La legge di bilancio per il 2018 e le imprese culturali e creative

06 Aprile 2018

La legge di bilancio per l'anno 2018 introduce ai commi 57-60 dell'art. 1 la nuova figura dell'impresa culturale e ricreativa modellata sulla scorta del DDL Ascani che, seppur approvato dalla Camera dei Deputati il 26 settembre 2017, si era poi arenato al Senato. La legge non prefigura un nuovo modello di società (profit o non profit) ma si preoccupa di definirne l'”oggetto sociale”.
Premessa

La legge di bilancio per l'anno 2018 introduce ai commi 57-60 dell'art. 1 la nuova figura dell'impresa culturale e ricreativa modellata sulla scorta del DDL Ascani che, seppur approvato dalla Camera dei Deputati il 26 settembre 2017, si era poi arenato al Senato. La legge non prefigura un nuovo modello di società (profit o non profit) ma si preoccupa di definirne l'”oggetto sociale”. Mancano quasi del tutto i collegamenti con il Codice del Terzo settore di recente introduzione mentre le finalità di incentivazione di uno specifico settore di attività sembrano prevalere.

Il disegno di legge Ascani ed altri, n. 2950, approvato dalla Camera dei Deputati il 26 settembre 2017

La legge di bilancio per l'anno 2018 (legge 27 dicembre 2017, n. 205, in G.U. n. 302 del 29 dicembre 2017) ha riservato diverse “sorprese”. Attraverso la “leva fiscale” e per finalità di incentivazione e promozionali, hanno trovato ingresso nel nostro ordinamento le c.d. imprese culturali e creative.

Alle loro spalle gli “enti” in parola hanno un percorso legislativo coerente e puntuale anche se gli esiti, nella fretta dell'approvazione a fine anno della legge di bilancio, non sono stati aderenti alle aspettative.

Il tutto prende le mosse dal disegno di legge Ascani ed altri n. 2950, approvato dalla Camera dei Deputati il 26 settembre 2017 e poi trasmesso al Senato il 27 settembre 2017 e qui recante il n. 2922. Il DDL è intitolato “Disciplina e promozione delle imprese culturali e creative” e si compone di due articoli che sono stati, ma solo in parte, trasposti nelle norme della Legge di bilancio che si prenderà infra in esame.

Il comma 1 dell'art. 1 indica le finalità della legge ovverosia quella di favorire il rafforzamento e la qualificazione dell'offerta culturale nazionale, come mezzo di crescita sostenibile ed inclusiva, la nuova imprenditorialità e l'occupazione, con particolare riguardo a quella giovanile, mediante il sostegno alle imprese culturali e creative. E' impresa culturale e creativa, a fini della legge, quella che per “oggetto sociale” “in via prevalente od esclusiva l'ideazione, la creazione, la produzione, lo sviluppo, la diffusone, la conservazione, la ricerca e la valorizzazione o la gestione di prodotto culturali, intesi quali beni, servizi e opere dell'ingegno inerenti alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, alle arti applicate, allo spettacolo dal vivo, alla cinematografia ed all'audiovisivo, agli archivi, alle biblioteche e ai musei nonché al patrimonio culturale e ai processi di innovazione ad esso collegati”; che ha sede in Italia o in altri Stati membri dell'Unione purché abbia una sede produttiva, un'unità locale o una filiale in Italia; e che svolga attività stabile e continuativa. La qualifica di impresa culturale e creativa (di seguito ICC) può essere riconosciuta anche ai soggetti (enti) del titolo II Libro I del codice civile (e quindi alle associazioni, siano esse riconosciute e non, ed alle fondazioni) purché in possesso dei requisiti dianzi detti.

Con apposito decreto del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo di concerto con il Ministero dello Sviluppo Economico, viene poi disciplinata la procedura per il riconoscimento della qualifica di ICC e per la verifica della sussistenza dei requisiti di cui al comma 2, “anche tramite la costituzione di apposito elenco”.

L'art. 2 concerne, da ultimo, l'utilizzo di beni immobili del demanio da parte delle ICC “per lo svolgimento delle attività che rientrano nell'oggetto sociale”.

