Il sacrificio del singolo per la collettività va indennizzato anche in caso di vaccino antinfluenzale non obbligatorio
26 Febbraio 2018
Massima
La collettività deve sostenere i costi del pregiudizio individuale, anche nel caso in cui la menomazione permanente sia derivata dalla vaccinazione antinfluenzale. Sarebbe altrimenti irragionevole riservare un trattamento deteriore a coloro che abbiano aderito alle raccomandazioni delle autorità sanitarie pubbliche rispetto a quanti abbiano ubbidito ad un precetto. La traslazione sulla collettività delle conseguenze negative del vaccino antinfluenzale, alle condizioni e nei limiti previsti dalla legge n. 210 del 1992, consegue all'applicazione dei principi costituzionali di solidarietà (art. 2 Cost.), di tutela della salute anche collettiva (art. 32 Cost.) e di ragionevolezza (art. 3 Cost.), completando – in termini che rendono più serio e affidabile ogni programma sanitario volto alla diffusione dei trattamenti vaccinali – il “patto di solidarietà” tra individuo e collettività, al fine di una più ampia copertura, con benefici non solo economici sul SSN e sulle attività lavorative. Il caso
La vicenda processuale si attiva a seguito del diniego opposto dal Ministero della Salute al riconoscimento dell'indennizzo in favore del soggetto affetto da sindrome di Parsonage Turner conseguita al vaccino antinfluenzale. Trattandosi di vaccino non obbligatorio, ma solo raccomandato, la pretesa del danneggiato viene infatti inizialmente respinta sulla base del dato letterale della norma. Nel giudizio di primo grado, dopo essere stato accertato il nesso eziologico tra il vaccino antinfluenzale e la sindrome di Parsonage Turner, la pretesa del soggetto danneggiato viene invece accolta e gli viene così riconosciuto anche l'indennizzo previsto dall'art. 1 comma 1 della l. 210 del 1992. Attraverso un'interpretazione costituzionalmente conforme della norma, il Tribunale di Milano ha infatti ritenuto di poter estendere, anche al caso in esame, i principi precedentemente espressi nella sentenza n. 107 del 2012, in cui la Corte Costituzionale aveva dichiarato l'illegittimità dell'art. 1, comma 1, della richiamata legge, nella parte in cui non veniva riconosciuto il diritto all'indennizzo, anche ai soggetti danneggiati in maniera permanente dal vaccino contro morbillo, parotite e rosolia MPR (allora vaccinazione non obbligatoria). Secondo la Consulta, in presenza di reiterate ed assidue campagne di sensibilizzazione ed informazione delle autorità pubbliche a favore delle vaccinazioni, la scelta dei singoli di effettuare un vaccino non obbligatorio risulta votata alla salvaguardia anche dell'interesse collettivo. A fronte dunque di un vantaggio anche collettivo, non è possibile non riconoscere un indennizzo anche a chi abbia subito conseguenze negative per aver scelto di uniformarsi ad un invito piuttosto che ad un precetto. Su tali basi, il Tribunale milanese ha ritenuto di far rientrare anche la vaccinazione antinfluenzale tra le ipotesi di vaccinazione raccomandata con chiare finalità di tutela della collettività, in quanto fortemente incentivata ai pensionati nelle campagne di sensibilizzazione del Ministero della Salute.
La sentenza di primo grado del Tribunale di Milano viene, tuttavia, appellata dal Ministero della Salute sulla base delle seguenti censure: 1) l'illegittimità con cui il Tribunale aveva deciso di estendere l'ambito applicativo della legge n. 210 del 1992 ad una vaccinazione come quella antinfluenzale non obbligatoria, ma solamente raccomandata; 2) l'erroneità del riferimento fatto dal Tribunale di Milano alla sentenza n. 107 del 2012, non potendosi assimilare rosolia, parotite e morbillo al virus influenzale.
