L'intervento delle Sezioni unite sulla responsabilità penale dell'esercente la professione sanitaria dopo la legge Gelli-Bianco

12 Marzo 2018

Le Sezioni unite penali della Corte di cassazione hanno risolto il contrasto che si era creato all'interno della quarta Sezione penale sull'interpretazione da dare alla nuova disciplina della responsabilità penale dell'esercente la professione sanitaria prevista dal nuovo art. 590-sexies c.p., introdotto dall'art. 6 della l. 8 marzo 2017, n. 24 (c.d. legge Gelli-Bianco); in particolare le Sezioni unite hanno ...
Abstract

Le Sezioni unite penali della Corte di cassazione hanno risolto il contrasto che si era creato all'interno della quarta Sezione penale sull'interpretazione da dare alla nuova disciplina della responsabilità penale dell'esercente la professione sanitaria prevista dal nuovo art. 590-sexies c.p., introdotto dall'art. 6 della l. 8 marzo 2017, n. 24 (c.d. legge Gelli-Bianco); in particolare le Sezioni unite hanno affermato che la causa di non punibilità - prevista dalla nuova norma per le condotte conformi alle raccomandazioni previste dalle linee guida o dalle buone pratiche clinico assistenziali adeguate alla specificità del caso concreto, nel caso di evento dannoso provocato da imperizia (e non da negligenza o imprudenza) - si applica solo nei casi in cui la colpa possa essere qualificata “lieve” con la necessità di parametrare la condotta tenuta dal terapeuta alla difficoltà tecnico-scientifica dell'intervento richiesto ed al contesto in cui esso si è svolto.

La responsabilità penale dell'esercente la professione sanitaria nella legge Balduzzi

Com'è noto la l. 8 novembre 2012, n. 189, nel convertire il d.l. 13 settembre 2012, n. 158, ha apportato significative modifiche al decreto legge; modifiche riguardanti sia la responsabilità penale che quella civile dell'esercente la professione sanitaria. In particolare la legge di conversione, sotto il profilo penale (i profili civilistici, di cui non ci occupiamo, erano caratterizzati da una incertezza che riguardava anche l'effettiva esistenza di modifiche normative), aveva riformulato il comma 1 dell'art. 3 del decreto legge che, fino alla recente abrogazione – cui più avanti faremo riferimento – così si esprimeva: «L'esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l'obbligo di cui all'art. 2043 del codice civile. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo».

La modifica più rilevante era costituita dalla depenalizzazione delle condotte colpose mediche che avessero provocato eventi penalmente rilevanti (morte o lesioni del paziente; ma non solo perché la l. Balduzzi non si riferiva solo a questi reati) quando la colpa fosse qualificabile come lieve e l'esercente la professione sanitaria si fosse attenuto a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica. Si consideri che, benché l'art. 3 della l. Balduzzi sia stato abrogato espressamente, la disciplina penale in esso contenuta dovrà continuare ad essere applicata per i fatti anteriormente commessi, se ritenuta più favorevole di quella contenuta nella successiva l. 24/2017 (c.d. legge Gelli). Ma ne parleremo più avanti.

Si è detto che la nuova normativa sembrava aver «trasformato le linee guida in una sorta di limite ‘negativo' della tipicità colposa: la loro inosservanza implica (certamente ?) la colpa, mentre la loro osservanza non la esclude, fatta eccezione per i casi di colpa lieve» (v. L. RISICATO).

Il nuovo art. 590-sexies c.p.

La disciplina contenuta nella l. Balduzzi, riguardante la responsabilità penale degli esercenti le professioni sanitarie, è profondamente mutata a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 6 legge 8 marzo 2017, n. 24 (c.d. legge Gelli-Bianco). Questa norma, per quanto riguarda la disciplina penale, oltre all'abrogazione espressa del comma 1 dell'art. 3 della l. Balduzzi (comma 2), ha introdotto il nuovo art. 590-sexies del codice penale visto, in dottrina, come una conferma del «processo di progressiva frammentazione del modello unitario di imputazione colposa per i delitti di omicidio e lesioni personali» aperto dall'introduzione delle fattispecie di omicidio e lesioni stradali colposi (v. A. MASSARO).

I punti essenziali di questa norma sono i seguenti: si conferma la punibilità, per i fatti commessi nell'esercizio della professione sanitaria, ai sensi degli artt. 589 e 590 c.p. (comma 1); si esclude la punibilità quando siano «rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto»; l'esclusione della punibilità è limitata ai soli casi di imperizia.

La nuova norma non ha posto rimedio ad alcuna delle anomalie segnalate nei primi commenti alle previsioni penali della legge Balduzzi: non, ovviamente, al tema della disparità di trattamento dei medici rispetto ad altre categorie di professionisti; ma neppure si è provveduto a razionalizzare il sistema di esenzione della responsabilità che è stato (apparentemente, almeno secondo un orientamento) addirittura ampliato. Si è detto, in merito a questa innovazione normativa, che «sarebbe stato di certo più opportuno superare il contradditorio paradigma della Balduzzi anziché riproporlo in termini ancor meno decifrabili, dando luogo ad un improvvido accostamento tra condotta imperita e condotta osservante raccomandazioni pertinenti ed adeguate rispetto al caso concreto» (v. A. ROIATI).

Ciò premesso non può non rilevarsi anzitutto che la prima significativa scelta è costituita dalla circostanza che, in base alla stesura definitiva della legge, è stato ristretto l'ambito di applicazione della nuova normativa, sotto il profilo penale, ai due reati indicati nel nuovo art. 590-sexies del codice penale, cioè ai casi di omicidio colposo e lesioni colpose che effettivamente costituiscono i casi più frequenti di responsabilità dell'esercente la professione sanitaria.

Ma esistono anche altre ipotesi di reato colposo, che possono essere addebitate a chi svolge questa professione, e difatti l'art. 3 della l. Balduzzi applicava genericamente la nuova normativa a tutti gli esercenti la professione sanitaria limitandosi a precisare i presupposti per l'applicazione della disciplina di favore senza specificare i reati che potevano formare oggetto di questa disciplina. Per es. la giurisprudenza di legittimità ha esaminato casi di responsabilità penale per interruzione di gravidanza colposa (art. 17, comma 1, l. 194/1978) ritenendo l'astratta applicabilità a questa ipotesi di reato dell'art. 3 della l. Balduzzi (v. Cass. pen., Sez. V, 13 novembre 2013, n. 660, T., in Dir. pen. proc., 2014, 421, con nota di L. RISICATO). Ed è possibile ipotizzare ipotesi contravvenzionali – per es. l'art. 14 del d.lgs. 26 maggio 2000, n. 187 in tema di esposizione non giustificata alle radiazioni ionizzanti e l'art. 650 c.p. nel caso di inosservanza di provvedimento dell'Autorità emesso per ragioni di igiene – che potevano rientrare nelle ipotesi di reati colposi cui era astrattamente applicabile l'art. 3 della l. Balduzzi.

