Una imponente riforma parallela: IFRS 9 e il credito bancario alle imprese in crisi
Paolo Rinaldi
04 Aprile 2018
Nell'attesa che la Riforma del Codice della Crisi di Impresa divenga realtà, mediante l'esercizio della delega legislativa al governo, il resto del mondo legato alla crisi di impresa è comunque in fermento, e si susseguono settimanalmente eventi aventi ad oggetto gli elementi critici della emananda normativa.
Premessa
Nell'attesa che la Riforma del Codice della Crisi di Impresa divenga realtà, mediante l'esercizio della delega legislativa al governo, il resto del mondo legato alla crisi di impresa è comunque in fermento, e si susseguono settimanalmente eventi aventi ad oggetto gli elementi critici della emananda normativa. Come noto, infatti, con Legge n. 155 del 19 Ottobre 2017 entrata in vigore il 14 novembre 2017, il Governo è stato delegato dal Parlamento ad emanare un o più decreti legislativi decreti legislativi per la riforma organica delle procedure concorsuali di cui al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, e della disciplina sulla composizione delle crisi da sovraindebitamento di cui alla legge 27 gennaio 2012, n. 3, nonche' per la revisione del sistema dei privilegi e delle garanzie.
È un peccato notare l'assenza tra i relatori di importanti protagonisti della gestione della crisi, appartenenti al mondo delle imprese (sia quali debitrici che quali creditrici) e soprattutto delle banche.
Se da un lato è ipotizzabile che le prime siano in attesa di comprendere nel concreto i reali cambiamenti interni ed esterni conseguenti alla nuova normativa (si pensi agli early warnings e agli adeguati assetti organizzativi di cui si trova descrizione nelle bozze di decreto circolate, che sono ad oggi oggetto di vero e proprio vaticinio da parte degli esperti - , si veda l'articolo “Credito deteriorato ed early warnings previsti dalla legge delega” in IlFallimentarista.it), dall'altro lato le banche sono tutt'altro che distanti dai temi della crisi di impresa, ma stanno da mesi valutando la relativa attività creditizia alla luce dei mutati assetti regolamentari.
Esse vi sono direttamente impegnate a causa dell'impatto estremamente rilevante del recepimento del principio contabile IFRS 9 (a far data dal 1 gennaio 2018 le banche italiane vigilate dalla BCE – le c.d. Significant Financial Institutions – adottano il nuovo principio contabile IFRS 9 al posto del precedente IAS39), del “temuto” addendum BCE alle linee guida sui crediti deteriorati (tuttora in corso di emanazione) e ai conseguenti cambiamenti nei modelli di gestione degli NPL (non performing loans).
Il principio contabile IFRS9 è stato emesso nel 2014 con l'intento di essere adottato per la prima volta dal 1 gennaio 2018; non essendo questa la sede per un suo esame completo, e rinviandosi ai documenti ufficiali ed ai contributi specialistici per una sua più completa disamina, ci interessa prestare attenzione all'impatto in sede di FTA (first time adoption) di questo principio nell'ambito della gestione del credito bancario nella crisi di impresa.
Un cambiamento di logica, dalla storica tripartizione degli NPL a diversi modelli di gestione e valutazione
Per farlo, occorre pensare alla “storica” ripartizione nella banca tra credito “in bonis” (che in realtà includeva anche linee con un modesto scaduto) e credito “anomalo”, suddiviso in past due 90 [scaduto oltre 90 giorni], UTP (unlikely to pay) [inadempienza probabile]) e sofferenza.
Risulta fondamentale su questi temi la lettura della sempre aggiornata Circolare 272 di Banca d'Italia, reperibile sul sito dell'Ente, nonché del Regolamento (UE) 2016/2067 della Commissione del 22 novembre 2016 che modifica il Regolamento (CE) n. 1126/2008 che adotta taluni principi contabili internazionali conformemente al Regolamento (CE) n. 1606/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda l'International Financial Reporting Standard 9.