La Corte d'Appello di Milano, chiamata a valutare la decisione del giudice di prime cure, non condivide le contestazioni sollevate d'appellante, non condividendo tuttavia neppure la decisione del Tribunale di riconoscere il diritto all'indennizzo, attraverso una pretesa interpretazione costituzionalmente conforme dell'art. 1, comma 1, l. n. 210 del 1992, sulla base di quanto statuito dalla sentenza n. 107 del 2012. Con atto depositato il 3 gennaio 2017, interviene nel giudizio avanti alla Consulta anche il Presidente del Consiglio dei Ministri, contestando le motivazioni a sostegno dell'ordinanza di rimessione della Corte d'Appello ed eccependone, per l'effetto, l'inammissibilità, irrilevanza ed infondatezza. La questione
La questione in esame è la seguente: deve ritenersi costituzionalmente illegittimo l'art. 1, comma 1, l. n. 210 del 1992, nella parte in cui non prevede il diritto ad un indennizzo in favore dei soggetti che abbiano riportato lesioni o infermità, dalle quali sia derivata una menomazione permanente dell'integrità psico-fisica, a causa di una vaccinazione antinfluenzale non obbligatoria, ma solo raccomandata? Le soluzioni giuridiche
Nel caso in esame, la Corte Costituzionale si è trovata a dover decidere in merito alla legittimità di estendere, anche al vaccino antinfluenzale raccomandato, il diritto all'indennizzo previsto solo per le vaccinazioni obbligatorie dall'art. 1, comma 1, della l. 210/1992. Tale questione era già stata affrontata dalla stessa Corte per i vaccini -allora tutti raccomandati- contro poliomielite, morbillo, rosolia e parotite, rispettivamente, in C. cost. n. 118/1996, C. cost. n. 27/1998 e C. cost. n. 107/2012. In questi casi, la Consulta aveva riconosciuto l'indennizzo di legge anche alle vaccinazioni raccomandate oggetto dei diversi giudizi, dichiarando l'illegittimità della norma nella parte in cui non lo prevedeva. Nel caso di specie, l'iter logico seguito dalla Corte Costituzionale, per giungere ad una soluzione della questione inerente il vaccino antinfluenzale, risulta il medesimo già adottato, in precedenza, per le anzidette vaccinazioni raccomandate. La Corte parte definendo i principi generali posti alla base del riconoscimento dell'indennizzo, precisandone i presupposti e le condizioni, passando poi a valutarne l'applicabilità anche al vaccino antinfluenzale. Nella pronuncia in esame, la questione relativa all'indennizzo viene affrontata da un punto di vista differente rispetto a quello che emerge dal dato letterale della norma.
Nella prospettiva tenuta dalla Consulta, ai fini dell'indennizzo, il fatto che il vaccino sia obbligatorio o raccomandato risulta del tutto irrilevante.
Il presupposto per il diritto all'indennizzo non è infatti l'obbligatorietà del vaccino, ma piuttosto l'interesse anche collettivo di tutela della saluteche sta alla base del trattamento vaccinale. L'obbligatorietà, in questo senso, rappresenta solo un mezzo per il perseguimento di tale interesse (Cfr. C. Cost., sent. 6 ottobre 2000 n. 423). La tecnica adottata per garantire la profilassi dalle malattie infettive è dunque, semplicemente, lo strumento attraverso il quale, sulla base di due diverse concezioni del rapporto tra individuo e autorità pubbliche, il Legislatore sceglie di rapportarsi alle contingenti e diverse condizioni epidemiologiche rilevate dalle autorità sanitarie. Per questo, qualora sussistano oggettive esigenze di prevenzione accertate dalle autorità, tali da rendere necessario un intervento più incisivo, si propenderà per la tecnica dell'obbligo (imposto per legge o per ordinanza di una autorità sanitaria) seguito da sanzione. In tal caso, la limitazione del diritto di autodeterminazione dell'individuo risulterà giustificata dal fatto che, correlativamente alla salvaguardia della salute pubblica, siano comunque garantiti anche il miglioramento e la conservazione dello stato di salute del singolo.
Qualora invece non sussista un imminente pericolo per la salute pubblica e si preferisca fare appello all'adesione volontaria ad uno specifico programma vaccinale, si propenderà per la tecnica della raccomandazione, caratterizzata da intense campagne di sensibilizzazione promosse dalle autorità sanitarie. In questo caso, l'autodeterminazione del singolo risulterà maggiormente salvaguardata, con riguardo al profilo soggettivo del diritto alla salute (art. 32, comma 1, Cost.), restando comunque tutelato anche l'interesse collettivo.