La seconda modifica, ben più rilevante, è costituita dall'esclusione di ogni riferimento al grado della colpa; non si parla più di colpa lieve (come nella legge Balduzzi) né di colpa grave (come nel testo licenziato dalla Camera). Questa scelta (che darà origine ai contrasti giurisprudenziali di cui parleremo più avanti), sotto un certo profilo, può anche comprendersi: la linea di confine tra colpa lieve e colpa grave – tanto più se si esclude un forma di colpa per così dire “media” – è tracciabile con difficoltà e si è paventato il rischio, ove si fosse continuato a percorrere questa strada, di lasciare alla discrezionalità del giudice il compito di individuare, di volta in volta, che cosa costituisca reato e ciò che sia invece penalmente irrilevante. Resta però da vedere se la linea scelta si ponga maggiormente in linea, rispetto ad un sistema di graduazione della colpa, con le possibilità di soluzione di una serie di altri problemi cui accenneremo più avanti.

È poi da sottolineare come il nuovo art. 590-bis c.p. complichi il problema dell'inquadramento teorico della disciplina di favore (chiamiamola così) rispetto a quanto previsto dalla legge Balduzzi. L'art. 3, comma 1, di questa legge prevedeva infatti che, in presenza dei presupposti richiesti, l'agente non risponde penalmente per colpa lieve. L'espressione usata dal Legislatore (non risponde penalmente) sembrava volta a delimitare il fatto tipico. Inopinatamente l'art. 590-sexies c.p. usa una formulazione che può innestare una serie di dubbi di natura teorica perché sembra fare riferimento a una causa di non punibilità (la punibilità è esclusa). È vero che questa formulazione viene spesso utilizzata (anche nel codice penale!) in modo improprio e che quindi non è da darsi peso eccessivo alle parole usate ma sarebbe sempre auspicabile che il Legislatore usasse termini appropriati.

Mi sembra peraltro che non vi siano ragioni per escludere che anche la nuova norma abbia inteso delimitare il fatto tipico che costituisce reato perché l'ipotesi prevista sembra diretta ad escludere la colpevolezza dell'agente e non riferirsi ad un elemento estrinseco del reato; non si tratta quindi, sotto il profilo formale descrittivo, di un elemento oggettivo negativo della fattispecie criminosa né di un fatto antigiuridico e colpevole che fonda o esclude l'opportunità di punire la condotta. Si aggiunga che, in linea di massima, le conseguenze più rilevanti che derivano dal diverso inquadramento teorico attengono per lo più agli effetti di natura civilistica della condotta penalmente rilevante; ma, nel nostro caso, il problema non sembra neppure porsi perché queste conseguenze sono autonomamente disciplinate dalla legge che stiamo esaminando.

La giurisprudenza di legittimità sul nuovo art. 590-sexies c.p.

La legge 8 marzo 2017 n. 24, in tema di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie, è stata – prima dell'intervento delle Sezioni unite – esaminata, in tre occasioni, dalla Corte di cassazione in sede penale. Il primo caso è quello della sentenza Cass. pen., Sez. IV, 16 marzo 2017 n. 16140 (depositata il 30 marzo 2017), Filippini (in Dir. Pen. Contemp. del 26 aprile 2017, con nota di C. CUPELLI). Questa sentenza ha annullato con rinvio la decisione d'appello che aveva parzialmente confermato la sentenza di condanna –per lesioni colpose con indebolimento permanente dell'organo della digestione – a carico di un medico chirurgo che aveva colposamente eseguito un intervento chirurgico provocando lesioni al paziente. Non sono di interesse per il nostro tema le ragioni dell'annullamento che però è stato disposto anche in relazione all'elemento soggettivo del reato perché la sentenza di merito non aveva tenuto conto della circostanza che, dopo il fatto contestato, era entrata in vigore la l. 189/2012 (c.d. legge Balduzzi) e il giudice di appello non aveva verificato se la condotta dell'imputato fosse conforme a linee guida o buone prassi e se il grado della colpa potesse essere considerato lieve.

È interessante sottolineare che la sentenza prende in considerazione la circostanza che nel frattempo era stata approvata la legge Gelli-Bianco (anche se non ancora entrata in vigore: la sentenza risulta pronunziata il 16 marzo 2017 e depositata il 30 marzo 2017 mentre la legge è entrata in vigore il 1° aprile 2017) e indica la necessità, per il giudice di rinvio, di applicarla nella fase rescissoria. Al momento della pronunzia e del deposito la l. Gelli non era ancora entrata in vigore e ciò spiega, forse, perché la sentenza Filippini non abbia provveduto ad individuare direttamente la legge più favorevole; cosa che avrebbe dovuto fare, salvo che si fosse reso necessario un preliminare accertamento in fatto, che la sentenza peraltro non indica.

Ben più rilevanti sono i principi affermati nella sentenza della medesima Cass. pen., Sez. IV, 20 aprile 2017 n. 28187, imp. De Luca (ricorrente la parte civile Tarabori, in Cass. pen., 2017, 3152, con nota di C. CUPELLI); sentenza che si segnala innanzitutto per la durezza delle critiche rivolte all'innovazione legislativa. Basta leggere questa premessa: «la lettura della nuova norma suscita alti dubbi interpretativi, a prima vista irresolubili, subito messi in luce dai numerosi studiosi che si sono cimentati con la riforma. Si mostrano, in effetti, incongruenze interne tanto radicali da mettere in forse la stessa razionale praticabilità della riforma in ambito applicativo. Ancor prima, si ha difficoltà a cogliere la ratio della novella».

