L'art. 649 c.p.p. e il ne bis in idem dopo la sentenza della Corte costituzionale 200/2016. Applicazioni pratiche

Cristina Ingrao
05 Marzo 2018

La questione affrontata dalla pronuncia in esame concerne l'operatività dell'istituto del ne bis in idem previsto dall'art. 649 c.p.p., che vieta un nuovo procedimento penale per il medesimo fatto nel caso in cui un imputato sia prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale ...
Abstract

All'esito dell'udienza preliminare il Gup del tribunale di Palermo ha emesso sentenza di non doversi procedere nei confronti di G.A., in ordine ai delitti a lui ascritti, per ostacolo di precedente giudicato, ex art. 649 c.p.p.

Il caso

Lo scorso 4 ottobre il Gup del tribunale di Palermo ha emesso sentenza di non doversi procedere, nei confronti di G. A., in ordine ai delitti a lui ascritti, per ostacolo di precedente giudicato, in virtù dell'art. 649 c.p.p. Quest'ultima norma, in particolare, rubricata Divieto di un secondo giudizio, è stata oggetto nel 2016 di un intervento della Corte costituzionale, la quale l'ha dichiarata incostituzionale nella parte in cui «limita l'applicazione del principio del ne bis in idem all'esistenza del medesimo fatto giuridico, nei suoi elementi costitutivi, sebbene diversamente qualificato, invece che all'esistenza del medesimo "fatto storico"», con riferimento all'art. 117, comma 1, della Costituzione, in relazione all'art. 4 del protocollo addizionale n. 7 alla Cedu.

In particolare, nel caso oggetto della pronuncia di merito in esame, all'imputato veniva contestato il delitto di cui all'art. 614, commi 1 e 4, c.p., perché contro la volontà della persona offesa s'introduceva nell'abitazione di quest'ultima, dopo aver danneggiato il chiavistello della porta finestra della veranda dell'appartamento. Fatto aggravato dalla violenza sulle cose. Nonché il reato degli artt. 81 cpv., 61 n. 1 e 635, comma 2, n. 3, c.p., perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, anche in tempi diversi, danneggiava la porta finestra e la serratura del cancello d'ingresso dell'abitazione della stessa persona offesa, con l'aggravante dei futili motivi e dell'avere commesso il fatto con violenza su cose esposte per consuetudine alla pubblica fede.

In relazione al caso di specie, risultava che l'imputato aveva materialmente realizzato le condotte che gli venivano contestate. E invero, emergeva dagli atti processuali, che lo stesso veniva arrestato in data 8 maggio 2014 per essersi introdotto nella abitazione della persona offesa, dopo averla afferrata con la forza attraverso il cancello, che forzava e rompeva per introdursi nella abitazione stessa. Tali condotte erano l'epilogo di una serie di atti persecutori posti in essere, dal primo nei confronti della seconda, dopo la fine della loro relazione sentimentale.

Tuttavia, dalla produzione documentale della difesa dell'imputato, già presente agli atti del fascicolo delle indagini preliminari, emergeva che il G. era già stato condannato per il reato di cui all'art. 612-bis c.p., nel 2014, dal Tribunale di Palermo, con sentenza irrevocabile, con riferimento a condotte aggressive e minacciose poste in essere tra il febbraio e il maggio 2014.

Orbene, appare chiaro che si è proceduto, nel giudizio oggetto della sentenza in esame, a contestare gli episodi di violazione di domicilio e danneggiamento commessi proprio in occasione dell'aggressione del maggio 2014, che costituivano l'ultimo degli episodi persecutori posti in essere dall'imputato. Sussisteva, pertanto, un concorso di reati tra quelli già giudicati con la sentenza definitiva in atti e quelli oggetto del nuovo giudizio.

A tal proposito, la difesa dell'imputato invocava il disposto dell'art. 649 c.p.p., come riletto alla luce della citata pronuncia della Corte costituzionale del 2016.

In forza di ciò, il Gup adottava, dunque, sentenza di non doversi procedere per ostacolo di precedente giudicato, ex art. 649 c.p.p.

La questione

La questione affrontata dalla pronuncia in esame concerne l'operatività dell'istituto del ne bis in idem previsto dall'art. 649 c.p.p., che vieta un nuovo procedimento penale per il medesimo fatto nel caso in cui un imputato sia prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili, neppure se il fatto venga diversamente considerato per il titolo, per il grado o per le circostanze, salvo quanto disposto dagli artt. 69, comma 2, e 345 c.p.p.

Se, nonostante ciò, venga comunque di nuovo iniziato il procedimento penale, il giudice in ogni stato e grado del processo pronuncia sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, enunciandone la causa nel dispositivo.

L'art. 649 c.p.p., come accennato, è stato oggetto di un intervento della Corte costituzionale nel 2016. In particolare, con ordinanza del 24 luglio 2015, il Gup del tribunale di Torino, nell'ambito del procedimento noto come Eternit-bis, sollevava una questione di legittimità costituzionale nella parte in cui tale disposizione «limita l'applicazione del principio del ne bis in idem all'esistenza del medesimo “fatto giuridico”, nei suoi elementi costitutivi, sebbene diversamente qualificato, invece che all'esistenza del medesimo “fatto storico”», con riferimento all'art. 117, comma 1, Cost., in relazione all'art. 4 del Protocollo n. 7 alla Cedu.

