Sezioni specializzate in materia di imprese

Guido Romano
20 Ottobre 2015

L'art. 2 del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, in l. 24 marzo 2012, n. 27, sotto la rubrica “Tribunale delle imprese”, ha istituito la nuova figura delle Sezioni specializzate in materia di impresa. Le nuove Sezioni sono istituite presso i Tribunali e le Corti d'appello di Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino, Trieste e Venezia (art. 1 primo comma d.lgs. 27 giugno 2003, n. 168), presso i Tribunali e le Corti d'appello aventi sede nel capoluogo di ogni regione, ove non esistenti nelle città ora elencate (art. 1, comma 1-bis), nonché presso i Tribunali e le Corti di appello di Brescia e di Bolzano, ed hanno una competenza territoriale più ampia rispetto a quella degli uffici giudiziari presso cui sono incardinate.
Inquadramento

L'art. 2 del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, in l. 24 marzo 2012, n. 27, sotto la rubrica “Tribunale delle imprese”, ha istituito la nuova figura delle Sezioni specializzate in materia di impresa, innestando la relativa disciplina sulle esistenti sezioni specializzate in materia di proprietà industriale, di cui al d.lgs. 27 giugno 2003, n. 168 che oggi risulta completamente riformulato.

La costituzione delle Sezioni specializzate ha il dichiarato obiettivo - «mediante la costituzione di un giudice specializzato in materia di impresa, attraverso la concentrazione delle cause presso un numero ridotto di uffici giudiziari - di ridurre i tempi di definizione delle controversie in cui è parte una società di medio/grandi dimensioni, aumentando la competitività sul mercato» (relazione al decreto legge).

Le nuove Sezioni sono istituite presso i Tribunali e le Corti d'appello di Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino, Trieste e Venezia (art. 1, comma 1, d.lgs. 27 giugno 2003, n. 168), presso i Tribunali e le Corti d'appello aventi sede nel capoluogo di ogni regione, ove non esistenti nelle città ora elencate (art. 1 comma 1 bis), nonché presso i Tribunali e le Corti di appello di Brescia e di Bolzano.

Le Sezioni in argomento hanno, dunque, una competenza territoriale più ampia rispetto a quella degli uffici giudiziari presso cui sono incardinate (la competenza ha riferimento ai comuni compresi nel distretto di ciascuna Corte di appello) e una competenza per materia che interessa una serie di cause e procedimenti, per tali intendendosi anche i procedimenti camerali nei confronti di una o più parti (comunemente denominati procedimenti di volontaria giurisdizione), che riguardano, in estrema sintesi, la materia industriale, la violazione della disciplina della concorrenza dell'Unione europea, i rapporti societari, le controversie in materia di appalti pubblici, forniture e servizi di rilevanza comunitaria e, infine, le cause ed i procedimenti che presentino ragioni di connessione con i richiamati gruppi di materie.

Nelle controversie in argomento, il Tribunale giudica in composizione collegiale ai sensi dell'art. 50-bis n. 3 c.p.c. (il Tribunale giudica in composizione collegiale nelle cause devolute alle Sezioni specializzate): ciò rende, in questa tipologia di cause, inammissibile il ricorso al procedimento sommario di cognizione in quanto l'art. 702-bis c.p.c. riserva tale opzione esclusivamente alle cause nelle quali il Tribunale giudica in composizione monocratica.

La competenza per territorio

L'art. 4 del d.lgs. 27 giugno 2003, n. 168 si limita a stabilire che le controversie, indicate nell'art. 3, che, secondo gli ordinari criteri di ripartizione della competenza territoriale, dovrebbero essere trattate dagli uffici giudiziari compresi nel territorio della regione sono assegnate alla Sezione specializzata avente sede nel capoluogo di regione individuato ai sensi dell'art. 1, mentre alle sezioni specializzate istituite presso i Tribunali e le Corti d'appello non aventi sede nei capoluoghi di regione sono assegnate le controversie che dovrebbero essere trattate dagli uffici giudiziari compresi nei rispettivi distretti di Corte d'appello.

Non appare revocabile in dubbio che il rapporto tra il Tribunale presso il quale è istituita le Sezione specializzata e quello nel cui ambito tali sezioni non sono istituite involge, in senso proprio, una questione di competenza, con la conseguenza: che il Tribunale, ove non è istituita una sezione specializzata, erroneamente investito di causa avente per oggetto una delle materie sopra indicate dovrà certamente declinare, con ordinanza (per come stabilito dalla l. 18 giugno 2009, n. 69) ovvero con sentenza (negli altri, residui casi in cui la pronunzia di incompetenza deve avvenire con tale atto), la propria competenza in favore del Tribunale ove la Sezione specializzata è invece istituita (Cass., 23 settembre 2013, n. 21762); inversamente, che il Tribunale ove la Sezione è istituita, erroneamente investito di controversia esulante dalle materie in questione, dovrà adottare provvedimento di segno analogo in favore del Tribunale competente secondo le regole ordinarie.

