(In)giusta causa di revoca dell’amministratore e risarcimento del danno

Bianca Caruso
09 Aprile 2018

Né il mero disaccordo sulla gestione all'interno del consiglio di amministrazione né le esigenze di riorganizzazione dell'organo amministrativo per ragioni economiche dell'azienda costituiscono giusta causa di revoca dell'amministratore.
Massima

Né il mero disaccordo sulla gestione all'interno del consiglio di amministrazione né le esigenze di riorganizzazione dell'organo amministrativo per ragioni economiche dell'azienda costituiscono giusta causa di revoca dell'amministratore.

In caso di revoca di un amministratore di società azionaria, alla responsabilità contrattuale ex art. 2383 c.c. relativa al lucro cessante per i compensi residui non percepiti derivante dal fatto stesso del recesso senza giusta causa dal rapporto di amministrazione, può aggiungersi la responsabilità, sempre di natura contrattuale, per la violazione delle regole di buona fede e correttezza, oppure una responsabilità extracontrattuale della società, o di soggetti in concorso con essa, solo in presenza di condotte che costituiscono un quid pluris, diverso ed ulteriore rispetto alla revoca in sé, tali da ledere un diritto della persona (come onore, reputazione, identità personale, con le eventuali conseguenti ricadute patrimoniali) distinto dal diritto dell'amministratore alla prosecuzione della carica sino alla sua naturale scadenza.

Il caso

La sentenza oggetto di esame rappresenta l'epilogo di una causa di risarcimento del danno intentata da un amministratore di una società per azioni per essere questi stato revocato senza giusta causa dalla carica di presidente del consiglio di amministrazione e amministratore della società.

Tale sentenza viene emessa all'esito di un iter processuale intricato, che si inserisce nel solco di un precedente rinvio alla Corte d'Appello di Roma da parte della Corte di Cassazione (con sentenza del 18 settembre 2013, n. 21342), che cassava con rinvio la precedente decisione della corte territoriale, ribadendo il principio secondo cui una modifica strutturale dell'organo amministrativo da collegiale a monocratico non integra, di per sé stessa, giusta causa di revoca oggettiva di un consigliere di amministrazione.

La corte di legittimità, inoltre, dichiarava inammissibile il motivo di ricorso della società relativo alla sussistenza di una giusta causa soggettiva di revoca per interruzione del rapporto fiduciario tra l'amministratore e la società.

La Corte di Appello di Roma, quindi, si pronunciava nuovamente sulle questioni de quibus affermando: (i) innanzitutto, l'inammissibilità della deduzione da parte della società nel giudizio di ulteriori fatti integranti la giusta causa della revoca, non già enunciati nella relativa delibera assembleare; e (ii) in secondo luogo, che le due ragioni addotte in sede assembleare – ovvero, esigenze di modifica della struttura dell'organo amministrativo, da collegiale a monocratico, da un lato e la necessità di sottrarre l'organo amministrativo all'eccessiva dialettica interna, dall'altro lato – non fossero idonee a fondare la giusta causa di revoca.

Sulla base di tali motivazioni liquidava all'amministratore un danno per i compensi non percepiti per il periodo intercorrente dalla revoca fino alla naturale scadenza del mandato, ritenendo tardivamente dedotti, e comunque non provati, ulteriori danni.

La sentenza emessa dal giudice capitolino veniva impugnata sia dall'amministratore revocato sia dalla società.

L'amministratore ricorrente adduceva quale principale vizio della sentenza di merito, la mancata rilevazione che questi avesse richiesto, oltre alla liquidazione del danno per lucro cessante per i compensi non percepiti, anche la liquidazione del danno all'immagine.

Dal canto suo, la società adduceva due motivi alla base del ricorso incidentale: innanzitutto, il giudice d'appello avrebbe esaminato, tra le motivazioni della revoca, solo quella della dialettica interna al consiglio, reputando fondata l'eccezione di inammissibile introduzione in giudizio delle ulteriori ragioni della revoca enunciate dalla società (nonostante la controparte non avesse mai formulato eccezione di tardiva deduzione dei motivi di giusta causa di revoca, né tantomeno allegato l'invalidità della delibera assembleare per la mancata enunciazione delle ragioni integranti la giusta causa); ciò avrebbe comportato, a detta della società, un annullamento di fatto della delibera assembleare (oltre il termine per l'impugnazione previsto ai sensi dell'art. 2377 c.c.).

