Direttori generali e dirigenti amministrativi

Lucia Folladori
17 Dicembre 2015

Tra i dirigenti amministrativi, una delle figure più significative è quella del direttore generale, molto diffusa soprattutto nelle imprese di medio-grandi dimensioni. La disciplina prevista per questa fattispecie è rinvenibile anzitutto nell'art. 2396 c.c. che tratta il profilo della responsabilità per l'esercizio delle attività affidategli all'interno della società. Vi sono poi altre norme sparse nel codice civile e nella legislazione speciale - indicate nella sezione “Riferimenti normativi” in calce al presente contributo - che riguardano, tra l'altro, anche il direttore generale, da cui emerge il ruolo apicale ricoperto da questa figura. Da tale quadro normativo, peraltro, non emerge una disciplina completa ed è lasciata all'interprete la definizione di una serie di aspetti importanti (tra cui, ad esempio, la natura del rapporto intercorrente tra il direttore e la società, le mansioni e i poteri propri di questa figura, nonché le norme in tema di nomina e revoca dell'incarico).
Inquadramento

Tra i dirigenti amministrativi, una delle figure più significative è quella del direttore generale, molto diffusa soprattutto nelle imprese di medio-grandi dimensioni.

La disciplina prevista per questa fattispecie è rinvenibile anzitutto nell'art. 2396 c.c. che tratta il profilo della responsabilità per l'esercizio delle attività affidategli all'interno della società. Vi sono poi altre norme sparse nel codice civile e nella legislazione speciale - indicate nella sezione “Riferimenti normativi” in calce al presente contributo - che riguardano, tra l'altro, anche il direttore generale, da cui emerge il ruolo apicale ricoperto da questa figura. Da tale quadro normativo, peraltro, non emerge una disciplina completa ed è lasciata all'interprete la definizione di una serie di aspetti importanti (tra cui, ad esempio, la natura del rapporto intercorrente tra il direttore e la società, le mansioni e i poteri propri di questa figura, nonché le norme in tema di nomina e revoca dell'incarico).

I contributi scientifici e gli enunciati giurisprudenziali al riguardo consentono, peraltro, di definire la fattispecie in esame, che viene tradizionalmente inquadrata nell'ambito della eterogenea categoria dei dirigenti ex art. 2095 c.c., ossia tra quei «prestatori di lavoro per i quali sussistono le condizioni di subordinazione di cui all'art. 2094 c.c. e che ricoprono nell'azienda un ruolo caratterizzato da un elevato grado di professionalità, autonomia e potere decisionale ed esplicano le loro funzioni al fine di promuovere, coordinare e gestire la realizzazione degli obiettivi dell'impresa» (in questi termini si esprime la contrattazione collettiva e in particolare l'art. 1 C.C.N.L. dirigenti imprese industriali 24 novembre 2004).

Rispetto agli altri soggetti che, al pari, rientrano nella categoria dei dirigenti, il direttore generale è posto al vertice della struttura gerarchica dei collaboratori dell'organo amministrativo, rispetto al quale opera in rapporto diretto, eseguendo le relative direttive e decisioni, con ampi margini di discrezionalità rispetto alla scelta delle modalità attuative.

Le caratteristiche principali del direttore generale

La figura del direttore generale è tipica delle società di capitali e, in particolare, delle società per azioni di maggiori dimensioni, nelle quali è particolarmente avvertita l'esigenza di articolare l'organizzazione dell'impresa tra più soggetti qualificati, a prescindere dal sistema di amministrazione e controllo prescelto. L'incarico, peraltro, è configurabile però anche nelle società di persone (v. Trib. Salerno, 10 dicembre 2009, in Giur. comm., 2011, II, 461 ss.), dove, però, potrebbe porre il tema – che non può qui essere trattato – dell'ammissibilità dell'esercizio di funzioni gestionali da parte di soggetti non soci.