Diverso, e più problematico, il caso in cui una controversia, avente per oggetto una materia di competenza delle Sezioni specializzate, venga proposta dinanzi al Tribunale ordinario (senza alcuna ulteriore precisazione) presso cui sia istituita la Sezione specializzata medesima e non già direttamente dinanzi a quest'ultima.

Il legislatore non ha, infatti, esplicitamente chiarito se le Sezioni specializzate siano da ricondurre a mere suddivisioni interne del medesimo ufficio giudiziario (come nel caso delle sezioni lavoro e fallimentare costituite nell'ambito di Tribunale suddiviso in Sezioni) o vadano qualificate come uffici giudiziari autonomi e separati, così che la giurisprudenza oscilla tra l'una e l'altra delle due soluzioni astrattamente possibili.

Un primo orientamento, già formatosi con riferimento alle sezioni specializzate in materia di proprietà industriale e recentemente ripreso dal Tribunale di Napoli e dalla Corte di appello della medesima città (Trib. Napoli, ord. 27 febbraio 2014, inedita, e App. Napoli, sent. 20 febbraio 2014, n. 763. Ma si vedano, altresì, Trib. Venezia, 30 aprile 2008), che richiama alcune pronunzie della Corte di Cassazione (Cass., ord. 14 giugno 2010, n. 14251; Cass., ord. 25 settembre 2009, n. 20690, ma si veda, da ultimo, Cass., 24 luglio 2015, n. 15619), rileva come il legislatore - nell'intitolare le rubriche degli artt. 3 e 4 del d.lg. 27 giugno 2003, n. 168, come oggi modificati, rispettivamente “competenza per materia delle Sezioni” e “competenza territoriale delle Sezioni” e nel precisare nel successivo art. 5 le competenze del Presidente della Sezione (“nelle materie di cui all'art. 3, le competenze riservate dalla legge al presidente del Tribunale e al Presidente della Corte di appello spettano al Presidente delle rispettive Sezioni specializzate”) - abbia inteso, sia pure implicitamente attraverso il richiamo al concetto di competenza, sottolineare l'autonomia della sezione (in questo senso, Cass., 28 novembre 2001, n. 15151; Cass., 19 gennaio 2001, n. 736), con la conseguenza che, nel caso prospettato, si porrebbe appunto una questione di competenza in senso proprio.

In questo ordine di concetti, è stato sottolineato, da una parte, che il legislatore, qualificando espressamente come specializzate le Sezioni in questione, utilizza il medesimo aggettivo indicato dall'art. 102, comma 2, Cost. e, dall'altra, che sussisterebbe un naturale parallelismo tra le Sezioni in materia di impresa e le Sezioni specializzate agrarie delle quali non si è mai dubitato del carattere di autonomia. Ancora, proprio il richiamo all'art. 102 Cost. consentirebbe di ritenere che possano essere costituite Sezioni specializzate (autonome rispetto all'ufficio territoriale cui formalmente appartengono) anche, ma non necessariamente, con la partecipazione di cittadini idonei estranei all'ordine giudiziario.

Il descritto orientamento giurisprudenziale è stato, tuttavia, contrastato sia da parte della giurisprudenza di merito (cfr.: Trib. Torino, 13 luglio 2012; Trib. Milano 1 giugno 2009, in Dir. ind., 2011, 233, con nota di G. Ciccone; Trib. Torino 24 aprile 2008, in Foro it., 2009, I, 1285; Trib. Milano 13 luglio 2006, in Dir. ind., 2006, 582; Trib. Napoli, 27 ottobre 2009) che di legittimità (cfr., Cass., 22 novembre 2011, n. 24656 che ha operato il revirement rispetto alla giurisprudenza formatasi tra il 2009 ed il 2010; Cass., 7 ottobre 2004, n. 19984, nonché, da ultimo, Cass., 20 settembre 2013, n. 21668 e Cass., 23 maggio 2014, n. 11448) la quale è pervenuta alla diversa conclusione che la ripartizione delle funzioni tra le Sezioni specializzate e le Sezioni ordinarie del medesimo Tribunale - non involgendo un errore nell'individuazione dell'ufficio giudiziario e, quindi, la necessità di una ricollocazione territoriale della controversia - non implica l'insorgenza di una questione di competenza, attenendo piuttosto alla distribuzione degli affari giurisdizionali all'interno dello stesso ufficio. Ciò ha portato, in particolare, il giudice di legittimità a ritenere che, ove il Tribunale ordinario abbia impropriamente dichiarato la propria incompetenza per essere competente la Sezione specializzata presso lo stesso ufficio, ovvero abbia dichiarato la propria competenza negando quella della predetta sezione specializzata, è inammissibile il regolamento di competenza proposto avverso la suddetta pronuncia, trattandosi, appunto, di questione concernente la ripartizione degli affari all'interno dello stesso ufficio.

