Violenza di genere e femminicidio. La costituzione di parte civile dei centri antiviolenza

06 Marzo 2018

Il presente contributo affronta il tema della costituzione di parte civile da parte dei centri antiviolenza. I centri antiviolenza offrono accoglienza e consulenza alle donne con o senza figli minori che hanno subito violenza in un percorso di empowerment e di riacquisizione della propria autonomia e autodeterminazione. Alla base del lavoro dei centri vi quindi è una profonda conoscenza delle cause ...
Abstract

Il presente contributo affronta il tema della costituzione di parte civile da parte dei centri antiviolenza.

La cronaca ci narra quasi quotidianamente di donne uccise dai loro mariti, compagni o ex partner. Nel processo penale stare dalla parte delle vittime implica un impegno da parte dei centri antiviolenza come atto politico per ribadire come l'omicidio di una donna non sia solo un fatto delittuoso ma un crimine contro l'umanità che mina la libertà e l'autodeterminazione delle stesse.

Premessa

I centri antiviolenza in Italia costituiscono una risposta strutturata e organizzata al fenomeno della violenza sulle donne e coordinata attraverso la costituzione della rete Di.re (donne in rete contro la violenza) che raccoglie più di 80 associazioni in Italia che lavorano quotidianamente, alcune da oltre trent'anni, al contrasto del fenomeno della violenza di genere.

I centri antiviolenza offrono accoglienza e consulenza alle donne con o senza figli minori che hanno subito violenza in un percorso di empowerment e di riacquisizione della propria autonomia e autodeterminazione. Alla base del lavoro dei centri vi quindi è una profonda conoscenza delle cause della violenza, delle radici storico culturali che l'alimentano e delle conseguenze che ha sulle vittime.

La nascita dei primi centri antiviolenza in Italia risale agli inizi degli anni '90 e la loro origine è riconducibile alla nascita del movimento di liberazione delle donne emerso negli anni Settanta ed è rappresentato da i gruppi di autocoscienza femminista. I centri antiviolenza nati sulla scia dei gruppi di autocoscienza- femminista, quali snodi fondamentali per la libertà delle donne, trovano riconoscimento e legittimazione nella Convenzione di Istanbul ove viene sostenuto "a tutti i livelli" il lavoro delle Ong, delle donne e delle associazioni della società civile attive nella lotta alla violenza di genere. I centri antiviolenza luoghi di sapere e punti di riferimento indispensabili per le donne hanno determinato un cambiamento radicale nel modo di percepire la violenza di genere offrendo una chiara metodologia di contrasto che costituisce oggi il fondamento per ogni azione politica e giudiziaria. Il riconoscimento del loro lavoro costante e quotidiano all'interno dei procedimenti penali ha un'importanza sociale e storica. La “pratica politica del processo penale”, come evidenzia l'UDI Bologna, che sottende la costituzione di parte civile delle associazioni femministe non è nuova al movimento delle donne, e nasce nella seconda metà degli anni settanta facendo cassa di risonanza attorno al delitto del Circeo. Piene di forza risuonano ancora oggi le parole dell' avvocato Tina Lagostena Bassi in “processo per stupro” che ci fanno comprendere fino in fondo le ragione sottese alla costituzione di parte civile dei centri antiviolenza nei processi penali e la loro valenza, che cosi ella proferiva nel lontano 1979 in udienza: «Noi chiediamo che ci sia resa giustizia…. Noi chiediamo che anche nelle aule dei tribunali, si modifichi quella che è la concezione socio-culturale del nostro Paese, si cominci a dare atto che la donna non è un oggetto».

Enti esponenziali lesi dal reato: l'art 91 c.p.p.

Il codice di procedura penale accanto alla persona offesa dal reato contempla la categoria degli enti esponenziali legittimati a stare in giudizio in relazione ad interessi collettivi o diffusi lesi dal reato.

Secondo l'art. 91 del codice di procedura penale «Gli enti e le associazioni senza scopo di lucro ai quali, anteriormente alla commissione del fatto per cui si procede, sono state riconosciute, in forza di legge, finalità di tutela degli interessi lesi dal reato, possono esercitare, in ogni stato e grado del procedimento, i diritti e le facoltà attribuiti alla persona offesa dal reato».