La nomina del direttore generale è tendenzialmente facoltativa, salvo per le imprese bancarie, rispetto alle quali diviene «organo sostanzialmente necessario» (così Dolmetta, Responsabilità ex art. 2396 c.c. di direttore generale di fatto di banca (di credito cooperativo), in Fall., 2010, 98 ss., 105). In considerazione della complessità delle funzioni amministrative di una grande impresa, possono essere nominati più direttori generali, con specializzazioni diverse, che, in assenza di una specifica previsione statutaria, agiranno disgiuntamente (così, ad esempio, Borgioli, I direttori generali di s.p.a., Milano, 1975, 216 s.). Il direttore generale, inoltre, può essere coadiuvato, ed eventualmente sostituito, da un vice direttore generale, soggetto alla stessa responsabilità del primo sul piano civile, ai sensi dell'art. 2396 c.c., e penale, ai sensi degli artt. 2621 e 2622 c.c.

Tra i compiti che caratterizzano la figura del direttore generale e che solitamente sono dettagliatamente elencati nello statuto sociale, nell'ambito della esecuzione delle decisioni dell'organo amministrativo, rientrano, a mero titolo esemplificativo, l'assunzione e gestione del rapporto con il personale dell'impresa, la vigilanza sul corretto funzionamento del modello organizzativo adottato, la scelta di fornitori, la realizzazione di investimenti. Al direttore generale è riconosciuto ampio potere discrezionale nella scelta delle modalità operative con cui eseguire le delibere dell'organo amministrativo, alla cui formazione però non concorre. Si riconosce a questo dirigente la facoltà di intervenire alle riunioni del consiglio di amministrazione, ma non quella di contribuire alla formazione delle decisioni assunte, potendo solo esprimere un voto consultivo (cfr. Cass. 20 novembre 1990, n. 11208, in, Società, 1991, 473 ).

Si ritiene che la qualifica “generale” attribuita al direttore indichi che gli sono di regola affidati compiti di alta gestione dell'impresa sociale, che possono estendersi a tutti i rami e uffici di essa – con il limite delle funzioni indelegabili ai sensi dell'art. 2381, comma 4, c.c. – ma non implica necessariamente che i suoi poteri siano privi di limitazioni, ben potendo risultare confinati entro determinati settori dell'alta gestione. Tale connotazione consente inoltre di distinguere la figura in esame da quella del direttore amministrativo e di settore, i quali, pur dotati di un certo grado di autonomia, di regola sono gerarchicamente subordinati al direttore generale.

In evidenza: Il potere di rappresentanza della società

Secondo l'insegnamento della Suprema Corte (ex multis, Cass. 17 febbraio 2011, n. 3848, in Riv. Not., 2011, 1430), il direttore generale non è necessariamente munito dei poteri di rappresentanza della società, distinguendosi in ciò dall'institore, al quale viene spesso affiancato in considerazione dell'ampiezza di poteri attribuiti a entrambe queste figure.

Rapporto tra direttore generale, società e organo amministrativo

Generalmente tra la società e il direttore generale si instaura un rapporto di lavoro subordinato, anche se talvolta il rapporto può essere ricondotto, alla luce delle specificità del caso, alla figura del mandato o del contratto d'opera intellettuale. Conseguentemente, l'incarico di direttore generale potrebbe essere assunto anche da una persona giuridica, che svolga tale ruolo per il tramite di persone fisiche scelte discrezionalmente (v. in questo senso, ad esempio Abbadessa, Il direttore generale, in Trattato Colombo e Portale, IV, Torino, 1991, 473 s., Franzoni, Società per azioni, artt. 2380-2396, in Commentario. Scialoja - Branca, Bologna-Roma, 2008, 605).

Per quanto riguarda, invece, il rapporto con l'organo amministrativo, la nomina di direttori generali non spoglia gli amministratori dei loro poteri di gestione e di rappresentanza, anche se è possibile che lo stesso soggetto ricopra sia le vesti del direttore generale, sia quelle dell'amministratore (v. ad esempio Cass. 10 novembre 1987, n. 8279), purché il cumulo di funzioni non sia tale da snaturare il vincolo di soggezione all'organo amministrativo.