Tale orientamento - che, alla luce delle considerazioni che si vanno ad esporre, appare preferibile - richiama espressamente i principi affermati in materia di rapporti tra sezioni ordinarie del Tribunale e le relative sezioni lavoro e fallimentare le quali, come già accennato, costituiscono espressione dell'organizzazione interna dell'ufficio e non già un ufficio autonomo dotato di una propria competenza e, dunque, non sono qualificabili come giudici diversi: e ciò nonostante che l'art. 413 c.p.c. attribuisca al Tribunale in funzione di giudice del lavoro la “competenza” a decidere sui rapporti di cui all'art. 409 c.p.c. e che l'art. 24 r.d. 16 marzo 1942, n. 267 stabilisca la “competenza” del Tribunale che ha dichiarato il fallimento a decidere di tutte le controversie che derivano dal fallimento.

Quanto poi al descritto parallelismo con le Sezioni specializzate agrarie è stato correttamente osservato che i presupposti su cui si basa la competenza delle Sezioni agrarie si fondano su una normativa del tutto peculiare in base alla quale il rapporto di dette sezioni con le altre del medesimo Tribunale si connota nel senso di suggerire che tale rapporto si iscriva nell'ambito della nozione di competenza, in quanto all'unico dato contrario (e favorevole alla riconducibilità alla nozione della ripartizione interna ad un unico ufficio), rappresentato dall'essere la sezione incardinata nell'ambito del Tribunale e, quindi, organizzativamente e burocraticamente nell'ufficio del Tribunale, se ne contrappongono tre favorevoli, costituiti il primo dall'uso da parte del legislatore del termine “competenza” per individuare la potestà giurisdizionale della Sezione, il secondo dall'espresso riferimento della competenza proprio alla Sezione, il terzo dall'essere la composizione della Sezione del tutto peculiare. Sotto tale ultimo profilo, in particolare, le Sezioni specializzate agrarie includono anche membri laici non togati - magistrati onorari altrimenti estranei al normale apparato organizzativo del Tribunale - forniti di specifica qualificazione tecnica ritenuta normativamente necessaria all'integrazione delle cognizioni e del patrimonio culturale dell'organo, mentre la Sezione specializzata in materia di impresa opera solo con membri togati, scelti attraverso procedure interne di selezione riguardanti il solo ufficio di tribunale o di corte interessato, sia pure avendo riguardo alla specifica competenza nella materia da trattare.

D'altra parte, nel sollecitare che i magistrati addetti alle Sezioni specializzate in materia di impresa siano scelti tra quelli dotati di specifica competenza (art. 2, comma 1, d.lgs. 27 giugno 2003, n. 168), il legislatore non ha elevato tale criterio a presupposto di valida costituzione dell'organo giurisdizionale, prospettando soltanto un criterio attitudinale preferenziale da seguire in sede di selezione dei magistrati aspiranti.

Un ulteriore rilievo, di particolare spessore, al fine di escludere l'autonomia delle Sezioni specializzate in materia di impresa è costituito dalla circostanza che a tali Sezioni possa essere assegnata anche la trattazione di procedimenti relativi a materie diverse da quelle previste dal “novellato” art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 168 del 2003, sempre che ciò non comporti ritardo nella trattazione e nella decisione dei giudizi prioritariamente assegnati al c.d. “tribunale delle imprese”; come espressamente prescritto dall'art. 2, comma 2, dello stesso decreto. Tale argomento risulta, nell'ottica del più recente orientamento della giurisprudenza di legittimità, di non piccola consistenza, in quanto, sulla base di tale normativa, le sezioni specializzate possono essere sezioni miste in cui in cui possono essere trattate sia materie riguardanti la competenza esclusiva che cause ordinarie rientranti nella normale sfera di competenza del tribunale. Ciò dimostra che la competenza specializzata resta comunque inserita nell'ambito dell'articolazione dell'ufficio giudiziario e non implica una competenza separata.

In questo ordine di concetti, invero, appare un vero e proprio artifizio concettuale ritenere che possa sussistere una questione di competenza in senso tecnico in una causa introdotta (erroneamente) dinanzi al Tribunale (senza ulteriore specificazione nell'atto introduttivo del processo o del procedimento) nell'ambito del quale sia presente la sezione specializzata effettivamente competente a conoscere quella controversia.

Ancora, come osservato da altra giurisprudenza di merito (Trib. Milano, 13 aprile 2010, in Riv. dir. ind., 2011, 231), la formale dichiarazione di incompetenza, ancorché eventualmente adottata con ordinanza, comporterebbe un irragionevole appesantimento processuale, con necessità di riassunzione della causa, senza che ciò costituisca per alcuna delle parti una maggiore garanzia o tutela.