Queste categorie di crediti venivano e vengono definite spesso NPE (cioè Non Performing Exposures) o più comunemente NPLs (Non Performing Loans, escludendo bond e garanzie)
In seguito al recepimento di IFRS9, le attività finanziarie della banca (leggasi anche i crediti verso la clientela) vengono inquadrate in tre tipologie (relativamente alle quali sono successivamente sottoposte a degli specifici test) cui si applicano tre diversi modelli di gestione: hold to collect, hold to collect & sell o trading (tipicamente per i titoli).
Riguardo ai crediti verso la clientela (imprese, in particolare, e privati), essi sono stati pressoché fisiologicamente inseriti nel modulo hold to collect e ciò significa, sostanzialmente, che la banca intende “lavorare” questi crediti fino alla scadenza naturale.
In funzione del modello di gestione, si adotta quale valorizzazione il principio di valutazione a costo ammortizzato (CA) oppure eseguire impairment test al fair value.
Il modello di valutazione dei flussi di cassa sottostante per i crediti verso la clientela prevede che i flussi contrattuali siano “solely payments of principal and interest on the principal amount outstanding” (SPPI Test). Ciò significa che non si prendono in considerazione le garanzie e gli altri flussi accessori.
Se i crediti in questione passano il test SPPI, si valutano al costo ammortizzato, ma in caso contrario, si deve utilizzare un fair value mediante un impairment test, caso simile allo stage 3, dove sempre vengono sottoposti ad impairment lifetime.
L'analisi dei flussi prospettici dei crediti ed il loro orizzonte temporale divengono quindi un elemento chiave.
La costruzione dei business model per la valutazione (assessment) dei crediti ha quindi comportato per la banca la necessità di valutare le performance e il risk management del credito, e ha determinato un raggruppamento degli assets in portafogli che abbiano poi una gestione comune (portafogli misti, portafogli da gestire [hold to collect], portafogli da vendere in caso di richiesta [hold to collect and sell])
Passare al principio del costo ammortizzato (che tiene conto di tutte le componenti della transazione economica, inclusi i costi degli advisors, gli upfront, i tassi effettivi e quelli di mercato) ha necessariamente comportato una valutazione dei crediti (Loss Loan Provision) che si basa su una stima di perdite di tipo atteso. Nascono pertanto perdite da valutazione, che impattano notevolmente sulla patrimonialità della banca ma anche – ovviamente – sulla sua disponibilità ad accumulare ulteriori attività della medesima natura.
La ripartizione dei crediti in base al relativo stage
Il lasso temporale nel quale la banca esegue questa stima di perdita attesa varia a seconda dello status (stageing) che la banca assegna al credito.
Generalmente, in mancanza di un evento SICR (Significant Increment of Credit Risk - incremento significativo del rischio di credito) la banca valorizza con criteri ordinari la perdita, in funzione di eventi di default che fossero prevedibili entro un lasso temporale tipico di 12 mesi.
In presenza, invece, di un evento SICR, si passa ad una valutazione delle perdite su credito che sono possibili durante la vita attesa dello strumento (lifetime).
Questo significa che la Banca necessita di maggiori informazioni utili rispetto al normale per comprendere i futuri flussi di cassa, che non sempre le sono messe a disposizione.
Segmentando il portafoglio, quindi, si avranno tre categorie di crediti: stage 1 (performance in linea con le aspettative – non importa se il rating è basso, ma la società performa in base alle attese), stage 2 (performance significativamente sotto le aspettative) e stage 3 (attività non performing, in default).
Questo introduce quindi una categoria intermedia tra crediti in bonis e crediti deteriorati.
Il monitoraggio della qualità creditizia porta quindi alla determinazione di perdite di valore che differiscono a seconda dello stage: se il credito è a stage 1, viene considerato un credito a basso rischio o che non mostra un deterioramento evidente del proprio merito di credito, così come misurato dal modello di rating. La banca vi apporta rettifiche di valore date dalle perdite attese sui flussi di cassa futuri ma con orizzonte temporale a soli 12 mesi.