Come sottolineato dalla relatrice alla Camera Irene Manzi del PD “il nostro Paese è sì quello che ha la massima densità di siti Unesco al mondo, dotato di un primato indiscusso dal punto di vista culturale, storico ed artistico, ma è anche quello che più deve dotarsi degli strumenti per far sì che questo potenziale identitario sia un volano forte per la crescita e lo sviluppo”. Secondo uno studio condotto da Symbola – Fondazione per le qualità italiane, sembrerebbe che al sistema delle ICC si debba il sei per cento della ricchezza prodotta in Italia, pari a poco meno di novanta miliardi di euro.

Va detto che la Commissione Europea attraverso il Libro Verde “Le industrie culturali e creative, un potenziale da sfruttare” del 27 aprile 2010 si era proposta di far emergere nuove fonti di crescita individuando nel patrimonio artistico e monumentale, gli archivi, le biblioteche, i libri e la stampa, le arti visive, l'architettura, le arti dello spettacolo, i media/multimedia audio e audiovisivi gli strumenti più coerenti per il raggiungimento di questo obiettivo.

Il disegno di legge si arenò in Senato ma non venne definitivamente accantonato nel momento in cui il Governo ne decise il recupero, seppur come detto solo in misura parziale.

Esso parla di imprese caratterizzate da un particolare “oggetto sociale” Il che fa pensare che l'estensore del DDL avesse in mente le società del Libro V e quindi l'esercizio in forma collettiva dell'attività di impresa. Di imprese sì ma anche di enti del titolo II del Libro I del codice civile, purché in linea con le finalità della legge e rispettosi dei requisiti indicati al comma 2 (sub specie attività di impresa, professionalità ed organizzazione della medesima e sede). L'impiego del termine “imprese” restando verosimilmente su un livello di voluta genericità per abbracciare qualunque forma strutturata ma anche non strutturata come le società di persone, le associazioni non riconosciute ed i comitati. Preconizzava la costituzione di uno specifico elenco: l'ennesimo peraltro, anche se per finalità promozionali e di incentivazione. Non veniva invece prefigurata la creazione di un nuovo ente, dalle caratteristiche sue proprie quanto ad organizzazione e struttura. Ma già allora qualcuno si interrogava “dell'utilità di una nuova qualifica giuridica che vada a sovrapporsi, ancorché non interamente, con quello da poco normata di Ente del Terzo settore (A. MAZZULLO, L'impresa culturale! Un nuovo modello giuridico?, in www.vita.it del 3 ottobre 2017)

Difettava, comunque, sin da quel momento, ogni collegamento con il Codice del Terzo settore sia sotto il profilo degli inevitabili collegamenti con le imprese sociali (anch'esse delineate per alcune specificità intrinseche ma non modulate su basi strutturali sui generis) che sotto quello delle forme di pubblicità. Sebbene vada detto, moralitatis causa, che l'esigenza di coordinamento pure traspariva in qualche modo al comma terzo dell'art. 1 in punto pubblicità, laddove veniva evidenziata la “necessità di coordinamento con i decreti legislativi di attuazione dell'articolo 1, comma 2, lett. b), della legge 6 giugno 2016, n° 106”, quella portante delega al Governo per la riforma del Terzo settore e dell'impresa sociale.

Va detto ad ogni buon conto che neppure si diede atto dei collegamenti che invero erano imposti a seguito dell'entrata in vigore del Codice del Terzo settore, in particolare all'art. 5, dove nel novero delle attività di interesse generale da esercitarsi in via esclusiva o principale da parte degli Enti del Terzo settore, diversi dalle imprese sociali, troviamo, tra gli altri, all'interno delle attività di interesse generale ex se, alla lett. f), gli interventi di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale e del paesaggio; così come per effetto della riformulazione della disciplina in tema di impresa sociale, con l'art. 2 che individua le attività di impresa di interesse generale (che possono essere esercitate in via stabile e principale per il perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale) tra le quali, tra l'altro, alla lett. f), gli interventi di tutela e di valorizzazione del patrimonio culturale e del paesaggio. E questo a riprova, se mai ve ne fosse bisogno, dell'estemporaneità di certi interventi legislativi, spesso sradicati da un contesto più generale e da una visione di politica legislativa più ampia.

Come anticipato, il 26 settembre 2017, la Camera dei Deputati approvò la proposta di legge dell'on. Scani ed altri (C: 2950) trasmettendola al Senato per il prosieguo dell'esame parlamentare. Ma invero in quella sede si bloccò.