In definitiva, appare preferibile considerare la Sezione specializzata in materia di impresa quale articolazione interna al Tribunale presso il quale la stessa è, per legge, istituita. Trattandosi di una questione afferente alla distribuzione interna degli uffici, le parti non potrebbero, come sopra evidenziato, reagire all'erronea attribuzione della controversia mediante la proposizione di una eccezione di competenza, ma potrebbero sollecitare il potere-dovere ufficioso dei giudici e del capo dell'ufficio di rispettare le previsioni tabellari e, dunque, appunto quella distribuzione degli affari che si assume violata. Conseguentemente, in caso di erronea assegnazione della causa ad una Sezione il giudice dovrà limitarsi a trasmettere gli atti al Presidente del Tribunale perché questi provveda alla corretta riassegnazione del fascicolo senza emettere un provvedimento a contenuto decisorio della controversia.

La competenza per materia

Riformando l'art. 3 del d.lgs. 26 giugno 2003, n. 168, il legislatore ha inteso attribuire alla competenza delle Sezioni specializzate in materia di impresa una serie di controversie, indicate in una sorta di catalogo, che possono ricondursi, come già evidenziato in premessa, alle materie del diritto industriale, del diritto antitrust, del diritto societario e degli appalti pubblici di rilevanza comunitaria.

Le Sezioni specializzate sono poi competenti per le cause e i procedimenti che presentano ragioni di connessione con quelli specificatamente indicate nella legge

In evidenza

La giurisprudenza di merito ha specificato che la norma si riferisce solo alle ipotesi di connessione propria: cfr., Trib. Vicenza, 13 maggio 2015).

Quanto alle controversie in materia di proprietà industriale e di diritto d'autore, si osserva che non sono state introdotte modifiche rispetto alle previgenti previsioni relative alle Sezioni specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale.

Appare ora utile soffermarsi su alcune ipotesi che, in particolare nella materia societaria ed in quella degli appalti pubblici, potrebbero dare luogo alle maggiori incertezze interpretative, iniziando l'analisi dalla fattispecie previsa dalla lett. b) dell'art. 3 comma 2 (procedimenti “relativi al trasferimento delle partecipazioni sociali o ad ogni altro negozio avente ad oggetto le partecipazioni sociali o i diritti inerenti”).

Sorge, infatti, il dubbio se siano devolute al c.d. “Tribunale delle imprese” tutte le cause aventi ad oggetto, anche indirettamente, un trasferimento di partecipazioni sociali ovvero se, ai fini della attribuzione, sia necessario che la controversia verta su profili che afferiscano all'atto dispositivo e non già solo al suo oggetto. In altre parole, si pone il problema di stabilire se la competenza delle sezioni specializzate includa anche le azioni di cui il negozio avente ad oggetto partecipazioni sociali o diritti inerenti a partecipazioni sociali non costituisce né il petitum né la causa petendi, se non indirettamente (su tale problematica, P. Celentano, Commento al decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1, in Le Società, 2012, pag. 825).

Infatti, la categoria dei procedimenti “relativi al trasferimento delle partecipazioni sociali o ad ogni altro negozio avente ad oggetto le partecipazioni sociali o i diritti inerenti” è tanto ampia da risultare idonea a comprendere anche procedimenti che ben poco potrebbero avere a che fare con la materia societaria, come quello avente ad oggetto l'azione di divisione giudiziale di un patrimonio nel quale vi sia una partecipazione sociale ovvero una impugnativa di un testamento ovvero ancora una causa relativa ad una donazione che non abbiano diretta attinenza con la partecipazione che di quella divisione, di quel testamento o di quella donazione costituisce soltanto l'oggetto: tuttavia, qui è il centro del problema, perché la formula legislativa (“ogni altro negozio avente ad oggetto le partecipazioni sociali”) sembra indicare la competenza delle Sezioni specializzate proprio in ragione di quell'oggetto e non già del “contenitore” utilizzato per il trasferimento della partecipazione.

È stata, dunque, avvertita la necessità di una interpretazione bilanciata della norma in quanto, altrimenti, si assisterebbe ad una eccessiva e peraltro dai confini assai incerti espansione della competenza delle Sezioni specializzate in materia d'impresa. Tale strada, tuttavia, alla luce dell'ampio disposto normativo, appare però difficilmente percorribile.

Secondo una ipotesi interpretativa, chiaramente restrittiva, la competenza delle Sezioni specializzate sarebbe limitata, in caso di negozi tra vivi di trasferimento delle partecipazioni sociali, alle sole cause il cui oggetto incide effettivamente sulla composizione della società, e quindi, ad esempio, ai casi in cui si impugna il negozio traslativo per fare valere o ottenere la caducazione dei suoi effetti, ciò comportando l'accertamento della persistenza della preventiva composizione della compagine societaria (es. nullità, simulazione, risoluzione di un negozio di cessione di partecipazioni sociali); dovrebbe, al contrario, escludersi la competenza delle Sezioni specializzate laddove invece si discuta del medesimo negozio, ma senza una diretta incidenza sulla compagine sociale (es. azione di adempimento del pagamento del prezzo di una vendita di partecipazioni).