Per ente esponenziale deve intendersi un'associazione rappresentativa di interessi collettivi o diffusi come ad esempio le associazioni a tutela dell'ambiente od un ente volto alla tutela di valori appartenenti a particolari categorie come l'infanzia, le donne ecc. Il codice di procedura penale riconosce loro gli stessi diritti e le stesse facoltà attribuite alla persona offesa del reato come quella di presentare memorie – art. 121 c.p.p. ecc. Il codice di procedura penale ha altresì riconosciuto loro diritti esercitabili nel processo penale in via esclusiva e parallela ai sensi dell'art. 505 c.p.p. che consente a questi ultimi di chiedere al giudice di rivolgere domande a testimoni, periti consulenti tecnici e alle parti provate e di ammettere nuovi mezzi di prova e, altresì, ai sensi dell'art. 511 c.p.p.

Gli enti esponenziali possono quindi intervenire nel procedimento penale a norma dell'art. 93 c.p.p. previo consenso della persona offesa dal reato, consenso che deve risultare da atto pubblico o da scrittura privata autenticata. L'atto di intervento deve essere formalizzato nei termini indicati dall'art. 484 c.p.p ovvero fino agli atti introduttivi al dibattimento termine oltre in quale glie viene precluso tale intervento.

L'ente esponenziale può altresì costituirsi parte civile ai sensi dell'art.74 c.p.p. e ss. proprio in ragione del fatto che gli vengono riconosciuti in ogni stato e grado del processo penale i diritti e le facoltà proprie attribuite dal codice di procedura penale alla persona offesa. Resta tuttavia garantita loro, qualora risultino direttamente e personalmente danneggiati dal reato, la possibilità di esercitare l'azione civile nelle forme e secondo le modalità di cui agli artt. 74 ss. c.p.p. L'autonoma pretesa risarcitoria esercitata in forza dell'art.74 c.p.p non risulta incompatibile con la facoltà riconosciuta dall'art.91 c.p.p. ma si pone in termini alternativi rispetto a quest'ultima. Questa soluzione ermeneutica, che riconosce la costituzione di parte civile ogni qualvolta l'ente abbia riportato dal reato un danno proprio, sia esso patrimoniale o non patrimoniale, deriva da un'interpretazione sistematica dell'art.74 c.p.p. Ciò emerge non solo dall'art. 78 lett. a) c.p.p., in tema di formalità attinenti alla costituzione, fa riferimento alla denominazione dell'associazione o dell'ente che si costituisce parte civile ma anche dall'utilizzo, nella formulazione dell'art. 74 c.p.p., del termine soggetto al posto di quello di persona precedentemente previsto. Come riconosciuto dalla recente giurisprudenza, anche con riferimento alle associazioni sindacali (Cass. pen., Sez. IV, 6 febbraio 2008, n.22144; Cass. pen.,Sez. III, 21 maggio 2008 n.35393; Cass. pen., Sez. V. 17 febbraio 2004, n.22315). La Corte di cassazione nella sentenza 22558/2010 ha affermato che le associazioni a difesa dei lavoratori possono infatti costituirsi parte civile evidenziando come «la costituzione di parte civile dei sindacati nei procedimenti per reati di omicidio o lesioni colpose commesse con violazione della normativa antinfortunistica, dovendosi ritenere che l'inosservanza di tale normativa nell'ambito dell'ambiente di lavoro possa cagionare un autonomo e diretto danno, patrimoniale (ove ne ricorrano gli estremi) o non patrimoniale, ai sindacati per la perdita di credibilità all'azione dagli stessi svolta».