Le disposizioni della Legge di bilancio per l'anno 2018 (art. 1, commi 57-60)

Le disposizioni della Legge di bilancio costituiscono una versione ridotta e rabberciata del disegno di legge Ascani.

Il comma 57 dell'art. 1, prima ancora di entrare nel merito della definizione di impresa culturale e creativa (ICC), così come definita nel secondo periodo della stessa disposizione, inizia con l'accordare un credito di imposta connesso alle attività di dette imprese. Il credito, più precisamente, spetta nella misura del 30% dei costi sostenuti per l'attività di sviluppo, produzione e promozione di prodotti e servizi culturali e creativi. Dopodiché passa a definire le ICC come le imprese o i soggetti “che svolgono attività stabile e continuativa, con sede in Italia o in uno degli Stati membri dell'Unione europea o in uno degli Stati aderenti all'Accordo sullo Spazio economico europeo, purché siano soggetti passivi di imposta in Italia, che hanno quale oggetto sociale, in via esclusiva o prevalente, l'ideazione, la creazione, la produzione, lo sviluppo, la diffusione, la conservazione, la ricerca e la valorizzazione o la gestione di prodotti culturali, intesi quali beni, servizi e opere dell'ingegno inerenti alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, alle arti applicate, allo spettacolo dal vivo, alla cinematografia e all'audiovisivo, agli archivi, alle biblioteche e ai musei nonché al patrimonio culturale e ai processi di innovazione ad esso collegati”.

Deve quindi trattarsi di “imprese o soggetti” che svolgono stabilmente e continuativamente attività economiche nel settore culturale. In via esclusiva o prevalente. Che cosa ha spinto il legislatore anzitutto a differenziare le imprese dai soggetti (appunto “le imprese o i soggetti”)? Il ddl Ascani parlava semplicemente di imprese. Oggi si parla di imprese o di soggetti con una “o” che pare leggersi alla stregua di una “e”. Atteso che le imprese in quanto tali non dovrebbero essere qualificate da altro se non dalla loro attitudine a svolgere professionalmente attività economiche organizzate, ci si domanda in che cosa si concreterebbe il loro di più o di diverso rispetto ai soggetti? La logica porta a ritenere che sotto le mentite spoglie di “soggetti” rientrano quei soggetti di diritto (associazioni non riconosciute o comitati), che sono privi di personalità giuridica e che svolgono attività non profit.

Diversamente si tratterebbe di azzerare il significato stesso di soggetti oppure, ma simile interpretazione non avrebbe supporto interpretativo adeguato, di ipotizzare che “i soggetti” siano le imprese collettive prive di personalità giuridica (società semplici, società in nome collettivo e società in accomandita semplice)

L'espressione “Attività stabile e continuativa” richiama il concetto di professionalità ed organizzazione dell'art. 2082 c.c. e quindi finisce con l'essere ridondante atteso la “completezza“ alla luce della precitata norma, del termine impresa (seppur dall'angolo di visuale oggettivo e non soggettivo che è invece quello privilegiato dal codice civile).

Quella in parola è, quindi, una definizione a valenza promozionale e fiscale più che diritto sostanziale che fa perno sulla tipologia di attività piuttosto che sulla forma giuridica, anche in assenza di un espresso richiamo agli enti del Libro V.

Non è, pertanto, una nuova tipologia di ente, seppur fortemente caratterizzato sotto il profilo della tipologia di attività che lo stesso svolge.

Qualunque forma giuridica organizzata del Libro V sembra quindi utilizzabile, tranne quella, a parere dello scrivente, della ditta individuale non tanto per l'utilizzo del plurale (imprese o soggetti) quanto perché la tipologia di attività prese a riferimento presuppone l'esercizio collettivo dell'attività di impresa. Nulla peraltro pare impedire l'impiego della società unipersonale. Così come quello delle strutture di secondo grado, consorzi in primis.

Il collegamento con il Codice del Terzo settore e con il fronte impresa del Codice medesimo, rappresentato dall'impresa sociale, è pressoché assente se non limitatamente ai profili tributari contenuti nell'ultima parte dell'articolo 58 che prefigura una qualche forma di collegamento con il Registro Unico del Terzo settore che sarebbe peraltro tutto da costruire. Lo stesso Registro unico del resto, non è ancora stato introdotto anche se normativamente contemplato nel Codice.