In secondo luogo, la società contestava l'omesso esame di fatti decisivi per la causa, ovvero le altre ragioni della revoca dichiarate dalla società: in particolare, il giudice avrebbe dovuto considerare i fatti già ravvisati dal giudice di primo grado, ovverosia la constatata incapacità gestionale del consiglio, nonché la sussistenza di divergenze interne (segnatamente tra amministratore delegato e presidente del consiglio di amministrazione) che si traduceva in una intempestiva e inadeguata amministrazione della società e nell'inidoneità dell'organo collegiale ad assolvere il proprio incarico di vigilanza sulla gestione dei delegati.

Le questioni

Il giudice di legittimità, con la sentenza oggetto di analisi, è tornato a pronunciarsi sul tema della giusta causa di revoca degli amministratori e della connessa tutela risarcitoria.

Al fine di comprendere la decisione del giudice occorre, dapprima, muovere dalla disciplina della revoca degli amministratori e, in secondo luogo, analizzare la nozione di giusta causa, così come tipizzata dalla dottrina e dalla giurisprudenza.

La revoca degli amministratori è una facoltà concessa ex lege alla società che può, quindi, esercitarla liberamente in qualunque momento; ciò in quanto l'ordinamento tutela la libertà della società di scegliere i propri gestori e di sostituirli in ogni tempo e per qualunque ragione. Tale facoltà della società è certamente discrezionale, tuttavia la stessa non è illimitata.

Il confine di tale libertà è rappresentato proprio dalla giusta causa; ciò al fine di tutelare il sacrificio economico e sociale dell'amministratore che viene rimosso dall'incarico (Cass. 15 aprile 2016, n. 7587).

La mancanza della giusta causa, tuttavia, non preclude il potere di revoca della società, né rappresenta una causa di caducazione della delibera assembleare, che rimane valida (salvi vizi suoi propri), quanto piuttosto elemento idoneo a fondare causa per il risarcimento del danno (Trib. Roma, 7 marzo 2001, in Dir. fall., 2001, II, 795 ss., con nota di Di Gravio; e, ancor prima, Trib. Torino, 6 ottobre 1980, in Giur. comm., 1981, II, 635).

In altri termini – come si legge nella sentenza in commento – «può dirsi che la responsabilità per i danni costituisca la tutela di tipo obbligatorio che la legge appresta per l'amministratore revocato senza giusta causa, cui non spetta, invece, la tutela reale […]».

Pertanto, se è vero che il legislatore ha previsto un potere di recesso ex lege in capo alla società, non essendo la giusta causa requisito per l'efficacia dell'atto, la sussistenza di quest'ultima deve essere verificata solo al fine di neutralizzare il diritto al risarcimento del danno da parte dell'amministratore revocato.

Solo con riguardo a tale ultimo profilo, quindi, rilevano le ragioni che giustificano la revoca contenute nella relativa delibera, escludendo peraltro la giurisprudenza che tali motivazioni possano essere integrate nel corso del giudizio risarcitorio.

A tal ultimo proposito, secondo alcuni (per la verità, in minoranza) non sarebbe necessario che le ragioni della revoca siano esplicitamente riportate nel verbale dell'assemblea, purché si possa ritenere che – sebbene non esplicitate – le stesse fossero alla base della decisione. Si tratterebbe, dunque, secondo tale ricostruzione, di una questione legata all'onere probatorio, piuttosto che agli elementi costitutivi della fattispecie.

La posizione della giurisprudenza maggioritaria è, invece, più rigida nel ritenere che l'enunciazione delle ragioni della revoca nella delibera assembleare sia elemento imprescindibile in quanto la revoca è atto assembleare e in tale sede le ragioni della revoca trovano compiuta valutazione e ponderazione, non potendosi introdurre tali ragioni direttamente in giudizio (in tal senso, Cass. 12 settembre 2008, n. 23557; si veda anche, sebbene in materia di esclusione del socio da una società personale, la più risalente Cass. 16 giugno 1989, n. 2887).

