Lo straniero espulso può chiedere l’autorizzazione alla permanenza nell’interesse del figlio?
03 Aprile 2018
Massima
Il sistema nazionale dell'espulsione quale misura di sicurezza non consente al Giudice civile di svolgere alcun sindacato ai sensi dell'art. 31, comma 3, d.lgs. n. 286/1998, quando tale misura sia stata obbligatoriamente inflitta allo straniero ai sensi dell'art. 235 c.p., poiché la sua esecuzione spetta al sistema giurisdizionale articolato nel doppio grado di merito costituito dal Giudice di sorveglianza e del Tribunale di Sorveglianza, che opera con un bilanciamento tra i diritti, i valori e gli interessi coinvolti, secondo un paradigma estraneo alla verificazione dell'esistenza dei presupposti, di cui all'art. 31, comma 3, d.lgs. n. 286/1998, di competenza del Giudice civile. Il caso
Caio, cittadino extracomunitario, dopo essere stato colpito dalla misura di sicurezza dell'espulsione a seguito di condanna per spaccio di stupefacenti, misura confermata sia dall'Ufficio che dal Tribunale di Sorveglianza, ha avanzato, assieme alla moglie Tizia, istanza di autorizzazione alla permanenza temporanea in Italia nel superiore interesse dei figli minori ex art. 31, comma 2, d.lgs. n. 286/1998 (Testo Unico Immigrazione). Detta istanza, rivolta al Tribunale per i Minorenni di Torino, era incentrata sulla considerazione del «profondo attaccamento della piccola Mevia al padre», oltre che sulla «tenera età del piccolo Sempronio». Il Tribunale per i Minorenni ha rigettato l'istanza e, a seguito di reclamo, la Corte d'Appello ha confermato la pronuncia di primo grado. La Corte territoriale, dopo avere impiegato il criterio del bilanciamento tra i diritti fondamentali della persona, dei minori e dell'unità familiare, con quello della sicurezza del territorio nazionale, ha ritenuto, infatti, che i primi debbano soccombere rispetto al secondo, in ragione della gravità del reato commesso e della misura di sicurezza espulsiva adottata nei confronti di Caio e confermata dal Tribunale di sorveglianza. Avverso tale decisione l'istante ha presentato ricorso per cassazione deducendo principalmente la violazione degli artt. 31, comma 3, d.lgs. n. 286/1998 in relazione agli artt. 1, 3, 8 CEDU, art. 3 Convenzione ONU sui diritti del fanciullo, e art. 28, Direttiva (CE) n. 38/2004 per avere la Corte territoriale ritenuto prevalenti le ragioni di sicurezza statale senza una concreta valutazione dell'interesse del minore, alla luce della giurisprudenza CEDU e del Giudice nazionale, operando di fatto un'espulsione collettiva dell'intero nucleo familiare. La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, ha rigettato il ricorso. La questione
La Cassazione affronta la questione se l'autorizzazione alla permanenza di cui all'art. 31, comma 3, d.lgs. n. 286/1998, possa essere concessa dal Tribunale per i Minorenni anche in favore di un familiare colpito dalla misura di sicurezza dell'espulsione obbligatoria ex art. 235 c.p.. Le soluzioni giuridiche
La questione dell'ammissibilità di una richiesta di autorizzazione alla permanenza in Italia ex art. 31, comma 3, d.lgs. n. 286/1998 di uno straniero condannato ad una misura di sicurezza espulsiva è affrontata dalla Suprema Corte attraverso la ricostruzione sia dell'istituto di cui alla menzionata disposizione sia della disciplina dell'espulsione come misura di sicurezza. In ordine all'art. 31, comma 3, d.lgs. n. 286/1998 si sottolinea che il Tribunale per i Minorenni può concedere un'autorizzazione temporanea alla permanenza al familiare straniero irregolare sul territorio «anche in deroga alle altre disposizioni del presente Testo Unico» per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell'età e delle condizioni di salute del minore che si trova nel territorio italiano. Detta deroga comprende anche la previsione di cui all'art. 15, comma 1, d.lgs. n. 286/1998, il quale stabilisce che «fuori dei casi previsti dal codice penale, il Giudice può ordinare l'espulsione dello straniero che sia condannato per taluno dei delitti di cui agli artt. 380 e 381 c.p.p., sempre che risulti socialmente pericoloso». L'art. 15, d.lgs. n. 286/1998, introduce nell'ordinamento un'espulsione quale misura di sicurezza di tipo facoltativo, diversa da quella prevista dall'art. 235 c.p., che è invece obbligatoria. Secondo l'art. 235 c.p. il Giudice ordina l'espulsione dello straniero, oltre che nei casi espressamente previsti dalla legge, anche quando lo straniero sia condannato alla reclusione per un tempo superiore ai due anni. Si tratta dunque di misura di sicurezza obbligatoria, da comminarsi previo accertamento della pericolosità sociale. Circa i casi espressamente previsti dalla legge richiamati dall'art. 235 c.p. vi rientra l'art. 86, comma 