Tale opzione interpretativa, tuttavia, introduce un criterio discretivo (incidenza della risoluzione della controversia all'interno dell'organizzazione societaria) che la norma non prende a presupposto per l'attribuzione della controversia alle sezioni specializzate e porta ad escludere tutte le cause di adempimento delle obbligazioni nascenti dal contratto traslativo di partecipazioni sociali che, già sotto il regime del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, erano pacificamente soggette al c.d. “rito societario”.

Peraltro, vi sono azioni che, pur non incidendo direttamente sulla composizione della società, appaiono certamente rientrare nella competenza delle Sezioni specializzate. Si pensi, ad esempio, alla causa in cui in cui l'acquirente di una partecipazione sociale intenda far valere eventuali clausole di garanzia in ordine alla consistenza patrimoniale della partecipazione stessa. In tale ipotesi, la controversia - ove non destinata ad ottenere la risoluzione del contratto, ma eventualmente la riduzione del prezzo ovvero il risarcimento del danno - non ha un diretto riflesso sulla composizione della società, rimanendo il rapporto giuridico confinato tra le parti del negozio traslativo delle quote e restando la società (ed il suo assetto organizzativo) sullo sfondo: tuttavia, non appare errato considerare come proprio tali controversie rispondono maggiormente alla ratio dell'istituzione del c.d. “Tribunale delle imprese” in quanto, proprio in esse, si avverte la necessità di una maggiore specializzazione del giudice e di una maggiore celerità della risposta giudiziaria che costituiscono, come è noto, i presupposti ideali dell'introduzione della nuova normativa.

Conseguentemente deve ritenersi preferibile l'orientamento secondo il quale la competenza delle Sezioni specializzate sussisterebbe in tutti i casi in cui la domanda verte su un diritto derivante da un negozio avente ad oggetto il trasferimento di partecipazioni sociali.

Una simile conclusione sembra farsi strada nella giurisprudenza di merito.

In evidenza

Il Tribunale di Verona ha avuto modo di stabilire che rientra nella competenza del Tribunale delle imprese, ai sensi dell'art. 4 del d.l. 24 gennaio 2012 n. 1 convertito con modificazioni dalla legge 24 marzo 2012 n. 27, la controversia relativa all'inadempimento di un contratto con il quale una parte abbia trasferito all'altra parte contrattuale una quota pari all'1 % del capitale sociale di una s.a.s. e una quota pari al 10 % del capitale sociale di una s.r.l. a fronte dell'accollo da parte degli acquirenti dell'accollo del debito derivante da un contratto di mutuo nei confronti di un istituto di credito. In una simile ipotesi la causa prevalente di tale accordo va infatti ravvisata nella parte avente ad oggetto l'alienazione delle quote di società a responsabilità limitata, tenuto conto della maggiore entità di esse rispetto a quelle della società in accomandita semplice parimenti alienate e, conseguentemente del loro maggior valore economico (Trib. Verona, 8 maggio 2015).

Parimenti, il Tribunale di Massa ha precisato che la domanda giudiziale, avente per oggetto la risoluzione di un contratto (patto di garanzia e manleva) stipulato tra cedente e cessionario, contestualmente alla stipula tra i medesimi di un (diverso e separato) atto di cessione di quote sociali di una società responsabilità limitata, è domanda avente per oggetto un contratto idoneo a produrre taluno degli effetti di cui all'art. 3 comma 2 lett. b) d.lgs. 27 giugno 2003, n. 168, nel testo riformato, relativamente ad uno dei soggetti considerati dalla norma (cause relative ad ogni altro negozio avente ad oggetto le partecipazioni sociali o i diritti inerenti), sicché rientra nella competenza esclusiva del Tribunale delle Imprese (Trib. Massa, 23 gennaio 2015).

Altro caso dubbio di competenza del Tribunale delle imprese riguarda le controversie in materia di compensi degli amministratori, dei liquidatori e dei sindaci di società di capitali.

Infatti, secondo un orientamento che ha trovato anche un avallo in un recente arresto della giurisprudenza di legittimità (cfr., Cass., 23 maggio 2014, n. 11448), la controversia relativa al compenso spettante all'amministratore o al liquidatore di una società di capitali per l'attività svolta in favore della società non appartiene alla competenza del Tribunale delle imprese poiché ha ad oggetto il rapporto di lavoro, eventualmente parasubordinato, o di opera professionale tra detto soggetto e la società, qualora, in virtù del potere esclusivo di gestione dell'amministratore unico, o delegato, possa escludersi la parasubordinazione.

Tale orientamento non appare condivisibile.