L'elemento che accomuna entrambe le tecniche è dunque quello di tutelare la salute, anche collettiva, attraverso il raggiungimento della più ampia copertura vaccinale. In questo senso, non vi è alcuna differenza “qualitativa” tra l'obbligo e la raccomandazione. Come rilevato, di recente, dalla stessa Consulta, in ambito medico, la distanza tra raccomandazione e obbligo è assai minore di quella che separa i due concetti nei rapporti giuridici. Le azioni di “raccomandare” e “prescrivere” sono infatti percepite dalla popolazione come egualmente doverose, in considerazione dell'autorevolezza propria del consiglio medico (Cfr. C. Cost., sent. n. 5/2018).
Con particolare riferimento alle vaccinazioni raccomandate, ai fini dell'indennizzo, assume un ruolo determinante l'incidenza persuasiva delle campagne di sensibilizzazione rispetto alla scelta individuale di ricorrere ad un trattamento vaccinale non obbligatorio. L'affidamento fatto dal singolo rispetto al trattamento consigliato dalle autorità sanitarie si ripercuote infatti inevitabilmente sulla sua scelta di aderire alla raccomandazione. Per questa ragione, a prescindere dalla motivazione personale che spinge il singolo ad effettuare il trattamento, la scelta individuale risulta di per sé indirizzata alla salvaguardia anche dell'interesse collettivo.
Secondo la Consulta, il fatto di sottoporsi ad un vaccino, anche se raccomandato, garantisce una duplice tutela della salute, sia sul piano individuale sia su quello collettivo, in quanto impedisce il contagio fra soggetti non a rischio e soggetti a rischio, contribuendo a proteggere anche coloro i quali non possano ricorrere al trattamento vaccinale, in ragione di una particolare condizione di salute. Il diritto ad ottenere l'indennizzo origina dunque dalla solidarietà sociale che la collettività deve garantire al singolo, nel caso in cui questi subisca un danno permanente, a seguito di un trattamento vaccinale effettuato, anche, nell'interesse collettivo. Lo scopo dell'indennizzo è infatti quello di compensare il sacrificio individuale, a fronte del vantaggio goduto dalla collettività, non quello di riparare il danno ingiusto subìto dal singolo, come nel caso del risarcimento.
In ragione di ciò, secondo la Consulta, risulterebbe irragionevole escludere una tutela indennitaria in capo a tutti quei soggetti che, anche inconsapevolmente, abbiano contribuito al bene della collettività, facendo affidamento sulle assidue e costanti campagne di sensibilizzazione promosse dalle autorità sanitarie. In questo modo, le conseguenze negative di un trattamento fatto anche a beneficio della collettività finirebbero per ricadere sui singoli ed, in particolare, su coloro che siano stati indotti a vaccinarsi, e ciò per il solo fatto che la loro cooperazione derivi da una persuasione e non da una imposizione. Questo violerebbe i principi di solidarietà e di ragionevolezza e di tutela della salute, di cui agli artt. 2, 3 e 32 Cost.
Chiarito questo primo concetto, la Corte passa a valutare l'ulteriore elemento riguardante la dimensione e la portata della raccomandazione. Se è vero infatti, secondo la Corte Costituzionale, che l'indennizzo può essere riconosciuto anche al di fuori delle ipotesi di vaccino obbligatorio, nel caso in cui il trattamento vaccinale sia stato effettuato anche nell'interesse della collettività, è altresì vero che non tutte le “indicazioni di profilassi provenienti dalle autorità pubbliche” presentano le caratteristiche necessarie per giustificare tale indennizzo. Prima quindi di poter estendere ad uno specifico caso di vaccino raccomandato i principi già sanciti nelle precedenti pronunce, occorre soffermarsi, preliminarmente, sulle specifiche caratteristiche di ogni singola raccomandazione, al fine di valutarne la portata in relazione alla dimensione collettiva della tutela. All'uopo, la Consulta elenca una serie di elementi utili per valutare questo specifico aspetto:
Sulla base di queste indicazioni, con particolare riferimento al vaccino antinfluenzale, la Consulta procede indagando la presenza di una campagna di informazione “effettiva”, ossia indicativa della dimensione anche collettiva della tutela. Dall'analisi svolta nel caso concreto, la Corte Costituzionale rileva la presenza di importanti Piani Nazionali di prevenzione vaccinale, nei quali il vaccino antinfluenzale viene affiancato ad altri tipi di vaccini raccomandati (da ultimo, il PNPV 2017-2019), di raccomandazioni del Ministero della Salute adottate ogni stagione, anche con particolare riguardo all'antinfluenzale, nonché di specifiche campagne informative istituzionali, ministeriali e regionali.