La sentenza si inoltra poi nell'esame analitico delle varie parti della legge e spiega le ragioni di un tale drastico giudizio. In merito al primo punto rilevante – la previsione di non punibilità dell'agente che abbia rispettato le linee guida accreditate nel caso in cui le medesime risultino adeguate alla specificità del caso concreto – il giudizio è particolarmente severo: «l'enunciato […] attinge la sfera dell'ovvietà» perché l'agente che si trovi nella situazione descritta «è evidentemente immune da colpa». Aggiunge poi la sentenza che la disciplina è di «disarticolante contradditorietà» nella previsione che la causa di non punibilità si applichi quando l'evento si sia verificato a causa di imperizia; si dice: «la drammatica incompatibilità logica è lampante: si è in colpa per imperizia ed al contempo non lo si è, visto che le codificate leges artis sono state rispettate ed applicate in modo pertinente ed appropriato».

Si aggiunge poi, nella sentenza, che la riaffermazione del principio di colpevolezza richiede che esista uno stretto nesso tra la violazione della regola cautelare e l'evento prodotto nel senso che l'evento deve essere stato provocato da quella violazione (causalità della colpa) ma, altresì, nel senso che non possa essere esclusa la colpevolezza sol perché siano state osservate regole non pertinenti (nella sentenza si fa l'esempio dell'automobilista che provoca, attraversando un incrocio con il semaforo rosso, un incidente mortale e si difende adducendo la circostanza di non aver superato i limiti di velocità).

La sentenza illustra poi sinteticamente caratteristiche, funzioni e natura delle linee guida e riassume i princìpi affermati dalla giurisprudenza di legittimità sottolineando come si tratti di raccomandazioni da adattare di volta in volta alla patologia presentata dal singolo paziente. Pone poi in evidenza come non si tratti, in ogni caso, di trattamenti obbligatori (e addirittura come in molti casi le raccomandazioni contenute nelle linee guida neppure abbiano natura cautelare). Sottolinea poi, la sentenza, come la disciplina contenuta nelle linee guida non esaurisca «la disciplina dell'ars medica» sia perché taluni aspetti di essa non sono dalle linee guida disciplinati sia perché, «nell'ambito di contesti che ad esse attingono, può ben accadere che si tratti di compiere gesti o di agire condotte, assumere decisioni che le direttive in questione non prendono in considerazione».

Nel delineare una conclusione nelle due ipotesi oggetto di specifica analisi da parte della sentenza Tarabori (aspetti non disciplinati dalle linee guida; aspetti disciplinati ma in presenza di condotte dell'agente non prese in considerazione dalle direttive: si fa l'esempio del chirurgo che, pur seguendo le linee guida, inavvertitamente tagli un'arteria del paziente) la sentenza conclude che «razionalità e colpevolezza ergono un alto argine contro l'ipotesi che voglia, in qualunque guisa, concedere, sempre e comunque l'impunità a chi si trovi in una situazione di verificata colpa per imperizia». Va dunque respinta la tesi «che il Legislatore abbia voluto escludere la punibilità anche nei confronti del sanitario che, pur avendo cagionato un evento lesivo a causa di comportamento rimproverabile per imperizia, in qualche momento della relazione terapeutica abbia comunque fatto applicazione di direttive qualificate; pure quando esse siano estranee al momento topico in cui l'imperizia lesiva si sia realizzata».

Insomma: per andare esente da responsabilità non è sufficiente che l'esercente la professione sanitaria abbia seguito linee guida riconosciute e verificate come affidabili e che le linee guida siano pertinenti al caso specifico che si è trovato ad affrontare ma è necessario che, nella sua condotta, non sia ravvisabile alcun altro elemento di colpa, estraneo alla loro applicazione, che in qualche modo abbia contribuito al verificarsi dell'evento dannoso.

L'opposta soluzione interpretativa, secondo la sentenza, «implicando un radicale depotenziamento da responsabilità, è priva di riscontri in altre esperienze nazionali» e «rischierebbe di vulnerare l'art. 32 Cost., implicando un radicale depotenziamento della tutela della salute, in contrasto con le stesse dichiarate finalità della legge, di protezione del diritto alla salute […]. Tale soluzione, inoltre, stabilirebbe uno statuto normativo irrazionalmente diverso rispetto a quello di altre professioni altrettanto rischiose e difficili».

La Cassazione penale prende poi in considerazione l'esistenza, per il giudice civile, dell'obbligo (previsto dall'art. 7, comma 3, l. 24/2017) di tener conto, nella determinazione del risarcimento del danno, della condotta dell'esercente la professione sanitaria ai sensi dell'art. 5 della medesima legge e dell'art. 590-sexies c.p. Con la conseguenza che, per effetto di tale richiamo, «il solo fatto dell'osservanza delle linee guida, anche quando non rilevante ai fini del giudizio di responsabilità, non solo escluderebbe la responsabilità penale, ma limiterebbe pure la quantificazione del danno».Con la conseguenza che «neppure l'ambito civilistico consentirebbe alla vittima di ottenere protezione e ristoro commisurati all'entità del pregiudizio subito».

In conclusione, secondo la sentenza Tarabori, la corretta interpretazione della nuova disciplina deve ispirarsi ai seguenti principi:

  1. l'art. 590-sexies c.p. non si applica in contesti non governati da linee guida accreditate o quando le linee guida non sono appropriate; in questi casi si applica la disciplina generale prevista dagli artt. 43, 589 e 590 c.p.;
  2. la novella trova applicazione «quando le raccomandazioni generali siano pertinenti alla fattispecie concreta»;
  3. il nuovo paradigma non ha effetto quando, pur nell'ambito di una relazione terapeutica governata da linee guida pertinenti ed appropriate, le condotte «non risultino per nulla disciplinate in quel contesto regolativo» (il riferimento è all'esempio, già fatto, dell'errore applicativo verificatosi nello svolgimento di un percorso terapeutico correttamente adottato).

Insomma leggendo la sentenza De Luca - Tarabori la prima impressione è che il nuovo art. 590-sexies c.p. sia, in buona sostanza, se non una norma del tutto inutile, una norma di assai limitata applicazione. È infatti applicabile – in senso positivo cioè nel senso di dichiarazione di non punibilità dell'agente – nei casi in cui, se la norma non esistesse, si perverrebbe ugualmente in linea di massima, per le ordinarie vie previste in generale dal codice penale, all'assoluzione dell'imputato per mancanza dell'elemento soggettivo. Se infatti l'esercente la professione sanitaria ha correttamente individuato le linee guida da applicare al caso concreto; se queste linee guida sono state convalidate dagli organismi a ciò preposti; se non esistevano controindicazioni alla loro applicazione; se non sono intervenuti errori (vedremo di quale tipo) nella terapia seguita; se esistono, in conclusione, tutti questi presupposti la conseguenza non può che essere che la persona doveva comunque essere assolta, indipendentemente dall'esistenza dell'art. 590-sexies c.p., per mancanza dell'elemento soggettivo (la colpa).