Chiaramente, in uno scenario di credito stage 1, la svalutazione è data da PD (Probability of Default a 12 mesi) x LGD (Loss Given Default a 12 mesi, influenzata anche dalle garanzie) x Esposizione. La svalutazione, pertanto, è perfettamente calcolabile.
In uno scenario stage 2 o 3, la svalutazione interviene sulla base della perdita attesa stimata su tutta la durata finanziaria dell'attività, ovvero fino alla scadenza ultima del credito (lifetime expected loss) ed è data da una sommatoria di flussi di cassa attualizzati dove le PD, l'esposizione (EAD – Exposure At Default) e la LGD vengono calcolate per ciascun periodo “t”, ed attualizzate ad un tasso che tiene conto del rischio effettivo, nel numero di anni fino alla maturity del credito
Come sopra menzionato, il passaggio di un credito a stage 2 è conseguenza di un evento che ha determinato un significativo incremento di rischio di credito (SICR) tra la data di osservazione e la data in cui è nata la linea di credito. In questo caso la perdita viene calcolata lifetime, mentre le linee a revoca sono considerate con scadenza ad 1 anno.
Nello stage 3, vengono incluse tutte le linee in cui si è verificato un evento di impairment test , e quindi, che presentano uno stato amministrativo past due 90, inadempienza probabile (unlikely to pay – UTP) o sofferenza. Anche in questo scenario valutativo le perdite attese vengono calcolate su un orizzonte temporale lifetime.
Eventuali tassi attivi sono applicati nel primo caso sul valore del credito ante rettifiche, mentre nel secondo caso solamente sul valore netto contabile.
Gli eventi SICR che determinano il passaggio a stage 2
Alla luce del rilevante impatto valutativo, e della maggiore probabilità che passando in stage 2 la banca possa prendere in considerazione una ottica hold to collect and sell, è importante approfondire come interviene il passaggio da stage 1 a stage 2, ovvero i fattori (SICR), che ciascuna banca è chiamata a ponderare.
Tra di essi possiamo sicuramente includere:
il deterioramento del rating originario (anche in funzione del tempo e dell'anzianità della linea) es. si passa da rating AA a rating B durante un singolo anno;
l'esistenza di un inadempimento non ancora in grado di costituire un evento di impairment test ma sufficiente a creare un significativo incremento di rischio (ad esempio un past due a 30 giorni);
la concessione di misure di forebearance ancorché in fase performing (diversamente sarebbe stage 3);
l'inserimento in watchlist (cioè l'attivazione degli early warnings interni della banca e quindi l'assoggettamento a uno speciale monitoraggio e controllo, così da attenzionare bene gli staging criteria);
Siamo quindi di fronte ad un generale cambiamento (e, temo, inasprimento) anche nelle regole di contabilizzazione degli accantonamenti che – ricordiamolo – non sono affatto indifferenti riguardo alle modalità ed ai comportamenti che mantengono gli istituti durante le trattative con il debitore.
Consideriamo anche che a partire da livelli elevati di accantonamento, fatta salva la necessità di “difendere” esposizioni in cui la banca ha una elevata SOW (Share Of Wallet, cioè un inserimento nella debitoria particolarmente elevato), si fa ridottissima la propensione ad incrementare l'esposizione mediante la concessione di nuova finanza (ovvero anche il mantenimento della preesistente, da rinnovarsi se scaduta).
E' bene anche dare una rinfrescata all'impatto negoziale delle definizioni le quali hanno indirettamente condizionato le negoziazioni tra debitore e istituti di credito. L'attenzione quasi maniacale alla °manutenzione della centrale rischi” e agli scaduti, che viene prestata dai CFO e dagli advisors di qualità è ripagata da uno staging del credito in grado di consentirne una migliore gestione.
È l'altra faccia della gestione anticipatoria della crisi.