Ne discende – sotto il profilo processuale – che, analogamente a quanto avviene in altre circostanze, la società rappresenta attore sostanziale del giudizio, dovendo fornire allegazione e prova delle circostanze riconducibili alla giusta causa di revoca, mentre l'amministratore è convenuto sostanziale.

Passando all'analisi della nozione di giusta causa, è unanimemente affermato che questa esula sia dal mero inadempimento sia dalle gravi irregolarità di cui all'art. 2409 c.c., consistendo la stessa in circostanze sopravvenute, causate o meno dall'amministratore, in grado di pregiudicare il rapporto fiduciario instaurato tra i soci e l'amministratore con la nomina (in tal senso, si sono espresse in giurisprudenza, Cass. 23 marzo 2017, n. 7475; Cass. 15 ottobre 2013, n. 23381; Cass. 14 maggio 2012, n. 7425; Cass. 5 agosto 2005, n. 16526; Cass. 7 agosto 2004, n. 15322; Cass. 21 novembre 1998, n. 11801; Cass. 22 giugno 1985, n. 3768; in dottrina si vedano, tra gli altri, Montagnani, Art. 2383. Nomina e revoca degli amministratori, in Amministratori, a cura di F. Ghezzi, in Commentario alla riforma delle società, diretto da P. Marchetti, L.A. Bianchi, F. Ghezzi e M. Notari, Egea – Giuffrè, Milano, 2005, 167 ss.; Nazzicone – Providenti, Amministrazione e controlli nelle società per azioni, Giuffrè, Milano, 91). Infatti, all'ampiezza dei poteri gestori degli amministratori, si accompagna necessariamente un intenso rapporto di fiducia tra questi e la società (e per il tramite della stessa, i soci); quanto più intenso è il rapporto di fiducia, tanto è più ampio lo spettro delle circostanze che possono reputarsi idonee a comprometterlo (si veda, Cass. 7 agosto 2004, n. 15322, cit.).

La giusta causa non consiste, quindi, necessariamente in atti dolosi o colposi commessi dall'amministratore, ma può anche sussistere laddove si verifichino fatti totalmente estranei alla volontà dell'amministratore tali da influire comunque sul rapporto di fiducia e impedirne la prosecuzione.

La giurisprudenza e la dottrina hanno quindi distinto due diverse tipologie di giusta causa: la giusta causa soggettiva e la giusta causa oggettiva (in tal senso anche Cass. 12 settembre 2008, n. 23557).

La giusta causa soggettiva sussiste nel caso di violazione da parte dell'amministratore dei doveri a lui imposti dalla legge o dall'atto costitutivo della società, o di comportamenti contrari ai doveri di fedeltà, lealtà, diligenza e correttezza nell'adempimento del mandato di amministratore.

La giusta causa oggettiva, invece, si ravvisa nel caso in cui si verifichino atti o fatti estranei alla persona dell'amministratore o alla sua condotta (e in particolare, diversi da un suo inadempimento), ma tali da influire sul rapporto di fiducia in maniera significativa e da non consentire più il proseguimento del rapporto (si veda, Trib. Napoli, 21 maggio 2001, in Soc., 2001, 951). Per un esempio pratico, potrebbe pensarsi a una controversia tra la società e l'amministratore in virtù di un diverso rapporto, che tuttavia ha la conseguenza, per ovvie ragioni, di minare il rapporto di amministrazione (in tal senso, tra le altre, App. Milano, 30 aprile 1991, in Giur. comm., 1992, II, 91, in cui la controversia verteva sulla legittimità del licenziamento dell'amministratore dipendente della società).

Per quanto riguarda il profilo processuale, ferma la verifica circa la sussistenza in concreto dei fatti alla base, riservata al giudice di merito, il giudizio di sussunzione della singola ragione di revoca entro la nozione di giusta causa ex art. 2383 c.c. sarebbe – sulla base di quanto affermato nella sentenza esaminata – giudizio di diritto e pertanto posto al vaglio del giudice di legittimità.

Ciò premesso, il giudice di legittimità rilevava che le uniche due ragioni di revoca enunciate nella deliberazione assembleare erano quelle sopra menzionate, ovvero: da un lato, le esigenze di modifica della struttura organizzativa dell'organo; dall'altro lato, non meglio specificate ragioni di dialettica interne, entrambe ritenute non idonee dal giudice di merito a fondare la giusta causa.