Poco tempo dopo la sentenza De Luca - Tarabori è stata depositata un'altra sentenza della medesima quarta Sezione penale della Corte di cassazione che ha nuovamente affrontato il tema relativo all'ambito di applicazione del nuovo art. 590-sexies c.p.; si tratta della sentenza 19 ottobre 2017, n. 50078, Cavazza (in Cass. pen., 2018, 161, nota di C. CUPELLI).

Nell'esaminare i temi che già avevano formato oggetto della sentenza Tarabori la Corte premette che, alle ipotesi di reato anteriori all'entrata in vigore della l. 24/2017, continua ad applicarsi la l. Balduzzi nella parte in cui prevedeva che l'esercente la professione sanitaria non rispondesse penalmente per colpa lieve se la sua condotta era stata rispettosa delle linee guida e delle buone pratiche; riconosce invece come, la nuova disciplina, abbia certamente ricondotto il suo ambito di applicazione alla sola imperizia.

La sentenza invece si discosta decisamente dal precedente De Luca-Tarabori (che neppure viene richiamato in motivazione) nella parte in cui riconsidera i temi relativi al grado della colpa ritenendo astrattamente ammissibile l'applicazione della nuova causa di non punibilità anche in caso di colpa grave. Ciò in base a una duplice argomentazione: il venir meno di ogni rilievo, nella nuova norma, del grado della colpa e la dichiarata finalità di attenuazione della responsabilità penale del medico cui è ispirata la nuova legge.

Si tratta, rispetto alla sentenza Tarabori, di una vera e propria inversione di rotta che si fonda, oltre che su un argomento letterale (perché il nuovo art. 590-sexies c.p. alcun riferimento fa al grado della colpa) anche su un orientamento dottrinale che si era già espresso in questo senso (v. G. AMATO e G. IADECOLA). Non è tanto la diversità di soluzione, del tutto plausibile, che stupisce, quanto il fatto che la sentenza non si confronti con le diffuse argomentazioni del precedente della medesima sezione, già pubblicato su varie riviste e commentato da diversi Autori. La sentenza De Luca-Tarabori aveva infatti fondato la soluzione adottata nella sua decisione su una varietà di argomentazioni. In particolare su considerazioni riguardanti la necessità di valorizzare i principi contenuti nell'art. 32 della Costituzione; su altre notazioni riguardanti il principio di colpevolezza e la causalità della colpa; sul tema riguardante l'utilizzazione di direttive non pertinenti rispetto alla causazione dell'evento. La sentenza più recente si limita ad evidenziare un argomento letterale e a fare riferimento ad una asserita finalità di favore che trova più di una smentita nella nuova disciplina normativa.

In particolare, se si fosse confrontata con le motivazioni della sentenza Tarabori, la sentenza Cavazza avrebbe potuto fornire una risposta al tema proposto dal precedente della medesima sezione con l'individuazione dei criteri in base ai quali possa affermarsi che – malgrado la «deviazione ragguardevole rispetto all'agire appropriato» (così la sentenza) che caratterizza la colpa grave – possano ritenersi «rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida» (art. 590-sexies c.p.). Diversamente, lo diceva la sentenza Tarabori, si rischia di avallare qualunque condotta, pur adottata in contrasto con le più elementari regole cautelari, purché si inserisca in un percorso in qualche modo disciplinato da linee guida.

La sentenza Cavazza ha formato oggetto anche di altre osservazioni critiche. Si è in particolare rilevato come i principi affermati in questa sentenza siano di difficile applicazione quando l'ambito applicativo sia riferito alle buone prassi e non alle linee guida per l'indeterminatezza che deriva dalla mancanza di un contenuto predeterminato scritto (v. A. VALLINI). Inoltre, secondo il medesimo Autore, questa interpretazione creerebbe «un'esimente priva di ogni ragionevole ratio […]. Rappresenterebbe davvero un mediocre ‘baratto' quello inteso a premiare la fedeltà del medico a linee guida funzionali a un progetto dirigista della sanità, pervasivo anche delle scelte cliniche, e non privo di ispirazione economicista, con una promessa di generalizzata impunità penale per qualunque connessa imperizia». Ciò, in particolare, perché ci si troverebbe in presenza di una causa di non punibilità «fondata su ragioni di ‘opportunità politico criminale' […]in virtù delle quali sarebbe bene che il medico, una volta intrapresa una strategia clinica suggerita da linee guida adeguate al caso clinico, qualunque cosa poi faccia (o ‘combini') possa godere della tranquillità concessagli da uno scudo indifferenziato di irrilevanza penale».

La sentenza Mariotti delle Sezioni unite. Le premesse argomentative

A seguito di segnalazione del presidente della quarta Sezione penale – che ha rilevato il contrasto insorto all'interno della sezione tra due collegi diversamente composti (in realtà il giudice relatore della sentenza Cavazza faceva parte anche del collegio della sentenza Tarabori) – il primo Presidente della Corte ha rimesso la decisione alle sezioni unite e ha fissato l'udienza di discussione per il 21 dicembre 2017. In questa udienza le Sezioni unite hanno deciso il ricorso, fornendo nell'immediato l'informazione provvisoria sulla decisione, e il 22 febbraio 2018 è stata depositata l'attesa sentenza delle Sezioni unite. pronunziata nei confronti di Mariotti Furio (si tratta della sentenza 21 dicembre 2017 n. 8770/2018, che può leggersi in Dir. Pen. Contemp. del 1° marzo 2018).

Ad una prima lettura la sensazione prevalente, pur a fronte di una sforzo motivazionale notevole, è che le Sezioni unite abbiano cercato – con una sorta di giurisprudenza per così dire “creativa” – di individuare una linea interpretativa intermedia che venisse incontro alle contrapposte esigenze emerse dall'esame delle sentenze Tarabori e Cavazza e che valesse a soddisfare entrambe le opzioni interpretative eliminando le soluzioni ritenute in contrasto con i ritenuti (dalla Corte) principi che garantivano ragionevolezza all'interpretazione proposta.