Le definizioni di past due 90, unlikely to pay (UTP - inadempienza probabile) e sofferenza si trovano nella documentazione ufficiale della Banca d' italia, ma sono comunque destinate ad essere spazzate via da IFRS9, il quale, segmentando i crediti per i quali si sia avuto un SICR a stage 2 o un evento di impairment a stage 3, sostanzialmente rende obsolete le vecchie definizioni. Si utilizza una logica di going concern o di gone concern.
E' bene approfondire queste due definizioni, destinate a condizionare pesantemente le scelte delle banche, e di conseguenza gli scenari disponibili per gli advisors. Una logica going concern presuppone una continuità aziendale e che un evento di bankrupcy or liquidation non sia atteso nell'immediato futuro. Il credito relativo viene quindi gestito in una logica di hold to collect. Al contrario, qualora le informazioni disponibili (o anche la loro mancanza, si badi bene) induca ad applicare una logica – ed una portafoliazione – gone concern, si presuppone invece una elevata probabilità che subentri uno scenario liquidatorio. In una logica gone concern la banca valuterà sia gli sconti che dovrà subire sui flussi e sui realizzi degli attivi sottostanti, sia – spesso alternativamente e con maggior favore – una logica di cessione del relativo credito.
Consideriamo che non stiamo parlando di crediti “strettamente a sofferenza” ma in generale di crediti UTP in stage 3 per i quali la banca ritenga non più applicabile il going concern.
La stessa BCE non “conosce” fenomeni come le “sofferenze” e gli “incagli”, ma fa semplicemente riferimento ad una definizione di default che considera solamente gli Unlikely To Pay (posizioni che non presentano uno scaduto rilevante ma nei confronti delle quali è altamente probabile aspettarsi il mancato rispetto delle scadenze) e le posizioni con scaduto rilevante (i nostri “past due 90”).
Indubbiamente la conoscenza da parte dell'azienda o quantomeno dell'Advisor della modalità e dello stadio di valutazione del credito da parte della banca è molto importante, per orientare correttamente tempi e modi di gestione della negoziazione e – se possibile – dello stesso utilizzo delle linee di credito da parte dell'azienda, prima e soprattutto durante la crisi.
Gli eventi di impairment che comportano il passaggio a stage 3
Affinché un credito venga mantenuto a stage 2 (ammesso quindi che si sia verificato un SICR durante la vita del credito – e solitamente gli advisors vengono nominati proprio per questo accadimento) occorre che la banca abbia il più rapidamente gli elementi che le consentano di farlo, e che non si verifichino eventi di impairment che ne costringano il trasferimento a stage 3, dove il modello comportamentale keep to sell diventa sempre più frequente:
Presenza di uno scaduto rilevante per più di 90 giorni;
Eventi pregiudizievoli quali protesti, ipoteche giudiziali, decreti ingiuntivi;
Procedura concorsuale;
Valutazioni esperte (la banca ritiene altamente improbabile il rispetto delle scadenze da parte del debitore) [su quest'ultimo tema importantissimo il ruolo degli IBR e della qualità dei Piani del debitore].
Sino a un anno fa, infatti, le cessioni di crediti (single name, massive o piccoli portafogli di pochi nomi) intervenivano soprattutto in presenza di notevoli pressioni regolamentari per la riduzione del portafoglio di NPL a scapito della loro gestione, e conseguentemente interessavano posizioni che si caratterizzavano per essere sia piuttosto vetuste, sia con una situazione sottostante che non richiedeva più una gestione attiva del credito, sia un classamento a sofferenza indubbia.
Il passaggio a stage 3 di un credito importa la valutazione molto più concreta per l'istituto di uno scenario di vendita, con la grande incognita di quale sia l'impatto di tale vendita di crediti su un tavolo negoziale ancora aperto. Tavolo al quale dovrebbe intervenire il servicer o addirittura il cessionario.
Scenari alternativi a fronte della cessione dei crediti NPL sulle negoziazioni aperte
Immaginiamo tanti diversi scenari possibili: vendita del credito durante la negoziazione “ante deposito di un 161”, vendita post deposito di un “161”, vendita ante votazione e vendita post-omologa, ecc..
