Il tribunale di Roma getta una luce nuova sull'interpretazione della nozione di ramo di azienda

Ilario Alvino
31 Maggio 2018

Si configura come trasferimento di ramo di azienda anche la cessione di un gruppo organizzato di lavoratori per fornire un servizio economicamente valutabile, senza che sia necessario dimostrare la comunanza di un know how specialistico, né potendo assumere rilevanza l'eventuale incapacità del ramo a produrre un vero e proprio risultato finale autonomo nell'appalto accedente alla cessione.
Massima

Si configura come trasferimento di ramo di azienda, ai sensi dell'art. 2112 c.c., anche la fattispecie della cessione di un gruppo organizzato di lavoratori per fornire un servizio caratterizzato ed economicamente valutabile, senza che sia necessario dimostrare la comunanza di un know how specialistico, né potendo assumere rilevanza l'eventuale incapacità del ramo a produrre un vero e proprio risultato finale autonomo nell'appalto accedente alla cessione.

Il caso

Il Tribunale di Roma ricostruisce la fattispecie oggetto della controversia come segue.

Presso il cedente (IBM) era costituita una struttura, denominata TSS, deputata alle attività di riparazione e manutenzione degli apparati venduti dalla cedente medesima ai propri clienti. All'interno di tale struttura erano impiegati circa 1000 dipendenti.

Alla direzione di tale struttura era preposto un dirigente, al quale riportava un quadro, che a sua volta era preposto al coordinamento dell'attività di una serie di figure. Alla base dell'organizzazione della struttura, infine, erano collocati i tecnici materialmente addetti agli interventi di manutenzione.

L'organizzazione della TSS era completata da alcune figure di supporto, ossia lavoratori impiegati in attività necessarie a rendere possibile l'erogazione del servizio finale. Si trattava, in particolare, delle seguenti strutture: a) RMC (Remote Management Control), deputata a ricevere le richieste di intervento, inoltrate da un call center internazionale, e a contattare il tecnico più vicino, tra quelli competenti a realizzare l'intervento, per incaricarlo dell'attività, affrontando con lui l'eventuale esigenza di fornitura di pezzi di ricambio; b) CPO, incaricata di far pervenire i pezzi di ricambio al tecnico; c) altre funzioni di supporto all'attività dei tecnici di manutenzione.

Nel marzo del 2005 veniva estrapolato dalla struttura TSS il ramo di azienda TSS-SS contenente l'insieme delle strutture deputate ad erogare i servizi di supporto all'attività dei tecnici ed il personale dedicato a tale attività.

In conseguenza di ciò, la struttura TSS manteneva al suo interno il personale addetto agli interventi di manutenzione e il dirigente già in precedenza preposto al vertice della medesima struttura.

I lavoratori ricorrenti contestavano l'applicabilità dell'art. 2112 c.c. al trasferimento della struttura TSS-SS (per ottenere la dichiarazione della permanenza del rapporto di lavoro alle dipendenze del cedente) sostenendo che quest'ultima non fosse configurabile come un ramo di azienda, essendo priva di autonomia funzionale preesistente, ma trattandosi di un mero assemblaggio di attività disparate prive di legame funzionale tra loro. La struttura trasferita, inoltre, non sarebbe stata idonea a rendere un autonomo servizio, essendo priva di dirigenti, di tecnici e di strumenti (rimasti nella proprietà della cedente) e non essendo stati ceduti i contratti di manutenzione con i clienti e i contratti con i gestori dei magazzini. I ricorrenti argomentavano, inoltre, che la cedente, anche dopo l'intervenuto trasferimento, avrebbe continuato a dirigere e controllare l'attività della TSS-SS.

Infine, veniva censurata l'asserita violazione della procedura di informazione e consultazione sindacale prevista dall'art. 47, L. n. 428/1990, per non essere stata informata e convocata la USB (avente propri esponenti nella RSU) e per la mancata presenza del cessionario.

