La Corte costituzionale sopperisce alla mancata riforma dell’ordinamento penitenziario: sospensione dell’esecuzione della pena fino a 4 anni
05 Marzo 2018
La Corte costituzionale, con sentenza n. 41 depositata il 2 marzo 2018, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 656, comma 5, c.p.p., nella parte in cui si prevede che il pubblico ministero sospende l'esecuzione della pena detentiva, anche se costituente residuo di maggiore pena, non superiore a tre anni anziché quattro.
Il Legislatore, con l'art. 3, comma 1, lett. c) d.l. 146/2013, conv. con modif. l. 10/2014, ha introdotto il comma 3-bis all'art. 47 ord. pen., prevedendo così il c.d. affidamento in prova allargato per il condannato che deve espiare una pena, anche residua, non superiore a quattro anni di detenzione. Tale misura alternativa alla detenzione può essere concessa al condannato che abbia tenuto, quanto meno nell'anno precedente alla richiesta, un comportamento tale da consentire un giudizio prognostico favorevole quanto alla sua rieducazione e alla prevenzione del pericolo di commissione di altri reati. A tale novità legislativa non ha però fatto seguito alcuna modifica del comma 5 dell'art. 656 c.p.p., non essendo, tra l'altro, stata ancora attuata la delega contenuta nell'art. 1, comma 85, lett. c), l. 103/2017, il quale prevede che il limite di pena che impone la sospensione dell'ordine di esecuzione sia fissata, in ogni caso, in quattro anni. La rottura del parallelismo fra la concessione dell'affidamento in prova e la sospensione della pena appare, a giudizio della Corte costituzionale, particolarmente grave, in quanto: «l'esecuzione dell'ordine di carcerazione, avvenuta senza aver dato al condannato il tempo di chiedere l'affidamento in prova allargato e comunque senza attendere una decisione al riguardo, renderebbe impossibile la concessione della misura alternativa prima dell'ingresso in carcere. […]» |