Infatti, l'art. 3, comma 2, lett. a) d.lgs. 27 giugno 2003, n. 168 fa oggi riferimento alle cause ed ai procedimenti «relativi a rapporti societari» e, dunque, utilizza una formula onnicomprensiva che abbraccia l'intero perimetro dei rapporti «di società»: tra essi, deve ricomprendersi anche il rapporto tra società ed il proprio amministrazione, in quanto proprio tale rapporto, attraverso lo strumento della immedesimazione organica, consente alla società di esistere e di operare. In questa prospettiva, una simile impostazione appare maggiormente coerente con i dettati della giurisprudenza sia di legittimità che di merito in ordine alla qualificazione giuridica del rapporto che lega gli amministratori alla società. Infatti, è stato, anche recentemente, ribadito che i compiti che la società affida al suo amministratore riguardano la gestione stessa dell'impresa, costituita da un insieme variegato di atti materiali, negozi giuridici ed operazioni complesse, sicché, quand'anche taluni di questi atti ed operazioni possano compararsi all'attività di un prestatore d'opera, il rapporto che intercorre tra amministratore e società non può essere equiparato, in ragione del rapporto di immedesimazione organica tra essi esistente, a quello derivante dal contratto d'opera, intellettuale o non intellettuale (Cass., 17 ottobre 2014, n. 22046). L'opera che l'amministratore si impegna a fornire alla società non è, infatti, a differenza di quello del prestatore d'opera, determinato dai contraenti preventivamente né è determinabile aprioristicamente, identificandosi con la stessa attività d'impresa.

In altre parole, proprio la ricchezza dell'apporto dell'amministrazione alla vita ed all'operare della società rende manifesto che il relativo rapporto possa essere qualificato come rapporto sociale. Sul punto, giova ricordare che, nel periodo di vigenza del c.d. rito societario (d.lgs. 18 gennaio 2003, n. 5), la giurisprudenza di merito riteneva che le controversie relative al compenso degli amministratori fossero comunque soggette al c.d. rito societario (cfr., Trib. Roma, sez. III, 12 settembre 2012, n. 17050, in Le Società, n. 3/2013, pagg. 254 e ss., con commento di Emiliano Marchisio).

In conclusione, appare condivisibile l'orientamento secondo il quale il riferimento ai «rapporti societari» sia idoneo a comprendere tutte le controversie che vedano coinvolti la società ed i suoi amministratori e ciò senza poter distinguere fra le controversie che riguardino l'agire degli amministratori nell'espletamento del rapporto organico ed i diritti che sulla base dell'eventuale contratto che la società e l'amministratore abbiano stipulato siano stati riconosciuti a titolo di compenso (in questo senso, Cass., 9 luglio 2015, n. 14369; Trib. Roma, 28 settembre 2015, n. 19214, in questo portale).

Ulteriore ipotesi che ha dato luogo a numerose incertezze riguarda le controversie in materia di esclusione del socio lavoratore di società cooperativa e di conseguente licenziamento del medesimo, non essendo chiaro se tali controversie debbano essere di competenza delle Sezioni specializzate ovvero delle Sezioni lavoro.

Secondo un primo orientamento, la circostanza che il licenziamento sia soltanto una conseguenza della delibera, assunta dai competenti organi della cooperativa, di esclusione del socio e che, dunque, la controversia trovi la propria causa petendi nella impugnazione della deliberazione di esclusione giustifica la competenza delle Sezioni specializzate in materia di impresa. Secondo tale impostazione, la competenza del Tribunale delle imprese subirebbe una deroga solo nel caso in cui il socio-lavoratore, impugnando il licenziamento, alleghi la natura simulata del rapporto sociale. In tal senso si è osservato che l'art. 5 l. 3 aprile 2001, n. 142, a seguito delle modifiche apportate dalla l. 14 febbraio 2003, n. 30, stabilisce che “il rapporto di lavoro si estingue con il recesso o l'esclusione del socio deliberati nel rispetto della previsioni statutarie e in conformità agli artt. 2526 e 2527 c.c.” (oggi, artt. 2532 e 2533 c.c.): quindi lo scioglimento del vincolo sociale determina, ope legis,l'estinzione del rapporto lavorativo, quale che sia la natura di quest'ultimo (subordinata, parasubordinata, autonoma) e non richiede alcun ulteriore atto risolutivo.

Di contrario avviso è, però, andata la giurisprudenza di legittimità, la quale ha avuto modo di affermare che qualora il rapporto di lavoro del socio lavoratore di cooperativa venga risolto, per motivi riguardanti la violazione degli obblighi statutari e per l'asserita necessità di esternalizzare parte dell'attività di impresa, l'impugnativa della delibera e del concorrente atto di licenziamento configura un'ipotesi di connessione di cause, aventi ad oggetto il rapporto mutualistico e quello lavorativo, sicché, in tale caso, in forza dell'art. 40, comma 3, c.p.c., è competente il giudice del lavoro (così, Cass., 21 novembre 2014, n. 24917).