La costituzione di parte civile dei centri antiviolenza

La costituzione di parte civile degli enti esponenziali di intessi lesi dal reato richiede quale indefettibile presupposto il pregiudizio di una situazione soggettiva propria dell'ente e dell'associazione. Essa è possibile quando l'offesa all'interesse tutelato dall'ente derivi in modo diretto ed immediato , una lesione del diritto di personalità del sodalizio relativo allo scopo e ai suoi componenti (Cass. pen., Sez. VI, n. 59/1990, Monticelli).Ciò si verifica secondo un costante orientamento giurisprudenziale formatosi in materia di tutela ambientale , quando l'interesse diffuso perseguito dall'ente , sia volto alla salvaguardia di una situazione storicamente e territorialmente circostanziata, costituente lo scopo specifico del sodalizio. Alle associazioni ambientaliste riconosciute ex art.13 l. 349 del 1986 spetta il diritto al risarcimento conseguente al danno ambientale, sia come titolari di un diritto della personalità connesso al perseguimento delle finalità statutarie, sia come enti esponenziali del diritto assoluto alla tutela ambientale (fattispecie in cui l'associazione WWF Italia, in quanto associazione riconosciuta che ha come finalità statutaria la conservazione della natura e dei processi ecologici e la tutela dell'ambiente, è stata ritenuta legittimata a ottenere il risarcimento del danno conseguente alla avvenuta introduzione di fucili da caccia all'interno del Parco regionale del Delta del Po) (Cass. pen., Sez. III, 16 settembre 2008, n. 35393). Ebbene sulla scia di tali pronunce le associazioni che lavorano per il contrasto alla violenza di genere come afferma la Cassazione ivi comprese quelle a carattere locale e non riconosciute, in quanto formazioni sociali nelle quali si svolge dinamicamente la personalità di ogni persona, titolare di diritti inalienabili, possono costituirsi parte civile in quanto abbiano dato prova di continuità della loro azione, aderenza al territorio, rilevanza del loro contributo, finalizzato al contrasto alla violenza sulle donne. La Corte di Cassazione con il proprio consolidato orientamento sul punto ribadisce «come l'interesse diffuso da esse perseguito debba essere rivolto alla salvaguardia di una situazione storicamente circostanziata, la quale è stata fatta propria dal sodalizio come suo scopo specifico» (Cass. pen., Sez. III, 21 maggio 1993, n. 5230, P.C. in proc. Tessarolo e Cass. pen., 13 novembre 1992, n. 10956, P.M. in proc. Serlenga ed altri). L'ammissione della costituzione dei centri antiviolenza come parte civile nel processo ha una fortissima valenza, in quanto riconosce che il femminicidio, e nello specifico la violenza domestica e nelle relazioni di intimità non rappresenta solo una lesione dei diritti della donna, e che non è un fatto privato, né tantomeno solo una “questione delle donne” ma costituisce una profonda ferita per la società tutta, che pone la necessità di un ripensamento della relazione uomo- donna come storicamente determinata. Riconosce ai centri antiviolenza la legittimazione a stare in giudizio, quale parte danneggiata dai reati contestati al maltrattante significa veder riconosciuto, in capo al centro antiviolenza, un “diritto soggettivo autonomo” leso dalla condotta dell'indagato/imputato. Diritto soggettivo autonomo leso dalla condotta del maltrattante e rappresentato da quei diritti e dalla battaglia per la loro tutela, posti fra gli scopi principali statutari dell'associazione stessa. Numerose le pronunce in questa direzione tra cui occorre menzionare l'ordinanza del Gup del tribunale di Perugia del 18 marzo 2008 (è comprovato attraverso i documenti allegati, se è vero che la tutela delle donne non rappresentava l'unica ragion d'essere dei "Giuristi Democratici" o di "Ossigeno Onlus", essa ne è sicuramente diventata – anche nell'immagine che la collettività riconosce oggi alle due associazioni, il che ha le sue rilevanti implicazioni in punto di eventuali danni non patrimoniali conseguenti a condotte criminose – un obiettivo specifico di azione e di interesse, portando entrambe le associazioni in questione ad organizzare sul tema iniziative di rilievo nazionale, nonché ad assurgere a punti di riferimento financo in sede di osservazioni su progetti di riforme legislative) e non da ultimo l'ordinanza del Gup del Tribunale di Chieti del 22 novembre 2017 con la quale ammette la costituzione del Centro antiviolenza Donn.è di Ortona (Ch). Al vaglio del Gup di Chieti- Dott.ssa Allieri- la copiosa documentazione prodotta dall'Associazione/Centro Antiviolenza Donn.è rappresentata dallo statuto ove viene richiamato nello specifico tra le finalità il contrasto alla violenza di genere, nonché la copiosa documentazione che ne comprova il lavoro profuso sul territorio ne gli oltre 5 anni di attività, ovvero dal 2012 anno della costituzione, nonché le nutrite attività svolte in termini di prevenzione, sensibilizzazione e contrasti rivolte in particolar modo all'accoglienza e alla presa in carico delle donne del territorio chietino e non solo, con o senza figli minori. Ciò al fine comprovare il radicamento dell'associazione sul territorio e l'interesse dell'associazione leso dalle condotte dell'imputato. E dunque nel motivare l'ammissione del Centro antiviolenza Donn.è il Gup di Chieti ha richiato la sentenza a Sezioni unite n. 38343 del 24 aprile 2014 che ribadisce come «È ammissibile la costituzione di parte civile di un'associazione anche non riconosciuta che avanzi, iure proprio, la pretesa risarcitoria , assumendo di aver subito per effetto del reato un danno, patrimoniale e non patrimoniale, consistente nell'offesa all'interesse perseguito dal sodalizio e posto nello statuto quale ragione istituzionale della propria esistenza ed azione, con la conseguenza che ogni attentato a tale interesse si configura come lesione di un diritto soggettivo inerente la personalità od identità dell'ente». Tale assunto ha fatto sì che ad oggi numerosi centri antiviolenza in Italia hanno visto riconosciuta l'ammissione quale parte civile nei processi per violenza sessuali, maltrattamenti e femminicidi, ritenendosi ormai pacifica la loro ammissione.