Resistevano le convenute (cedente e cessionario), argomentando che:

a) l'estrapolazione dalla TSS della TSS-SS aveva dato rilevanza organizzativa esterna alle due funzioni obiettivamente distinte, quella di manutenzione diretta ed i relativi servizi ausiliari “support service, che essa aveva appaltato alla cessionaria;

b) tali servizi, connotati da specifiche procedure, comprendevano il ricevimento da apposito call center internazionale della richiesta di intervento del cliente, la verifica della presenza in magazzino dei ricambi eventualmente necessari, l'individuazione e l'attivazione del tecnico disponibile più vicino sul territorio;

c) la cessione aveva compreso i pc e i sistemi operativi che gli operatori utilizzavano prima della cessione;

d) tutte le risorse addette al ramo erano munite di skills specifici e che le stesse, insieme con il quadro già in precedenza preposto al loro coordinamento, erano state trasferite al cedente;

e) la USB aveva partecipato alla procedura sindacale, la cui eventuale violazione non poteva comunque avere effetti sul trasferimento del rapporto.

La questione

La questione centrale affrontata dal Tribunale di Roma nella sentenza in commento riguarda l'interpretazione della nozione di ramo di azienda dettata dall'art. 2112 c.c. e quindi l'identificazione dei requisiti necessari affinché la struttura in concreto possa essere qualificata come ramo di azienda ai fini della continuità presso il cessionario dei rapporti di lavoro dei lavoratori in essa impiegati.

Una questione, questa, che la fattispecie oggetto di controversia impone di affrontare nella peculiare prospettiva delle attività c.d. labour intensive, ossia di quelle attività per la realizzazione delle quali è richiesto l'impiego di una struttura produttiva costituita in via esclusiva o almeno fortemente prevalente di lavoratori.

Il tema, com'è noto, è stato già affrontato dalla Corte di Giustizia dell'UE nella giurisprudenza formatasi nell'ambito dei giudizi aventi ad oggetto la compatibilità con la Direttiva europea “concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti” (si tratta della Direttiva 2001/23/CE, che ha sostituito le precedenti Direttive in materia).

In queste sentenze la Corte di Giustizia ha ammesso che la fattispecie dell'entità economica possa essere integrata da un gruppo organizzato di lavoratori se l'attività produttiva ha natura tale da poter essere svolta in via prevalente o esclusiva senza l'impiego di rilevanti beni materiali.

In questa prospettiva, la Corte ha rilevato che in determinati settori l'attività si basa essenzialmente sulla manodopera, cosicché “un complesso strutturato di lavoratori, malgrado la mancanza di significativi elementi patrimoniali, materiali o immateriali, può corrispondere ad un'entità economica” ai sensi della Direttiva (così CGUE 6 settembre 2011, C-108/10, Scattolon, punti 48-49. Nello stesso senso già: CGUE 10 dicembre 1998, cause riunite C‑127/96, C‑229/96 e C‑74/97, Hernández Vidal e a.; Hernàndez Vidal e a. CGUE 10 dicembre 1998, cause riunite C‑173/96 e C‑247/96, Hidalgo e a.).

In queste ipotesi, dunque, la qualificazione del gruppo di lavoratori quale entità economica non può essere esclusa per il semplice fatto che l'entità non comprende elementi patrimoniali materiali o immateriali.

Piuttosto il gruppo di lavoratori deve possedere una sufficiente autonomia che sempre la Corte “riferisce ai poteri, riconosciuti ai responsabili del gruppo di lavoratori di cui trattasi, di organizzare, in modo relativamente libero e indipendente, il lavoro in seno al citato gruppo e, in particolare, di impartire istruzioni e distribuire compiti ai lavoratori subordinati appartenenti a tale gruppo, e ciò senza intervento diretto da parte di altre strutture organizzative del datore di lavoro” (Così CGUE 6 settembre 2011, C-108/10, Scattolon, punto 51, che richiama CGUE 9 luglio 2010, C‑151/09, UGT‑FSP).