Tale ultima norma, in particolare, rubricata Diritto a non essere giudicato o punito due volte, statuisce che «Nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge ed alla procedura penale di tale Stato.

Le disposizioni del paragrafo precedente non impediscono la riapertura del processo, conformemente alla legge ed alla procedura penale dello Stato interessato, se fatti sopravvenuti o nuove rivelazioni o un vizio fondamentale nella procedura antecedente sono in grado di inficiare la sentenza intervenuta.

Non è autorizzata alcuna deroga al presente articolo ai sensi dell'art. 15 della Convenzione».

La Corte costituzionale, ritenendo fondata la questione, ha, quindi, dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 649 c.p.p., per contrasto con l'art. 117, comma 1, Cost., in relazione all'art. 4 del protocollo add. n. 7 alla Cedu, nella parte in cui, secondo il diritto vivente, esclude che il fatto sia il medesimo per la sola circostanza che sussiste un concorso formale tra il reato già giudicato con sentenza irrevocabile ed il reato per cui è iniziato il nuovo procedimento penale.

La pronuncia della Corte costituzionale n. 200 del 2016

La pronuncia della Consulta del 2016 riveste una notevole importanza perché costituisce una presa di posizione della Corte costituzionale in ordine all'ampiezza del divieto del bis in idem.

La questione trae origine dalla circostanza che il giudice rimettente riteneva di non poter applicare al caso di specie l'art. 649 c.p.p., a causa del significato assunto da tale disposizione nel diritto vivente.

Ciò per due ragioni. La prima costituita dalla circostanza che, per consolidata giurisprudenza, si esigeva l'identità del fatto giuridico, secondo la triade condotta-evento-nesso di causa; la seconda consistente nel fatto che, in relazione allo specifico caso oggetto del giudizio di merito, l'omicidio concorreva formalmente con i reati indicati dagli artt. 434 (Crollo di costruzioni o altri disastri dolosi) e 437 (Rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro) c.p., e il primo e i secondi venivano commessi con un'unica azione od omissione.

L'identità del fatto giuridico

Il primo profilo di contrasto individuato nell'ordinanza di rimessione del Gup del tribunale di Torino attiene alla considerazione del concetto di fatto giuridico.

In particolare, il giudice a quo rilevava che nella giurisprudenza della Corte Edu, l'art. 4 prot. add. n. 7 alla Cedu assume un significato più favorevole per l'imputato, in quanto è ravvisabile identità del fatto quando medesima è l'azione o l'omissione per la quale la persona sia già stata irrevocabilmente giudicata.

Sul punto il riferimento più importante è costituito dalla sentenza della Grande Camera, resa in data 10 febbraio 2009, Zolotoukhine v. Russia.

In virtù di tale più ampia interpretazione non osterebbe al divieto di bis in idem né la diversità dell'evento conseguente alla condotta, né la configurabilità di un concorso formale di reati.

Da qui, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 649 c.p.p., nella parte in cui tale disposizione limita l'applicazione del principio del ne bis in idem allo stesso fatto giuridico, nei suoi elementi costitutivi, sebbene diversamente qualificato, invece che allo stesso fatto storico, con riferimento all'art. 117, comma 1, Cost., in relazione all'art. 4 del prot. add. n. 7 alla Cedu, quale parametro costituzionale interposto.

Con riguardo al primo profilo di contrasto, la Consulta ha ritenuto errata la tesi del giudice rimettente secondo cui la disposizione europea significherebbe che la medesimezza del fatto debba evincersi considerando la sola condotta dell'agente.

Secondo la Corte costituzionale, infatti, il fatto storico-naturalistico rileva, ai fini del divieto di bis in idem, secondo l'accezione che gli conferisce l'ordinamento, perché l'approccio epistemologico fallisce nel descriverne un contorno identitario dal contenuto necessario. In questa prospettiva, fatto è l'accadimento materiale, certamente affrancato dall'inquadramento giuridico, ma pur sempre frutto di un'addizione di elementi la cui selezione è condotta secondo criteri normativi.

Per la Consulta, in altri termini, la Cedu, così come interpretata dalla Corte Edu, impone agli Stati membri di applicare il divieto di bis in idem in base ad una concezione naturalistica del fatto, ma non di restringerlo nella sfera della sola azione od omissione dell'agente. Il diritto vivente, secondo una lettura conforme alla norma Cedu di riferimento, impone, piuttosto, di valutare, con un approccio storico-naturalistico, l'identità della condotta e dell'evento, secondo le modalità con cui esso si è concretamente prodotto a causa della prima.