E veniamo ai punti nodali della motivazione. Dopo aver riassunto le motivazioni contenute nelle due decisioni le Sezioni unite premettono alla loro decisione una considerazione critica rilevando come – pur contenendo, entrambe le sentenze in esame, «molteplici osservazioni condivisibili» – difetti in esse «una sintesi interpretativa complessiva capace di restituire la effettiva portata della norma in considerazione».

Le Sezioni unite sono consce che, per riuscire in questo compito, dovranno andare “oltre” la letteralità del testo ma riaffermano il principio che, in questa opera, si incontra «un solo vincolante divieto per l'interprete», cioè quello di andare “contro” il significato delle espressioni usate. Tutto ciò, purché l'interprete si mantenga all'interno dei principi generali della materia, consente anche di rimanere all'interno delle coordinate costituzionali e di evitare di investire della soluzione del problema – come richiesto dal Procuratore generale – la Corte costituzionale.

A questo punto la sentenza fa un mero accenno ad un problema che non riprenderà – il rispetto del principio di tassatività da parte del Legislatore – limitandosi ad affermare di non condividere il sospetto relativo all'esistenza di questo vizio che avrebbe condotto a sollevare la questione di costituzionalità.

Ciò premesso la sentenza passa ad affrontare alcuni problemi riguardanti il reato colposo in generale per poi soffermarsi sul tema della rilevanza della distinzione, a seguito dell'entrata in vigore della l. Gelli, tra i casi di imperizia, negligenza e imprudenza e prende atto che la nuova legge limita ai casi di imperizia l'applicabilità della causa di non punibilità (il che, tra l'altro, consente alla Corte di dichiarare irrilevante, anche sotto questo profilo, la questione di legittimità costituzionale proposta dal Procuratore generale posto che il caso in esame riguardava un caso di negligenza).

Gli errori logici delle sentenze che hanno dato luogo al contrasto secondo le Sezioni unite

Entrando nel merito del contrasto la Corte premette di condividere la prima parte della sentenza Tarabori laddove esclude la possibilità di applicare la causa di non punibilità ai casi di imprudenza e negligenza; ai casi in cui l'atto sanitario non sia governato da linee guida o buone pratiche; ai casi in cui queste ultime siano state individuate in modo inadeguato riguardo al caso specifico.

Dove, secondo le Sezioni unite, erra la sentenza Tarabori è nel «non rinvenire alcun residuo spazio operativo per la causa di non punibilità» e di offrire della norma «una interpretazione abrogatrice, di fatto in collisione con il dato oggettivo della iniziativa legislativa e con la stessa intenzione innovatrice manifestata in sede parlamentare».

Secondo le Sezioni unite la sentenza Cavazza, che ha il pregio di non discostarsi troppo dalla lettera della legge, «cade nell'errore opposto perché attribuisce ad essa una portata applicativa impropriamente lata: quella di rendere non punibile qualsiasi condotta imperita del sanitario che abbia provocato la morte o le lesioni, pur se connotata da colpa grave».

Le motivazioni della sentenza Mariotti

Inoltrandosi nell'esporre le ragioni giustificative della decisione le Sezioni unite, a premessa del ragionamento, chiariscono innanzitutto come la nuova disciplina prevista dall'art. 590-sexies c.p., integri una causa di non punibilità riferibile ai soli reati di cui agli artt. 589 e 590 c.p. Questa causa di non punibilità non si applica, peraltro, non solo (ovviamente) ai casi in cui «la violazione di prescrizioni potrebbe essere per nulla ravvisabile» ma altresì a quelli in cui le raccomandazioni, pur sperimentate con successo dalla comunità scientifica, «non risultino ancora aver superato le soglie e le formalità di accreditamento ufficiale descritte dalla legge».

Dopo aver esaminato alcuni aspetti riguardanti anche le differenze rispetto alle previsioni contenute nell'art. 3 della l. Balduzzi, la sentenza critica poi la sentenza Tarabori non solo, come già accennato, nella parte in cui non individua un'area di applicabilità della causa di non punibilità ma anche nella parte in cui non tiene conto dell'elaborazione giurisprudenziale di legittimità, formatasi sul testo dell'art. 3 della l. Balduzzi, e in particolare dei principi affermati nella sentenza 29 gennaio 2013, n. 16237, Cantore, della IV Sezione penale, in Dir. pen. e processo, 2013, 691 con nota di L. RISICATO (per mera nota di cronaca si rileva che l'estensore delle due sentenze è il medesimo).

La selezione delle linee guida. Le Sezioni unite peraltro, su questo punto, fanno un'importante precisazione: l'errore non punibile non può riguardare «la fase della selezione delle linee-guida perché, dipendendo il ‘rispetto' di esse dalla scelta di quelle ‘adeguate', qualsiasi errore sul punto, dovuto a una qualsiasi delle tre forme di colpa generica, porta a negare l'integrazione del requisito del ‘rispetto'». Esorbita quindi dal perimetro della causa di non punibilità il momento della scelta delle linee guida adeguate al singolo caso; oggi, dopo l'entrata in vigore della l. Gelli, tale momento risulta ricomposto in base al «procedimento pubblicistico per la formalizzazione delle linee-guida rilevanti».

Su questo punto la sentenza ritiene quindi che la scelta del Legislatore sia stata quella di «pretendere, senza concessioni, che l'esercente la professione sanitaria sia non solo accurato e prudente nel seguire la evoluzione del caso sottopostogli ma anche e soprattutto preparato sulle leges artis e impeccabile nelle diagnosi anche differenziali; aggiornato in relazione non solo alle nuove acquisizioni scientifiche ma anche allo scrutinio di esse da parte delle società e organizzazioni accreditate, dunque alle raccomandazioni ufficializzate con la nuova procedura; capace di fare scelte ex ante adeguate e di personalizzarle anche in relazione alle evoluzioni del quadro che gli si presentino».

Il primo punto fermo è dunque questo: la causa di non punibilità non può riguardare la fase della selezione delle linee guida ma soltanto la utilizzazione di quelle, correttamente scelte, ma nella cui applicazione l'agente sia incorso in un errore.

Il grado della colpa.È l'aspetto più dirompente contenuto nella sentenza. Del resto il dissenso tra le due sentenze, dalle quali ha preso l'avvio il procedimento dinanzi alle sezioni unite, si era formato in particolare su questo aspetto: la sentenza Tarabori escludeva che la nuova disciplina prendesse ancora in considerazione il grado della colpa ed era fermamente orientata nell'escludere in particolare che, in presenza di colpa grave, potesse ritenersi integrata la causa di non punibilità. La sentenza Cavazza, al contrario, riteneva che l'eliminazione del riferimento al grado della colpa potesse consentire il riconoscimento che anche l'esistenza di una colpa qualificabile come “grave”, ove sussistenti gli altri presupposti previsti dall'art. 590-sexies c.p., non ostasse al riconoscimento della causa di non punibilità.