L'attenzione è posta sulla tipologia di imprese, impropriamente definita “oggetto sociale”. Si afferma “impropriamente” perché se si aderisce alla chiave di lettura soggetti = enti non personificati del titolo II del Libro I, si sarebbe dovuto far riferimento anche agli scopi associativi e non solo all'oggetto sociale

Di certo quello che aveva in mente il legislatore della Legge di bilancio 2018 era un imprenditore. Probabilmente sia for profit che non profit. Cooperativa e financo impresa sociale. Senza limiti quanto a struttura giuridica ma che svolgono particolari attività classificate, a priori, culturali o creative, con una ampiezza di concetto e quindi di tipologia di attività stranamente ed aprioristicamente ristretta ad una certo numero. Difetta quindi un qualche accorgimento che consenta nel tempo di allargare il novero delle attività culturali e creative come avviene per il Codice del Terzo settore all'art. 5 comma 2.

Si segnala comunque che lo stesso comma 58 stabilisce che con decreto del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, entro novanta giorni dall'entrata in vigore della legge, saranno disciplinate per un verso la procedura per il riconoscimento delle qualifica di impresa culturale e creativa e per altro la definizione di prodotti e servizi culturali e creativi.

Se si leggesse invece il termine “soggetti” come equivalente a “imprese”, non potrebbero svolgere attività di impresa culturale le associazioni non riconosciute per cui per i vecchi enti o associazione culturali che intendano adeguarsi alla nuova legge, si imporrebbe il loro scioglimento in mancanza di concreto supporto in direzione della loro trasformabilità alla luce della lettera dell'art. 2500–octies c.c.

Considerazioni finali

Come “leggere” una “disciplina” del tipo di quella contenuta all'art. 1, commi 57-60, della legge di bilancio? Trattasi di una mera definizione, quella di ICC, a fini unicamente di applicazione al diritto tributario e delle incentivazioni in genere?

Non v'era bisogno di concepire una nuova forma giuridica quanto piuttosto di dar rilievo alla tipologia di attività svolta da siffatti enti? La forma giuridica, invero, è veramente irrilevante?

Parrebbe di poter dire che il legislatore è voluto rimanere su un piano di mera individuazione di fattispecie imprenditoriali meritevoli di particolare considerazione per i riflessi economici e sociali derivanti dal settore cultura in genere, in ragione anche dei potenziali suoi sviluppi. La forma giuridica sarebbe quindi irrilevante così come la qualificazione dell'impresa (for profit o non profit). Suscita invece perplessità la mancata espressa considerazione di simili imprese dal punto di vista dell'interesse generale che trova invece puntuale rispondenza dalla legge di delega di riforma del Terzo settore (L. 6 giugno 2016, n. 106) in poi.

Sotto questo profilo non avrebbe guastato un preciso collegamento con il Codice del Terzo settore, entrato in vigore ai primi di agosto, per mettere in evidenza sia le finalità sociali di simili enti che la riconducibilità delle finalità culturali e creative a quelle elencate all'articolo 5 (che delinea il novero delle attività di interesse generale che possono essere svolte dagli ETS)

Soprattutto manca una qualsiasi forma di collegamento con il D. Lgs. 3 luglio 2017, n. 112, portante modifiche alla disciplina in tema di impresa sociale. Che cos'è la ICC se non un impresa sociale nel campo della cultura, perseguente un'attività di interesse generale tra quelle elencate all'art. 2 dello stesso decreto?

La fretta non ha operato in direzione di un corretto inquadramento dogmatico e sistematico. C'è il rischio che la legge, anche se in presenza di una qualche forma di coordinamento a venire con il Registro Unico Nazionale del Terzo settore (RUNTS), laddove si accenna ad “adeguate forme di pubblicità” nel comma 58, resti relegata nell'ambito dei provvedimenti promozionali o di incentivazione di un certo settore di attività, che pure, come più volte ricordato, ha una forte rilevanza sociale oltre che economica. Facendo anche riemergere spinte corporative che il DDL Ascani non aveva favorito e che il Codice del Terzo settore e la legge delega tendevano a contenere ed a superare in un quadro di maggiore razionalità del sistema. Forse una maggiore riflessione sulla natura giuridica dei costituendi enti e quindi sul loro inquadramento normativo non avrebbe guastato.

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