Secondo la Corte, tali campagne di informazione risultano rivolte alla generalità della popolazione, a prescindere da una specifica condizione individuale. I riferimenti in esse presenti a specifiche categorie di soggetti a rischio, in relazione alle diverse condizioni di salute, lavoro, età o convivenza, incidono infatti - secondo la Consulta - esclusivamente sull'individuazione dei soggetti che potranno usufruire della gratuità del vaccino e non sulla delimitazione dei possibili beneficiari di un eventuale indennizzo. In questo senso, la Consulta confuta le contestazioni svolte dalla difesa statale, in merito alla prevalente natura individuale dell'interesse del soggetto che si sottopone al vaccino antinfluenzale, a fronte di campagne di sensibilizzazione rivolte solo alle categorie di soggetti a rischio.
Alla luce di questa analisi, la Consulta ritiene sussistenti tutti elementi per annoverare il vaccino antinfluenzale tra le vaccinazioni “raccomandate”, in senso stretto, e quindi non semplicemente “non obbligatorie”, in quanto non imposte. Per l'effetto, la Corte ritiene di poter estendere, anche a questo specifico vaccino, le considerazioni già espresse per il vaccino contro morbillo, rosolia, parotite e poliomielite. Sulla scorta di tale assunto, la Corte dichiara dunque l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1, l. n. 210 del 1992, nella parte in cui non prevede il diritto all'indennizzo nei confronti di coloro che si siano sottoposti a vaccinazioni antinfluenzali, subendo danni permanenti all'integrità psico-fisica eziologicamente ad esse correlati, uniformandosi così alle precedenti pronunce sul tema.
In ossequio ai principi costituzionali di solidarietà, ragionevolezza e di tutela della salute, di cui agli artt. 2, 3 e 32 Cost., la Corte decide pertanto di traslare sulla collettività i costi di eventuali conseguenze negative connesse con il vaccino raccomandato antinfluenzale, riconoscendo il diritto all'indennizzo previsto dall'art. 1, comma 1, della richiamata legge anche ai soggetti danneggiati irreversibilmente da questo tipo di vaccino, rendendo così maggiormente serio ed affidabile il “patto di solidarietà” tra il singolo e la collettività e limitando altresì i pregiudizi che le epidemie influenzali producono sul SSN e sulle attività lavorative, non solo a livello economico. Tali considerazioni risultano assorbenti rispetto a tutte le ulteriori contestazioni sollevate dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Osservazioni
La pronuncia in esame offre un interessante contributo in tema di indennizzo per danni conseguenti a vaccinazioni raccomandate, entrando nel merito – ancora una volta – dei presupposti per poterlo riconoscere. Nel caso di specie, la Consulta ha infatti utilizzato, anche per l'ipotesi di vaccino antinfluenzale, i medesimi criteri dalla stessa già impiegati in passato per altri tipi di vaccini raccomandati.
Alla luce dell'orientamento conforme della Consulta sul punto, è dunque possibile sintetizzare come segue gli elementi dai quali non si può prescindere, ai fini del riconoscimento dell'indennizzo, in un'ipotesi di danni permanenti alla persona derivanti da vaccino raccomandato: a) irreversibilità del danno all'integrità psico-fisica patito dal soggetto sottoposto al trattamento vaccinale; b) sussistenza del nesso di causa tra tale danno e il vaccino; c) presenza di rilevanti campagne di sensibilizzazione e di informazione messe in campo da parte delle autorità sanitarie in relazione allo specifico vaccino raccomandato tese a garantire la più ampia immunizzazione della popolazione generale (ad esempio, specifiche campagne di informazione straordinarie, distribuzione di materiale informativo sul vaccino, decreti e circolari ministeriali, pubblicazioni sul sito del Ministero della Salute) d) sussistenza di una dimensione anche collettiva di tutela della salute pubblica.