Le Sezioni unite optano per una terza e diversa soluzione e decidono, in buona sostanza, di ripristinare il criterio della colpa “lieve”, previsto dalla l. Balduzzi ai fini dell'esclusione della responsabilità penale ove siano state osservate le raccomandazioni previste dalle linee guida (o dalle buone pratiche clinico-assistenziali) pertinenti e adeguate al caso trattato.

Vediamo il percorso argomentativo utilizzato per giungere a questa conclusione: in realtà l'impressione che si trae da una prima lettura di questa parte della motivazione è che la Corte – più che dimostrare la fondatezza del suo assunto – cerchi di smontare le obiezioni sistematiche che potrebbero essere proposte contro questa soluzione o di contrastare anticipatamente una presunta incompatibilità di questa scelta con la restante disciplina normativa della responsabilità in materia sanitaria.

Sotto il primo profilo queste sono le argomentazioni di maggior rilievo: la soluzione proposta non limita i diritti civilistici di chi abbia subito danno da un trattamento terapeutico; la previsione di un errore lieve, esente da sanzione penale, ha come pendant e rafforzamento la disciplina dei «flussi informativi volti a far emergere le criticità nel compimento della ordinaria attività professionale»; la previsione esplicita della colpa lieve come ambito di esclusione della responsabilità è stata già legittimata dal Legislatore; la disciplina contenuta nell'ultima modifica normativa non evidenzia una volontà del Legislatore diretta alla reviviscenza di pregressi e più severi indirizzi interpretativi; non esistono ragioni vincolanti per escludere la validità dell'interpretazione adottata.

Come meglio vedremo nelle conclusioni pare difficile ritenere decisive queste argomentazioni in presenza di un testo letterale che sembra dire una cosa diversa.

Il richiamo all'art. 2236 c.c. Il grado della colpa. Sotto il secondo profilo (contrasto della soluzione proposta con la restante disciplina in materia di responsabilità sanitaria) la sentenza premette come la mancata evocazione esplicita della colpa lieve da parte della legge non precluda la possibilità di interpretarla nel senso indicato. A tal fine le sezioni unite richiamano il recente orientamento della cassazione penale che ha valorizzato, pur non affermandone l'applicabilità al settore penale, il riconoscimento dell'art. 2236 c.c. come principio di razionalità e regola di esperienza cui attenersi nel valutare l'addebito di imperizia.

In realtà le Sezioni unite fanno un passo in avanti rispetto a quell'orientamento perché affermano esplicitamente «il principio secondo cui la condotta tenuta dal terapeuta non può non essere parametrata alla difficoltà tecnico-scientifica dell'intervento richiesto ed al contesto in cui esso si è svolto». Con la conclusione, su questo punto, che «l'eventuale addebito di colpa era destinato a venire meno nella gestione di un elevato rischio senza errori rimproverabili connotati da gravità».

Se invece non ci si fosse trovati in una situazione di emergenza o non vi fossero stati da affrontare problemi di particolare difficoltà non sarebbe venuto in considerazione il principio previsto dall'art. 2236 c.c. «e non avrebbe avuto base normativa la distinzione della colpa lieve». In questi casi, come nei casi di negligenza o imprudenza, il medico versava in colpa e non poteva applicarsi la causa di non punibilità. La Corte chiama a conforto della sua tesi la sentenza della Corte costituzionale n. 166/1973 trovandone conferma dall'avere, la legge Gelli, riservato la non punibilità ai soli casi di imperizia.

Non si nasconde, la sentenza, che la l. Balduzzi prescindeva dalla situazione di particolare difficoltà tecnica (anche se si trattava del terreno di elezione della colpa lieve) non potendosi escludere casi che, pur non avendo queste caratteristiche, per condizioni particolari consentivano di ritenere lieve la colpa (per es. nei casi di urgenza o di assenza di presidi adeguati).

La Corte non lo afferma espressamente: ma dire che, in base alla l. Gelli – ove esistenti gli altri presupposti – è penalmente sanzionabile la condotta colposa ove la colpa sia qualificabile come grave e solo se la prestazione implichi la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà non significa applicare alla responsabilità penale dell'esercente la professione sanitaria l'art. 2236 nella sua interezza? L'unica differenza resterebbe l'ambito di applicazione soggettiva della norma civilistica che crea – è difficile negarlo – un problema di disparità di trattamento a sfavore di altre categorie professionali.

Criteri per individuare il grado della colpa. Passando poi ad esaminare i criteri per individuare il grado della colpa la sentenza richiama i principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità nel vigore della l. Balduzzi e in particolare il criterio che utilizza il grado di scostamento «dalle necessità di adeguamento alle peculiarità della malattia, al suo sviluppo, alle condizioni del paziente».

Ma non si sottrae, la sentenza, alla necessità di individuare i criteri idonei a valutare la possibilità di discostarsi dalle linee guida «quando i riconoscibili fattori che suggerivano l'abbandono delle prassi accreditate assumano rimarchevole, chiaro rilievo e non lascino residuare un dubbio plausibile sulla necessità di un intervento difforme e personalizzato rispetto alla peculiare condizione del paziente: come nel caso di ‘patologie concomitanti' emerse alla valutazione del sanitario, e indicative della necessità di considerare i rischi connessi».

Aggiunge la Corte come il discrimine tra colpa lieve e colpa grave vada individuato anche in riferimento alla misurazione della colpa in senso oggettivo e soggettivo. Valutazione da effettuarsi in concreto con riferimento alle specifiche condizioni dell'agente e «del suo grado di specializzazione», alla «problematicità o equivocità della vicenda; alla «particolare difficoltà delle condizioni in cui il medico ha operato», alla «difficoltà obiettiva di cogliere e collegare le informazioni cliniche», al «grado di atipicità e novità della situazione», alla «impellenza», alla «motivazione della condotta», alla «consapevolezza o meno di tenere una condotta pericolosa».