In evidenza: Cass. 29 gennaio 1998, n. 894

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 894 del 29 gennaio 1998, conformandosi a precedenti in termini, ha escluso che uno stesso soggetto possa rivestire contemporaneamente le vesti di amministratore e di direttore generale quando questi ricopra il ruolo di amministratore unico e svolga da solo tutti i poteri di gestione, controllo, comando e disciplina (cfr. in dottrina: Abbadessa, cit. 475).

Nomina del direttore generale

L'art. 2396 c.c. prende a riferimento le ipotesi in cui il direttore generale sia nominato dalla assemblea ordinaria dei soci, oppure, per disposizione dello statuto, da un organo diverso. In quest'ultimo caso, la scelta del direttore generale può spettare in concreto all'organo amministrativo (consiglio di amministrazione, comitato esecutivo o amministratore delegato) se espressamente previsto nello statuto. Gli interpreti si sono interrogati sulla astratta configurabilità della figura del direttore generale di fatto. Parte della dottrina (v. per tutti Borgioli, I direttori, cit., 165 s.; più di recente ad es. Dolmetta, 100 s.) e della giurisprudenza (v. ad esempio Cass. 14 settembre 1999), applicando anche al direttore generale le conclusioni raggiunte con riferimento alla fattispecie dell'amministratore di fatto, hanno affermato l'ammissibilità che la nomina sia tacita, ossia desunta dall'esercizio in concreto delle funzioni svolte. Più discussa è, invece, l'ammissibilità di una nomina “irrituale”, ossia effettuata al di fuori delle due ipotesi indicate dall'art. 2396 c.c., dall'organo amministrativo nel silenzio dello statuto sul punto (a favore v., ad esempio, in giurisprudenza Cass., 18 luglio 1973, n. 2113, in Foro it., 1973, I, 2988; in dottrina Borgioli, I direttori, cit., 166; Bonelli, Gli amministratori di s.p.a. dopo la riforma delle società, Milano, 2004, 229. Contra invece Cass. 5 dicembre 2008, n. 28819; Abbadessa, 469 ss.).

Nei sistemi di amministrazione e controllo alternativi, per individuare il soggetto competente a nominare il direttore generale, occorre tenere in considerazione le peculiarità che caratterizzano questi sistemi in punto di attribuzioni interne ai singoli organi. Più precisamente, il problema si pone più che altro con riferimento al sistema dualistico, dal momento che nel sistema monistico ben può essere attribuita la nomina del direttore all'assemblea o a diverso organo indicato nello statuto (analogamente a quanto previsto dall'art. 2396 c.c.). Nel sistema dualistico, invece, come noto, la nomina dei gestori è riservata al consiglio di sorveglianza e non è prevista la possibilità di riservare delle competenze a favore dell'assemblea, pertanto, in assenza di una previsione espressa nello statuto che attribuisca la competenza all'assemblea, si potrebbe dubitare che a quest'ultima spetti una competenza di default (diversamente, a favore della sussistenza di una «competenza primaria inderogabile» dell'assemblea v. Cariello, Il sistema dualistico, Torino, 2012, 194; Id., Il sistema dualistico: vincoli tipologici e autonomia statutaria, Milano, 2009, 97 s.).

Nessuna norma impone l'iscrizione della nomina nel registro delle imprese. Parte della dottrina (cfr. Borgioli, I direttori, cit., 301) ha però affermato la necessità dell'iscrizione della nomina (o dell'atto di conferimento dei poteri ove successivo), quando sia attribuito anche il potere di rappresentanza rispetto a una pluralità di atti (in forza dei principi in tema di procura: artt. 1392, 1393, 1396, 1397 c.c.).

