Legge Pinto: per la Corte costituzionale l'indennizzo può essere chiesto anche durante il giudizio

Redazione scientifica
27 Aprile 2018

La Corte costituzionale, con la sentenza depositata lo scorso 26 aprile, ha dichiarato che la “legge Pinto” è costituzionalmente illegittima nella parte in cui non prevede che la domanda di equa riparazione possa essere proposta in pendenza del procedimento in cui è maturato l'irragionevole ritardo.

Il caso. Con quattro ordinanze di analogo tenore, la Corte di cassazione ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell'art. 4 della l. n. 89/2001, come sostituito dall'art. 55, comma 1, lett. d), d.l. n. 83/2012 conv. con modif. nella l. n. 134/2012 in riferimento agli artt. 3, 111, comma 2, e 117, comma 1, Cost., quest'ultimo in relazione agli artt. 6, paragrafo 1 e 13 Cedu.

Irragionevole durata del processo. La disposizione censurata, nel significato ormai assunto a “diritto vivente”, infatti, «preclude la proposizione della domanda di equa riparazione in pendenza del procedimento nel cui ambito la violazione della ragionevole durata si assume essersi verificata». La Corte di legittimità ha, dunque, censurato la norma proprio nella parte in cui condiziona la proponibilità della domanda di equa riparazione alla previa definizione del procedimento presupposto.

I giudici ricordano sul punto la sentenza n. 30/2014 con la quale la Consulta, nello scrutinare una simile questione di legittimità costituzionale, ha ravvisato nel differimento dell'esperibilità del rimedio un pregiudizio alla sua effettività, sollecitando l'intervento correttivo del legislatore.

L'indennizzo può essere proposto durante il giudizio. Nonostante tale invito, il legislatore non ha rimediato al vulnus costituzionale riscontrato, pertanto, la Corte costituzionale ha dichiarato l'art. 4 della legge n. 89/2001 costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede che la domanda di equa riparazione, una volta maturato il ritardo, possa essere proposta in pendenza del procedimento presupposto.

Il rinvio ai giudici comuni e al legislatore. Posta di fronte a una grave lesione di un diritto fondamentale, la Corte è stata costretta a porvi rimedio, ma precisa: «spetterà da un lato, ai giudici comuni trarre dalla decisione i necessari corollari sul piano applicativo, avvalendosi degli strumenti ermeneutici a loro disposizione; e, dall'altro, al legislatore provvedere eventualmente a disciplinare, nel modo più sollecito e opportuno, gli aspetti che apparissero bisognevoli di apposita regolamentazione».

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