Grado della colpa ed esigibilità della condotta osservante. Dall'elencazione che precede mi sembra di poter rilevare che le Sezioni unite abbiano unificato in un'unica categoria elementi di natura diversa non tutti riconducibili a criteri utilizzabili per misurare il grado soggettivo o oggettivo della colpa. Su questo aspetto occorre fare alcune precisazioni perché la misura della colpa è divenuta, secondo l'interpretazione della sentenza in esame, criterio idoneo a delimitare il fatto tipico (se la colpa è lieve, in presenza degli altri presupposti, il fatto non costituisce reato).

Alcuni degli elementi indicati attengono certamente alla colpa in senso oggettivo (per es. problematicità o equivocità della vicenda) o in senso soggettivo (per es. motivazione della condotta). Altri elementi ancora possono avere natura mista; ma mi sembra che si possa affermare che altri degli elementi indicati nulla hanno a che fare con la misura – oggettiva o soggettiva – della colpa. Si tratta infatti di elementi che riguardano semmai il tema dell'esigibilità della condotta osservante (per es. la particolare difficoltà delle condizioni in cui il medico ha operato; il grado di atipicità e novità della situazione; la impellenza di intervenire).

Il principio di non esigibilità è stato ricollegato, dal punto di vista dogmatico, alla concezione normativa della colpevolezza: l'agente si è comportato in un certo modo mentre avrebbe dovuto comportarsi diversamente; ma la colpevolezza non può essere riconosciuta esistente se l'agente era in condizioni tali da non poter tenere una condotta diversa rispetto a come ha agito; se non era da lui umanamente esigibile un comportamento conforme al precetto penale. Si ha inesigibilità quando quella data condotta non si può pretendere da un determinato soggetto in quella situazione contingente.

E ciò non perché il soggetto non sia in grado di porla in essere (quindi non vi è alcuna impossibilità oggettiva) ma perché, per ragioni varie riferibili al soggetto agente o alla situazione di fatto creatasi, questi trova gravi ostacoli ad operare secondo le regole cautelari che sarebbe tenuto ad osservare. Non è sufficiente, infatti, che l'agente abbia tenuto un atteggiamento psichico contrario a quello che avrebbe dovuto tenere; occorre che la sua condotta sia anche difforme da quella che egli avrebbe potuto tenere.

L'inesigibilità riguarda dunque la misura soggettiva della colpa perché tende ad individuare i limiti entro i quali la responsabilità del singolo soggetto, del soggetto agente, dell'agente concreto – e non dell'agente modello – può essere esclusa. Ma non riguarda la misura della colpa che può costituire un accertamento successivo – se la condotta richiesta è ritenuta esigibile – quando la legge lo richieda (per es. nella responsabilità medica o ai fini della determinazione della pena).

La corretta ricostruzione non è priva di rilievo perché se la condotta osservante è ritenuta inesigibile ciò non potrà non avere influenza anche sull'esistenza del diritto al risarcimento.

Colpa grave e causa di non punibilità. Sotto diverso profilo, e con più diretto riferimento all'orientamento seguito dalla sentenza Cavazza la Corte, dopo avere nelle premesse addebitato alla medesima «una portata applicativa impropriamente lata» ritiene che estendere la causa di non punibilità ai casi di colpa grave per imperizia «evocherebbe, per un verso, immediati sospetti di illegittimità costituzionale per disparità di trattamento ingiustificata rispetto a situazioni meno gravi eppure rimaste sicuramente punibili, quali quelle connotate da colpa lieve per negligenza o imprudenza».

Le finalità perseguite dalla legge (tutela della salute e contrasto della medicina difensiva) “non potrebbero essere compatibili con l'indifferenza dell'ordinamento penale rispetto a gravi infedeltà alle leges artis, né con l'assenza di deroga ai principi generali in tema di responsabilità per comportamento colposo, riscontrabile per tutte le altre categorie di soggetti a rischio professionale”.

Sotto altro profilo, secondo le Sezioni unite, si verificherebbe «un evidente sbilanciamento degli interessi sottesi […] con l'indifferenza dell'ordinamento penale» rispetto a queste gravi infedeltà e ciò determinerebbe, inoltre, «ingiuste restrizioni nella determinazione del risarcimento del danno».

Infine le Sezioni unite traggono conforto alle tesi accolte dallo sviluppo dei lavori parlamentari.

I principi di diritto enunciati. In conclusione i principi di diritto enunciati dalle sezioni unite sono i seguenti: “L'esercente la professione sanitaria risponde, a titolo di colpa, per morte o lesioni personali derivanti dall'esercizio di attività medico-chirurgica:

a) se l'evento si è verificato per colpa (anche ‘lieve') da negligenza e imprudenza;

b) se l'evento si è verificato per colpa (anche ‘lieve') da imperizia quando il caso concreto non è regolato dalle raccomandazioni delle linee-guida o dalle buone pratiche clinico-assistenziali;

c) se l'evento si è verificato per colpa (anche ‘lieve') da imperizia nella individuazione e nella scelta di linee-guida o di buone pratiche clinico-assistenziali non adeguate alla specificità del caso concreto;

d) se l'evento si è verificato per colpa ‘grave' da imperizia nell'esecuzione di raccomandazioni di linee-guida o buone pratiche clinico-assistenziali adeguate, tenendo conto del grado di rischio da gestire e delle speciali difficoltà dell'atto medico”.

La disciplina intertemporale. L'aspetto maggiormente inquietante del contrasto interpretativo, verificatosi all'interno della quarta sezione penale della Corte di cassazione, era quello che si riferiva alla disciplina intertemporale con particolare riferimento all'accertamento di quale fosse la disciplina più favorevole – tra quella prevista dalla legge Balduzzi e quella derivante dall'applicazione della legge Gelli – che la sentenza Tarabori individuava nella l. Balduzzi mentre la sentenza Cavazza (ritenendo che la causa di non punibilità potesse riferirsi anche alla colpa “grave”) non poteva che andare di opposto avviso.

Avendo le Sezioni unite “reintrodotto” nell'ordinamento casi di esclusione della punibilità per essere (in presenza degli altri presupposti) la colpa qualificabile come “lieve” la soluzione dei casi verificatisi prima dell'entrata in vigore dell'innovazione legislativa non dovrebbe presentare aspetti di particolare problematicità. In queste ipotesi va anzitutto precisato che, ove ci si trovi in presenza di casi di negligenza e imprudenza, non può aversi alcuna esclusione della punibilità riservata, dalla nuova normativa, ai soli casi di imperizia. In questi casi dunque la nuova disciplina è sicuramente meno favorevole.