In evidenza: circolare Ministero Sviluppo Economico, prot. 0192958 del 18 settembre 2012

Il Ministero dello Sviluppo Economico, invece, in una recente circolare ha escluso la possibilità di dare pubblicità alla nomina «sia nel caso in cui la carica abbia rilevanza solamente interna alla società (compiti di direzione interna, amministrativa o tecnica), sia nel caso in cui, invece, alla stessa sia ricollegato il potere di rappresentare la società con effetti vincolanti nei rapporti esterni», argomentando sulla base del principio di tassatività delle iscrizioni a registro imprese (per una critica alle conclusioni raggiunte sia consentito rinviare a Folladori, voce “Direttore generale”, in Digesto delle discipline privatistiche - Sezione Commerciale, Aggiornamento, IV ed., Milanofiori Assago, 2015, 206).

Estinzione del rapporto e revoca

Anche rispetto alla cessazione del rapporto con il direttore generale non è prevista una disciplina specifica, che deve, quindi, essere ricostruita in base alla natura del rapporto nel caso specifico. Tra le cause di cessazione, si deve considerare anzitutto il recesso da parte del datore di lavoro (artt. 2118 e 2119 c.c.), da parte del mandante (artt. 1722, n. 2 e 1725 c.c.) e il recesso/rinuncia da parte del direttore stesso (artt. 2119, 1722, n. 3, 1727 c.c.).

Per quanto riguarda i soggetti competenti a disporre la revoca del direttore generale, secondo una parte degli interpreti, verrebbero in rilievo le specifiche modalità di nomina concretamente adottate. E' stato, infatti, sostenuto che, quando la nomina è compiuta con delibera assembleare, l'assemblea dovrebbe essere chiamata a esprimersi anche sull'interruzione del rapporto con il dirigente (così ad esempio Abbadessa, 481; Borgioli, I direttori, cit., 248 s.). In senso contrario si è, però, convincentemente replicato osservando che, in considerazione del ruolo di supremazia gerarchica e stante la responsabilità generale degli amministratori per la gestione della società ex art. 2380-bis c.c., a questi deve essere riconosciuta la facoltà di revocare il dirigente (almeno) quando sussista una giusta causa di revoca, a prescindere dalla circostanza che il direttore generale sia stato nominato dall'assemblea (così ad esempio, Bonelli, 230 s.).

Discussa è poi l'applicabilità al direttore generale delle due peculiari ipotesi di revoca dell'amministratore previste dagli artt. 2409, comma 4, ultima parte, e 2393, comma 3, c.c. pronunciate dal tribunale, la prima a seguito di denuncia di gravi irregolarità, la seconda a fronte della delibera assembleare favorevole all'esercizio dell'azione sociale di responsabilità, quando essa sia approvata da almeno un quinto del capitale sociale. Secondo una parte degli interpreti, mentre l'art. 2409, comma 4, ultima parte, c.c. non sarebbe applicabile al direttore generale in quanto norma speciale, in assenza di rinvio espresso, la revoca automatica in caso di esercizio dell'azione sociale di responsabilità troverebbe applicazione in quanto ritenuta parte integrante delle disposizioni a cui fa rinvio l'art. 2396 c.c. e ritenendo che la ratio di «evitare rischi di inquinamento delle prove e, più in generale, remore all'esercizio dell'azione deliberata» sia ravvisabile anche nei confronti del direttore generale (così ad esempio Abbadessa, cit., 483 s.).

Nel caso in cui al direttore generale sia attribuito il potere di rappresentanza, ai sensi dell'art. 2207 c.c., si ritiene necessario depositare per l'iscrizione nel registro delle imprese la revoca dell'incarico (id est, della procura) ai fini dell'opponibilità ai terzi, e ciò, secondo quanto prevede espressamente l'art. 2207 c.c., anche se la procura non fosse stata originariamente pubblicata.