Secondo la Corte Costituzionale, l'univoco tenore letterale della norma impugnata non ne avrebbe permesso un'automatica interpretazione adeguatrice sulla base dei canoni già fissati in precedenza dalla sua stessa giurisprudenza, se non a pena di una totale disapplicazione della disposizione censurata (si veda, sul punto, la sentenza n. 82 del 2017).
Da tale precisazione è quindi possibile ricavare due importanti principi: - l'aver dichiarato l'illegittimità costituzionale della norma in questione, per alcuni casi specifici di vaccinazione raccomandata, non comporta che la norma debba essere sistematicamente disapplicata per tutti i vaccini non obbligatori; - correlativamente, l'aver chiarito gli elementi necessari per poter ritenere “degna” di tutela indennitaria una vaccinazione raccomandata non comporta che il giudice ordinario possa, in ogni caso, ricorrere ad un'interpretazione costituzionalmente conforme della norma, senza ricorrere al sindacato di legittimità. Infatti, non tutti i vaccini “non obbligatori” hanno la forza di assurgere a “raccomandati”, nel senso inteso dalla Consulta, in termini di tutela della dimensione collettiva.
Allo stato, dunque, le sentenze rese nell'ambito dei vaccini raccomandati paiono operare solo con rifermento: - alla vaccinazione antipoliomielite (sentenze C. cost. 26 febbraio 1998 n. 27 e C. cost. 18 aprile 1996 n. 118); - alla vaccinazione antimorbillo, parotite e rosolia (C. cost. 26 aprile 2012 n. 107); - da ultimo, alla vaccinazione antinfluenzale (C. cost., 22 novembre 2017 n. 268).
Le pronunce integrano quindi l'ipotesi di sentenze additive: la declaratoria di incostituzionalità colpisce infatti l'art. 1, comma 1, della legge n. 210/1992 «nella parte con cui non prevede» o «nella parte in cui esclude» il diritto ad un indennizzo con specifico riferimento ai soli vaccini oggetto dei singoli dispositivi. Sembrerebbe non potersi tuttavia configurare la particolare ipotesi di sentenze additive di principio. Le richiamate decisioni costituzionali, invero, anziché affermare, in termini generali, il diritto all'indennizzo a seguito di lesioni o infermità derivanti da qualunque vaccinazione non obbligatoria, ne estendono il riconoscimento con riguardo alle sole vaccinazioni “raccomandate” oggetto di giudizio. Le citate pronunce -pur presupponendo una ratio decidendi unitaria- sono infatti intervenute sulla norma con valutazioni adeguate alle specificità del caso concreto. Nel caso dell'antinfluenzale, per esempio, la Consulta ha valutato che gli strumenti di politica sanitaria posti in essere della autorità per tale vaccino, anche se rivolti, principalmente, a determinate categorie di soggetti a rischio, fossero comunque mirati a garantire l'interesse collettivo della salute. A conferma di ciò, il fatto che in tutti casi menzionati la Corte Costituzionale sia sempre entrata nel merito delle specifiche questioni, senza mai dichiararne l'inammissibilità. Del resto, l'estensione dell'indennizzo anche alle vaccinazioni raccomandate incide anche a livello di vincoli ed equilibrio di bilancio. In ragione di queste di considerazioni, non è da escludersi, pertanto, che la Consulta possa essere nuovamente investita della questione, qualora si dovesse ripresentare il caso di una richiesta di indennizzo avanzata nei confronti del Ministero della Salute, per un danno irreversibile cagionato da vaccino raccomandato, non ancora vagliato dalla Corte Costituzionale. Da un punto di vista sostanziale, l'ipotesi di dover indagare la rilevanza degli interessi in gioco, in relazione alle peculiarità del singolo caso, appare coerente con i continui cambiamenti registrati in tale ambito. La materia relativa ai vaccini è infatti in continua evoluzione. Basti pensare che, in questi anni, alcuni vaccini oggetto delle richiamate pronunce della Consulta sono passati da raccomandati ad obbligatori.