Chiaramente, l'ultimo scenario è il meno preoccupante (ed è quello che in passato è stato più frequente) sempre a condizione che il piano (ormai sempre più raramente, devo dire) non preveda la erogazione di linee di credito, situazione nella prassi sempre più rara. L'aver trasferito al servicer (interno od esterno) il credito e aver ridotto a zero la propria share of wallet (SOW) porta la banca ad autoescludersi dal novero di coloro che potrebbero o vorrebbero erogare.
I trasferimenti ai servicer e le cessioni di credito a cui la platea del vasto pubblico era abituata riguardavano posizioni immobiliari, aperte da molti anni, che non erano correlate a crisi “aperte” con aziende “vive”. Oggi non è più così.
Di tutti gli scenari, quello della vendita ante votazione (di un concordato, di un 182-bis o septies) è quello più drammatico, in quanto l'azienda ha magari impiegato mesi a dialogare con i propri creditori (anche) bancari nel tentativo di convincerli che il proprio piano è il migliore tra quelli possibili (in mancanza di proposte alternative, ciò significa solitamente che si tratti di quello liquidatorio), e improvvisamente scopre dal suo proprio abituale interlocutore (tipicamente un gestore di credito anomalo/restructuring) o a volte dallo stesso cessionario che il credito sarà ceduto o – peggio - è già stato ceduto.
Questo aspetto comporta una difficile gestione della responsabilità della pratica in capo al gestore e in particolare all'esercizio del voto, e accende la luce sulla mancanza di trasparenza dei processi di cessione dei crediti rispetto al debitore, il quale in quel momento è ancora presente, e sta tentando di raggiungere la migliore soluzione per i propri creditori.
Questo ambito – del tutto nuovo oggi – si presta a notevoli interventi, in quanto sarà ben difficile che il servicer/cessionario del credito (a prescindere dall'adeguatezza o meno della sua struttura organizzativa rispetto al tema della gestione di crediti “vivi” e non sofferenze magari vecchie di dieci anni) possa maturare rapidamente lo stesso grado di convincimento (o non convincimento) raggiunto dal gestore di credito anomalo con il quale l'azienda ed i propri advisors dialogavano da mesi. Una sorta di dialogo preventivo, di “cerniera” va creata, normativamente ovvero eventualmente coinvolgendo anche gli organi della procedura se già presenti, anche agendo sui tempi della medesima per consentire che questi passaggi si svolgano senza ledere gli interessi del debitore o della massa.
In un sistema che sempre più si basa sulla informazione del debitore, su offerte e proposte concorrenti, diventa davvero difficile predisporre piattaforme negoziali in grado di raccogliere consenso se il numero e la qualità degli interlocutori cambiano nel tempo.
Certamente non è il caso in cui un singolo interlocutore finanziario (ancorché in una logica M&A) interviene con acquisto di crediti single name ed eventualmente portando anche finanza ponte, ma questo costituisce un caso da approfondire nel prossimo contributo.
Le considerazioni summenzionate evidenziano chiaramente come gli advisors e le aziende debbano approcciare tempestivamente l'interlocutore bancario (in realtà dovrebbero farlo anche con gli altri creditori, sebbene questa analisi sia basata su quelli bancari), se gli stanno fornendo le informazioni giuste per poter correttamente applicare appropriati modelli di valutazione del credito, in modo da fare sì che la scelta della banca sia il più possibile quella di proseguirne la gestione proprio perché in possesso di elementi utili al fine di giudicare la solvibilità dell'azienda in uno scenario going concern.
Purtroppo, si assiste spesso a debitori e/o advisors silenti o tardivi, con informative periodiche limitate all'essenziale, depositate solo dopo un concordato “in bianco”, e destinate comunque solamente agli organi della procedura, perché non vi è obbligo di informativa dei creditori “forti” o rilevanti, mentre sarebbe opportuno che l'azienda continuasse anche nei momenti delicati a proseguire una informativa dettagliata a tutti gli stakeholders, minimizzando la probabilità che i propri debiti vengano inseriti in portfoliazioni destinate alla cessione.