Tale impostazione si pone in linea con la giurisprudenza e la dottrina maggioritarie secondo cui non costituiscono giusta causa di revoca scelte di mera convenienza economica (si pensi proprio al caso di passaggio dall'organizzazione collegiale a quella monocratica dell'organo amministrativo per ragioni di risparmio di costi, per cui si vedano Trib. Milano 26 gennaio 1987, in Soc., 1987, con nota di Ambrosini, Revoca dell'amministratore e risarcimento del danno e Trib. Roma, 20 giugno 1979, in Giur. comm., 1980, II, 569; per una opinione contraria, seppur isolata, si veda in dottrina Pesce, Rapporto organico e mandato nella qualificazione della giusta causa di revoca dell'amministratore di società di capitali, in Foro pad., 1980, I, 65). Inoltre, anche il mero dissenso dell'amministratore rispetto alle scelte gestionali del consiglio di amministrazione non assurge a motivazione sufficiente al fine di configurare la giusta causa (si veda, fra tutte, Cass. 5 agosto 2005, n. 16526, cit.; Cass 22 giugno 1985, 3768). Per una rassegna delle diverse decisioni si vedano, Nazzicone – Providenti, op. cit., 91; Montagnani, cit., 167 ss.; Rordorf, Art. 2383. Nomina e revoca degli amministratori, in Ruperto, La giurisprudenza sul Codice Civile, Giuffrè, 2016, 573.

Soffermandosi, infine, sulle doglianze del ricorrente principale, il giudice passa in rassegna le ulteriori voci di danno addotte dall'amministratore e rimaste, secondo il giudice di merito, sfornite di prova.

In particolare, la Corte di Appello non aveva ravvisato elementi sufficienti a far ritenere che la revoca fosse stata disposta con modalità tali da ledere la personalità dell'amministratore revocato, avendo accertato che la delibera assembleare enunciava ragioni diverse da condotte inadempienti o illegittime dell'amministratore. Anzi, le ragioni addotte facevano ritenere l'insussistenza del nesso di causalità tra le condotte dell'amministratore e la revoca. Se, quindi, le motivazioni non erano state ritenute suscettibili di fondare la giusta causa e dunque idonee a provocare un danno economico risarcibile al soggetto, le stesse non erano tuttavia tali da ledere il prestigio e la reputazione dell'amministratore.

La Suprema Corte, dunque, ritiene insussistente il nesso di causalità tra la revoca e il danno lamentato.

Osservazioni

La sentenza in commento offre molteplici spunti sulla giusta causa di revoca degli amministratori, tematica certamente centrale per il diritto societario.

In particolare, la pronuncia in questione porta a soffermarsi, nell'ordine, sui seguenti aspetti meglio descritti nel paragrafo precedente: in primis, la natura della revoca e tematica strettamente connessa della funzione giuridica della giusta causa (che opera come rimedio sotto il profilo obbligatorio, ma non pregiudica la validità della delibera di revoca); in secondo luogo, la nozione di giusta causa e le relative fattispecie; in terzo luogo, sotto il profilo processuale, la corretta sede di allegazione delle motivazioni che giustificano la revoca; infine, i requisiti necessari per l'affermazione di voci ulteriori di danno.

Su tutti tali profili la sentenza non sembra discostarsi dagli orientamenti già consolidati contribuendo a rafforzarli.

Conclusioni

Il giudice di legittimità ripercorre l'istituto della revoca e la nozione di giusta causa, finendo per escluderla, per poi concludere sancendo un ulteriore condivisibile principio di diritto: mentre il danno per la lesione del diritto alla prosecuzione della carica gestoria sino alla naturale scadenza è un danno di per sé connaturato nella fattispecie, essendo legato alla mancanza di giusta causa nella revoca, danni ulteriori – quali danni all'onore, all'immagine o alla reputazione – non solo non sono provocati per la sola mancanza di giusta causa (essendo, al contrario necessario, un quid pluris, dato da un fatto idoneo a provocare un pregiudizio alla reputazione) ma vanno specificamente allegati e provati come ulteriore conseguenza immediata e diretta della revoca, soprattutto con riferimento alle ragioni esplicitate nella delibera assembleare poste a fondamento del pregiudizio.

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