In conclusione

I processi per femmincidio nel nostro Paese si svolgono sovente ponendo sotto esame la donna offesa dal reato, la sua vita, le sue attitudini, le sue caratteristiche, nel tentativo di screditarla di attenuare cosi i profili di responsabilità degli imputati, giustificando le loro condotte. Come pocanzi sostenuto costituirsi parte civile nel processo penale vuol dire essere a fianco delle donne intervenendo nel contesto processuale al fine di ribadire che quando una donna viene stuprata, maltrattata, lesa o uccisa oltre la sfera individuale in cui agisce detta lesione, esiste anche la dimensione collettiva in cui detta lesione tocca tutte le donne, in un'ottica di responsabilità dell'intera società. Per dare maggior forza all'impegno profuso dai centri antiviolenza sarebbe dunque stato quanto mai opportuno all'indomani dell'entrata in vigore della legge119 del 2013 recepire la proposta di cui al disegno di legge del senato del 2015 n.1952 ove nell'art. 3 (XVII legislatura) si formalizzava l'intervento in giudizio e la costituzione dei centri antiviolenza. L'art. 3 ( Intervento e costituzione dei centri antiviolenza) del disegno di legge menzionato così recita. «Nei procedimenti per i delitti previsti dagli articoli 572, 609-bis, 609-quater e 609-octies del codice penale, il centro antiviolenza che ha prestato assistenza alla persona offesa ovvero i centri operanti nel territorio in cui è stato commesso il delitto, previamente accreditati presso le regioni e iscritti nel registro istituito presso l'Osservatorio per il contrasto alla violenza nei confronti delle donne e per ragioni di orientamento sessuale della Presidenza del Consiglio dei ministri - dipartimento per i diritti e le pari opportunità, possono costituirsi ai sensi degli articoli da 91 a 94 del codice di procedura penale. Nei procedimenti per i delitti di cui al comma 1, i centri di cui al medesimo comma possono costituirsi parti civili, previo consenso della parte offesa espresso nelle forme di cui all'articolo 92 del codice di procedura penale. Per le finalità di cui ai commi 1 e 2 i comuni possono stipulare convenzioni con i centri antiviolenza per il sostegno delle vittime». L'inserimento di tale articolo nella legge 119 del 2013 avrebbe di fatto legittimato una prassi già presente in numerosi tribunali riconoscendo altresì ai centri antiviolenza quel ruolo fondamentale e necessario, anche nel processo penale, che rivestono quotidianamente nell'accoglienza, supporto e sostegno alle donne vittime di violenza.

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