Il rapporto con il direttore generale potrebbe poi arrestarsi a seguito del fallimento della società. Rispetto a questa situazione, a fronte delle modifiche apportate all'art. 78 l. fall. con il d.l. 9 gennaio 2006, n. 5, non vi è più discrepanza tra le discipline del lavoro subordinato e del mandato, che prevedono entrambe la continuazione del rapporto in caso di fallimento del datore di lavoro/mandante (v. art. 2119, comma 2, c.c.; art. 78, comma 3, l. fall.; se a fallire è il mandatario l'art. 78 comma 2, l. fall., invece prevede lo scioglimento del contratto). Per effetto della sostituzione del curatore all'organo amministrativo per quanto attiene all'amministrazione del patrimonio fallimentare, il direttore generale dovrà eseguire le direttive impartite dal curatore e collaborare con lui.

La responsabilità del direttore generale

L'art. 2396 c.c. dispone un'estensione del regime di responsabilità proprio degli amministratori «ai direttori generali nominati dall'assemblea o per disposizione dello statuto».

Un primo problema posto dalla norma è quello di individuarne il campo applicativo dal punto di vista soggettivo, verificando se la disposizione valga anche rispetto al direttore generale nominato dagli amministratori in assenza di una previsione in statuto e al direttore di fatto.

La dottrina sul punto è divisa.

Secondo una prima ricostruzione, l'applicazione estensiva andrebbe esclusa in considerazione del dettato normativo che si riferisce soltanto ai direttori “ritualmente” nominati. Secondo questa tesi, solo quando la nomina proviene dall'assemblea o avviene in base a previsioni statutarie, il direttore generale assurgerebbe alla funzione di organo della società. Secondo una diversa interpretazione, invece, si dovrebbe applicare il regime di responsabilità dei direttori generali di cui all'art. 2396 c.c. anche nell'ipotesi di nomina “irrituale”, per l'esigenza di riaffermare il binomio potere-responsabilità. Secondo questa seconda interpretazione, ogni volta in cui un soggetto svolge quelle funzioni amministrative di rilievo strategico (tipiche degli amministratori) e ha piena conoscenza delle vicende aziendali, si rende necessario applicare il regime di responsabilità proprio di chi ricopre un ruolo apicale nell'organizzazione societaria, ossia gli amministratori, a prescindere da una formale investitura. A conferma di queste conclusioni si potrebbe, altresì, richiamare la disciplina dettata per il dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari (art. 154-bis T.U.F., su cui v. infra, ultimo paragrafo), che riproduce la disciplina dell'art. 2396 c.c. con riferimento alla responsabilità, prescindendo dalle modalità della nomina, in considerazione del ruolo di vertice da questi ricoperto.

L'applicabilità dell'art. 2396 c.c. al direttore generale nominato “irritualmente”: orientamenti a confronto

Orientamento contrario

Orientamento favorevole

Cass. 5 dicembre 2008, n. 28819, cit.

Cass. 14 settembre 1999, n. 9795

Cass. 12 dicembre 2003, n. 18995

Trib. Napoli 20 aprile 1989, in Società, 1989, 1163 s.

Abbadessa, cit., 469 ss.

Borgioli, Il direttore di società per azioni nella prassi statutaria, in Riv. soc., 1972, 163 ss., Id., Amministratori di fatto e direttori generali, in Giur. comm., 1975, II, 609 ss.

Bonelli, cit., 229

Dolmetta-Sciarrone Alibrandi, Questioni attuali sulla figura del “Direttore generale” d'impresa, in AA.VV., Amministrazione e controllo nel diritto delle società: liber amicorum Antonio Piras, diretto da Abbadessa-Angelici-Mazzoni, Torino, 2010,412; Dolmetta, 101 ss.