Alla luce di quanto esposto, secondo la Corte costituzionale, non sussiste il primo profilo di contrasto, individuato dal giudice a quo, tra l'art. 649 c.p.p. e la normativa interposta convenzionale, perché entrambi recepiscono il criterio dell'idem factum, e, all'interno di esso, la Convenzione non obbliga a scartare l'evento in senso naturalistico dagli elementi identitari del fatto, e, per tale via, a superare il diritto vivente nazionale.

La portata applicativa del divieto del bis in idem nel caso di concorso formale di reati

Il secondo profilo di contrasto individuato nell'ordinanza di rimessione concerne, invece, la regola, elaborata dal diritto vivente nazionale, che vieta di applicare il principio del ne bis in idem ove il reato già giudicato sia stato commesso in concorso formale con quello oggetto della nuova iniziativa del pubblico ministero, nonostante la medesimezza del fatto.

Al riguardo, la Consulta ha ritenuto fondata la questione e sussistente il contrasto prospettato dal giudice rimettente tra l'art. 649 c.p.p., nella parte in cui esclude la medesimezza del fatto per la sola circostanza che ricorre un concorso formale di reati tra res iudicata e res iudicanda, e l'art. 4 del prot. add. n. 7 alla Cedu, che vieta, invece, di procedere nuovamente quando il fatto storico è il medesimo. Ciò alla luce della considerazione che il diritto vivente ha legato il profilo sostanziale, del concorso formale dei reati, con quello processuale, del divieto di bis in idem, esonerando il giudice dall'indagare sulla identità empirica del fatto.

La Corte costituzionale, tuttavia, non ha imposto al giudice di applicare automaticamente il divieto di bis in idem per la sola ragione che i reati concorrano formalmente. Ai fini della decisione sull'applicabilità del divieto in questione rileva, infatti, solo il giudizio sul fatto storico.

Per effetto di questa pronuncia di illegittimità costituzionale, dunque, l'autorità giudiziaria sarà tenuta di volta in volta a porre a raffronto il fatto storico, secondo la conformazione identitaria che esso abbia acquisito all'esito del processo concluso con una pronuncia definitiva, con il fatto storico posto dal pubblico ministero a base della nuova imputazione (A. FABERI, Ne bis in idem - Corte cost., n. 200 del 2016, in www.archiviopenale.it, 2016)

La Consulta ha, infatti, chiarito che, sulla base della triade condotta-nesso causale-evento naturalistico, il giudice può affermare che il fatto oggetto del nuovo giudizio è lo stesso solo se riscontra la coincidenza di tutti questi elementi, assunti in una dimensione empirica.

Tale importante presa di posizione da parte del Giudice delle leggi si pone in equilibrio con:

  • l'art. 111, comma 2, Cost., evitando che uno stesso soggetto possa mantenere la posizione di imputato per il medesimo fatto oltre il tempo ragionevolmente necessario a definire il processo;
  • gli artt. 25, comma 2, e 27, comma 2, Cost., sulla base dell'evidente interesse di un individuo ad essere definitivamente sottratto dall'azione penale per un identico fatto;
  • e gli artt. 2 e 3 Cost., a tutela dei diritti fondamentali dell'uomo con prevalenza su ogni altro principio.

In forza di tale pronuncia, la valutazione relativa alla sussistenza di un concorso formale tra i reati oggetto della res iudicata e res iudicanda diviene, oggi, dunque, un fattore assolutamente ininfluente ai fini dell'applicazione dell'art. 649 c.p.p.

In conclusione

Alla luce di quanto esposto emerge l'adesione da parte della Corte costituzionale ad una ricostruzione convenzionalmente orientata dell'art. 649 c.p.p. e del concetto di idem factum, con evidenti ripercussioni in tema di ambito di applicazione del divieto di bis in idem.

Ciò produce inevitabilmente conseguenze anche nell'ambito della giurisprudenza di merito, come emerge proprio in relazione alla questione affrontata e risolta dal Gup del tribunale di Palermo, oggetto del presente contributo, che rappresenta una delle prime applicazioni pratiche delle conclusioni a cui è giunta la Consulta.

In particolare, privilegiando una lettura del fatto in senso “materiale”, e prescindendo dalla diversa qualificazione giuridica data dal requirente in occasione dell'esercizio dell'azione penale, il giudice di Palermo correttamente giunge ad una pronuncia che sancisce il non doversi procedere nei confronti dell'imputato, in ordine ai delitti a lui ascritti, per ostacolo di precedente giudicato, ex art. 649 c.p.p., essendo lo stesso già stato processato e condannato per gli stessi fatti “materiali” in un precedente giudizio (nel 2014), e non rilevando più il divieto di applicare il principio del ne bis in idem ove il reato già giudicato sia stato commesso in concorso formale con quello oggetto della nuova iniziativa del pubblico ministero, nonostante la medesimezza del fatto. Nel caso oggetto della sentenza del Tribunale di Palermo, infatti, il reato di cui all'art. 612-bis c.p. assorbe quelli di danneggiamento e di violazione di domicilio successivamente oggetto di giudizio, sia sotto il profilo oggettivo, che sotto quello del bene giuridico tutelato.

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