Nel caso in cui l'entità economica consista in un gruppo di lavoratori, è rispettato il requisito del mantenimento dell'identità in quanto il nuovo datore di lavoro prosegua l'attività, assumendo una parte sostanziale, in termini di numero e di competenze, di detti lavoratori (Così CGUE 6 settembre 2011, C-108/10, Scattolon, punto 62).

Pur avendo riconosciuto che nell'economia moderna la struttura deputata allo svolgimento dell'attività produttiva possa essere costituita da un gruppo organizzato di lavoratori, la giurisprudenza italiana ritiene però che il solo gruppo organizzato di lavoratori non sia idoneo ad integrare gli estremi del ramo di azienda ai sensi dell'art. 2112 c.c. Come rilevato dal Tribunale di Roma, invero, la giurisprudenza italiana richiede che affinché possa trovare applicazione la citata norma codicistica, il passaggio dei lavoratori debba essere accompagnato dal passaggio di beni di non trascurabile entità o dal passaggio di un particolare “know hownel senso di competenze immateriali (Cfr. Cass. sez. lav., 31 luglio 2017, n. 19034; Cass. sez. lav., 19 gennaio 2017, n. 1316; Cass. sez. lav., 20 maggio 2016, n. 10542; Cass. sez. lav., 31 maggio 2016, n. 11247; Cass. sez. lav., 15 dicembre 2015, n. 25229; Cass. sez. lav., 18 marzo 2015, n. 5425; Cass. sez. lav., 15 marzo 2017, n. 6770; Cass. civ. sez. VI, 20 luglio 2016, n. 14972).

Oggetto della controversia era dunque quello di appurare se il ramo di azienda TSS-SS presentasse i requisiti richiesti dalla giurisprudenza europea e nazionale ai fini della applicabilità dell'art. 2112 c.c.

La sentenza in commento affronta, inoltre, alcune questioni connesse agli effetti di eventuali vizi dei quali possa essere affetta la procedura di informazione e consultazione sindacale che, ai sensi dell'art. 47, L. n. 428/1990, deve precedere il trasferimento di azienda.

In particolare, viene chiesto al Tribunale di pronunciarsi, per un verso, sui soggetti sindacali che devono considerarsi destinatari della comunicazione che apre la procedura e, per l'altro verso, di indicare se i vizi della procedura possano incidere sulla validità del trasferimento d'azienda e dunque sull'effetto della cessione del singolo contratto di lavoro al cessionario.

Le soluzioni giuridiche

Il Tribunale di Roma risolve la controversia in esame in aperto dissenso con gli orientamenti espressi dalla giurisprudenza di legittimità dedicata all'interpretazione dell'art. 2112 c.c. In particolare, a detta del Tribunale di Roma, l'orientamento prevalente della Suprema Corte sarebbe in contrasto con l'interpretazione della Direttiva europea in materia offerta dalla Corte di Giustizia.

Ed invero, la giurisprudenza di legittimità, al fine di rendere possibile l'applicazione dell'effetto della continuità dei rapporti di lavoro, non ritiene sufficiente, a differenza della Corte di Giustizia, affinché un gruppo organizzato di lavoratori possa essere considerato come ramo di azienda ai sensi del codice civile, che l'elemento personale assuma un rilievo preminente in relazione al tipo di attività. A detta della Suprema Corte è invece necessario che quel gruppo di lavoratori sia dotato di un particolare know how.