Franzoni, cit., 602

Audino, Commento all'art. 2396, in Il nuovo diritto delle società, Padova, 2005, 868

Salafia, Il direttore generale nelle società commerciali, in Società, 2009, 1479

Bartalini, La responsabilità degli amministratori e dei direttori generali di società per azioni, Torino, 2000, 337 s. e 343

Per quanto riguarda il perimetro oggettivo del rinvio operato dall'art. 2396 c.c. ai principi che regolano la responsabilità degli amministratori, si ritiene che esso comprenda tutte le disposizioni che la disciplinano, presupposti sostanziali inclusi, e che, quindi, per il tramite di tale rinvio, sia possibile delineare anche il sistema dei doveri e dei poteri propri del direttore generale. Ne deriva che questo è tenuto a rispettare una serie di obblighi comuni agli amministratori afferenti al ruolo apicale ricoperto. Tra essi rientrano, a titolo esemplificativo, i doveri:
(i) di svolgere i compiti affidatigli con la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico e delle specifiche competenze (ex art. 2392, comma 1, c.c.);
(ii) di impedire il compimento di fatti pregiudizievoli o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose (ex art. 2392, comma 2, c.c.);
(iii) di astenersi dal compiere operazioni non funzionali all'attuazione dell'oggetto sociale (ex art. 2380-bis, comma 1, c.c.);
(iv) di uniformarsi, in presenza di interessi “laterali”, alle previsioni dell'art. 2391, c.c., in presenza di operazioni con parti correlate, a quelle dell'art. 2391-bis c.c.;
(v) di non compiere atti in violazione del divieto di concorrenza (ex art. 2390, comma 1, c.c.);
(vi) di adempiere agli obblighi previsti in caso di liquidazione (ex art. 2486, comma 1, c.c.).

Occorre, peraltro, tenere distinte le posizioni dell'amministratore e del direttore generale e le relative responsabilità, l'una consistendo nella gestione dell'impresa, l'altra nell'esecuzione delle decisioni impartite dall'organo amministrativo, sia pure entrambi rivestendo un ruolo apicale nella organizzazione societaria. La responsabilità del direttore generale è, infatti, autonoma rispetto a quella degli amministratori, sebbene tendenzialmente concorrente. Essa sorge per effetto della violazione di obblighi propri e più limitati, attinenti alla esecuzione delle direttive dell'organo amministrativo e non può essere estesa ai danni derivanti dall'assunzione di tali direttive. Nel valutare la sussistenza di una responsabilità in capo al direttore generale occorre tenere conto del fatto che:
(i) l'art. 2396 c.c. delimita la responsabilità dei direttori generali «in relazione ai compiti loro affidati» (che, generalmente, si riferiscono a settori specifici);
(ii) rispetto agli amministratori questi si trovano pur sempre in posizione subordinata (non gli spetta, quindi, il compito di sorvegliare l'operato degli amministratori: v. di recente Trib. Roma 28 settembre 2015, n. 18459); e
(iii) esistono, in ogni caso, funzioni indelegabili ai sensi dell'art. 2381, comma 4, c.c. da parte degli amministratori che restano di loro esclusiva responsabilità;
(iv) si ritiene applicabile la regola interpretativa della business judgement rule dal momento che anche le decisioni del direttore generale assumono sovente carattere strategico e richiedono valutazioni tipicamente imprenditoriali.

Per evitare di incorrere in responsabilità a norma dell'art. 2392 c.c. nei confronti della società, il direttore generale può rifiutarsi di eseguire delibere consiliari che ritiene illegittime. Secondo una parte degli interpreti, sarebbe necessario inoltre annotare il dissenso nel libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio di amministrazione, dandone immediata notizia per iscritto al presidente del collegio sindacale, ai sensi e per gli effetti dell'art. 2392, ult. comma, c.c. (così ad esempio Abbadessa, 478; per la tesi negativa, invece, v. Borgioli, I direttori, cit., 316).