Venendo ora alla materia dei contratti pubblici di appalto, le Sezioni specializzate sono competenti, quando sia parte una delle società individuate nella prima parte del secondo comma dell'art. 3, per le cause e procedimenti “relativi” a “contratti pubblici di appalto di lavori, servizi o forniture di rilevanza comunitaria”. In forza della seconda parte della lett. f), la competenza delle Sezioni specializzate ricorre anche quando una delle dette società non sia direttamente parte della causa o del procedimento, ma partecipi “al consorzio o al raggruppamento temporaneo cui i contratti (pubblici di appalto di rilevanza comunitaria) siano stati affidati”.

Occorre, pertanto, in primo luogo, attribuire significati concreti alle espressioni “cause e procedimenti relativi a” e “contratti pubblici di appalto” per individuare la portata del nesso di relatività e il contenuto del suo oggetto.

Prendendo le mosse dal secondo aspetto, pare certo che le cause e i procedimenti di competenza delle Sezioni specializzate debbano essere relativi a contratti pubblici di appalto di rilevanza comunitaria nell'ambito della giurisdizione riconosciuta al riguardo al giudice ordinario, il cui difetto, comunque, non potrà che essere dichiarato dalla Sezione specializzata adita. A tale riguardo non pare possa dubitarsi che per l'individuazione dei contratti pubblici di appalto si debba fare riferimento alle disposizioni del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 - il Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture - che, come previsto al primo comma dell'art. 1, disciplina i contratti delle stazioni appaltanti, degli enti aggiudicatori e dei soggetti aggiudicatori aventi per oggetto l'acquisizione di servizi, prodotti, lavori e opere.

Si tratta di contratti di appalto di lavori pubblici nei quali committente può essere tanto una pubblica amministrazione quanto un soggetto privato, quando, per la natura dell'opera da realizzare e per la connessa presenza di finanziamenti pubblici, tali contratti coinvolgono il pubblico interesse. Tali soggetti privati sono indicati nell'art. 3, commi 25-31 e nell'art. 32, comma 1, del citato d.lgs., ai quali deve aversi riguardo per individuare i contratti pubblici di appalto di competenza delle sezioni specializzate (concessionari di lavori pubblici, società con capitale pubblico, altri soggetti privati che fruiscono di contributi pubblici etc.).

Per quanto riguarda, invece, il significato da attribuire all'espressione “cause relative ai contratti pubblici di appalto”, si deve ritenere che l'esistenza del contratto pubblico di appalto rilevi ai fini della competenza delle Sezioni specializzate quando l'oggetto della causa concerne, nell'ambito della giurisdizione del giudice ordinario, diritti e obblighi derivanti da tale contratto e debba farsi applicazione della normativa di cui al citato d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, non sembrando possibile dilatare la portata della norma fino a ricomprendervi ogni rapporto, di per sé estraneo al contratto pubblico di appalto, intercorso con uno dei soggetti sopra indicati, ma che trovi, quale mero presupposto di fatto, la sua origine in un contratto di appalto pubblico.

Sotto questo profilo, in particolare in materia di subappalto, l'orientamento della giurisprudenza è costante nel ritenere che il contratto di subappalto stipulato dall'appaltatore di un'opera pubblica è strutturalmente distinto dal contratto principale e, stipulato fra soggetti entrambi privati, rimane sottoposto alla normativa del Codice Civile e al contenuto pattizio che le parti hanno inteso dargli, mentre non gli sono applicabili, se non attraverso gli eventuali richiami pattizi delle parti, le disposizioni di impronta marcatamente pubblicistica tipiche dell'appalto di opere pubbliche (Cass., 20 giugno 2000, n. 8384). Ne discende, che le cause aventi per oggetto tali contratti di subappalto dovrebbero ritenersi sottratte, indipendentemente da ogni considerazione circa l'eventuale esistenza di precedenti disposizioni interne relative alla distribuzione della competenza tabellare fra le varie sezioni del tribunale, alla competenza per materia delle Sezioni specializzate.

Si segnala, infine, che la giurisprudenza di legittimità ha avuto, recentemente, occasione di affermare che il contratto tra un ente pubblico ed un imprenditore, che, indipendentemente dal nomen iuris attribuitogli dalle parti, si risolva in una concessione di servizi, non appartiene alla competenza delle Sezioni specializzate in materia di impresa in quanto il rischio di gestione nel quale incorre l'amministrazione aggiudicatrice è assunto integralmente, o in misura significativa, dalla controparte contrattuale; ove, peraltro, sia configurabile un appalto pubblico di servizi di rilevanza comunitaria, la controversia resta devoluta alla Sezione specializzata purché il contratto riguardi servizi resi alla pubblica amministrazione (e non al pubblico degli utenti) e non determini, in ogni caso, in ragione delle modalità di remunerazione, l'assunzione del rischio di gestione ad opera della controparte della pubblica amministrazione medesima (Cass., ord., 6 maggio 2015, n. 9139).