Tale requisito non ha però, a detta del Tribunale, alcun fondamento, oltre che nella Direttiva europea, neanche nello stesso art. 2112 c.c. “se solo si pensa che la cessione di intere aziende, senz'altro considerata dalla disposizione e dalla Direttiva, comporta normalmente il trasferimento di personale oltremodo eterogeneo per qualifica e funzioni”. Ne deriva ancora che il requisito del know how richiesto dalla giurisprudenza italiana “svolge la mera funzione “negativa” di escludere che il ramo possa consistere in un mero gruppo preorganizzato ed idoneo a fornire un servizio obiettivamente caratterizzato ed obiettivamente valutabile, occorrendo qualche forma di “plusvalore”; argomento a sua volta meramente funzionale ad impedire la trasferibilità di mero lavoro organizzato, anche in presenza degli altri presupposti”.

Il Tribunale di Roma critica altresì l'approccio, ricorrente nella giurisprudenza di legittimità, volto a condizionare il giudizio sulla sussistenza di un trasferimento di ramo di azienda ai sensi dell'art. 2112 c.c. al modo in cui si svolgono successivamente i rapporti fra il cessionario dell'azienda, divenuto appaltatore del servizio reso a vantaggio del cedente tramite l'impiego della struttura oggetto della cessione.

In questo modo, osserva in maniera condivisibile il Tribunale, vengono confusi due piani che invece dovrebbero rimaner distinti. Ciò poiché “l'eventuale incapacità del ramo a produrre un vero e proprio risultato finale autonomo nell'appalto accedente alla cessione rileva semmai sul piano della genuinità dell'appalto e del riscontro della fattispecie della interposizione illecita di manodopera […]; ma non per questo rileva sul piano dell'applicabilità dell'art. 2112 c.c., che […] ha un ambito di applicazione più largo, perché in sostanza ispirato alla necessità di conservare i diritti del personale appartenente ad una “entità economica” trasferita, alla sola condizione (posta in realtà a tutela dell'interesse del cessionario) che questa fosse già stata organizzata e fosse già autonomamente capace a fornire, senza apprezzabile apporto esterno, un servizio caratterizzato ed economicamente valutabile; il che equivale a dire che può funzionare potenzialmente come impresa autonoma, anche se produttiva di un servizio accessorio; senza che rilevi, invece, che operi come tale nei rapporti, peraltro meramente eventuali, tra cedente/committente e cessionario/appaltatore”.

Il Tribunale di Roma rigetta dunque il ricorso riconoscendo nella struttura trasferita tutti gli elementi che qualificano il ramo di azienda, se interpretato conformemente alla Direttiva europea.

Con riferimento, infine, alla procedura di informazione e consultazione sindacale, il Tribunale si uniforma invece all'orientamento assolutamente consolidato, secondo il quale qualunque vizio di cui dovesse essere affetta la procedura non può avere effetti a livello individuale, cosicché il trasferimento di azienda sarebbe comunque idoneo a produrre i propri effetti e il lavoratore potrebbe dunque dirsi autonomamente transitato alle dipendenze del cessionario (Cass. sez. lav., 4 gennaio 2000, n. 23; Cass. sez. lav., 22 agosto 2005, n. 17072; Cass. sez. lav., 13 novembre 2009, n. 24093).

Ad ogni modo, il Tribunale esclude che nel caso di specie si siano venuti a configurare vizi della procedura di informazione e consultazione in ragione del fatto che, da un lato, la comunicazione, ai sensi dell'art. 47, L. n. 428/1990, deve essere inviata alla sola RSU e non anche alle OOSS di appartenenza dei suoi componenti, e, dall'altro, che è pienamente ammissibile che il trasferimento del ramo venga stipulato a vantaggio di un soggetto ancora da costituire (e quindi privo di rappresentanze aziendali).

Osservazioni

La sentenza in commento è di grande interesse e suscettibile di indicare una strada nuova nella lettura dell'art. 2112 c.c. rispetto a quello reperibile nella giurisprudenza assolutamente prevalente.

Strada nuova che, come correttamente osserva lo stesso Tribunale, appare maggiormente coerente con i contenuti della Direttiva europea in materia, così come interpretata in una consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia.