Meno favorevole, secondo le Sezioni unite, è la nuova disciplina anche nel caso in cui l'errore determinato da colpa lieve sia caduto sul momento selettivo delle linee-guida che solo ora, e non prima, sarebbe stato escluso dall'ambito di applicazione della causa di non punibilità.

Identico, infine, è invece è il trattamento, con esenzione da responsabilità, del caso di imperizia nella fase attuativa della linea guida ove sia ritenuta l'ipotesi della colpa lieve in presenza degli altri presupposti previsti dalla legge.

In conclusione

Abbiamo dunque visto che le Sezioni unite hanno scelto una “terza via” rispetto a quelle seguite dai due collegi della quarta sezione penale. Ad un primo sommario esame della sentenza può dirsi che la scelta delle Sezioni unite potrebbe essere considerata ragionevole come scelta di politica legislativa.

Un assetto normativo che riservi la sanzione penale alle ipotesi in cui l'esercente la professione sanitaria abbia ispirato la sua azione ad un apparato esterno di regole cautelari (le linee guida o le buone pratiche cliniche) la cui validità sia stata confermata con le previste procedure – ma che abbia commesso un errore lieve nella sua concreta applicazione – non può essere infatti considerato irrazionale, al di là della condivisibilità della scelta. Tanto più che le sezioni unite fondano questa soluzione anche sulla necessità di ricollegare la possibilità di applicazione della causa di non punibilità ai casi in cui l'agente doveva risolvere problemi tecnici di speciale difficoltà; con la sostanziale (e non dichiarata) estensione alla responsabilità penale della disciplina contenuta nell'art. 2236 c.c.

E altrettanto ragionevole appare la scelta di escludere la causa di non punibilità nel caso di colpa grave per i problemi di costituzionalità che si porrebbero in tema di tutela della salute e di possibile violazione dell'art. 32 della Costituzione.

Ma mentre questo secondo aspetto trova un adeguato supporto motivazionale nelle argomentazioni della Corte – e comunque l'idea di estendere la non punibilità anche a casi di colpa grave non era mai stata ipotizzata prima della legge Gelli – va invece rilevato come l'assemblea del Senato non avesse recepito le indicazioni, provenienti dalla sua Commissione giustizia, che aveva espresso perplessità sia sul riferimento alla sola imperizia (e non alla negligenza e imprudenza) contenuto nel nuovo testo riguardante l'area di esenzione dalla responsabilità; sia in merito all'esclusione del riferimento alla colpa lieve già previsto dalla l. Balduzzi (v. D. TRIPICCIONE).

Ci troviamo quindi in presenza non di un “refuso” legislativo o di una previsione involontariamente inserita o rimasta inavvertitamente in un testo legislativo bensì di una scelta precisa volontariamente assunta dal Legislatore che ha coscientemente eliminato il riferimento alla colpa lieve previsto dalla legge all'epoca vigente. E infatti le argomentazioni delle sezioni unite, già in precedenza riportate, sembrano in particolare dirette a dimostrare la bontà della soluzione proposta piuttosto che a fondarne la correttezza argomentativa.

Insomma: che la giurisprudenza svolga anche una funzione normativa non è certo una novità ed entro certi limiti (per es. le aree che il Legislatore omette di disciplinare) è anche accettabile. Ma che la svolga in casi in cui il Legislatore abbia coscientemente scelto una direzione sembra invece un po' azzardato. Indipendentemente dalla astratta ragionevolezza della soluzione adottata.

Guida all'approfondimento

G. AMATO, Professionisti salvi se l'evento è dovuto a imperizia, in Guida al diritto, 2017, fasc. 15, 51.

F. P. BISCEGLIA, Il discutibile secondo lifting giurisprudenziale su di un tessuto normativo difettoso, in Archivio penale, n. 1/2018.

C. BRUSCO, Cassazione e responsabilità penale del medico. Tipicità e determinatezza nel nuovo art. 590-sexies c.p., in Dir. Pen. Contemp. del 28 novembre 2017.

M. CAPUTO, ‘Promossa con riserva'. La legge Gelli-Bianco passa l'esame della Cassazione e viene ‘rimandata a settembre' per i decreti attuativi', in Riv.it. med. leg., 2017, 713.

C. CUPELLI, La legge Gelli-Bianco in Cassazione: un primo passo verso la concretizzazione del tipo, in Cass. pen., 2017, 3152.

C. CUPELLI, Cronaca di un contrasto annunciato: la legge Gelli-Bianco alle sezioni unite, in Dir. Pen. Contemp. del 21 novembre 2017.

C. CUPELLI, La legge Gelli-Bianco nell'interpretazione delle sezioni unite: torma la gradazione della colpa e si riaffaccia l'art. 2236 c.c., in Dir. Pen. Contemp. del 22 dicembre 2017.

C. CUPELLI, Quale (non) punibilità per l'imperizia? La Cassazione torna sull'ambito applicativo della legge Gelli-Bianco ed emerge il contrasto: si avvicinano le Sezioni unite?, in Cass. pen., 2018, 161.

C. CUPELLI, L'art. 590-sexies c.p. nelle motivazioni delle sezioni unite: un'interpretazione ‘costituzionalmente conforme' dell'imperizia medica (ancora) punibile, in Dir.Pen.Contemp. del 1° marzo 2018.

D. D'AURIA, Colpa medica: le Sezioni Unite indicano il perimetro applicativo della legge Gelli-Bianco, in Quotidiano Giuridico del 26 febbraio 2018.

G. IADECOLA, Qualche riflessione sulla nuova disciplina della colpa medica per imperizia nella legge 8 marzo2017 n. 24 (legge cd. Gelli-Bianco), in Dir. Pen. Contemp. del 13 giugno 2017.

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V. NIZZA, Responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario: una inedita norma penale “in bianco” ?, ne il Penalista del 17 agosto 2017

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L. RISICATO, La Cassazione identifica un'ipotesi di colpa “non lieve” del medico: è vera imperizia ?, in Dir.pen.proc., 2014, 421.

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Giurisprudenza:

Cass., sez. IV, 29 gennaio 2013 n. 16237, Cantore;

Cass., sez. IV, 16 marzo 2017 n. 16140, Filippini;

Cass., sez. IV, 20 aprile 2017 n. 28187, imp. De Luca (ricorrente la parte civile Tarabori);

Cass., sez. IV, 19 ottobre 2017 n. 50078, Cavazza;

Cass., sez.un. 21 dicembre 2017 n. 8770/18.

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