1, d.P.R. n. 309/1990 in materia di stupefacenti, stabilisce che «lo straniero condannato per uno dei reati previsti dagli artt. 73, 74, 79, 82, commi 2 e 3, a pena espiata deve essere espulso dallo Stato». Chiarito che l'autorizzazione alla permanenza di cui all'art. 31, comma 3, d.lgs. n. 286/1998, può derogare alla sola misura di sicurezza dell'espulsione di tipo facoltativo contenuta nell'art. 15, d.lgs. n. 286/1998, la Suprema Corte ribadisce che in ordine all'esecuzione della misura di sicurezza dell'espulsione di tipo obbligatorio ex art. 235 c.p. vigila il complesso giurisdizionale Giudice-Tribunale di sorveglianza-Cassazione. Da tale giurisprudenza si evince il principio di diritto (cfr. Cass. pen., sez. IV, n. 52137/2017) secondo cui ai fini dell'applicazione della misura di sicurezza dell'espulsione dello straniero ex art. 86, d.P.R. 309/1990 è necessario, oltre all'accertamento della pericolosità sociale, anche in conformità con l'art. 8 CEDU in relazione all'art. 117 Cost., l'esame comparativo della condizione familiare dell'imputato, ove ritualmente prospettata, con gli altri criteri di valutazione indicati dall'art. 133 c.p., in una prospettiva di bilanciamento tra interesse generale alla sicurezza ed interesse del singolo alla vita familiare. Seguendo questo ordine di considerazioni la Suprema Corte esclude che una volta che il Giudice ordinario (in sede penale) abbia già compiuto tale valutazione, con esito negativo per il ricorrente, questi possa instaurare un secondo giudizio davanti al Giudice ordinario (civile), nell'ambito del quale si chieda una, anche temporanea, esclusione dell'esecuzione della misura espulsiva (misura di sicurezza), seppure attraverso l'applicazione dell'art. 31, comma 3, d.lgs. n. 286/1998. Da tale ragionamento consegue, dunque, che i giudici della fase di merito hanno erroneamente pronunciato sulla domanda di cui all'art. 31, comma 3, d.lgs. n. 286/1998, in un caso in cui - essendo stata irrogata allo straniero una misura di sicurezza espulsiva obbligatoria ai sensi dell'art. 86, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 sugli stupefacenti - essi non avevano il potere di farlo, onde la domanda proposta da Caio con il ricorso introduttivo andava respinta. Osservazioni
La soluzione prospettata dalla Suprema Corte nella sentenza in commento ribadisce il consolidato principio di diritto secondo cui è compito della magistratura di Sorveglianza, dopo avere accertato la sussistenza in concreto della pericolosità sociale dello straniero, effettuare l'esame comparativo della condizione familiare del condannato in una prospettiva di bilanciamento tra interesse generale ed interesse del singolo alla vita familiare. La prima importante considerazione che si ricava da questa sentenza è, dunque, che la puntuale prospettazione della concreta situazione familiare dello straniero colpito da una tale misura di sicurezza deve essere effettuata dal difensore sia davanti al magistrato di sorveglianza all'udienza di riesame della pericolosità sia innanzi al Tribunale di sorveglianza in caso di reclamo. Sono queste le sedi del giudizio di bilanciamento tra interessi contrapposti ed è qui che devono essere documentate tutte le possibili violazioni sia dell'art. 8 CEDU (e delle altre norme dei relativi Protocolli) in ordine al diritto al rispetto della vita privata e familiare; sia quelle inerenti la Convenzione ONU sui diritti del fanciullo; sia quelle di cui alla Direttiva (CE) n. 38/2004 in materia di diritto all'unità familiare in capo allo straniero. La Cassazione ribadisce altresì con nettezza i limiti e i confini dell'istituto di cui all'art. 31, comma 3, d.lgs. n. 286/1998, evidenziando che il Tribunale per i minorenni (di seguito T.M.) potrà derogare alla sola misura di sicurezza facoltativa espressamente prevista dall'art. 15, d.lgs. n. 286/1998. In tali casi e sia pure di fronte a una pronuncia definitiva sul punto da parte della magistratura di sorveglianza, è legittimo per l'espellendo rivolgersi al T.M. in base alle condizioni dettate dall'art. 31, comma 3, d.lgs. n. 286/1998, come interpretato da copiosa giurisprudenza, ed in particolare da Cass. civ., S.U., 25 ottobre 2010, n. 21799, secondo la quale l'autorizzazione alla permanenza in Italia del familiare del minore non richiede situazioni di emergenza o circostanze contingenti e eccezionali strettamente collegate alla sua salute, potendo essere rilevante «qualsiasi danno effettivo, concreto, percepibile ed obiettivamente grave che in considerazione dell'età o delle condizioni di salute ricollegabili al complessivo equilibrio psicofisico deriva o deriverà certamente al minore dall'allontanamento o dal suo definitivo sradicamento dall'ambiente in cui è cresciuto». |