Giurisprudenza, quella europea, sicuramente non monolitica e sicuramente oscillante su alcuni profili, ma indubbiamente consolidata nell'offrire un'interpretazione della Direttiva europea volta a favorirne il più ampio ambito di applicazione possibile allo scopo di assicurare la conservazione dei diritti del lavoratore, che vuol dire conservazione del rapporto di lavoro, innanzitutto, e del trattamento economico e normativo ad esso connesso.

Tre possono essere considerati i profili di grande novità con riferimento alla ricostruzione della nozione di ramo di azienda che la sentenza in commento apporta al panorama della giurisprudenza nazionale.

Il primo di tali profili è costituito dal riconoscimento della possibilità di qualificare come ramo di azienda il gruppo organizzato di lavoratori, a prescindere da ogni valutazione circa eventuali valori immateriali che dovrebbero caratterizzare tale gruppo.

Conformemente a quanto indicato dalla giurisprudenza europea, ciò che rende ramo di azienda il gruppo di lavoratori è che questo sia organizzato per l'erogazione di un determinato servizio, che può dunque costituire il portato dell'agire organizzato del gruppo, a prescindere da ogni considerazione relativa agli eventuali apporti di valore che possono derivare dall'eventuale know how di cui dovrebbe essere portatore il gruppo.

L'applicazione del principio appena indicato consente di ritenere qualificabile come ramo di azienda il gruppo di lavoratori organizzato che come tale transiti alle dipendenze del cessionario.

Il secondo aspetto sul quale il Tribunale di Roma getta una luce nuova è costituito dal modo in cui deve essere letto il rapporto che sussiste tra la struttura oggetto di cessione e la restante parte dell'impresa cedente, da un lato, e la struttura produttiva del cessionario, dall'altra.

Al riguardo, il Tribunale di Roma rileva opportunamente che è priva di senso, e comunque non compatibile con la definizione dettata dall'art. 2112 c.c., l'affermazione secondo la quale il ramo di azienda sarebbe tale solo se assumesse i caratteri di una struttura totalmente autosufficiente rispetto alla restante parte dell'impresa della cedente. È naturale infatti che, qualunque sia il servizio erogato, la struttura ad esso deputata sia destinata a coordinarsi con le altre articolazioni dell'impresa.

In prospettiva analoga, e questo costituisce il terzo profilo originale della prospettiva sposata nella sentenza in commento, le valutazioni relative alla eventuale dipendenza della struttura della cessionaria da quella della cedente successivamente all'intervenuto trasferimento non possono incidere sulla valutazione dell'applicabilità dell'art. 2112 c.c., dovendo piuttosto rilevare sul piano della valutazione della eventuale configurazione di un'interposizione di manodopera.

Guida all'approfondimento

- I. Alvino, Il trasferimento d'azienda, in AA.VV., Vicende ed estinzione del rapporto di lavoro, Vol. III, Milano, Giuffrè, 2018, 47;

- E. Boghetich, Commento all'art. 2112 c.c., in G. Amoruso, V. Di Cerbo, A. Maresca (a cura di), Diritto del lavoro, vol. I, Milano, Giuffrè, 2017, 1174;

- R. De Luca Tamajo, M.T. Salimbeni, Il trasferimento d'azienda, in M. Persiani, F. Carinci (diretto da), Trattato di diritto del lavoro, vol. VI, Il mercato del lavoro, Padova, 2012, 1454;

- A. Maresca, Modifica all'art. 2112, comma quinto, del codice civile, in M. Pedrazzoli (coordinato da), Il nuovo mercato del lavoro. Commentario al D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, Bologna, 2004, 395;

- R. Romei, Azienda, impresa, trasferimento, in Dir. lav. rel. ind., 2003, 49;

- G. Santoro Passarelli, Il rapporto di lavoro nel trasferimento d'impresa e di articolazione funzionalmente autonoma, Torino, 2014;

- T. Treu, Cessione di ramo d'azienda: note orientative e di metodo, in Riv. it. dir. lav., 2016, I, 43.

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