OCC, SICR e gestione del credito
Una riflessione a parte merita lo scenario che si verificherà al momento della nascita degli OCC, nel quale i tre professionisti nominati dalla CCIAA si troveranno a gestire la crisi e – con essa – anche la comunicazione all'esterno. Un procedimento “completamente” segreto è compatibile solamente con uno stato di salute economico finanziaria decente - segno che hanno funzionato gli early warnings di tipo previsionale così come concepiti dal CNDCEC -; l'azienda, quindi, non avrà ancora presentato nell'immediato degli inadempimenti (e quindi degli insoluti) e vi sarà capacità di mantenerla going concern in stage 1 ancora per parecchio tempo, con ovvi benefici sia sugli accantonamenti che sulla propensione a “seguire” l'azienda nelle sue necessità. Ovviamente, un accesso tardivo agli OCC a fronte di inadempimenti (senza considerare cosa accadrebbe se vi si dovesse recare su iniziativa del Collegio Sindacale per un mero tema di conservazione dei sistemi premiali, o degli Enti) ci troverebbe di fronte ad una enorme difficoltà: la banca, trovandosi quasi certamente davanti a un SICR (e non è detto che proprio l'accesso agli OCC non venga considerato SICR a livello sistemico!), sarà costretta a fare una stima lifetime della PD e della LGD, con evidenti impatti sulla quantità e qualità di credito disponibile.
Questo richiede una mole di informazioni di grande qualità che non è affatto detto che vengano rese tempestivamente disponibili, tra l'altro da un team che si è appena costituito, i cui nominativi sono stati indicati da enti non esattamente ben informati sulla situazione da gestire, i cui membri non sono necessariamente affiatati tra loro e con una leadership da definire e che non conosce affatto l'azienda che dovrà procurarle, avendo peraltro a disposizione un arco di tempo durante il quale potranno verificarsi non solo le alternative sin qui disponibili di accesso a procedure concorsuali maggiori o minori, ma anche la cessione del credito durante la ristrutturazione stessa.
Questo scenario non è fantascientifico, perché già oggi nelle ristrutturazioni in fase avanzata (tipicamente immobiliari al “secondo giro”, oppure 67/182-bis che virano verso concordati in continuità) ci si trova di fronte a interlocutori che cambiano non tanto perché (come accadeva nei primi anni della crisi) si passa da un ufficio della banca (tipicamente l'area commerciale) ad un altro (restructuring), ma perché si finisce ad un servicer, sulla cui formazione, logiche di funzionamento, staffing e la mera catena di comando le informazioni sono molto più difficili da ottenere, in tempi che spesso stridono con le scadenze sia gestionali sia imposte dalla legge e dai Tribunali.
Riflessioni finali
In ogni caso, si impone una forte accelerazione nella fase di analisi della crisi, di predisposizione di piani e di azioni concrete sull'azienda. Le strategie attendistiche nella gestione della situazione, che “buttano la palla avanti”, oggi con i mutamenti intervenuti nella gestione del credito da parte delle banche non sono più nell'interesse dell'imprenditore e rischiano di far solo il gioco dei protagonisti del mercato degli NPLs. È sufficiente osservare i multipli ai quali sono stati recentemente scambiate alcune aziende di servicing NPLS per capire gli spazi enormi di marginalità (che è ottenuta a scapito di creditori e banche) che si sta formando a causa di queste asimmetrie informative.
Una certa spinta “politica” dalla BCE alla cessione di questi portafogli ha poi, se necessario, fatto il resto.
In mezzo a questa forte dinamica di cessione di NPE vi sono tuttavia anche forti opportunità per l'imprenditore, nonché per altri soggetti, e approfondiremo a breve questo scenario ormai attuale.
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Un cambiamento di logica, dalla storica tripartizione degli NPL a diversi modelli di gestione e valutazione