Con il d.l. 7 giugno 2017 n. 73, sono divenuti infatti obbligatori - per i minori sino a sedici anni di età - tra gli altri, anche il vaccino contro il morbillo, la parotite e la rosolia e quello contro la poliomielite. Tale aspetto è certamente sintomatico di un cambiamento a livello epidemiologico e, di conseguenza, anche a livello di approccio alla questione da parte delle autorità sanitarie, ma non solo. Sebbene, invero, l'impegno delle istituzioni sia, già da tempo, focalizzato sull'eliminazione e riduzione di malattie prevenibili con vaccinazione, oltre che sull'armonizzazione delle relative strategie vaccinali in tutto il Paese, è altresì noto che - negli ultimi anni - il numero dei soggetti vaccinati abbia subìto un forte calo. In Italia, la copertura vaccinale per alcune malattie infettive prevenibili con vaccinazione si è fortemente abbassata, discostandosi notevolmente dalla soglia del 95%, ossia dal valore necessario per garantire il controllo della malattia e la sua successiva eliminazione. Un esempio tra tutti è rappresentato dalla copertura vaccinale per morbillo, rosolia e parotite MPR che, nel 2016, a 24 mesi, è scesa all'85,29% (si veda, sul punto, il Piano Nazionale Prevenzione Vaccinale PNPV 2017-2019). Tra i motivi di tale situazione si rilevano scelte principalmente di tipo religioso, politico e culturale, talvolta correlate a disinformazione o, piuttosto, a “cattiva” informazione o, semplicemente, al timore di eventuali conseguenze dannose. In tutti questi casi, alla base della scelta di non vaccinarsi vi è la diminuita percezione del rischio, quale conseguenza paradossale del successo degli stessi vaccini, in termini di riduzione o debellamento di alcune malattie anche gravi (si veda, nuovamente, Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale 2017-2019 e C. Cost., sent. n. 5/2018). Per scongiurare tale fenomeno, sulla scorta delle sollecitazioni provenienti in tal senso anche dall'Europa, le autorità nazionali hanno cercato di lavorare per promuovere la “cultura vaccinale”, attraverso la responsabilizzazione e l'empowerment della popolazione generale e degli operatori sanitari, al fine di ottenere una adesione sempre più consapevole e diffusa. All'uopo, sono state approntate diverse campagne di sensibilizzazione e predisposti specifici Piani Nazionali di Prevenzione Vaccinale (PNPV). Ciò nonostante, si sono continuati a registrare e si continuano a registrare rilevanti discostamenti dal valore soglia del 95%. Questo fattore, associato alla minaccia della ricomparsa di alcune malattie ormai da tempo debellate dall'Italia (un esempio tra tutti, quello della poliomielite), in ragione dell'aumento incontrollato del flusso migratorio da Paesi c.d. a rischio, ha pertanto reso necessario un urgente quanto incisivo intervento da parte delle autorità. Per alcuni vaccini, si è infatti passati da un sistema fondato sull'adesione volontaria, ad un sistema fondato sull'obbligo imposto per legge, quanto meno per i soggetti più esposti. In presenza di una situazione di pericolo imminente (o potenzialmente tale) per la salute pubblica, al fine di mantenere le adeguate condizioni di sicurezza epidemiologica a livello di profilassi e copertura vaccinale, si è dovuto propendere per la compressione del diritto di autodeterminazione del singolo, attraverso un bilanciamento tra interesse individuale e interesse dell'intera collettività. Come rilevato dalla stessa Consulta, nella recente sentenza n. 5/2018, i valori costituzionali coinvolti nella problematica delle vaccinazioni sono molteplici. Questo implica necessariamente un contemperamento tra libertà individuale e tutela della salute collettiva. In questo senso, assume un significato ancor più nitido il tema relativo alla scelta della tecnica da adottare per una profilassi efficace delle malattie infettive, al fine di garantire la salute degli individui e della collettività. Nel contemperare tali principi, è lasciata alla discrezionalità del Legislatore la scelta di propendere per una tecnica piuttosto che per l'altra. A prescindere da questo aspetto, quello che non può invece essere lasciato alla discrezionalità del Legislatore, alla luce anche della sentenza esaminata, è il diritto ad ottenere l'indennizzo, qualora il sacrificio individuale abbia prodotto un beneficio per la collettività. Non sempre infatti il rischio, seppur residuale, di reazioni avverse da vaccino può essere evitato e non sempre tale esito dannoso implica una colpa e quindi il riconoscimento di un risarcimento. In quest'ottica, la tutela indennitaria rappresenta un prezioso contributo che la società solidaristicamente riconosce al singolo per il fatto di aver concorso a salvaguardare la salute pubblica.
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