità; B. LO PROTO, La disciplina penale degli stupefacenti fra fatto lieve e "fatto tenue"; S. DE FLAMMINEIS, La disciplina del fatto lieve in materia di stupefacenti alla luce delle ultime sentenze della Cassazione, in archiviopenale.it. |