Il Tribunale delle società con sede all'estero

L'art. 10 del d.l. 23 dicembre 2013, n. 145 (convertito con modificazioni in l. 21 febbraio 2014, n. 9) ha aggiunto all'art. 4 del d.lgs. 27 giugno 2003, n. 168 il comma 1-bis il quale oggi prevede che, per le controversie devolute al Tribunale delle imprese nelle quali è parte, anche nel caso di più convenuti ai sensi dell'art. 33 c.p.c., una società, in qualunque forma costituita, con sede all'estero, anche avente sedi secondarie con rappresentanza stabile nel territorio dello Stato, e che, secondo gli ordinari criteri di competenza territoriale e nel rispetto delle disposizioni normative speciali che le disciplinano, dovrebbero essere trattate dagli uffici giudiziari indicati nella norma in argomento, sono inderogabilmente competenti le Sezioni specializzate in materia di impresa di Bari, Cagliari, Catania, Genova, Milano, Napoli, Roma, Torino, Venezia, Trento e Bolzano.

Tale previsione è stata giustificata in una ottica di rafforzamento delle funzioni del Tribunale delle imprese e di stimolo per la capacità di attrarre investimenti dall'estero.

Profili ordinamentali

Il d.lgs. 27 giugno 2003, n. 168 prevede espressamente (art. 2, comma 2) che ai giudici delle Sezioni specializzate possa essere assegnata anche la trattazione di processi diversi, purché ciò non comporti ritardo nella trattazione e decisione dei giudizi in materia di impresa.

Tale previsione è giustificata, nell'attuale quadro dell'ordinamento giudiziario, dalla circostanza che le controversie societarie in generale rappresentano una percentuale del tutto esigua del contenzioso ordinario pendente davanti ai Tribunali (percentuale stimabile in non più del 2%). Poiché le nuove Sezioni specializzate, oltre alle controversie già oggi a loro attribuite in materia di proprietà intellettuale e industriale e di concorrenza, si occuperanno soltanto delle cause societarie e degli appalti di rilevanza comunitaria, in parte dei Tribunali previsti dal legislatore esse sono destinate ad avere un carico modesto, appare inevitabile l'assegnazione a tali Sezioni della cognizione di ulteriori “gruppi” di materie.

Il Consiglio Superiore della Magistratura, con delibera dell'11 luglio 2012, si è fatto carico di tale situazione e, valutando le differenze attualmente esistenti nei vari uffici sedi delle Sezioni specializzate, ha previsto tre diverse soluzioni organizzative. La prima, riservata agli uffici più piccoli con un'unica sezione con collegi specializzati formata da giudici che si occupano della materia dell'impresa in via esclusiva o concorrente con altre materie. La seconda, prevista per uffici più grandi, in cui le controversie in materia d'impresa sono trattate da un'unica sezione risultante dalla fusione delle due sezioni che già prima trattavano la materia della proprietà industriale e societaria, con collegi distinti presieduti ciascuno da un presidente, già presidente di una delle due sezioni risultanti dall'accorpamento. La terza, riservata agli uffici più grandi dove si sono mantenute le due sezioni preesistenti con le rispettive competenze in materia di proprietà industriale e societaria, con l'attribuzione ad uno solo dei presidenti del coordinamento.

Riferimenti giurisprudenziali e dottrinari

Per i riferimenti giurisprudenziali si rimanda a quelli indicati nel testo.

Per quanto riguarda la dottrina, si segnalano: Gallo Deborah, Il tribunale delle imprese, Milano, 2014; Iuorio Maria Assunta, Tribunale delle imprese, in www.judicium.it; Merlin, Le nuove sezioni delle imprese fra corsie preferenziali e sviluppo del mercato, in www.diritto24.it; Riva Crugnola Elena, Il Tribunale delle imprese, in Il libro dell'anno del diritto, 2013, Enciclopedia Treccani; Paolo Celentano, Commento al decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1, in Le Società, 2012, pag. 820; Scotti Umberto, Il Tribunale delle imprese. Competenze, critiche, questioni interpretative ed applicative, intervento al Convegno tenutosi in Torino, 27 gennaio 2014; Graziosi A., Dall'arbitrato societario al tribunale delle imprese: a dieci anni dalla riforma del diritto societario, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2014, 77; ; U. Scotti, Le sezioni specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale. Osservazioni relative ad alcune questioni processuali, in Giur. mer., 2003, IV, 2614 ss.; M. Scuffi, La competenza per materia e per territorio delle sezioni specializzate, in Dir. ind., 2006, 78; Trib. Bologna 22 giugno 2010, Dir. ind., 2011, 230.

Infine si segnalano gli interventi di Riva Crugnola E., Criscuoli P., De Renzis L, Romano G., e Tarantola G., in La magistratura, nn. 1-2/2014.

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