Le azioni esercitabili nei confronti del direttore generale

L'art. 2396 c.c., nel richiamare le disposizioni in tema di responsabilità degli amministratori, fa «salve le azioni esercitabili in base al rapporto di lavoro con la società». Questa parte della norma, modificata con il d.lgs. 7 gennaio 2003, n. 6, accostando esplicitamente il regime di responsabilità proprio dell'amministratore al regime del rapporto di lavoro, dà conto della possibilità di un concorso di azioni – l'azione di responsabilità di diritto societario e quella fondata sul rapporto di lavoro – nei confronti del direttore generale.

Al riguardo occorre anzitutto considerare che l'art. 3, comma 2, lett. a) del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1 (convertito nella L. 24 marzo 2012) prevede che le azioni di responsabilità da chiunque promosse contro il direttore generale sono di competenza inderogabile e funzionale del Tribunale delle Imprese. Ancora, l'art. 144-ter disp. att. c.p.c. esclude dalla competenza del giudice del lavoro le controversie di cui all'art. 50-bis, comma 1, n. 5), seconda parte, c.p.c., ossia le cause di responsabilità promosse da chiunque contro (anche) i direttori generali.

Dal punto di vista della disciplina sostanziale – che varia a seconda che si ritenga di esercitare una azione di diritto societario oppure di diritto del lavoro (sia dal punto di vista del soggetto competente a decidere l'esercizio dell'azione, sia rispetto al rito e alla disciplina in punto di prescrizione applicabile) – individuare un criterio interpretativo potrebbe sembrare poco agevole. Secondo una tesi, che ha recentemente avuto riconoscimento da parte della Corte di Cassazione (Cass. 24 luglio 2015, n. 15619), l'ultimo inciso dell'art. 2396 c.c. consentirebbe di agire davanti al giudice del lavoro per chiedere il risarcimento dei danni derivanti da violazione dei doveri del direttore generale (in tal senso in dottrina: Antonetto, sub art. 2396 c.c., in Il nuovo diritto societario, Bologna, 2004, 850; Canestrari, Figure del diritto commerciale, in La colpa nella responsabilità civile, II, Milanofiori Assago, 2006, 655 s.; in termini meno espliciti v. Petronzio, Direttore Generale, in Diritto commerciale, Milano, 2011, 349; Audino, 865). Si è già avuto modo di sostenere altrove (Folladori, La responsabilità del direttore generale, in Riv. dir. comm., 2015, 526 ss.) che pare più corretto collegare l'attinenza dell'azione al diritto societario o alla disciplina giuslavoristica a seconda delle specifiche contestazioni mosse al direttore generale: ferma l'applicazione del diritto del lavoro alle azioni diverse da quelle risarcitorie, per queste ultime si dovrebbe applicare il diritto societario quando le azioni attengono a violazioni concernenti mansioni apicali; si dovrebbe, invece, applicare il diritto del lavoro quando esse riguardano violazioni nello svolgimento di mansioni non apicali, comuni a ogni lavoratore.

Nei confronti del direttore generale possono agire più soggetti. In forza del richiamo in blocco delle disposizioni in tema di responsabilità degli amministratori:

(i) ai sensi dell'art. 2393, comma 1, c.c. l'assemblea dei soci ha il potere di deliberare l'esercizio dell'azione sociale di responsabilità (oltre che, ai sensi dell'ultimo comma della norma, quello di decidere sulla rinuncia all'azione e sulla transazione);

(ii) ai sensi del terzo comma dell'art. 2393 c.c., inoltre, anche al collegio sindacale (con maggioranza qualificata) è riconosciuta una competenza deliberativa in ordine all'azione di responsabilità nei confronti dell'amministratore (e quindi, per quel che qui rileva, del direttore generale);

(iii) ai sensi dell'art. 2393-bis c.c., l'azione sociale potrebbe essere esercitata da una minoranza qualificata di soci;

(iv) ai sensi dell'art. 2394 c.c. l'azione spetta anche ai creditori sociali;

(v) ai sensi dell'art. 2394-bis, in caso di fallimento, l'azione spetta al curatore;

(vi) e, infine, nel differente caso di azione individuale per danno diretto, ai sensi dell'art. 2395 c.c., l'azione spetta anche al singolo socio e al terzo.

Dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari

Una particolare figura di ausiliario dell'imprenditore, che spesso si affianca al direttore generale, è il dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari (anche noto come direttore finanziario), a cui fa riferimento principalmente l'art. 154-bis T.U.F. (oltre che alcune delle norme indicate nella sezione “Riferimenti Normativi”). La norma, in recepimento della direttiva Transparency (direttiva 2004/109/CE del 15 dicembre 2004, attuata in Italia con il d.lgs. 6 novembre 2007, n. 195), impone agli emittenti quotati «aventi l'Italia come Stato membro d'origine» di prevedere nei propri statuti questa figura, definendone i requisiti di professionalità e le modalità di nomina (su questa figura v. per tutti Strampelli, Il dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili nella governance societaria, in AAVV, Amministrazione e controllo nel diritto delle società: liber amicorum Antonio Piras, Torino, 2010, 535 ss., dove ulteriori riferimenti bibliografici). Al direttore preposto spettano specifici compiti, elencati nell'articolo citato, tra cui, quello di predisporre adeguate procedure amministrative e contabili per la formazione del bilancio di esercizio e, ove previsto, del bilancio consolidato, nonché di ogni altra comunicazione di carattere finanziario. Questa attività rientra nella più ampia predisposizione dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile dell'impresa di cui all'art. 2380-bis c.c., che è compito tipicamente degli amministratori, in quanto afferente alla gestione della società.

Rispetto al direttore generale, il dirigente preposto si trova in posizione subordinata; gli competono specifici poteri distinti e la sua nomina è obbligatoria per le società quotate (mentre, come si è già osservato, quella del direttore generale è tendenzialmente facoltativa). E' dubbia la possibilità di cumulare i due incarichi: a favore della risposta positiva viene osservato che «in forza del d.lgs. n. 303 del 2006 e a differenza della versione originale dell'art. 154-bis T.U.F. - non è più prevista la dichiarazione congiunta del direttore generale e del dirigente contabile, ma soltanto quella di quest'ultimo in ordine agli atti ed alle comunicazioni aventi ad un oggetto un'informativa contabile (art. 154-bis, comma 2, T.U.F.)» (Irrera, Il dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili nella legge sulla tutela del risparmio e nel decreto correttivo, in Giur. comm., 2007, I, 487).

Per questa affinità di funzioni e per il ruolo apicale rivestito nella elaborazione e attestazione della documentazione contabile, l'art. 154-bis, ultimo comma, T.U.F, prevede in generale, che «ai dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari» (a prescindere dalle modalità di nomina) si applicano le disposizioni che regolano la responsabilità degli amministratori, con norma analoga al già esaminato art. 2396 c.c.

Tale previsione fornisce un ulteriore spunto per ricostruire un principio di sistema valido per tutti i dirigenti apicali che giustifica l'estensione del peculiare regime di responsabilità previsto per gli amministratori, senza che a tal fine rilevi la modalità di nomina del dirigente. Essendo poi generalmente configurabile un rapporto di lavoro subordinato tra la società e il dirigente preposto, come per il direttore generale, l'articolo sopra richiamato, all'ultimo comma, precisa che sono salve le azioni esercitabili in base al rapporto di lavoro con la società.

Si ripropone pertanto anche con riferimento a questa figura, quindi, quanto osservato nel precedente paragrafo.

Riferimenti normativi
  • Artt. 2396, 2434, 2621, 2622, 2634, 2635, 2638 c.c.
  • Artt. 146, 223, 224, 225, 226 l. fall.
  • Artt. 72, comma 5; 84, comma 5, TUB
  • Artt. 123-ter; 154-bis, 162 TUF
  • Art. 5, D.L. 5 dicembre 2005, n. 252
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